NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 30 novembre 2011

Napoli, i monarchici ricordano la Regina della Carità

9/11/2011, ore 16:10 - 

Ieri in tutta Italia ed all'estero è stato ricordato l'anniversario del richiamo a Dio in esilio di Elena del Montenegro, Principessa di Napoli e seconda Regina d'Italia. A Napoli, una S. Messa di suffragio è stata presieduta nella Reale e Pontificia Basilica di S. Francesco da Paola dal Rettore, Padre Damiano La Rosa, che ha voluta ricordarLa, durante l'omelia come donna umile, pronta ad aiutare quanti erano in difficoltà, con sollecitune cristiana aprì, infatti, le porte del Quirinale per i soldati feriti, aiutò i terremotati e quale esempio di sposa fedele seguì il marito in esilio nel 1946. Dopo la S.Messa è stato consegnato il quadro commemorativo, al Rev. Parroco, creato nell'ambito delle celebrazioni dei 150 anni della proclamazione del Regno d'Italia. 
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lunedì 28 novembre 2011

Celebrazione del 150° Anniversario dell’unità d’Italia,1861-2011

L’eclatante evento Celebrato a Boston  nello Stato del Massachusetts, oltre ad altre attivita’ culturali, alla Galileo Legacy Foundation, la promozione e l’organizzazione della lunga serie di Conferenze “L’Italia dal Risorgimento e la nascita della Nazione”.

Infatti, il ciclo di Conferenze, volge al termine con l’ultima  e X Conferenza programmata per il giorno 28 novembre del corrente anno alle ore 7:30 p.m., presso la Biblioteca Pubblica, località di Burlington, Massachusetts. Allo stesso tempo, e’ doveroso motivare le ragioni che ha spinto la Galileo Legacy Foundation, che e‘un’ente privato “not profit organization”che opera negli Stati Uniti su basi strettamente legate alla cultura ed alla scienza con un’identita’ dalle connotazioni italiane, italo-americane ed americane e soprattutto mirata al volontariato, ma allo stesso tempo assume una sua internazionalità con un ruolo previlegiato come ponte di unione nell’ interesse dell’Italia e degli Stati Uniti.

L’eclatante evento del 150° dell’unita’ d’Italia, la Galileo legacy Foundation, ha ritenuto logico ed opportuno coinvolgersi nella celebrazione di tale evento storico geopolitico dell’ Italia con l’iniziativa di una particolare attività culturale che illustrasse a coloro che sono interessati alla Storia come e perché dopo molti secoli, nacque il 17 Marzo 1861, uno Stato Unitario. Con un suo territorio naturale nel bel mezzo del Mare Mediterraneo, che i romani lo chiamarono imperativamente “Mare Nostrum”.

La nascita della Nazione Italiana e’ attribuibile con la dovuta riconoscenza all’allora Regno di Sardegna, che prima d’intraprendere l’avventura difficile e pericolosa, tale Regno si conquisto’ il ruolo di una grande nazione per avere partecipato alla Guerra di Crimea merito attribuibile al Conte Benso di Cavour che ne interpreto’ con abilita’ il ruolo politico, diplomatico e quando fu necessario anche l’Esercito Piemontese con l’onore delle armi.
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giovedì 24 novembre 2011

La Regina Elena sul sito dedicato a Re Umberto II

Una nuovo "colloquio" con il Re in esilio di Camilla Cederna pubblicato pochi giorni prima della morte della Regina Elena a Montpellier. 


Sul sito dedicato a Re Umberto II nel 59° anniversario della scomparsa della Regina. 


http://www.reumberto.it/cederna52.htm

martedì 22 novembre 2011

Riapre la Palazzina di Caccia di Stupinigi

Era chiusa dal 2006, anno in cui sono ripresi in maniera più massiccia – consolidamento della staticità, rinnovamento dell’impiantistica – i lavori di restauro progettati e diretti, su coordinamento di Mario Verdun, da Roberto Gabetti (fino al 2000), Aimaro Isola (Isolarchitetti), Studio Momo, in collaborazione le soprintendenze competenti. La Palazzina di Caccia di Stupinigi ha finalmente riaperto i battenti, perlomeno il primo lotto di questa settecentesca residenza dei Savoia dedicata a partire dagli Anni Venti del Novecento al Museo dell’Ammobiliamento. Iniziati nel 1986, i restauri hanno ora portato alla luce l’ala di Levante, dalla scuderia juvarriana al Salone Centrale, fino all’Appartamento del Duca di Chiablese, completamente riarredato dopo il ritrovamento e il restauro, da parte della Compagnia di San Paolo, dei mobili rubati nel 2004.

