NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 30 aprile 2014

L'ingegnere Domenico Giglio su "Sette" del Corriere della Sera

La presa del potere da parte di Mussolini


Alcune settimane fa, rispondendo, su Sette, a un lettore che aveva definito legale e parlamentare l'avvento al potere di Mussolini, lei aveva invece definito violenta la conquista del potere da parte fascista con la Marcia su Roma Mi spiace dover replicare che era esatta l’affermazione del lettore in quanto le squadre fasciste furono fermate a decine di chilometri dalla Capitale, ed entrarono pacificamente a Roma, a Governo già costituito, il 31 ottobre, sfilando da Piazza dei Popolo al Quirinale, e ripartendo nella serata con i treni speciali appositamente organizzati. La crisi di governo apertasi con le dimissioni dell'on. Facta il 27 ottobre, era stata risolta con l'incarico di formare il nuovo Governo, affidato dal Re, sentiti i
Presidenti Camera e Senato e altre personalità, all'on. Mussolini dopo che era fallito il tentativo di Salandra ed essendo Giolitti osteggiato dal Partito Popolare di Don Sturzo. Cosi ottenuto regolarmente il mandato Mussolini formò un governo di larga coalizione, dove erano presenti ministri e sottosegretari dei Partito popolare, fra i quali l’allora giovane Giovanni Gronchi, demosociali, liberali e indipendenti, per cui presentatosi alla Camera dei Deputati, presieduta da Enrico De Nicola, dopo il consueto dibattito ottenne la fiducia con 306 voti favorevoli, 116 contrari e 7 astenuti. Questa è storia inconfutabile. Il mito della marcia fu creato a posteriori dal fascismo già affermatosi per dare una immagine gloriosa della sua nascita e di questo vi è testimonianza e documentazione autorevole in un libro uscito nel 2012 dal titolo Mussolini a pieni voti , di Aldo Mola (edizioni del Capricorno), e anche nel recentissimo volume Dittatura e Monarchia, di Domenico Fisichella (editore Carocci). Ho citato questi due libri per chi voglia approfondire l'argomento e non voglia supinamente accettare la “vulgata" della presa dei potere di Mussolini.

 dr. ing. Domenico Giglio


Gentile Domenico, non le citerò la bibliografia che sostiene la presa del potere da parte di Mussolini non democratica: occorrerebbero tre numeri di Sette. Seguendo il suo discorso, le faccio notare che una pistola puntata alla tempia, anche se non spara, è sempre una minaccia. E non bastasse, la invito a leggere un qualsiasi storico serio che ricostruisca il delitto Matteotti (1924) e ciò che è avvenuto subito dopo.

Nota dello staff
Risposta non pertinente ci permettiamo di commentare: davanti ai numeri si risponde con i numeri e non con i paragoni.
Bravo Ingegnere!

sabato 26 aprile 2014

Le carte scomparse dei Savoia sarebbero a Madrid

L'ex ambasciatore Bondioli Osio avrebbe scoperto il destino dei faldoni più scottanti
Le carte dell'archivio che Re Umberto II (1904-1983), durante l'esilio, custodiva nella sua residenza portoghese a Cascais, «relative al periodo 1915-45 e destinate all'Archivio di Stato di Torino», sarebbero «scomparse».
Questa rivelazione si trova in un articolo che l'ambasciatore a riposo Mario Bondioli Osio, dal 1995 al 2003 presidente della Commissione Interministeriale per il recupero delle opere d'arte, ha scritto per il nuovo numero di Nuova Storia Contemporanea, diretta da Francesco Perfetti. Non solo. «Un armadio pieno di faldoni» relative al '900, al fascismo, alla luogotenenza di Umberto II e ai rapporti tra Vittorio Emanuele III e Mussolini «sarebbe stato visto a Madrid in casa di un amico dei figli dell'ultimo re d'Italia», scrive sempre l'ex ambasciatore. Poche righe, ma sufficienti a riaprire il giallo sulle carte dei Savoia, o meglio su quei faldoni che dopo il 1993 non sarebbero mai arrivati all'Archivio di Stato di Torino.
[...]
http://www.ilgiornale.it/news/cultura/carte-scomparse-dei-savoia-sarebbero-madridlarchivio-umberto-1014070.html

venerdì 25 aprile 2014

I gioielli di Casa Savoia



Le gioie in dotazione alla real casa sono un gruppo di gioielli ufficiali utilizzati dalle regine di casa Savoia nelle cerimonie e negli eventi importanti. Furono smontati e riordinati per volere della prima sovrana d’Italia Margherita. Infatti per il suo matrimonio furono creati i primi pezzi che vennero integrati negli anni fino alla creazione, per i 15 anni di matrimonio, del gran diadema nel 1883. Da questa data non furono più sottoposti a modifiche e il loro numero non fu più incrementato, come è dimostrato dall’inventario fatto dalla ditta Musy in quell’occasione e da quello effettuato nel 1946. Questi gioielli, come quasi tutti quelli più importanti della famiglia, vennero ideati e creati dalla gioielleria Musy, fondata nel 1706 e attiva ancora oggi, ditta fornitrice di casa Savoia dalla metà del XVIII secolo. La sovrana era solita indossare molti gioielli contemporaneamente tanto da essere paragonata, più di volta, a una madonna votiva nel giorno della processione.

La regina Margherita li portò fino al regicidio di Monza (29 luglio 1900), dopodiché scrisse di suo pugno: “le Gioie della Corona sono state consegnate a Sua Maestà la regina Elena, mia nuora, il giorno 2 Agosto 1900 in Monza”. Da questo momento i gioielli furono conservati nella cassaforte numero 3 del Quirinale e affidati alla custodia del ministro della real casa, al quale quando la regina doveva indossarne un pezzo, bisognava inoltrare una richiesta e una volta avuto il gioiello Vittorio Emanuele III doveva firmare una ricevuta. Dopo l’8 settembre 1943 e la cosiddetta fuga, il re lasciò a Roma i gioielli e al ministero della real casa il compito di tenerli al sicuro dagli invasori. Infatti uno degli ordini di Hitler era di recuperarli e spedirli a Berlino. I tedeschi li cercarono prima nella capitale, poi a Torino e a Milano senza però riuscire a trovarli. Infatti subito prima dell’occupazione erano stati depositati in una cassetta di sicurezza della banca d’Italia, in seguito prelevati e murati in una nicchia dei sotterranei del Quirinale.

