NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 27 febbraio 2022

CAPITOLO XLVIII:Carnera e la malattia.

di Emilio Del Bel Belluz


Nella vita di Carnera arrivò la malattia. Da qualche settimana non si sentiva bene, appariva sempre più stanco e questo gli pesava. Il lavoro che doveva fare nella bottiglieria era diventato impegnativo, e aveva bisogno di energie che a lui mancavano.  Pina aveva capito che qualcosa non andava e con fatica lo aveva convinto a consultare un medico. Primo pensava ai tempi in cui fu ricoverato per essere sottoposto all’intervento di nefrectomia a Padova e di gastrectomia per un’ulcera, a Udine. Gli accertamenti eseguiti avevano diagnosticato il diabete e la cirrosi epatica che non lasciavano nessuna speranza. Quello che subito si notò era il grave deperimento fisico con la scomparsa dei suoi muscoli possenti Da quel giorno la vita cambiò di colpo, e Primo incominciò a riflettere sulla morte. Carnera non aveva ancora raggiunto i sessanta anni, e si considerava ancora giovane. La moglie, compresa la gravità della malattia, gli stava sempre più accanto con mille premure nei suoi confronti. Carnera aveva abbandonato il lavoro alla bottiglieria, in quanto impossibile da espletare date le sue condizioni fisiche. Il campione incominciò a pregare con più frequenza, trovandone sollievo.  I suoi figli soffrivano nel vedere il padre in quelle condizioni, erano stai abituati a paragonarlo ad una roccia a cui aggrapparsi nei momenti di difficoltà.  Lo vedevano ora a letto, debole come un pulcino, che faticava a parlare e la sua voce da tenore ora era diventata flebile.  Gli occhi di Carnera nella solitudine si erano spesso inumiditi di lacrime, lo impauriva non la morte, ma il dover lasciare la moglie e i figli che avevano bisogno del suo sostegno. Umberto si stava preparando per l’ultimo esame di Medicina e Giovanna Maria stava ultimando gli studi di Psicologia. Il sogno del padre, per cui aveva preso tanti pugni, si stava finalmente avverando: due figli che sarebbero diventati dottori. Il pensiero della morte era sempre più predominante.  Suo padre l’aveva rischiata in guerra, combattendo per lunghi anni, ma era tornato, ed era morto sul suo letto di casa. Carnera ricordava che, pure lui, aveva rischiato di morire quando i partigiani lo avevano portato in quel bosco. Primo disse a Pina che voleva tornare a Sequals per morirvi, perché nel paese dove uno è nato anche l’ultimo respiro poteva essere meno doloroso. Carnera prese una mano di Pina, voleva stingerla, ma non ne aveva la forza, e una lacrima le scese sul volto. La donna aveva capito tutto, e non si oppose alla sua richiesta. Primo voleva al più presto tornare nella sua casa di Sequals da dove era partito, e dove ora era giunto il tempo di tornarvi. Si sentiva come una vecchia nave che, dopo aver navigato per il mondo, voleva tornare in porto.  Pina non perse tempo, andò dal medico che lo seguiva e gli chiese se sarebbe stato in grado di affrontare il viaggio di ritorno. Il volto del medico si fece triste, e disse alla moglie che Carnera non aveva molti mesi da vivere; la malattia lo stava debilitando, e se voleva tornare in Italia lo doveva fare al più presto. Il viaggio sarebbe stato lungo, ma non si poteva in nessun modo spegnere il desiderio di un uomo che stava vedendo la fine avvicinarsi, e che sperava che, come diceva Primo, l’aria del suo paese lo avrebbe fatto stare meglio. La donna non era tipo da scoraggiarsi, e senza alcun indugio organizzò il viaggio, dall’America all’Italia. La prima cosa che fece fu quella di vendere il negozio che da qualche mese era stato chiuso. Lo acquistò un tifoso di Primo, che fece al campione una buona offerta, che avrebbe permesso di campare alla meglio e di far ultimare gli studi ai i figli. Carnera, sapendo che sarebbe tornato in patria, spesso ripeteva che si sentiva meglio, e che stava guarendo. Nel frattempo i giornali italiani e americani avevano scritto della malattia di Carnera e del fatto che il pugile voleva tornare in Italia, al più presto. Tanta gente venne a salutarlo e lo accompagnò all’aeroporto. Carnera disse addio all’America che lo aveva salvato dopo l’abbandono della boxe ed ora il suo cuore era emozionato perché avrebbe rivisto il suo paese. Gli dispiaceva di dover partire senza i suoi figli, perché erano in prossimità della laurea.  L’uomo più forte del mondo, ora, aveva bisogno d’essere sostenuto mentre saliva la scaletta dell’aereo.