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IN MOSTRA "IL QUIRINALE. DALL'UNITA' D'ITALIA AI NOSTRI GIORNI"

(AGI) - Roma -  Al Quirinale dal 30 novembre la mostra "Il Quirinale. Dall'Unita' d'Italia ai nostri giorni". 

Il 150° anniversario dell'Unificazione nazionale ha rappresentato l'occasione per un approfondimento storiografico e una riflessione sulle vicende storico-politiche e istituzionali che hanno segnato l'evoluzione dello Stato italiano. 


Il Palazzo del Quirinale costituisce l'espressione simbolica di un percorso complesso, che ha posto l'Unita' nazionale di fronte a prove durissime e a momenti di grave crisi, ma anche a significativi momenti di consolidamento dello Stato: edificato dai papi nel 1583, e' diventato nel 1870 residenza dei sovrani d'Italia e dal 1 gennaio 1948 e' sede della Presidenza della Repubblica. 


Il filo conduttore della mostra e' costituito dalla funzione di rappresentanza dell'Unita' nazionale che lo Statuto Albertino prima e soprattutto la Costituzione poi hanno conferito al Capo dello Stato, e dal modo in cui tale funzione e' stata interpretata e attuata dalle diverse personalita' che hanno ricoperto la piu' alta carica istituzionale della nazione. 

La mostra intende, da una parte, illustrare il patrimonio artistico, la politica di costante acquisizione di opere d'arte da parte dei sovrani di casa Savoia, e il successivo impegno dei Presidenti della Repubblica volto allo studio, al restauro, alla scoperta, alla gestione degli edifici, dei giardini e dei tesori d'arte custoditi nel Palazzo. 

Dall'altra, sotto il profilo storico-istituzionale, la riflessione parte dal ruolo svolto dai Savoia (e dalle consorti dei sovrani, in particolare dalla regina Margherita alla quale e' dedicata un'apposita sezione relativa alla sua Biblioteca conservata presso il Quirinale) per poi approfondire l'attività dei Presidenti della Repubblica.
Verranno, dunque, presentati materiali e opere del Quirinale - quadri, libri e oggetti d'arte -, documenti di archivio e quotidiani, con largo uso di fotografie, registrazioni sonore e riprese cinematografiche e televisive.
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http://www.agi.it/-appunti-darte/xx-mese-200x/notizie/titolo-dellarticolo205