Dopo il referendum istituzionale, il 5 giugno del 1946 l’avv. Falcone Lucifero, reggente del ministero della real casa, si presentò alla banca d’Italia con il cofanetto a tre piani in cui erano custoditi i gioielli della corona e l’ordine di re Umberto II di riconsegnarli alla nazione ad uso di chi di dovere. Venne stilato un inventario con la descrizione dei pezzi, furono scattate delle fotografie e il cofanetto venne chiuso con 12 sigilli. In teoria oggi i gioielli dovrebbero essere ancora sigillati e il cofanetto può essere aperto solo in presenza del presidente della repubblica e del governatore della banca d’Italia. Il loro valore oggi, secondo alcune stime, si aggira sui 1.5 miliardi di euro e in totale ci sono pietre per più di 1200 carati.

La Corona Ferrea utilizzata come corona reale del Regno d'Italia perché legata sacramentalmente al territorio della penisola e perché già utilizzata in passato dagli Imperatori tedeschi per essere incoronati come re d'Italia nel medioevo. Essa venne inoltre usata anche da Napoleone nel suo regno sull'Italia settentrionale ed in seguito da tutti i re del Regno Lombardo-Veneto. Quando Vittorio Emanuele II unificò l'Italia essa venne assunta come corona reale con l'obbligo però di non essere rimossa dal Duomo di Monza dove veniva custodita da secoli e dove ancora oggi si trova. La corona è uno dei pezzi più importanti al mondo in fatto di corone non solo per la fabbricazione longobarda risalente all'VIII secolo, ma anche perché la tradizione vuole che contenga una lamina circolare ricavata dalla fusione di uno dei chiodi della croce di Cristo. In realtà il gioiello non fece mai effettivamente parte della collezione dei gioielli di Casa Savoia, ma rappresentò un simbolo della nazione italiana unita e non venne mai utilizzato durante le incoronazioni dei re d'Italia.
La Corona del Regno di Sardegna fu una corona fatta costruire nel settecento e rappresentava il simbolo politico del potere regale nel regno di Sardegna. La corona era realizzata in oro, diamanti e pietre preziose, era ricoperta di velluto rosso sul medesimo. Essa era caratterizzata dalla base in oro decorata a nodi di Savoia ed alla sommità era sormontata da una croce di San Maurizio, che si rifaceva all'omonimo ordine cavalleresco di collazione sabauda. Utilizzata per l'incoronazione di Vittorio Amedeo III di Savoia, venne trafugata come bottino di guerra nel 1795, durante l'invasione francese del Piemonte, trasportata a Rotterdam venne smontata e i suoi materiali fusi o venduti separatamente. Successivamente la corona continuò ad essere utilizzata simbolicamente nei ritratti dei re sabaudi e nei loro stemmi anche se nessuno di loro ne fece realizzare più una nuova fisicamente.

[...]

http://donneeartenellastoria.forumfree.it/?t=68649098#lastpost

lunedì 21 aprile 2014

Quante botte e umiliazioni mi è costata la fedeltà al Re

A 20 anni raggiunse Umberto nell'esilio di Cascais, 2.500 chilometri in motorino Oggi presiede la Consulta dei senatori del Regno: "Solo sei erano deambulanti...".
Il professor Duvina con la bandiera autografata da Re Umberto II
Il professor Pier Luigi Duvina, medico dal 1959, specializzato in pediatria, cardiologia, reumatologia, pneumologia e tisiologia, a 80 anni rimane quello che è sempre stato: un monarchico. Ne aveva 20 quando, in sella a un motorino Nsu, si fece in tre giorni Firenze-Cascais, 2.500 chilometri, per raggiungere Umberto II nell'esilio portoghese. «Giunsi mentre usciva da Villa Italia con il suo aiutante di campo, generale Piero Santoro, e osai presentarmi: buongiorno, Maestà. Incredibilmente, il Re di maggio si mise a sedere con me su un muretto.
Pier Luigi Duvi
Mi chiese da dove arrivassi, prese nota dell'indirizzo, e da allora rimanemmo in corrispondenza. Poi disse: “Venga, le mostro l'Atlantico”. Cominciò a scendere una scaletta ripida che conduceva a un terrazzo. Le onde si frangevano sugli scogli con un fragore assordante. Mi fermai dopo pochi gradini. Maestà, non posso proseguire, l'oceano mi fa impressione, pigolai. Sorrise e tornò indietro».
Quella fu l'unica volta che Duvina non se la sentì di seguire il suo sovrano. Per il resto, continua ad andargli dietro anche ora che l'ultimo dei regnanti sabaudi - rimasto sul trono solo 36 giorni, dal 9 maggio al 13 giugno 1946 - è morto da 31 anni. Un mese fa Duvina ha guidato da solo l'auto fino all'abbazia di Hautecombe, nella Savoia francese. «Era in programma l'annuale messa di suffragio per la sua anima. È sepolto all'ingresso - sotto la regina Maria José, sua consorte - in quel tempio di un gotico fiammeggiante, una trina, che volle donare alla Chiesa insieme con la Sindone».
Nella sequela del re, a parte l'attimo di paralisi sulla scalinata che conduceva al belvedere di Cascais, a Duvina non ha mai fatto difetto il coraggio. La prima volta che fu picchiato dai comunisti era appena tredicenne. Aveva montato sulla propria Legnano un cartellone di compensato con la foto della famiglia reale e batteva a piedi le vie di Firenze sospingendo la bici, nella speranza di convincere gli elettori a votare per la monarchia nel referendum del 2 giugno 1946, che invece decretò la nascita della repubblica.
Due anni dopo, vide che i rossi strappavano dai muri i manifesti della Dc e pertanto si convinse che quello di Alcide De Gasperi fosse il partito da aiutare. S'improvvisò attacchino e rimediò un'altra pestata in zona San Gaggio, contribuendo però alla travolgente vittoria del 18 aprile sui socialcomunisti del Fronte popolare. Passati altri cinque anni, furono gli agenti della Pubblica sicurezza a fermarlo durante la Mille miglia mentre sventolava un tricolore con la stemma sabaudo. Alla morte di Umberto II, il 18 marzo 1983, espose al balcone di casa la stessa bandiera listata a lutto, «eccola qua, un po' malconcia, ma sul retro reca la firma di Sua Maestà, vede?». Risultato: 48 ore dopo gli incendiarono due automobili.
Tante persecuzioni subite per amore della corona non potevano che meritare al professor Duvina il più ambito dei riconoscimenti: la nomina, da parte di Sua Altezza Reale il principe Vittorio Emanuele di Savoia, a presidente della Consulta dei senatori del Regno, fondata nel 1955 da circa 160 rappresentanti monarchici che erano stati espropriati del laticlavio sette anni prima con l'entrata in vigore della Costituzione repubblicana. L'ultimo dei senatori ad aver servito il Regno per davvero, Giovanni de Giovanni Greuther, duca di Santa Severina, è morto nel 2002 a quasi 97 anni. Oggi i 104 componenti della Consulta sono privati cittadini che vengono cooptati per le loro benemerenze nella difesa della monarchia, previa ratifica da parte del principe Vittorio Emanuele.
Duvina è succeduto a illustri accademici, come l'economista Giuseppe Ugo Papi, il latinista Ettore Paratore e l'etnologo Vinigi Grottanelli, che erano stati designati da Umberto II in persona. «Quando nel 2007 suo figlio mi convocò a Ginevra per conferirmi l'alto incarico, i consultori erano rimasti appena 25, di cui soltanto 6 deambulanti. Ricordo che, tornato a casa, telefonai a uno di loro per invitarlo a un incontro. Mi rispose: “Benedico i principi e benedico lei. Ma non so se potrò intervenire, perché ho 99 anni”».