martedì 22 febbraio 2022

Aggiornamento del sito dedicato a Re Umberto II


Sul sito dedicato al Re la terza ed ultima parte dell'opuscolo di Nino  Bolla in occasione della luogotenenza di Re Umberto II.


 https://www.reumberto.it/umberto-di-savoia-luogotenente-generale-iii-parte/

lunedì 21 febbraio 2022

Margherita di Savoia, la regina influencer


Chi era Margherita di Savoia, la prima first lady dell'Italia unita? Bella, intelligente, elegante, curò così bene la sua immagine da diventare un'influencer per le donne del suo tempo.


Storia in Podcast, la grande audioteca di Focus, si arricchisce di un nuovo canale. Protagonisti i Savoia, una delle più antiche dinastie reali europee che regnò sull'Italia dal 1861 al 1946. Le storie da raccontare sono tante: qui scegliamo quella di Margherita di Savoia che fu la prima first lady del Regno d'Italia, lanciò nuove mode come una influencer ante litteram e si guadagnò un posto d'onore nell'immaginario popolare, tanto che il suo nome è ancora oggi legato al piatto italiano più famoso al mondo: la pizza margherita.


Regina d'Italia al fianco di Umberto I dal 1878 al 1900, Margherita di Savoia divenne una delle icone più rappresentative e amate della monarchia sabauda. Le ragioni di tanto successo? Un'ineguagliabile "professionalità" nel gestire la propria immagine e un talento naturale nelle pubbliche relazioni. 

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https://www.focus.it/cultura/storia/margherita-savoia-regina-influencer

Musei Reali: inaugurata la nuova galleria con i tesori dei Savoia

 

L’allestimento trasporterà il pubblico lungo le meraviglie delle antiche civiltà mediterranee, concentrandosi particolarmente sulla collezione di reperti della famiglia Savoia.

La nuova galleria archeologica recentemente inaugurata nei Musei Reali torinesi offrirà un’ampia veduta su statue, busti, vasellame ed elementi funebri appartenenti alle popolazioni del Mediterraneo. Enrica Pagella, direttrice del plesso museale, chiarisce che, la galleria, avrà modo di restituire la vera identità dei Musei, attraverso le preziosità delle collezioni sabaude. Per i Musei Reali, si tratta di un primo passo verso l’omogeneizzazione dei racconti proposti dai vari allestimenti presenti in essi.

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https://www.torinofree.it/news/musei-reali-inaugurata-nuova-galleria-tesori-savoia.html

domenica 20 febbraio 2022

Capitolo XLVII:Carnera e la nuova vita


 di Emilio Del Bel Belluz



Carnera lasciò la lotta libera nel 1962.   Aprì un ristorante a Beverly Hills, che portava il suo nome, e nel quale vi andava a mangiare molta gente dello spettacolo, perché era vicino agli studi cinematografici. Il ristorante aveva le pareti tappezzate dalle foto di Carnera. Primo era ancora tanto famoso che gli veniva spesso richiesto di  raccontare le sue avventure pugilistiche e i momenti più importanti della sua vita. Questo  divenne un punto di ritrovo di un mondo particolare, di cui Carnera era felice di fare ancora parte. Carnera spesso veniva ancora chiamato a girare delle pellicole, con suo grande piacere.

