NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 25 novembre 2018

Io difendo la Monarchia - Cap VI - 2


Infine in altri due giornali liberali settimanali La città libera (30 agosto 1945), e L’Opinione (2 settembre 1945), è apparso a firma di Panfilo Gentile e di 58 soci e socie del partito liberale il seguente monito :
«Carissimi amici, ci spinge a rivolgervi questo appello la preoccupazione che il Partito Liberale sta indubbiamente attraversando un momento estremamente critico — forse al pari degli altri Partiti ed il desiderio di contribuire a che esso esca al più presto da tale stato increscioso con precise risoluzioni. È evidente che la situazione politica italiana si è venuta aggravando e complicando dopo l’avvento del Governo Parri, il quale, rispetto ai precedenti Gabinetti Bonomi, ha notevolmente alterato le basi sulle quali, alle origini, era stato costituito il patto dell’esarchia.
È noto che quando, a suo tempo, i Partiti della resistenza e della lotta contro il nazi-fascismo assumevano, come era loro diritto e loro dovere, la gestione provvisoria del Governo, s’impegnavano reciprocamente, a non risolvere e a non pregiudicare nessuno dei problemi istituzionali e di struttura economico-sociale — la cui decisione spetta unicamente al Paese e ad una sua libera consultazione — e s’impegnavano altresì a limitare la loro attività di Governo unicamente alla tutela dell'ordine pubblico e ai provvedimenti di congiuntura di immediato interesse. Ed è altrettanto noto che i Gabinetti Bonomi, nonostante la buona volontà del loro Capo, erano già venuti meno, in una certa misura, a tali impegni non rispettando scrupolosamente, né la tregua, né l’imparzialità, né i limiti dei propri poteri.

Se non che in seguito alla caduta del Gabinetto Bonomi si abbandonava apertamente la base Iniziale, si affermava che con la liberazione dell’Italia del Nord il potere dovesse spettare prevalentemente agli elementi partigiani e sovversivi, i quali si arrogavano una specie di investitura privilegiata alla successione dello scomparso regime fascista, ed in armonia a tali premesse si costituiva il Gabinetto Parri in seno al quale le leve del comando passavano sostanzialmente al partiti di estrema sinistra, con la concessione agli altri partiti di posizioni secondarie di semplice controllo. Coerente alla sua composizione,
questo Gabinetto si poneva, poi, al servizio dei Comitati di Liberazione e delle correnti più accese. Di modo che, in luogo di un governo che fosse esponente nella più larga misura possibile delle forze politiche operanti nel paese, veniva a costituirsi in definitiva un Governo nettamente orientato verso sinistra.

Non sarebbe il caso di allarmarsi eccessivamente di tale situazione se essa oggi non comportasse due conseguenze di estrema gravità.
La prima è che, con il cennato spostamento del centro di gravità politico del Governo, Governo ed esarchia hanno accentuato la distanza che già li separava dal Paese. Mentre. Infatti il Paese desiderava e desidera, come interprete autentico dei suoi stessi bisogni, che. dopo la lotta di liberazione, l’attenzione e gli sforzi del Governo, si concentrassero sul piano della costruzione nazionale per la salvezza dell'Italia, il Governo Parri Partiti dell'esarchla vittime di una specie di daltonismo politico, mal governando e poco governando, si dimostravano sempre più impegnati in una gara di ideologie faziose. Nessuno oggi potrebbe negare che tutti i Partiti sono colpiti, più o meno, dal discredito della pubblica opinione e che il Paese li segue con fastidio e con irritazione.
La seconda e se possibile più grave — è che i partiti di estrema sinistra essendosi già assicurati la prevalenza in seno ai Governo, intendono di avvalersi di tale privilegio alfine di pregiudicare fin d’ora, in loro favore, le soluzioni definitive istituzionali e di strutture economico-sociali, sia apparecchiando una legge elettorale che funzioni come un congegno automatico a loro vantaggio, sia affrettando la lotta elettorale per la Costituente perché si svolga in un clima di disorientamento e di intimidazione, preparando un colpo di Stato dissimulato sotto 1 apparenza della legalità delle procedure, ed avviando il Paese verso la restaurazione di una dittatura mascherata dietro
la facciata di un’Assemblea Costituente.
Se questa, come pensiamo, è la situazione, è ovvio che il Partito Liberale deve superare quel complesso di inferiorità che fino ad oggi lo ha reso indulgente verso le estreme sinistre. 
Noi non crediamo che il Partito Liberale debba stabilmente identificarsi come un partito conservatore di destra, crediamo, anzi, che esso potrebbe accettare e partecipare, e magari promuovere, concentrazioni anche di sinistra con un programma di audaci riforme economiche e sociali laddove nella realtà politica italiana si profilasse una situazione di conciliazione, di concordia nazionale e di saggezza universale. Siamo, però, fermamente convinti che il Partito Liberale debba resistere con la massima energia dinnanzi a situazioni che tendono apertamente o subdolamente, a imporre con la intimidazione o con la frode il prepotere dei ceti e dei partiti di estrema sulla libera volontà nazionale.
Siamo, infine, convinti, che una volontà di resistenza coraggiosa non si sia ancora formata nel partito liberale, e che la timidezza, la incertezza, la paura di essere bollati per conservatori e reazionari, l’arrendevolezza, il possibilismo e il trasformismo, spacciati come prudenza o come abilità, costituiscano ancora connotati troppo diffusi del liberali, connotati i quali giustificano quei severi giudizi che soventemente vengono espressi contro il nostro Partito.
Si è parlato spesso di un nuovo e giovane liberalismo nei confronti del vecchio liberalismo pre-fasclsta. Noi pensiamo che la novità e la giovinezza non stiano tanto nelle proposizioni dottrinali o nelle formazioni programmatiche quanto nella forza morale delle convinzioni e nella fermezza dura con cui esse sono fatte valere. È soprattutto In questo senso che auspichiamo un liberalismo giovane e nuovo.
Questo nostro appello amici carissimi, intende raccogliere tutti i Liberali che condividano le nostre preoccupazioni e i nostri propositi, senza, peraltro attentare all’unità del Partito la cui insegna gloriosa deve essere messa al riparo da secessioni che trasformerebbero la compagine del movimento liberale in  piccole sette senza risonanza e senza avvenire; Intende associare in uno sforzo coordinato ed unitario, entro il Partito tutti coloro che, come noi, pensano che l’ora presente non sia quella più propizia alle reticenze calcolate, alle debolezze compiacenti, alle perplessità imbelli ed alle diserzioni silenziose. «Guardiamo al Paese, ai suoi interessi, ai suoi bisogni, ai suoi sentimenti profondi, anche a costo — ove se ne manifestasse la necessità — di sacrificare quella solidarietà di Governo, che fino ad oggi ci ha tenuti legati ai partiti dell’esarchia, per appellarci alla Nazione e all’avvenire. - Panfilo Gentile».