Siete sempre stati tutti monarchici nella vostra famiglia?
«Sempre, compresi i miei sei figli. L'unica pecora nera fu un cugino che divenne vicepodestà di Firenze. I Duvina non vollero mai saperne di prendere la tessera del Partito fascista. Mio padre Michele finì per questo nelle mani della famigerata Banda Carità. La prima volta fu riempito di botte e olio di ricino, la seconda venne affidato alle “cure” del tenente Mario Perotto, che comandava la “squadra della labbrata”. Alla fine stavano per fucilarlo. Fu salvato da mio nonno Luigi, che versò agli aguzzini un riscatto enorme, 1,3 milioni di lire dell'epoca, circa mezzo milione di euro a valori di oggi».

Suo nonno era piuttosto benestante.
«Le dico solo questo: mia madre Tina implorò il suocero, attraverso mia nonna Bianca, affinché trovasse un lavoro al mio babbo. Al che il nonno rispose: “Lavoro? Lavoro? Nessuno ha mai lavorato in casa Duvina!”. Poi mio padre mise in piedi un import-export di coloniali».

Per la vostra fedeltà ai Savoia, le avete prese da tutti, neri e rossi.
«Ho fatto il medico per quasi mezzo secolo, però lontano da Firenze: qui era troppo pericoloso. Sono stato primario a Castelnuovo Garfagnana e Pescia. Soltanto negli ultimi anni della carriera sono potuto ritornare nella mia città, prima all'ospedale Meyer e poi al San Giovanni di Dio come direttore della pediatria e della terapia intensiva neonatale».

Umberto Brindani, direttore di Oggi, dice che sono tornate di moda le copertine con le famiglie reali.
«Mi fa piacere. C'è in giro un gran bisogno di pulizia. La disonestà è imperante a tutti i livelli. Combatto le Regioni fin dal 1968. Ero certo che avrebbero diviso l'Italia e decuplicato ruberie e sprechi».

Ora alcune, come il Veneto che non ha mai digerito il plebiscito-farsa del 1866 per l'annessione al Regno d'Italia, reclamano l'indipendenza.
«Non è il rimedio. Più si porta il denaro in periferia e più aumenta la corruzione. Agli amici veneti ricordo che il corpo di spedizione toscano a Curtatone, Montanara e Goito era composto da circa 7.000 uomini: tre compagnie fiorentine che subirono il 44 per cento di perdite, due compagnie lucchesi, una compagnia pisano-senese, una di fucilieri napoletani, una di fanteria campana e una di volontari siciliani. Tutti morti per la libertà della Padania, ottenuta grazie a Casa Savoia. Ancor oggi il cappello degli universitari di Pisa ha la punta mozzata in ricordo dei giovani studenti che sacrificarono la vita nelle battaglie risorgimentali».

Se alle elezioni 6.417.580 italiani votassero per il Pd e 690 per Forza Italia, lei che cosa penserebbe?
«Che è tornata l'Urss».

E se la informassero che 20 milioni di elettori non si sono recati ai seggi?
«Penserei a un suicidio democratico».

Divida per 10. È precisamente ciò che accadde al Veneto nel plebiscito del 20 ottobre 1866: fu annesso al Regno d'Italia con 641.758 sì e 69 no.
«Fin dai tempi di Pitagora, Virgilio e Dante, l'Italia fu un sentimento coltivato solo dalle persone colte. Per ottenere l'unità vi furono delle forzature. Ma nessuno può negare che con Carlo Alberto e lo Statuto albertino nel 1848 nacque il primo regno democratico d'Italia. Nella contabilità della storia, tutti perdono qualcosa. La famiglia sabauda cedette a Napoleone III l'intera Savoia e la contea di Nizza, che era la più ricca d'Europa, solo in cambio di una promessa d'aiuto nella guerra d'indipendenza».

E il referendum monarchia-repubblica del 1946 fu inficiato da brogli?
«Lo ammise persino Giuseppe Romita, ministro dell'Interno, in un libro uscito postumo 13 anni dopo. Nella notte dello spoglio, i monarchici erano avanti di 400.000 voti. Romita telefonò allarmato a Pietro Nenni e a Palmiro Togliatti, ministro della Giustizia. Quest'ultimo, astutissimo, aveva suddiviso l'Italia in 31 circoscrizioni, mettendoci a capo uomini di fiducia. I risultati affluivano al suo dicastero. Alla fine saltarono fuori 2 milioni di schede in più, non dico altro. La verità è che quel referendum non lo vinse nessuno, perché venne addirittura a mancare il quorum. Togliatti, interpellato dalla Cassazione sui voti nulli, arrivò al punto di dichiarare che non ce n'erano. È a verbale. Dopo 48 ore, siccome la Corte suprema non demordeva, il leader comunista ne fece saltar fuori 1.498.136 e il Consiglio dei ministri, nella notte fra il 12 e il 13 giugno, tolse i poteri costituzionali a re Umberto. Questo non gli era consentito, perché la Cassazione si sarebbe pronunciata solo sei giorni dopo. Fu un colpo di Stato per impedire il ricontrollo delle schede».

Che compiti ha la Consulta dei senatori del Regno?
«Ristabilire la verità storica su Casa Savoia. Esempio: si accusa Vittorio Emanuele III di aver consegnato il potere a Benito Mussolini, nominandolo capo del governo. Ma nessuno mai ricorda che il re fece 27 tentativi, diconsi 27, per affidare l'incarico a un primo ministro diverso, l'ultimo dei quali il giorno stesso in cui si rassegnò a darlo al Duce, dopo aver chiesto invano al senatore Antonio Salandra di formare un nuovo esecutivo. Si dimentica che il primo governo Mussolini, pur avendo il Partito fascista 35 deputati in tutto, ebbe 306 voti a favore, 116 contrari e 7 astensioni. Votò la fiducia persino De Gasperi. In altre parole il dittatore fu eletto democraticamente dal Parlamento. Che c'entra il re?».