Il buon Primo immaginava il momento in cui quei film venissero proiettati al grande pubblico, ed in particolare a quello italiano. Durante le riprese di alcuni film aveva conosciuto dei pugili che recitavano, e di cui era rimasto amico.  Il suo locale era frequentato da  un peso massimo che non aveva avuto fortuna con la boxe. Era diventato povero, e senza fissa dimora. Carnera, pertanto, lo aveva aiutato a trovare una stanza da una persona di fiducia, che gli permetteva di poter avere un tetto sopra la testa per dormire. Inoltre, Primo gli aveva garantito due pasti al giorno che consumava nelle cucine e gli offriva del denaro per dei piccoli lavoretti che faceva nel ristorante, facendolo sentire meno a disagio. Alla sera, spesso, Carnera si intratteneva con lui davanti a un buon bicchiere di vino. Quel pugile aveva subito un grosso trauma fisico durante un combattimento, impedendogli di continuare a lottare. La sua storia aveva commosso Carnera e per questo lo aveva aiutato a vivere dignitosamente. La donna che lo ospitava era molto umana e comprendeva appieno la sua sfortuna.   Carnera si occupò del pugile per tutta la vita. Nel mondo dello spettacolo il campione aveva come amico anche John Wayne, che frequentava anche fuori dal locale. 

Lo stare a contatto con il mondo dello spettacolo aveva permesso a Primo di ricostruirsi una nuova vita gratificante. 

Carnera, successivamente, dovette vendere il ristorante e con la moglie acquistò una bottiglieria di liquori, vini ed olio. Nel suo cuore aveva sempre l’Italia  e nel suo negozio vendeva solo prodotti italiani. In breve tempo si fece una  grande clientela. I suo figli continuavano a studiare con molto profitto. Umberto e Giovanna  Maria con il tempo frequentarono l’università, con grande soddisfazione del padre. Carnera non aveva avuto la possibilità di fare degli studi regolari, si era fermato alle elementari, sentendosi a disagio per tutta la vita. 

Con Pina aveva sempre sognato di dare un’ istruzione ai figli, con la speranza che potessero conseguire una laurea. Carnera, nonostante il lavoro impegnativo della bottiglieria, trovava il tempo per raggiungere i suoi compaesani. La sua terra era come se lo avesse  stregato, e come se ci fosse un cielo speciale che lo attendesse. Tutti lo accoglievano con grande calore e quando i giornali scrivevano che era tornato al paese, molta gente lo veniva a trovare, per farsi fare un autografo. La popolarità non era mai diminuita con il passare degli anni e ciò non poteva che allietare il pugile che si sentiva sempre sulla cresta dell’onda. Gli anni passavano velocemente, e vedeva la vecchiaia ancora molto lontana. Il lavoro alla bottiglieria lo impegnava molto, dalla mattina alla sera, era sempre lui ad aprire e chiudere i battenti.  I clienti erano per lo più italiani che vivevano in quei posti. La maggioranza dei quali si fermava da lui e comprava anche l’olio italiano che importava. Era visitato da molti attori che aveva conosciuto ai tempi del ristorante e con i quali aveva intrattenuto rapporti di cordialità. 

Con gli anni, però, la stanchezza si fece sentire e vista la chiusura del negozio a notte inoltrata, preferiva  rimanere a dormire nel locale. La moglie gli portava da mangiare e gli indumenti puliti. I figli continuavano a ripagarlo dei tanti sacrifici che faceva.  Una volta il suo Umberto gli disse che voleva intraprendere la carriera del pugile, aveva un fisico atletico e gli sarebbe piaciuto ripercorrere le orme del padre. Umberto in quel momento della sua vita, forse provato da qualche delusione, voleva imparare a boxare. Quella notizia non mise di buon umore il padre che la stessa sera gli manifestò la sua contrarietà. Nel mondo delle boxe bastava un Carnera, e gli disse che non c’era posto per lui.  