IL REGNO DI SPAGNA FRA TRADIZIONE E PROGRESSO



Don Juan Carlos Víctor Maria de Borbón y Borbón nacque in Roma – ove la famiglia reale si trovava in esilio (in una casa sul Viale dei Parioli nei pressi di Piazza Santiago del Cile) – il 5 gennaio 1938 nella clinica Anglo-Americana (via Nomentana) e fu battezzato (26 gennaio) nella Cappella Magistrale del Sovrano Militare Ordine di Malta dall’allora Segretario di Stato Vaticano, cardinale Eugenio Pacelli (1876-1958) – il futuro Pio XII, ultimo Papa di una certa tradizione cattolica italiana.
Don Juan Carlos ebbe rispettivamente quali suoi padrino e madrina, lo zio Don Alfonso di Borbone (1901-1964), fratello della madre, e l’ava paterna Vittoria Eugenia di Battenberg (1887-1969), nipote della Regina Vittoria d’Inghilterra (1819-1901), consorte del Re Alfonso XIII (1886-1941). Erano altresì presenti la regina d’Italia, Elena di Savoia (1873-1952) ed il Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, Frà Ludovico Chigi Albani della Rovere (1866-1951).
Don Juan Carlos era figlio di Don Juan di Borbone (1913-1993), Conte di Barcellona, sesto figlio del Re Alfonso XIII e della già ricordata  Vittoria Eugenia di Battenberg, e di Maria de las Mercedes di Borbone delle Due Sicilie (1910-2000), figlia di Carlo, Infante di Spagna (1870-1949), e di Luisa d’Orlèans (1882-1958).
Gli inizi della vita di Juan Carlos si hanno a Roma fino a quando (1942), causa la II Guerra Mondiale, la famiglia reale si trasferisce nella villa svizzera “Les Rocailles” di Losanna sul lago Lemano.
Quindi i primi studi del futuro Re di Spagna furono al collegio “de Rolle”, e, più tardi, al “Villa San Giovanni” di Friburgo dei padri maristi, e precisamente la Congregazione Religiosa il cui nome ufficiale è “Società di Maria”, fondata a Lione nel 1822 dal venerabile Giovanni Claudio Colin (1790-1875) ed approvata dal papa Gregorio XVI [Bartolomeo Alberto Cappellari (nato nel 1765), 1831-1846].
Terminata la guerra, la famiglia reale si trasferì in Portogallo, ad Estoril, e il principe Juan Carlos proseguì i di lui studi preparatori sempre sotto la guida dei padri maristi.
Fu per il particolare interessamento del generalissimo Francisco Franco y Bahamonde (1892-1975) e quindi per non “perder ed contacto con la realidad” [“perdere il contatto con la realtà” (spagnola)], come amava ripetere il padre del futuro Re, che il principe Juan Carlos si trasferì (1948) in Spagna.
Il Principe sostenne l’esame ed entrò nell’istituto di San Isidoro per poi (1952) trasferirsi definitivamente a Madrid.
Terminati gli anni del liceo (1955), iniziò la sua formazione militare, e nelle tre armi (Esercito, Marina, Aviazione).
La prima arma fu l’esercito nella Reale Accademia Militare di Saragozza e, tra i suoi insegnanti, figura una persona che sarà legata al suo futuro di Re: si tratta di Nicolás Cotoner y Cotoner, marchese di Mondéjar e Grande di Spagna (1905-1996), il quale sarà il Capo della Casa di Sua Maestà il Re al Palazzo della Zarzuela e la nobile figura di questo uomo è stata molto importante nella vita del Principe considerando lo stesso sempre come un padre.
Dopo l’esercito (1957) Juan Carlos entrò nella Scuola Navale di Marina quale guardiamarina (era di già tenente di fanteria) e si imbarcò sul “Juan Sebastián Elcano” al fine di effettuare la pratica navale recandosi a Panama, nella Repubblica Dominicana, in Perù, in Colombia e, per finire, negli Stati Uniti, ove lo aspettava il padre per la visita ufficiale nel Nord America.
Terminata la preparazione navale, il principe Juan Carlos, con il grado di tenente di fregata, il 16 gennaio 1958 entrò nell’Accademia generale dell’Aviazione di San Javier con il grado di sottotenente dell’Aeronautica e conseguì il titolo di pilota militare.
Conclusa anche codesta formazione militare, il Principe Ereditario tornò in Saragozza per un ulteriore completamento del periodo di pratica, ed il 10 dicembre 1959 ricevette i gradi di Tenente di Fanteria, di Tenente di Fregata e di Tenente di Aviazione. Otto anni dopo (1967) conseguì il grado di Capitano, e, nel 1969, ottenne il brevetto di pilota di elicotteri.