Ma dopo l'8 settembre 1943 scappò.
«Ringraziamo Dio che lo fece! Se non avesse raggiunto Pescara, e poi Brindisi, l'esercito avrebbe dovuto difenderlo e Roma sarebbe stata messa a ferro e fuoco dai nazisti. Non capisco: Pio IX nel 1848 scappa da Roma travestito da prete per rifugiarsi a Gaeta e lo beatificano; Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini fuggono alla caduta della Repubblica romana e diventano eroi; i reali di Norvegia, Olanda, Grecia e Jugoslavia riparano all'estero dopo che i loro Paesi sono stati invasi dal nemico e nessuno li accusa di alcunché. Però tutti se la prendono solo con Vittorio Emanuele III».

[...]

sabato 19 aprile 2014

Buona Pasqua!

Cari amici, ci prendiamo una pausa per tornare alle nostre famiglie e vivere la Santa Pasqua al meglio.




Vi auguriamo di cuore Buona Pasqua!

venerdì 11 aprile 2014

L'autobus passa: prendiamolo in corsa!


Nel   2010 , alla  vigilia  del  centocinquantesimo  anniversario  della  proclamazione  del  Regno  d’ Italia,anniversario  che  veniva  “pudicamente”  definito  della  “Unità”, i  monarchici  avrebbero  dovuto  approfittare  di  questa  ricorrenza  per  riaffacciarsi  alla  ribalta  rilanciando  i  motivi  ispiratori  del  Risorgimento , le  realizzazioni  del  nuovo  Regno , oggetto  di  una  campagna   astiosa , faziosa   e  negatrice  di  questi  eventi , da   parte  di  nostalgici  degli  Stati  “assolutisti “, preunitari, tra  i  quali  in  prima  linea  i  neoborbonici.

Dobbiamo  dire  che  l’attuale  Stato  repubblicano  una  sua  parte  positiva  la  fece: l’on. Napolitano  si  recò  al  Pantheon  a  rendere  omaggio  alla  tomba  di  Vittorio Emanuele  II  “Padre  della  Patria“,  nei  suoi   discorsi  e  messaggi   ebbe  parole  serene  e  positive  per   la  nascita  del  Regno;  a  Torino  fu  aperta   una eccezionale  mostra  dedicata  a  “ Vittorio  Emanuele  II - Il  Re  Galantuomo“, con  un  volume  di  straordinario  interesse (Editrice  Fabbrica  delle  Idee ), in  quanto  i  diversi  autori, nessuno  dei  quali  monarchico, studiando  ed  esaminando  dai  più  vari  punti  di  vista  la  figura   e  l’opera  del  Re, convenivano  tutti  in  una  valutazione  positiva  dello  stesso, poi   le  varie  mostre  dedicate  a  Margherita, prima  Regina   d’Italia, definita  “icona  dell’  Italia  Unita”, una  mostra   a  Roma,  su  “La  Macchina  dello  Stato“ , con  volume  edito  da  “Electa“, che  documentava  l’ enorme  sforzo  della  unificazione  in  tutti  i  campi  dell’ attività  statuale, effettuato, pur  tra  difficoltà  economiche  e  finanziarie  notevoli, dal  nuovo  Stato  unitario, e così  pure  altre  mostre  sparse  per  tutta  l’ Italia.

E  i  monarchici  mentre  passava  l’ autobus  del  centocinquantenario? Qualche  celebrazione  episodica  e  sporadica, qualche  articolo , qualche  lettera  ai  giornali, una  serie  di  conferenze  però  limitate  a  Roma, anche  se  poi  successivamente  e  fortunatamente  raccolte  in  un  volume  e   poI... Anche  la  richiesta  di  ripristino, ampiamente  motivata, dei  nomi  sabaudi  a  cominciare  da  Vittorio  Emanuele  II, nelle  città  che  li  avevano  cancellati  ed  in  quelle  che  non  li  avevano  avuti, era  una  occasione  unica, irripetibile,  purtroppo   mancata, per  far  conoscere  l’ azione  decisiva  della  Monarchia  e  di  Vittorio  Emanuele, per  il  raggiungimento  dell’Unità, sogno  ed  aspirazione   della  parte  migliore  del  popolo  italiano, la  più  colta  e  generosa, anche  se  forse  minoritaria, in  termini  numerici  assoluti, dato    l’altissimo  livello  di  analfabetismo  che  esisteva, particolarmente  nelle  regioni  meridionali   e  che  rendeva  le  masse  insensibili  a  questi  motivi   ideali.

Ed  ora?  Adesso   sta  passando  l’ autobus   del  centenario  della  prima  Guerra  mondiale, la  Grande  Guerra;  per l’ Italia, la  Quarta  Guerra  d’ Indipendenza, e  si  prevedono  convegni, mostre, studi, pubblicazioni, ma  in  queste  quante  saranno  le  note  positive  ed  i  riconoscimenti  per   la  Monarchia  e  per  il  Re  Vittorio  Emanuele  III, il  “Re  Soldato”, non  per  definizione  retorica, ma  “fotografica”  di  questo  Sovrano che  praticamente  stette  al  fronte, insieme  con  i  suoi  soldati, per  41  mesi, avendo  delegato  i  suoi  poteri  civili, allo  Zio, Tommaso  di  Savoia, duca  di  Genova, quale  suo  Luogotenente  Generale. Leggeremo   tanto  e  di  più  sul  rovesciamento  delle  alleanze, come  fatto  genetico  dell’ Italia, falsità   storica, ma  di  grande  effetto, sulle  ragioni  dei  neutralisti, anche  queste  da  documentare, perché  non  basta  la  frase  giolittiana  del  “parecchio”, su   Caporetto, sui   600.000 morti, come  se  Francia, Gran  Bretagna, Germania, Austria  e  Russia  non  ne  avessero  avuti  molti  e  molti  di  più , sulla  responsabilità  dell’  Italia  nella  guerra, dimenticando   che  eravamo  entrati  in  guerra  il  24  maggio 1915, dopo  dieci  mesi  dall’inizio  del  conflitto  e  tante  altre  accuse  o  mancati  riconoscimenti, come  sicuramente  il  silenzio  su  Peschiera  e  su  altri  fatti  positivi.