Umberto non voleva sentire ragioni, e continuava a ripetere che aveva parlato con un allenatore e questi gli aveva consigliato di provare, di allenarsi in palestra. Con il nome che portava avrebbe potuto essere conosciuto e in breve tempo si sarebbe fatto una carriera tra i pesi massimi. L’idea della boxe la conservava in cuore da anni, e per Umberto sembrava la più bella occasione della sua vita, che gli avrebbe fatto guadagnare molto. L’allenatore che gli aveva messo in testa quelle cose, magari, era convinto, che anche al padre non sarebbe dispiaciuta quella sua scelta. Carnera lo aveva ascoltato in silenzio, anche se dentro di sé aveva una grande voglia di dirgli quello che pensava, non si pronunciò. In casa ne aveva parlato con Pina, e questa gli aveva detto d’essere contraria alla sua scelta, della boxe non ne voleva più sentirne parlare. 

La moglie di Carnera non aveva mai assistito a nessun combattimento del marito, sia  da pugile che da lottatore. Alla donna spaventava il sangue che fuoriusciva dalle ferite e, allo stesso tempo, non aveva dimenticato quello che era accaduto a Ernie Shaaf e al giovane Bertola,  morti entrambi sul ring.  Per far sbollire le velleità del figlio, che continuava a insistere  con la boxe, ci pensò Primo. 

Una sera gli disse che gli avrebbe dato il permesso di diventare pugile, a condizione che facesse qualche ripresa con il padre: doveva sconfiggerlo. La sfida venne approvata  dal figlio, e quel combattimento si svolse nella palestra dove si allenava da tempo, ad insaputa del padre. Umberto decise di accettare questa sfida così provocatoria, ma giusta. Il suo allenatore gli aveva detto che il padre non avrebbe retto perché era troppo anziano. 

Venne la sera in cui padre e figlio si affrontarono, e  Carnera fece quello che non avrebbe mai voluto fare, mise al tappeto il figlio con un pugno potente. Quello fu il primo e l’ultimo incontro del figlio. Il ragazzo con l’occhio tumefatto, e medicato dalla madre, disse al padre che sarebbe diventato un buon medico, e riprese subito gli studi. 

In famiglia Carnera erano più che sufficienti i pugni presi dal padre per far studiare i figli.  La vita alla bottiglieria riprese a scorrere placida. Il figlio non accennò più di volere salire sul ring per eguagliare il padre. Umberto amava studiare, essendo figlio di una persona famosa, ci teneva a primeggiare. Il papà gli aveva sempre detto  che  una persona che era emigrata doveva dimostrare  una bravura superiore agli altri ed una grande umiltà.  

Quello alla fine era ciò che bisognava fare e Umberto ascoltava sempre i saggi consigli del padre. Una mattina, che Carnera non dimenticherà mai, fu quella in cui venne a trovarlo una persona che gli era cara. Primo e la moglie stavano aspettando i figli che tornassero dalla scuola, quando suonarono alla porta, e apparve Umberto II il Re d’Italia,  venuto a fargli visita. Carnera non trovò parole e chiamò subito la moglie e le annunciò il gradito ospite. Pina, alla quale non mancavano le parole, lo fece accomodare in salotto. Il Re chiese subito dove fossero i figli, ed Umberto in particolare. 

Primo spiegò che stavano a scuola, ma che sarebbero presto ritornati, e con molta timidezza, la moglie chiese al Re se voleva fermarsi a mangiare qualcosa con loro. Il sovrano sorrise e con felicità accettò quell’ invito a pranzo. Il Re raccontò che era venuto in America per alcuni giorni, e aveva sentito la voglia di venire a trovare una persona che aveva sempre ammirato e che aveva dato gloria all’Italia nel mondo. 