Conclusa quindi la dura, ma necessaria formazione militare, il futuro Re iniziò (1960) gli studi universitari. Fu così che, presso l’Università di Madrid, frequentò i corsi di Storia della Spagna, di Letteratura Spagnola, introduzione alla Filosofia ed al Diritto, Economia Politica e, quindi, Diritto Sociale e Diritto Pubblico. Poscia, nel 1961, studiò anche Diritto Internazionale, Finanza Pubblica, Amministrazione dello Stato ed applicazioni scientifiche ed industriali. A coronamento di tutto ciò, e, per sua particolare dedizione ma anche attaccamento alla realtà del di lui paese, effettuò diversi viaggi di studio e nelle varie regioni spagnole.
A questo peregrinare per le varie regioni spagnole ed al contatto con la realtà, si deve aggiungere il lavoro che effettuò il Principe, dal 1963 al 1968, nelle varie branche della pubblica amministrazione: dal ministero delle opere pubbliche, a quello della giustizia, da quello dell’industria a quello della finanza pubblica. Questa sua attenta opera di studio e di lavoro non è paragonabile ad alcuno dei nostri politici italiani, i quali, il più delle volte, ascendono a cariche ministeriali estranee alla loro formazione culturale, mettendo in crisi l’intero paese. Ma questo pensiero non lo si deve per nulla paragonare ad un re, il quale, al di sopra delle parti per natura, opera solo e soltanto nell’interesse del paese e più volte Juan Carlos ce lo ha limpidamente confermato.
Quindi il Principe era pronto a succedere al “caudillo”.
Ciò avvenne il 22 luglio 1969, con il voto da parte delle Cortes - convocate in seduta plenaria e straordinaria - [491 (quattrocentonovantuno) voti a favore, 19 (diciannove) contrari e 9 (nove) astenuti], del testo della legge di successione con cui il generalissimo Franco propose il Principe quale futuro Re di Spagna.
Accettata la designazione, il 23 luglio, Juan Carlos di Borbone giurò dinanzi alle Cortes di compiere i suoi doveri costituzionali.
Nel suo nobile discorso, tra l’altro, disse: “(…) la Monarchia puo’ e deve essere uno strumentoefficace come sistema politico se si sa mantenere un giusto e reale equilibrio dei poteri e si consolida nell’autentica vita del popolo spagnolo”.
La Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 1969 pubblicò un Decreto del Capo dello Stato che conferì al Principe, a titolo onorifico, i gradi di generale di brigata di fanteria, contrammiraglio e generale di brigata aerea.
I commenti alla designazione delle Cortes furono difformi e molto avversi al Principe: c’è chi lo chiamava “Re Franchista”; “Juanito il Breve”; chi “lavare la faccia”, cioè rendere la dittatura più presentabile; chi “il messia” perché il suo non poteva essere il regno di questa terra; oppure “re di allevamento”, “re prefabbricato”.
Invece, il re ha stupito tutti ed è riuscito a porre le basi per quello che dovrà essere la monarchia nel Terzo Millennio dell’Era Cristiana.
Il Principe sostituì, una prima volta nel 1974, Franco per una sua infermità. Eppoi lo fece una seconda volta il 30 ottobre 1975 in attesa del trapasso del Dittatore, avvenuto il 20 novembre.
Il 22 novembre 1975, il principe Juan Carlos, con nuovo giuramento dinanzi alle Cortes, divenne Re di Spagna.
Ed in quella occasione disse: “Il Regno che noi abbiamo stabilito non deve nulla al passato”.
In questo discorso il Re di Spagna espresse le idee basilari del suo regno: ristabilire la democrazia; essere il Re di tutti gli spagnoli, senza alcuna eccezione.
Questa transizione democratica iniziò con la legge della riforma della politica del 1976.
Nel maggio 1977, Don Juan di Borbone, genitore del Re di Spagna, rinunciò ai suoi diritti dinastici e glieli trasmise, così che divenne anche Capo della Real Casa di Spagna. Fu un atto molto apprezzato in quanto anche per la Corona ritornava la democrazia. Un mese dopo si celebrarono le prime elezioni libere dal 1936 ed il nuovo parlamento elaborò il testo dell’attuale Costituzione, confermata poi con referendum popolare il 6 dicembre 1978 e sanzionata con la firma del Re nella sessione solenne delle Cortes il 27 dicembre 1978.
Le elezioni del 1977 furono vinte dall’Unione Democratica di Centro di Adolfo Suárez González (1932- ), che rimase al governo fino al 1982, anno in cui le elezioni furono vinte dal Partito Socialista di Felipe González Márquez (1942- ), il quale governò fino al 1996, anno in cui ascese il Partito Popolare di José María Aznar López (1953- ), che governò fino al 2004, perdendo le elezioni dopo il vile attentato di Madrid del giorno 11 marzo 2004.
Successivamente fu Capo del Governo José Luis Rodríguez Zapatero (1960- ) del Partito Socialista, le cui scelte politiche le conosciamo e non sta a noi commentarle.         