Dobbiamo  essere  preparati   a  tutto  ciò, dai  giornali  alla  televisione, specie  nei  canali  e  nelle  trasmissioni   storiografiche, dalle  librerie  quando  si  presentassero  nuovi  libri  sulla  guerra  ed  essere  pronti  ad  intervenire  ed  a  replicare  e  le  nostre  manifestazioni  siano  aliene  dalla  retorica, affrontino  anche  i  temi  più  amari, perché  non  si  perda  di  vista  quello  che  rimane  una  verità  incontrovertibile  e  cioè  che  l’ Italia  con  la  grande  guerra, era  assunta  al  livello  di  potenza  europea, aveva  dimostrato  di  essere  una  nazione   ed  un  popolo  unito, che  il  soldato  italiano  non  era  secondo   a  nessuno, aveva  confermato  che  lo  Stato  esisteva      ed  era  robusto in   tutte  la  sue  strutture  e  tutto  questo  è  particolarmente  necessario  ricordare  e  documentare  perché  oggi  la  polemica  è  passata   dall’ antirisorgimento  al  secessionismo, con  argomentazioni  per  lo  più  egoistiche, e  quindi  moralmente  miserabili, ammantate  di  ricordi  che  la  polvere  dei  secoli   aveva  ricoperto, quando  invece  la  parte  più  importante  degli  stessi  era  stata  assorbita  e  rivitalizzata  nella  visione  unitaria  che  il  Regno  aveva  dato  di  tutte  le  piccole  storie  di  cui  erano  ricchi  gli  italiani, pur  nella  loro  divisione, che  lentamente, nei   secoli, dal  XVI°  in  poi, ci  aveva  posto  ai  margini  della  grande storia  europea, che  era  anche  allora  la  storia  del  mondo.


Domenico  Giglio

Il Regno d'Italia da Brindisi a Salerno: 8 Settembre 1943 - 4 Giugno 1944


Conferenza tenuta dall'Ingegnere Domenico Giglio per il circolo REX il 23 Febbraio 2014


giovedì 10 aprile 2014

PRETORIO, LA SORPRESA È UMBERTO I DI SAVOIA

Comune di Prato
I ritratti accolgono i visitatori agli sbarchi degli ascensori. E al terzo piano torna la Filatrice di Bartolini. È uno dei quattro testimonial della storia della città, assieme a Francesco Datini, Francesco de Medici e Pietro Leopoldo di Lorena
Quattro ritratti a Palazzo Pretorio, testimonial di storia e trait d'union ideale con la quadreria di Palazzo Comunale: una collezione unica, formatasi dal '400, e arricchita nel corso del tempo con i volti dei benefattori della città e dei regnanti. 
I dipinti sono collocati agli sbarchi degli ascensori e sono stati scelti per rappresentare il periodo a cui è dedicato ciascun piano, per i legami con il territorio. La sorpresa si trova all'ultimo piano, dedicato all'800 e al '900, chiuso nel 1983 e ora di nuovo accessibile: è il ritratto di Umberto I di Savoia, che da settant'anni si trovava nei depositi del Museo, dopo essere stato tolto dal salone consiliare del Comune. "Il legame in questo caso è triplo - spiega l'assessore alla cultura Anna Beltrame -: passa dal pratese Gaetano Bresci, che uccise il re; da Gabriele D'Annunzio, che da studente al Cicognini di Prato gli dedicò la sua prima poesia data alle stampe; dal pittore pratese Alessandro Franchi, autore del dipinto". Ad accompagnare il ritratto, come una didascalia, i celebri versi su Prato di D'Annunzio, tratti da “Le città del silenzio”: "Lascia che in te s’indugi la mia rima, città della mia chiusa adolescenza, ove alla fiamma della conoscenza si rivelo` la mia bellezza prima". Non solo. Al terzo piano torna ad essere esposta al pubblico anche la Filatrice, la splendida scultura in marmo recentemente attribuita a Lorenzo Bartolini, concessa di nuovo in prestito al Comune. 

[...]
http://met.provincia.fi.it/news.aspx?n=170655

mercoledì 9 aprile 2014

Fenestrelle lager dei Savoia? Non esattamente.

INDAGINE SUL REVISIONISMO

Faccia a faccia con il Prof.Alessandro Barbero



Da qualche tempo sembra tornato alla ribalta nel nostro Paese il revisionismo di matrice antirisorgimentale, fenomeno a ben vedere mai completamente sopito. Libri, articoli di giornale e , soprattutto, discussioni nel variopinto mondo della rete in cui i lunghi ed articolati processi che condussero l'Italia all'Unità vanno incontro ad una rilettura e ad una una riscrizione. Ecco allora che Garibaldi da “Eroe dei Due Mondi” può diventare un “ladro di cavalli” ed un “assassino”, i Savoia si trasformano nei “Saboia” e l'antica fortezza di Fenestrelle è raccontata come un campo di concentramento dove trovarono la morte schiere di soldati duosiciliani dopo la definitiva sconfitta del loro Paese. Ma le cose stanno davvero così? Cosa c'è di vero? E che cosa di falso? Ne abbiamo parlato con il Prof.Alessandro Barbero, uno dei maggiori storici italiani ed autore del best seller “I prigionieri dei Savoia. La vera storia della congiura di Fenestrelle”.


-Professore, perché un libro su argomento come il carcere di Fenestrelle?
-Perché nel 2011, durante le celebrazioni dell'Unità d'Italia, mi sono imbattuto, per caso, nella storia dello sterminio di Fenestrelle, e mi sono accorto che non ne sapevo niente; e mentre mi pareva abbastanza probabile che si trattasse di una mistificazione, mi seccava però molto non esserne sicuro. Non si può mai sapere, nella storia sono successe così tante cose che uno non avrebbe mai creduto possibili. Così sono andato in archivio a vedere cos'era successo davvero, e mi sono appassionato scoprendo la ricchezza straordinaria della documentazione.

-Ma che cosa fu in realtà Fenestrelle? E che cosa fu il Risorgimento?
-Fenestrelle era tante cose, e nessuna particolarmente strana. Era un forte nato per difendere la frontiera con la Francia; era stato, in passato, luogo di detenzione per prigionieri politici; era la caserma del Corpo Franco, ovvero il corpo di punizione disciplinare dell'esercito piemontese prima e italiano poi; fu uno dei luoghi in cui nel 1859-60 vennero brevemente detenuti prigionieri di guerra austriaci, pontifici e napoletani; e fu uno dei luoghi in cui nel 1860 transitarono i contingenti di disertori alla leva arrestati nel Sud e trasferiti al Nord per essere incorporati nell'esercito. Dopodiché , siccome queste cose accadevano nell'Ottocento, età che credeva al progresso, alla civiltà e ai diritti umani, e accadevano sotto gli occhi dell'opinione pubblica, della stampa, del parlamento e della Chiesa, e non nell'epoca di Conan il Barbaro o del Trono di Spade, Fenestrelle in tutte queste sue diverse incarnazioni non fu mai teatro di niente di particolarmente oscuro o sinistro, con buona pace di chi sostiene il contrario senza uno straccio di documento a cui appigliarsi.
[...]