Carnera era poco loquace dall’emozione, gli sembrava di vivere un sogno.  Pina era intenta a preparare qualcosa di buono, ed il sovrano si mise a raccontare della sua vita. Nella casa di Cascais riceveva tanta gente che proveniva da più parti d’Italia. Tanti altri gli scrivevano.  Tutto quello lo aiutava a vincere la malinconia per essere così lontano dal suo Paese, in cui desiderava moltissimo ritornare. Carnera lo ascoltava e comprendeva cosa significasse stare lontani dall’Italia, ma lui poteva tornarci in ogni momento.  

Nella tristezza dell’esilio gli piaceva osservare le navi in lontananza ed immaginare che una di esse venisse a prenderlo. Quando si é lontani dalla terra dove si è nati, capita spesso di essere dimenticati. 

Il Re esprimeva così il suo tormento. Carnera condivideva  il grande dispiacere del sovrano. Primo raccontò  che durante i suoi molti incontri aveva sempre portato con sé la bandiera Sabauda,  che gli aveva regalato la sua maestra delle elementari.  

Primo volle mostrare al Re quella bandiera che lo aveva accompagnato in quegli anni, e disse che con quello stendardo si sentiva italiano in ogni posto del mondo si trovasse. 

Il Re prese quella bandiera e volle ringraziare Carnera di quel gesto. Il campione disse che l’aveva baciata davanti al pubblico, dopo la vittoria mondiale. Quella sera erano tante le bandiere del Regno d'Italia che sventolavano in segno di gloria, e tanti italiani che erano emigrati in America ne erano orgogliosi. Mentre parlavano arrivarono urlando i figli di Carnera, non immaginando che ci fosse un ospite in casa. 

Umberto vide, subito dopo, il Re d’Italia, di cui aveva parlato molto ai suoi amici e dicendo loro che era un amico del padre. Umberto si avvicinò al sovrano e gli pose la mano. 

Il Re disse che era cresciuto, e sicuramente a scuola andava bene in italiano. Il ragazzo sorrise, mentre dietro di lui si era nascosta Giovanna Maria che, essendo più timida, non aveva il coraggio di farsi vedere. Quel giorno a casa Carnera si celebrò un avvenimento molto importante che non si sarebbe scordato facilmente. Pina tra l’altro aveva preparato un pranzo da Re, e il buon amico fece onore alla tavola. Il vino rigorosamente italiano venne degustato dal sovrano, si trattava di un vino friulano che Carnera si faceva mandare da Sequals. 

Il Re felice di quella buona accoglienza si sentì come se fosse stato nella sua dimora in Italia. Carnera, salutandolo, lo abbracciò come se fosse un vecchio amico di famiglia. Quella sera Primo raccontò ancora una volta ai suoi figli del suo primo incontro con il sovrano.  Carnera era convinto che Umberto II sarebbe stato di sicuro un buon Re , se avesse potuto governare. Quella sera, davanti al fuoco acceso, Carnera sentì  che la sua bandiera sabauda era diventata ancora più preziosa dopo  che era stata toccata dal Re.

giovedì 17 febbraio 2022

La Monarchia dal 22 a domani - IV parte



Ma purtroppo quella che non doveva essere che un'affermazione di principio, d'altronde più formale che altro, sia nei riguardi del Re, sia di Mussolini, diventò un'arma terribile nelle mani di quest'ultimo al momento decisivo. Dal fatto che egli - aveva avuto affidato il Comando delle truppe sulle fronti, è logico dedurre che chi diede l'ordine di attaccare la Francia sia stato Mussolini.