Il regno del Re Juan Carlos è caratterizzato da numerose visite ufficiali nella totalità dei paesi del mondo e nei principali organismi internazionali, tanto a carattere universale, quanto regionale. A questo proposito è bene ricordare che nel corso dell’ennesimo viaggio nella Sua terra natale, l’Italia, dal 28 settembre al 2 ottobre 1998, ha avuto l’onore di essere il primo Capo di Stato straniero a leggere un discorso al Parlamento Italiano. 
Sua Maestà il Re ha dato anche impulso ad un nuovo stile nelle relazioni ispano-americane, evidenziando i segni della identità di una comunità culturale che si basa su una lingua comune con la necessità di porre in essere comuni iniziative e partecipare ad adeguate formule di cooperazione.
Il Re di Spagna ha posto sempre in evidenza la vocazione europea della Spagna insita nella sua tradizione e nella sua storia.
Per queste sue doti di grande democrazia e vocazione europeista, il Re ha ricevuto numerosi premi internazionali, tra cui il prestigioso Premio “Carlo Magno” in Acquisgrana il 20 maggio 1982.
Il Re è anche molto attento al mondo intellettuale ed alla sua capacità di innovazione e per questo detiene l’Alto Patronato delle Reali Accademie e mantiene un assiduo contatto con tutti gli ambiti culturali ed in particolare con l’Università. Egli stesso è stato insignito di una trentina di “Lauree honoris causa” in prestigiose università spagnole e straniere.
Il Re di Spagna è anche presidente onorario di diverse fondazioni e, propriamente per questo, favorisce personalmente la creazione e lo svolgimento di nuove tecnologie nel suo Paese, ed invoglia numerose iniziative nell’ambito dell’economia, dell’impresa e della ricerca: sono le avanguardie sociali e lo svolgimento della convivenza spagnola nelle sue più svariate manifestazioni.
La Costituzione stabilisce che il Re ha il comando supremo delle Forze Armate. E’ proprio per attuare l’esercizio della sua funzione che il Re, una volta all’anno, riunisce le tre armi nella “fiesta de la Pascua Militar”, presiedendo la cerimonia di consegna dei diplomi nelle Accademie e Scuole Superiori Militari, visitando numerose unità ed assistendo alle loro manovre ed esercitazioni. Anche tutto questo è proprio ed insito in un Capo di Stato, come un Re, che sente la sua nazione viva e vicina alla sua persona.
Sua Maestà il Re è anche un grande appassionato di sport, specialmente di sci e di vela. Anche in questo, Egli sostiene la pratica sportiva come scuola di formazione per la vita sociale. La costante presenza del Re e della Famiglia Reale è un grande stimolo alle squadre olimpiche spagnole.
Ciò si vide linearmente e limpidamente anche durante i Giochi Olimpici di Barcellona del 1992.
Juan Carlos di Borbone ha sposato (Atene 14 maggio 1962) Sofia di Grecia (Psychiko 2 novembre 1938- ), figlia del Re Paolo (1901-1964) e della Regina Federica di Hannover (1917-1981).
A proposito della Regina Sofia, in Spagna ci si diverte spesso a ricordare quanti sovrani vi siano tra i Suoi antenati, e precisamente: due imperatori di Germania, sette zar di Russia, otto re di Danimarca, cinque re di Svezia, un re ed una regina di Norvegia, una regina di Inghilterra e cinque re di Grecia.   
Dal  matrimonio di Juan Carlos e Sofia sono nati: - Infanta Doña Elena (María Isabel Dominica de los Silos de Borbón y Grecia) (Madrid 20 dicembre 1963- ), duchessa di Lugo, la quale ha sposato (Siviglia 18 marzo 1995) Don Jaime de Marichalar y Sáenz de Tejada (Pamplona 7 aprile 1963- ) e dal loro matrimonio sono nati, a sua volta, Felipe Juan Froilán (de Todos los Santos de Marichalar y Borbón)  (Madrid 17 luglio 1998- ) e Victoria Federica (de Todos los Santos de Marichalar y Borbón) (Madrid 9 settembre 2000- );  - Infanta Doña Cristina (Federica Victoria Antonia de la Santísima Trinidad de Borbón y Grecia) (Madrid 13 giugno 1965- ), duchessa di Palma di Maiorca, la quale ha sposato (Barcellona 4 giugno 1997) Iñaki Urdangarín Liebaert (Zumárraga, Guipúzcoa 15 gennaio 1968- ) e dal loro matrimonio sono nati, a sua volta, Juan Valentín (de Todos los Santos Urdangarín y Borbón)  (Barcellona 29 settembre 1999- ), Pablo Nicolás (de Todos los Santos Urdangarín y Borbón) (Barcellona 6 dicembre 2000- ), Miguel  (de Todos los Santos Urdangarín y Borbón) (Barcellona 30 aprile 2002- ) ed Irene (de Todos los Santos Urdangarín y Borbón) (Barcellona 5 giugno 2005- ); - Felipe, Principe delle Asturie ed Erede al Trono di Spagna (Juan Pablo Alfonso y de la Santísima Trinidad de Todos los Santos de Borbón y Grecia) (Madrid 30 gennaio 1968- ), il quale ha sposato (Madrid 22 maggio 2004) Letizia Ortiz y Rocasolano (Oviedo 15 settembre 1972- ) e dal loro matrimonio sono nate, a sua volta, l’Infanta Leonor (de Borbón Ortiz) (Madrid 31 ottobre 2005- ), erede al trono, e  l’Infanta Sofia (de Borbón Ortiz) (Madrid 29 aprile 2007- ).