martedì 8 aprile 2014

I monarchici in Irpinia dal dopoguerra agli anni ’60

Il primo baluardo contro la DC fu il movimento monarchico. L’area della destra conservatrice, nei primi anni del dopoguerra, offrì un’alternativa solida alla potenza schiacciante democristiana. Effettivamente si consumò uno scontro tra due concezioni della società radicalmente opposte. Il Partito Nazionale Monarchico nacque nel 1946 per merito dell’onorevole di Bonito Alfredo Covelli. Certo, la sconfitta referendaria e la successiva partenza per l’esilio del Re Umberto II procurarono un’infinita tristezza nell'animo di tanta gente. Venne a galla la forza per reagire a tutto ciò.
Dopo la campagna elettorale del 1948 il PNM si contraddistinse per l’avversione contro la Balena Bianca. La sconfitta del blocco comunista sostituì il bisogno primario: le discrepanze si accentuarono e perdurarono. Iniziò un duro testa e testa terminato con la vittoria dello scudo-crociato. I monarchici conquistarono ampie fette di consenso negli ambienti sottoproletari della provincia e grazie all'ingresso di persone come Emilio D’Amore e Alfredo De Marsico acquistarono una larga legittimità.
Il PNM vinse addirittura le elezioni comunali ad Avellino nel 1952 con Olindo Preziosi e si radicò sul territorio come unico antidoto alla DC. I risultati furono eclatanti: raccolse 4.998 voti (pari al 27,30 %) contro i 4.184 dell’avversario popolare (pari al 22,85 %); nei piccoli centri come Manocalzati, si sperimentò l’accordo tra PNM eMSI sulle schede elettorali grazie al sindaco Giuseppe Del Mauro. Praticamente si costruirono le “prove tecniche locali” per l’accordo programmatico dell’intera area di destra: i monarchici confluirono all'interno del Movimento Sociale nel 1972 per gettare le basi della Destra Nazionale.
I vasti settori proletari interpretarono nella scelta monarchica un voto di protesta; paradossalmente il Partito Monarchico trafugò in consensi finanche nell'area marxista. L’etichettatura di partito anti-potere contribuì alla crescita complessiva del movimento con voti non legati alla monarchia. I manifesti intelligenti e pragmatici del partito attirarono costantemente la gente. Gli slogan furono simpatici e catalizzarono l’attenzione di tutti. Ad esempio furono disegnati oggetti legati alla vita comune. Apparve una bottiglia contenente un digestivo con la scritta “Supertonico Nazionale contro l’intossicazione democristiana e l’infiammazione comunista“. Apparve una chitarra con le corde rotte contenente il logo della DC: codesta reclame fu supportata dalla frase “Non suona più”. Ancora, comparve la classe operaia e contadina in marcia al seguito della stella contenente l’emblema del PNM.
[...]
http://romeocastiglione.wordpress.com/2014/03/03/i-monarchici-in-irpinia-dal-dopoguerra-agli-anni-60/

Cugini del re. Storia del collare della santissima annunziata



Presso Museo Accorsi-Ometto Dal 08/04/2014 Al 29/06/2014

Dall'8 aprile al 29 giugno, in concomitanza con la mostra L'ORIENTE DI ALBERTO PASINI (Museo Accorsi - Ometto, 7 febbraio - 29 giugno 2014), la Fondazione Accorsi - Ometto esporrà nella sala degli oggetti montati una serie di collari dell'Ordine supremo della Santissima Annunziata, tra cui uno proveniente da Palazzo Reale di Torino e uno prestato dal Duca Amedeo d'Aosta. L'occasione nasce dal recente acquisto da parte della Fondazione del piccolo collare che appartenne al conte Luigi Cibrario, storico e uomo politico, investito del titolo di cavaliere da Vittorio Emanuele II di Savoia nel 1869.
La storia dell'Ordine inizia nel 1364 con il conte Amedeo VI di Savoia, detto il "Conte verde": l'Ordre du Collier, poi della Santissima Annunziata, nacque come ordine votivo in previsione della grande impresa collettiva per liberare la Terra Santa dai Turchi. Inizialmente vi appartenevano quindici cavalieri, scelti perché guidati in vita dalle virtù del coraggio, dell'umiltà e della fede. Nel 1383 l'ordine divenne dinastico con a capo un Gran Maestro, al quale spettava la nomina dei cavalieri. Questi ultimi, al momento dell'investitura, ricevevano, come segno di riconoscimento, un collare d'oro, che originariamente era proprio simile a quello dei levrieri, con un pendente a tre nodi d'amore.


Il collare nel corso di sei secoli subì numerose modifiche.


Nel 1409 Amedeo VIII di Savoia codificò gli usi dell'Ordine, regolamentandone le cerimonie, e autorizzò l'inserimento, all'interno del collare, di rose smaltate rosse e bianche e delmotto FERT (acronimo di Fortitudo Eius Rodum Tenuit), sigla che, alludendo al latino ferre, ossia sopportare, portare, voleva far riferimento al vincolo al quale si sottometteva il cavaliere al momento di accettare l'investitura.

[....]


Alla morte del cavaliere, gli eredi dovevano restituire al re il grande collare, mentre il piccolo restava alla famiglia dell'insignito. Proprio a questo gruppo appartiene l'esemplare recentemente entrato a far parte delle collezioni del Museo Accorsi - Ometto.
La gioielleria Musy Padre e Figli, fornitrice della Real Casa, fu autorizzata a realizzare delle repliche dei Grandi Collari in rame o in princisbecco che andavano a sostituire gli originali durante le rievocazioni storiche o in altre occasioni in cui si sarebbero potuti danneggiare.

Ogni Grande collare è quindi la testimonianza di una propria storia: i nomi dei possessori venivano annotati, l'uno dopo l'altro, in un cartiglio sul coperchio della scatola e al momento dell'investitura il nuovo cavaliere poteva scegliere tra quelli disponibili.
Giovedì 8 maggio 2014, ore 17.00:
Conferenza UN'INTERNAZIONALE SABAUDA: l'Ordine supremo della Santissima Annunziata
A cura di Gustavo Mola di Nomaglio
Ingresso libero fino a esaurimento posti.
ORARI
Da martedì a venerdì 10.00 - 13.00; 14.00 - 18.00
Sabato e domenica 10.00 - 13.00; 14.00 - 19.00
Lunedì chiuso.
COSTO: l'ingresso all'esposizione è gratuito per i visitatori del Museo di arti decorative e per quelli della mostra L'ORIENTE DI ALBERTO PASINI.
Informazioni per il pubblico: 011 837 688 int. 3

http://www.torinotoday.it/eventi/mostre/cugini-del-re-storia-8-aprile-29-giugno-2014.html

domenica 6 aprile 2014

A Piacenza la Regina d'Olanda, misure di sicurezza intorno al Duomo

Piacenza - Oggi, sabato 5 aprile, Piacenza sarà teatro di una visita d’eccezione. La nostra città,  infatti, ospiterà la regina Beatrice dei Paesi Bassi. Beatrice parteciperà al battesimo della figlia del Duca di Parma e Piacenza, cerimonia che sarà celebrata in Cattedrale. La presenza della regina d’Olanda prevede imponenti misure di sicurezza. Fino alle 17 resteranno chiusi il passaggio da piazza Duomo a via Vescovado e il cancello del cortile della vicina curia. Interdetto anche il cortile che ospita l’ingresso del Duomo sul cortile di Pio IX.
[...]