Lo seppe preventivamente il Re e vi diede il suo assenso? Finora, che io sappia, nessuna precisazione venne fuori: da persone che erano al caso di vedere il Re in quei giorni sarebbe risultato «che Sua Maestà era nerissimo»; e che - un giorno-, fu sentito esclamare: «Sono stato mistificato!». Indubbiamente indizi molto limitati per negare che il Re ne fosse al corrente; ma se si ha mente che Mussolini aveva il comando effettivo delle truppe operanti sulle fronti, anche la riportata «mistificazione» dovrebbe pur valere per dar corso all'ipotesi che egli fosse ben lontano dall'essere al corrente dell'ordine dato da Mussolini.

Con questa interpretazione parrebbe collimare con quanto Grandi ha scritto nel suo memoriale: «Il Maresciallo Badoglio il quale aveva ricevuto l'ordine di attaccare la Francia, disse immediatamente: quell’ uomo è pazzo; non ha un piano di guerra e non ne ha mai chiesto uno, benché io gli avessi detto che  il nostro schieramento sulla frontiera francese fosse difensivo; non ha voluto ascoltarmi; ha gridato: Ma non lo capisce che mi occorrono immediatamente poche migliaia di morti, altrimenti Hitler non mi lascerà sedere alla Conferenza della pace?».


Senza, soffermarci sulla cinica apostrofa di Mus­solini, rilevo, per il nostro asserto, che l'ordine di attaccare la Francia dato a Badoglio, è confermato da quanto scrive Ciano il 20 giugno nel suo Memoriale: «Mussolini ieri ha deciso di attaccare i francesi sulle Alpi; Badoglio si è recisamente opposto; ma egli, ha insistito...». Può pertanto dirsi del tutto azzardato l'argomentare che il Re fosse affatto allo scuro dell'ordine dato da Mussolini quale comandante delle truppe di passare il confine, e perciò rassegnato alla dichiarazione di guerra si affermasse mistificato per l'attacco effettivo?

Ho creduto non inutile esporre, queste precisazioni per lumeggiare, come meglio lo consentono i pochi documenti a disposizione, il pensiero e l'azione del Re nei riguardi della guerra, ma un sol documento sarebbe più che sufficiente: la lettera che Ciano scrisse al Sovrano dal carcere di Verona il 20 di­cembre 1943, cioè pochi giorni prima di essere fuci­lato e consegnata al Re dal Conte Magistrati. Di essa, scrive il Malacoda, sono state pubblicate due versioni, del resto praticamente identiche; i brani qui riportati sono quelli pubblicati da P. «Monelli in Roma 1943». Scrive Ciano: «V. M. conosce da tempo le mie idee e la mia fede, così come posso testimoniare davanti a Dio e agli uomini. l'eroica lotta da Lei sostenuta per impedire quell'errore e quel crimine che è stata la nostra guerra a fianco dei tedeschi; né sulla Monarchia,  né sul popolo né sullo stesso Governo può andare la minima colpa del dolore che attenaglia oggi la Patria. Un uomo, un uomo solo, Mussolini, per torbide ambizioni personali, per sete di gloria militare, usando le sue autentiche parole, hanno premeditatamente condotto il Paese nel baratro. Maestà lo mi preparo al. Giudizio supremo con lo spirito sereno e la coscienza pura... e non si mentisce, quando si sta per entrare nel­l'ombra.». Si può essere più chiari di così?

Disgraziatamente le previsioni circa la prossima fine della guerra fallirono: la Germania, forse S­ventando fin d'allora di essere assalita alle spalle dalla Russia o per effettive difficoltà tecniche, o per altre ragioni come anche si prospetta, non effettuò lo sbarco in Inghilterra facendo invece sugli altri fronti ogni suo sforzo; e per due anni la vittoria fu sua anche contro i nuovi nemici. Ma il tempo lavorava contro di lei: la Russia sotto il ferreo giogo di Stalin mise a profitto le infinite sue possibilità di uomini e materiali, l'Inghilterra moltiplicò i suoi armamenti fornendone anche alla Russia, ed avvi­luppò la nemica in una cintura di navi, che le resero ben presto difficilissima ogni comunicazione a mezzo dei mari, tanto che, con l'entrata in guerra anche dell'America, la sconfitta della Germania fin dal maggio 1943 si profilò nettamente, andando poi sempre peggiorando la sua condizione bellica.