Ed ora mi sia permessa qualche riflessione personale e concludere con qualche pensiero sul re e sulla corona in genere.
Come si diceva poc’anzi, Juan Carlos di Borbone, appena asceso al trono, iniziò un’attenta e doviziosa opera di mediazione che solo un re, per sua innata dedizione, puo’ operare nel placare gli animi e risolvere le discordie.
E’ riuscito a conquistare repubblicani convinti che Gli rinnovano in continuazione la loro fedeltà quale garante della democrazia e della libertà. Il lungo periodo di governo dei socialisti di Felipe González ne è il limpido esempio.
L’esempio della Spagna ci deve far, e non poco, riflettere; infatti constatiamo giornalmente l’attualità di questa forma di governo e non possiamo che inchinarci dinanzi ad un Re così moderno, così attuale e così volto al vero futuro dell’Europa che desideriamo e che non riusciamo a vedere unita e sovranazionale  come nei gloriosi tempi cristiani di Filippo II (1556-1598) e, più tardi, del Principe Eugenio di Savoia (1663-1736).
Fu però questa visione dell’Europa che si concretizzò nel 1989 con la caduta di regimi estranei che da oltre quarant’anni imperversavano nell’europeissimo est europeo.
Ed ecco che si torna a parlare di Monarchia: di sentimenti tradizionali, di interesse per le nobili figure dei Re: Michele per la Romania, Simeone per la Bulgaria, Wladimiro per la Russia, Otto d’Absburgo per l’Ungheria. Si torna a parlare di Monarchia nei paesi che, fino al 1918, erano il cuore dell’Europa tradizionale e sopranazionale. Solo in Italia si continua ad addurre ai Savoia colpe, se di colpe di deve parlare, che furono di altri.
Perché coloro che hanno redatto la Costituzione Europea - solennemente sottoscritta a Roma il 29 ottobre 2004 - non hanno tenuto conto nel c.d. “Preambolo” di questi valori? I valori cristiani e tradizionali che hanno rappresentato, che rappresentano e che rappresenteranno il nostro Continente. Valori che poi sono gli stessi da Lepanto (dal greco “Ναύπακτος”) in poi, che fu, tra l'altro, un’idea spagnola.
Quindi i trentasei anni di regno del Re Juan Carlos I siano la “novità nella nella continuità” di una tradizione che ciascuno di noi prova e che con nessuno vuole dividere.
Scrissi, il 5 gennaio 1983, su “Il Giornale d’Italia”  per il quarantacinquesimo genetliaco del Re di Spagna: “(…) ha successo per una virtù molto importante che pochi vogliono possedere: la modestia!”.
Disse il Re, a pochissime ore dal tentato golpe del 23 febbraio 1981: “(…) La Corona, simbolo della permanenza e dell’unità della Patria, non puo’ tollerare alcuna forma di azioni od atti di persone che pretendono di interrompere il processo democratico che la Costituzione votata dal popolo spagnolo determinò nel giorno del referendum”.
La figura, la personalità, il modo di regnare del Re Juan Carlos, quale modello per il Terzo Millennio dell’Era Cristiana, li continuiamo ad apprezzare, ed anche molto spesso.
Un singolare episodio è senza dubbio quello del 10 novembre 2007, nel corso di una conferenza ispano-americana di cooperazione a Santiago del Cile. Alle degenerazioni mentali ed alle offese del presidente venezuelano Hugo Chávez nei confronti di Aznar, quale predecessore di Zapatero, il Re lo ha senza mezzi termini apostrofato [“(…) Perché non taci?”], eppoi si è alzato e se ne è andato.
E l’ulteriore esempio che un Re è sempre al di sopra delle parti contro il grigiore e l’inutilità di certi personaggi anche se ai dittatori di sinistra tutto è possibile perché loro dicono di essere l’espressione del popolo.
Ma questo è, senza dubbio, anche un doveroso omaggio alla memoria delle nostre Tradizioni, che ci ha dato illuminati esempi di vita, di civiltà, di libertà, di prosperità, una Patria unita, un’Europa libera, e che propriamente e sicuramente le monarchie l’hanno rappresentata, la rappresentano e la rappresenteranno. 