Sono due documenti di estrema importanza; uno viene dall’estrema sinistra del laburismo inglese il cui avvento al potere era stato esaltato dal socialismo nostrano come il lasciapassare della rivoluzione italiana; l'altro, è un documento interno, di un partito partecipe dell’esarchia. Esso avverte il pericolo dell'attuale indirizzo di Governo. L’uno e l'altro si oppongono all’uso della violenza e anche alla minaccia della violenza da parte di una minoranza sostenuta da milizie armate: quella violenza che è vecchio male italiano, sempre risorgente, perché la nostra natura pare incapace di una soluzione dei problemi della vita collettiva senza ricorrere da una parte alla pura speculazione filosofica e, dall’altra a dimostrazioni ed agitazioni di piazza. Noi mettiamo in moto la lirica dei poeti nazionali e la filosofia dei grandi maestri, insieme alle squadre dei mazzieri e dei sicari.
È una eredità del Rinascimento dalla quale non riusciamo a liberarci, una pesante eredità della nostra natura inguaribilmente retorica e insieme cinica e rissosa.
Ebbene, tra il 1922 e il 1926, si poneva in Italia lo stesso problema : impedire che una minoranza, con l’uso della violenza e con la scusa di una rivoluzione da compiere, si impadronisse con l’uso della forza o con il timore della forza da parte dei più, del Governo dello Stato. Già Pareto aveva annunciato prima dell’altra guerra. « L’uso della forza è indispensabile nella società e quando le classi alte sono contrarie a farne uso, il che abitualmente accade, perché la maggior parte di queste classi fa assegnamento solo sull’astuzia, mentre la minor parte, per stupidità o vigliaccheria, si rifiuta di agire energicamente, avviene che, se la società vuole sussistere o prosperare, la classe governante deve essere sostituita a un altra che intenda e sappia come usare la forza, si come la società romana fu salvata dalla rovina per opera delle legioni di Cesare e di Ottaviano, potrà accadere che la nostra società venga, nel futuro, salvata, dalla decadenza, da coloro che saranno allora gli eredi dei nostri sindacalisti ed anarchici ».
Mussolini pretendeva di essere stato allievo di Pareto oltre che discepolo di Sorel e affermava di avere acquistato la necessaria confidenza con il Machiavelli nella famosa officina del fabbro. Ma a parte queste vanterie culturali del tutto infondate si può immaginare che egli trovasse solo nel suo torbido istinto la spinta alla conquista del potere. A nessuno veniva allora in mente di rendere la Monarchia responsabile degli avvenimenti italiani di quegli anni perché si avvertiva da tutti la forza dominante dell'opinione pubblica e il consenso dello spi-rito universale. Allo stesso modo a nessuno viene ora in mente di rendere responsabile il Luogotenente dei molti decreti che vengono sottoposti alla sua firma: decreti che pure non hanno il consenso universale e che non giovano certo, né al paese, né alla Monarchia; che tendono anzi manifestamente a demolire l'istituto monarchico. Ognuno comprende che la forza delle circostanze costringe il Luogotenente ad accettare un governo che gli è programmaticamente avverso. Come suo padre. La Monarchia deve assistere inerte al fluire di così strani eventi, perché il dramma continua. Del triste ventennio nulla abbiamo dimenticato, ma nulla abbiamo imparato Il ventennio vide il sopruso e la violenza. Oggi si continua l’apologia della violenza come già fecero Sorel
Pareto.
Il prof. Concetto Marchesi (comunista), che potrebbe occuparsi autorevolmente di Seneca, ha scritto: « la violenza sotto il suo aspetto materiale è indubbiamente irrazionale e anche repugnante alla ragione, ma considerata in rapporto con il fine a cui essa obbedisce e con l’ordine razionale a cui serve, è giusta e razionale. La violenza è apparentemente la nemica, ma sostanzialmente l'amica dell’uomo e dello spirito ed è anche l’anima stessa, il seme divino della storia dell’umanità. Lo è proprio nel senso che fece dire a Cristo: ” Io non vengo a portare la pace, ma la spada » E il citato Giuseppe Rensi aveva già ripetuto un detto di Machiavelli: ” Il modo come si debba comporre una città divisa non deve essere altro che ammazzare i capi dei tumulti ”.

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