E l'Italia che Mussolini aveva fatto entrare in guerra solo «per avere il migliaio di morti» che gli permettesse di sedere al tavolo della pace vittoriosa, si trovò invece impegnata in una guerra per la quale non era assolutamente preparata, mancando di armi, attrezzature industriali e di qualsiasi piano militare con capi che i più avevano basi nel fascismo e per il fascismo!

Non è compito di questa esposizione seguire le varie fasi della guerra, del resto purtroppo note a tutti: dopo i brillanti successi della C.S.I.R. in Russia, vi fu la disastrosa ritirata dell'Armir, sacrificata dai tedeschi per effettuare il loro sganciamento dai Russi; vi fu la disgraziata campagna d'Etiopia e quella non meno disastrosa della Libia.

P. Monelli dice che «Da qualche tempo lo Stato Maggiore e il Ministro degli Esteri stavano addosso a Mussolini perché studiasse il modo d'uscire dal conflitto» (1); e il Gen. Castellano nel suo «Come firmai l'armistizio di Cassibile» ne precisa i termini sia nei riguardi di Badoglio sia del Gen. Ambrosio, dal 1° febbraio 1943 Capo di Stato Maggiore Generale. Questi, «oltre che rappresentare a Mussolini la grave situazione militare, non mancò di prospettarla anche al Re a voce e con memoriali» (2), richiedendo essenzialmente di «persuadere la parte germanica ad un maggior interesse per il problema mediterraneo ottenendo gli aiuti indispensabili per continuare la lotta nonché a riportare in Patria parecchie divisionidistaccate oltre confine» (3). Aggiunge ancora che «Ambrosio ebbe contatto con numerose personalità del mondo politico, industriale, economico e che egli stesso - si interessò di sapere cosa pensassero tali uomini politici avversi al regime» (4). Ebbe colloqui col Ministro della Real Casa Duca Acquarone, senza però aver potuto coordinare l'opera dello Stato Maggiore con quella del Sovrano «dato il suo atteggiamento più che di riserbo, diffidenza sì che il SUO atteggiamento sibillino   non agevolò per nulla la soluzione degli avvenimenti che avrebbero avuto altro corso se lo Stato Maggiore fosse stato orientato a tempo col pensiero e sulle decisioni del Re» (5). Con visione più larga, e perciò più aderente alla complessa verità; scrive P. Silva: «Nei pochi mesi tra il gennaio e luglio 1943 si venne precisando il proposito italiano di uscire dalla guerra; questo proposito maturò anzitutto nel Re, dal Re passò all'Alto Comando e più precisamente ad Ambrosio... Tra il Re e lo Stato Maggiore, tra il Re ed alcuni esponenti dell'antifascismo e negli ul­timi tempi tra il Re ed i fascisti dissidenti fu sem­pre tramite intelligente attivo e discreto il Ministro della Real Casa Duca Acquarone, il quale coltivò e rafforzò la decisione che già era nel pensiero del Re    di liquidare Mussolini e il Fascismo... l’antifascismo fu quasi assente...» (6). Nell’iniziativa monarchica si raccoglievano anzi tutte le speranze del popolo italiano.