mercoledì 9 novembre 2011

EMANUELE FILIBERTO DI SAVOIA “TESTA DI FERRO”

(1528-1580)
di Gianluigi CHIASEROTTI

Nell’accingerci a tracciare una biografia di Emanuele Filiberto di Savoia, detto “Testa di Ferro”, è utile quindi necessario svolgere o tantomeno cercare di svolgere un quadro introduttivo sul periodo che prendiamo in esame, cioè dal 1528 al 1580 relativamente al Duca di Savoia, ma complessivamente per i sostanziali e non poco fondamentali mutamenti europei del periodo rinascimentale; anche perché l’importanza storica del Savoia non è solo per la rifondazione dello Stato Sabaudo, ma anche e soprattutto per la politica europea del secolo XVI.
Dopo codesto analitico e molto sintetico “excursus” si darà un breve cenno al Duca Carlo III, padre del Nostro, che rispecchia anch’egli l’evoluzione del tempo, con poscia la susseguente riscossa morale, bellica e politica della personalità del “Testa di Ferro”.
Il Rinascimento è, indubbiamente, un secolo di svariate riforme sia civili, sia militari, sia che religiose. Vediamole.
La riforma protestante di Martin Lutero (1483-1546); lo scisma c. d. “d’Occidente” provocato dall’allora Re d’Inghilterra Enrico VIII Tudor (1491-1547) per sposare Anna Bolena (1507-1536) [lo scisma si ebbe in quanto il Papa non volle concedere l’annullamento al matrimonio tra il Re e  Caterina d’Aragona (1485-1530); matrimonio per il quale c’era di già dovuto l’intervento papale in quanto costoro erano cognati]; la controriforma cattolica – artefici della quale furono i gesuiti con il loro fondatore: Sant’Ignazio de Loyola (1491-1556); la nascita del pontificio Tribunale dell’Inquisizione; il Concilio di Trento; la controriforma in Italia ed in Spagna; l’ascesa al trono di un “astro illuminato” come Filippo II d’Absburgo (1527-1598); e, da ultimo, la Battaglia di Lepanto, alla quale si darà un brevissimo ricordo.
In questo quadro sommario perché vasto, si deve anche inserire il fattore principale e portante di tutto il secolo: e cioè la lotta per il dominio sull’Italia delle maggiori potenze europee. Lotta che possiamo dividere in tre ampie fasi, e precisamente:
a)                               prima fase (1494-1516) – contraddistinta dagli sforzi della Francia al fine di imporre la propria egemonia sull’Italia, in conflitto con l’Impero, la Spagna, la Confederazione Elvetica e Venezia. Fase che si chiude lasciando insediate la Francia a Milano e la Spagna a Napoli –
b)                               seconda fase (1516-1530) – aperta dalla ascesa di Carlo V (1500-1558) ai troni di Spagna e del Sacro Romano Impero, è contraddistinta dagli sforzi della Francia per reagire all’accerchiamento politico da parte degli Absburgo e termina con la vittoria dello stesso Carlo V e lo stabilirsi dell’egemonia absburgica sull’Italia –
c)                               terza fase (1530-1559) – contraddistinta dall’allargarsi del conflitto dall’Italia all’Europa intera e dall’ingresso nella lotta per l’Italia di nuovi fattori, come l’impero Ottomano ed i principi luterani della Germania e si conclude con la riaffermazione del predominio spagnolo sull’Italia e la divisione delle due corone della Spagna e dell’Impero.
Culmine e quindi definitiva fu la pace di Cateau-Cambresis (1559) tra i francesi e gli spagnoli, dalla quale – per quello che ci interessa – venne restituito, come vedremo in dettaglio, il Ducato di Savoia ad Emanuele Filiberto.
Un accenno a Carlo III di Savoia, padre del Nostro.