sabato 5 aprile 2014

La mostra Prigionieri dimenticati a Iseo (BS), 4-6 aprile 2014


da venerdì 4 aprile a domenica 6 aprile 2014


Iseo (Brescia), Castello Oldofredi (viale Rampa Cappuccini 3)
Mostra    Prigionieri Dimenticati Italiani nei lager della grande guerraa cura di Rolando Anni, Mirco Carrattieri, James Garimberti e Carlo Perucchetti
Filo spinato Grande GuerraIngresso libero
Visite guidate
Prenotazioni per gruppi e scolareschePer informazioni:
- Biblioteca Comunale di Iseo, tel. 030 980035, biblioteca@comune.iseo.bs.it
- Carlo Perucchetti, tel. 0522 672272, carlo.perucchetti@tin.it

http://musicaegrandeguerra.wordpress.com/2014/04/01/la-mostra-prigionieri-dimenticati-a-iseo-bs-4-6-aprile-2014/

giovedì 3 aprile 2014

Maria Cristina Albertina di Sassonia Curlandia a Racconigi

La Madre di Re Carlo Alberto 

Reale Castello di Racconigi, Via Morosini 3, 
12035 Racconigi CN
tel. Castello 0172-84005 - tel. Direzione-0115220418
email: sbap-to.racconigi@beniculturali.it

I Savoia al Museo di Arte Antica di Lisbona

Un connubio artistico italo-portoghese totalmente nuovo e sui generis, quello che verrà a breve inaugurato a Lisbona.


Nella giornata di martedì 1 aprile il Museo Nazionale di Arte Antica ha annunciato il rinnovamento della collaborazione con l’azienda “Everything is New” e con cui presenterà, nel prossimo mese di marzo, una nuova esposizione chiamata “Os Saboias”, i Savoia.
Questa nuova esposizione sull’arte italiana del XVIII secolo aprirà le porte agli spettatori il 17 maggio, e sarà mirata soprattutto alla presentazione di opere – pitture, sculture, mobilia, suppellettili – provenienti da veri musei e residenze reali italiane, in particolar modo del territorio piemontese, essendo la mostra concentrata sul panorama savoiardo (sabaudo? n.d.staff.
[...]

IMMAGINI DI CASA SAVOIA - VERSO LA GRANDE GUERRA


(Venaria Reale, 02 Apr 14)

PRESSO SALA DEGLI SCUDIERI DEL CASTELLO DE LA MANDRIA

SABATO 12 APRILE 2014 ORE 15,30

inaugurazione dell'esposizione

"IMMAGINI DI CASA SAVOIA - VERSO LA GRANDE GUERRA"

immagini d'epoca legate a Casa Savoia nel periodo compreso tra fine Ottocento e Grande Guerra, allestite nella Galleria delle Carrozze in collaborazione con il gruppo "Amici del Passato" di Volpiano (To)
L'esposizione è visibile fino all'11 maggio nei consueti orari di apertura degli Appartamenti Reali del Castello de La Mandria, con ingresso gratuito: dal martedì alla domenica dalle ore 10,30 alle ore 17,30.

SABATO 12 APRILE alle ore 16,00
presentazione dei volumi "Ritratti sabaudi e virtù di Casa Savoia" e "Amori e selvaggina vita privata di Vittorio Emanuele II" (Edizioni Ananke - Torino) dello scrittore grugliaschese Dino Ramella  con la partecipazione del gruppo storico "Principi dal Pozzo della Cisterna" di Reano (To)

ingresso libero e gratuito 


SABATO 10 MAGGIO 2014 alle ore 15,30

presentazione del volume "Convivio da Re La cucina dei rimasugli " (Edizioni del Graffio)  della scrittrice collegnese Marisa Torello.

Ingresso Libero e Gratuito




Per Informazioni:

Punto Informativo Ponte Verde
Viale Carlo Emanuele II 256
10078 Venaria Reale (To)
tel. 011.4993381
risposta telefonica ore : 11.00-13.00/14.00-16.00 

mercoledì 2 aprile 2014

Il Regno d'Italia da Brindisi a Salerno: 8 Settembre 1943 - 4 Giugno 1944

Il Principe Umberto a Roma, il 5 Giugno del 44, con il Generale Infante
L ‘ ultimo  Governo  del  Re 