Intanto gli avvenimenti militari peggioravano rioccupata la Tunisia, gli alleati minacciavano il territorio nazionale donde la necessità di accelerare i tempi. Ambrosio insisté presso Mussolini perché avesse a sganciare l'Italia dalla Germania rimettendogli nu­merosi pro memoria redatti in termini inequivocabili, le cui copie venivano da Ambrosio comunicate anche al Re. facendo presente essere chiaro che «l’alleato non voleva impegnarsi a fondo per difendere l'Italia, ma non voleva nemmeno abbandonarla di colpo per ritardare così più, a lungo possibile l'attacco contro il proprio suolo metropolitano» (7). Ai primi di luglio, quando lo sbarco in Italia era imminente, Ambrosio insisté più energicamente con Mussolini e Castellano ripeté i suoi colloqui con Acquarone, «il quale finalmente si lasciò sfuggire qualche mezza parola» (8)

Fu allora preparato - il progetto completo di cattura di Mussolini e dei suoi seguaci, che vien comunicato ad Acquarone il quale risponde che «al momento opportuno sarebbe stato dato l'ordine esecutivo» (9), facendo comprendere che la decisione del Re non sarebbe tardata molto (10).

Il 19 avviene l'incontro di Feltre; il Comando tedesco aveva improvvisamente deciso il Convegno; Ambrosio vi interviene fiducioso che finalmente Mussolini avrebbe sganciato l'Italia dalla Germania; ma purtroppo quel Convegno fu talmente vergognoso da parte di Mussolini che anziché ottenere lo sganciamento, l'Italia fu avvilita nel peggior modo senza che egli aprisse bocca. Il Convegno è minutamente descritto nel libro di Fulvia Ripa di Meana: «Roma clandestina», la quale ne aveva avuto relazione dall'eroico Colonnello Montezemolo      Medaglia d'Oro, assassinato poi a Roma alle Fosse Ardeatine – il quale vi era presente. Disse tra l'altro Hitler: «L'Italia non ha voglia di combattere.. l'Italia non sa fare la guerra.. il Popolo d'Italia non collabora sufficientemente con quello germanico non ristancandosi di imprecare contro il nostro Paese, demolendone i sacrifici immensi; Mussolini non rispose verbo» (11). Dice Grandi nel suo Memoriale «Hitler non Parlava l'italiano e Mussolini capiva il tedesco molto meno di quanto non volesse lasciar credere il risultato tragico fu un nuovo monologo di Hitler che    l'altro faceva finta di seguire con intelligente interesse». Fosse questa o altra la ragione sta, che non aprì bocca tanto che Ambrosio, cogli altri che componevano il seguito, finito il convegno del mat­tino, avevano implorato che nel pomeriggio egli chie­desse alla Germania tutti gli aiuti indispensabili per continuare a combattere ancora o «riconoscesse all'Italia il diritto di uscire dal conflitto..; ditegli che l'Italia è entrata in guerra per vostro ordine e che avete il  dovere di fronte al Paese di chie­dere che la Germania dia tutti gli aiuti indispensa­bili per combattere ancora, oppure riconoscergli il dritto di uscire dal conflitto. Mussolini ascolta e tace assorto: ma «in fondo, in fondo, esclama dopo un certo momento, in questo modo ne andrebbe di mezzo la mia pellaccia! Di fronte all'interesse del Paese e la pelle ha nessuna importanza, replica fred­do e severo Ambrosio, mentre un senso di nausea invade i presenti..» (12) Senonché nel pomeriggio egli i sentì male - secondo riporta Spectator in «Mondo latino» - e quando rimessosi chiede di vedere il Fuhrer, «lo agghiaccia la più inattesa delle risposte: Hitler non e, più a Feltre; è ripartito bruscamente per la Germania senza prendere congedo, senza nemmeno uva parola di saluto: ormai ha gettato nella spazzatura il limone spremuto».

 

 

(1) P. Monelli: op. cit.

(2) Generale Giuseppe Castellano: Come firmai l'Armistizio di Cassibile pag. 33

(3,4) Giuseppe Castellano: op. cit. pagg. 35 38 43 48 51 52.

(5) Giuseppe Castellano op. cit. pag. 35

(6) P Silva op. cit. pag. 149

(7) (8) (9) (10) G. Castellano: op. cit. pag. 38, 43, 51, 52.

(11) (12) F. Ripa di Meana: Roma Clandestina pagg. 44, 45 44