Badoglio  a  questo  punto  presentò  al  Re, logicamente  le  sue  dimissioni, avendo  dal  Re  il  reincarico  per  la  formazione  del  nuovo  governo, che  veniva  formato  il  22  aprile  successivo, dopo  che  erano  state  vinte  le  ultime  resistenze  del  solito  Partito  d ‘ Azione, i  cui  rappresentanti  entrarono  nel  governo, della  cui  composizione  facevano  parte  come  “Ministri  senza  portafoglio”, Croce, Sforza, Rodinò,Togliatti  e  Mancini.  Il  successivo  24  aprile, il  nuovo  Governo  veniva  presentato  al  Re, e, per  la  prima  volta, dalla  nascita  del  Regno, i  Ministri  non  giurarono  nelle  mani  del  Sovrano  ed  il  Maresciallo  Badoglio  fece  questa  presentazione:
“Maestà,  ho  l’onore  di  presentarLe  le  loro  Eccellenze  i  Ministri  componenti  il  nuovo  Governo. Essi, ad  eccezione  dei  Ministri  militari  e  di  quello  tecnico (Quinto  Quintieri  alle  Finanze), provengono  dai  sei  partiti  rappresentati  nel  Comitato  di  Liberazione. Ognuno  di  essi  ha  le  sue  opinioni  politiche  alle  quali  non  rinuncia, ma  sulle  quali  fa  prevalere  oggi  la  necessità  della  concordia  per  l’ interesse  supremo  del  Paese.”
Il  Re  così  rispose: “Signor  Presidente  del  Consiglio, sono  particolarmente  lieto  di  sentire  che  le  eminenti  personalità  che  oggi  entrano  a  far  parte  del  Governo, e  che  rappresentano  le  diverse   tendenze  politiche  della  Nazione, a  tutto  antepongono  il  supremo  interesse  del  Paese. Lei , caro  Maresciallo  ed  io, ascriviamo  a  nostro  onore  di  avere  sempre  posto  l’ Italia  in  cima  ad  ogni nostro  pensiero.”
Seguì  il  primo  Consiglio  dei  Ministri  ed  un  altro  il  successivo  27  aprile, dove  fu  approvata  una  lunga  dichiarazione  programmatica  nella  quale  si  precisava    che  permanendo  lo  stato  di  guerra , non  doveva  essere  discusso  né  la  questione  istituzionale , la  cosiddetta  “tregua“   che   i  partiti  repubblicaneggianti   si  guardarono  bene  dal  rispettare, né  l’assetto  dell’ ordinamento  statale, politico, amministrativo  ed  economico, ed  invece  doveva  essere  accresciuto  il  contributo  degli  uomini  combattenti, ripresa   un’attività  industriale, favorita  la  produzione  agricola, agevolati  gli  scambi  commerciali  e  combattuta  la  speculazione “….chiamando  a  raccolta  le  energie  di  tutto  il  popolo, senza  distinzione  di  classe  e  di  partito, perché  l’ Italia  possa  risorgere  a  nuova  vita.”
Per  il  Degli  Espinosa  con  questo  governo  finiva  quello  che  lui  stesso  aveva  definito  “il  Regno  del  Sud”  ed  iniziava  il  governo  dell’ esarchia  che  avrebbe  condotto  alla  repubblica. In  realtà  per  40  giorni  fu  invece  in  atto  una  formula  governativa, la  cui  esperienza  avrebbe  potuto  essere  ancora  più  interessante, se  il  4  giugno  non  fosse  intervenuta  la  liberazione  di  Roma, con  l’ entrata  in  vigore  della  Luogotenenza. Il Re, infatti  in  quei  quaranta  giorni, non  interruppe  da   “ Re  Soldato”, quale  era  sempre  stato, le  sue  visite  nella  zona  del  fronte, ancora  il  18  e  23  maggio, nella  zona  di  Cassino, ed  addirittura  il  primo  giugno  a  Terracina.
Firmato  il  5  giugno  a  Ravello, l’atto  di  trasmissione  di  ogni  suo  potere   al  Principe  Umberto, Vittorio  Emanuele  III, si  ritirava  a  vita  privata, dismettendo  la  divisa  militare  ed  indossando  abiti  civili. Badoglio, secondo  le  consuetudini  costituzionali, presentava  al  Luogotenente, le  dimissioni  del  governo, ottenendo  il  reincarico. A  Roma, però  l’ 8  giugno, al  Grand  Hotel, i  rappresentanti  romani  del  CLN   comunicavano  senza  possibilità  di  modifica, la  loro volontà  che  il  nuovo  governo  fosse  presieduto  da  Ivanoe  Bonomi, che  era  stato  già a  suo  tempo ,nel  1921, Presidente  del  Consiglio, per  cui  Badoglio, correttamente  ritornò  dal  Principe  Umberto, riferendogli  quanto  sopra, e  di  convocare  a  questo  punto  il  Bonomi, perché  formasse  il  nuovo  Governo, che  sarebbe  entrato  in funzione, ancora   nella  “capitale “  Salerno, il  22  giugno, prima  di  ritrasferirsi  a  Roma  nel  mese  di  luglio, per  cui  i  vecchi  ministri  di  Badoglio  rimasero  al  loro  posto  fino  a  tale  data.
In  occasione  dell’incontro  di  Roma, Badoglio, accommiatandosi, volle  però  precisare  un  fatto  storico  incontrovertibile  e  cioè  di  avere  consegnato  a  Bonomi  una  Italia  ormai  in  piedi, concludendo: “Mi   sia  concessa  una  dichiarazione. Voi  siete  riuniti  intorno  a  questo  tavolo  in  Roma  liberata, non  perché  voi  che  eravate  nascosti  e chiusi  in  conventi, abbiate  potuto  fare  qualcosa: chi  ha  lavorato  finora, assumendo  le  più  gravi  responsabilità, è  quel  militare  che, come  ha detto  Ruini, non  appartiene  ad  alcun  partito.”
Così, quasi  contemporaneamente, uscivano  di  scena  Vittorio  Emanuele III  ed  il  Maresciallo  d’ Italia  Pietro  Badoglio  e  gli  “Alleati”, che  avevano  firmato  una  “cambiale“  a  favore  dell’ Italia  del  Re  e  del  Maresciallo, eliminati  gli  stessi, non  si  sentirono  più  obbligati  ad  “onorarla”, e  l’Italia  ne  pagò  l’amaro  scotto  con  il  trattato  di  pace  del  1947, contro  l’ accettazione  del  quale  parlò  con  nobilissimo, elevato  linguaggio  quel  Benedetto  Croce, tardivamente, forse, pentito  della  sua  azione  in  quei  nove  mesi  dall’ 8  settembre  1943  al  4  giugno  1944.


Domenico   Giglio


B I B L I O G R A F I A
  • Agostino  degli  Espinosa: “Il  Regno   del   Sud“    Editore  Migliaresi -  aprile  1946  Editori  Riuniti – 1973 /Rizzoli Editore-1995.
  • Pietro  Badoglio: L’ Italia  nella  seconda  guerra  mondiale“ Editore  Mondadori- 1946 
  • Mario  Roatta:  “Otto  milioni  di  baionette”      Editore  Mondadori – giugno  1946
  • Giuseppe  Castellano: “Come  firmai     l’armistizio”  Editore   Mondadori – ottobre  1945
  • Giuseppe  Castellano: “ La  guerra  continua”       Editore  Rizzoli – settembre  1963
  • Nino  Bolla:  “ Colloqui  con  Umberto II”      Editore  Fantera – aprile  1949
  • Vanna  Vailati: “L’ armistizio  ed  il  Regno  del  Sud”  Editore  Palazzi –novembre  1969
  • Massimo  Mazzetti: “Salerno  Capitale d’ Italia”      Editore  Beta Salerno –settembre  1971
  • Antonio  Ricchezza:“La   resistenza  dietro  le  quinte” Editore  De  Vecchi- febbraio 1967
  • Domenico  Bartoli:  “L’ Italia  si  arrende “  Editoriale  Nuova –settembre  1983
  • Roberto   Ciuni:  “L’ Italia  di  Badoglio”    Editore  Rizzoli – 1993 -  (vedi  nota  1)
  • Gianni  Oliva:   I  vinti  e  i  liberati “  Editore  Mondadori – 1994 (vedi  nota 1)
  • Giovanni  Artieri:  “Cronaca  del  Regno  d’ Italia” vol. II° - Editore  1978
  • AA: VV:  “Il  secondo  Risorgimento”      Edito  Centro  Studi  e  Ricerche  Storiche  Sulla  Guerra  di  Liberazione -1996
  • AA.  VV:  “La  riscossa  dell’  esercito”   Edito  Centro  Studi  e  Ricerche  Storiche        sulla  Guerra  di  liberazione – 1994

  • Nota  1)  Ciuni   ed  Oliva  sono  decisamente  schierati  contro  Re  e  Badoglio, ma i  loro  libri  sono  ricchissimi  di  fatti  e  nominativi risalenti  al  periodo  Settembre  1943 – Giugno  1944