Seppur non sprovvisto di intelligenza e desideroso di affermare la sua volontà, Carlo III (1486-1553) ebbe la sfortuna di guidare lo Stato nel periodo più calamitoso delle lotte tra Francia e Spagna. Il Duca cercò di appoggiarsi al cognato Carlo V [in quanto il di lui fratello Filiberto II di Savoia (1480-1504) aveva sposato, in seconde nozze, Margherita d’Austria (1480-1530)], dal quale ebbe in dono la contea di Asti (1530), dono destinato a creare una rottura irreparabile fra la Savoia e la Francia. Quindi Francesco I (1494-1547), re di Francia, per rappresaglia (1536), iniziò l’occupazione degli stati sabaudi, i quali divennero d’ora in poi campo di lotta degli eserciti spagnolo e francese, mentre il Duca Carlo III rimase con Nizza e qualche altra terra piemontese.
Dalla consorte Beatrice del Portogallo (+1538), il Duca ebbe nove figli, dei quali il terzogenito fu Emanuele Filiberto.
Emanuele Filiberto, decimo Duca di Savoia [il primo fu Amedeo VIII (1383-1451), al quale l’imperatore Sigismondo di Lussemburgo (1368-1437), re di Ungheria e di Boemia, imperatore del Sacro Romano Impero, (1416) elevò la contea in Ducato], nacque in quel di Chambéry il giorno 8 luglio 1528.
Emanuele ebbe, da bambino, scarso vigore fisico; debole e delicato come era fu destinato alla carriera ecclesiastica.
Della prima giovinezza del Duca si sa ben poco; nel 1530 fu portato in Bologna e presentato al papa Clemente VII (Giulio de’ Medici, 1478-1534). La sua educazione si svolse in Italia e la si adeguò ai modi ed agli spiriti italiani. Fu poi tenuto per cinque anni in Torino; poi un anno tra Vercelli e Milano (1536), quindi, per sette anni, con la madre in quel di Nizza.
Ma ecco la svolta della vita di Emanuele Filiberto. Nel 1535 morì il fratello maggiore Ludovico (1523-1536) ed Emanuele divenne principe ereditario e la di lui educazione, nella quale ebbe parte rilevante la madre, fu affidata ad Aimone di Ginevra, Barone di Lullin e per le lettere a Giacomo Bosio, storico dell’Ordine di Malta.
Gli esercizi ginnici e la vita militare valsero ad irrobustirne il corpo debole, mentre lo studio ne rinvigorì lo spirito con una buona cultura storica, matematica e scientifica.
Gli avvenimenti della sua giovinezza, la lotta tra Francia e Spagna che tormentò lo Stato Sabaudo ed il debole governo del padre portando il tutto alla rovina, esercitarono – come si diceva poc’anzi – una grande influenza sulla formazione dell’animo di Emanuele Filiberto. Morta la madre (1538) egli vide ancor di più il padre ridotto in miseria e privato dei suoi domini. Riuscite alquanto vane le proteste, il Duca di Savoia, cresciuto nella sventura e nutrito di tante vane speranze nonché esperienze, prese la drastica risoluzione di mettersi dalla parte imperiale. Appena diciassettenne, assunto quale sua divisa il motto “spoliatis arma supersunt”, si recò in Worms al fine di essere preso da Carlo V al di lui servizio e svolse la sua brillante carriera militare nel corso di dodici anni, e precisamente dal 1547 al 1559.
Emanuele Filiberto partecipò alla guerra di Carlo V contro i protestanti tedeschi e combattè per la presa di Ingolstadt (1546); eseguì gli ordini di Maurizio di Sassonia (1521-1553) e dell’Imperatore con tale rapidità e precisione nella battaglia di Mühlberg (1547) che allo stesso si attribuì una piccola parte del merito della vittoria che distrusse i protestanti della Lega Smalcadica.
Dopo un periodo di tregua, dal 1547 al 1551 Emanuele Filiberto accompagnò in Spagna l’Infante Filippo II, con il quale strinse sincera amicizia, per quanto lo consentiva l’indole chiusa del re e partecipò alla difesa di Barcellona contro un attacco marittimo francese (1551) tentato di sorpresa dall’ammiraglio Leone Strozzi (1515-1574). Nel  1552 il Duca di Savoia prestò servizio per qualche mese sotto Ferrante Gonzaga (1507-1557)  nella guerriglia tra spagnoli e francesi di Carlo de Cossé, conte di Brissac (ca. 1505-1563)  in Dronero, in Bra, in Verzuolo ed in Saluzzo.
Ma Emanuele non andava per nulla d’accordo con il Gonzaga, invidioso – sembra – del suo giovane collega, e, colta la prima occasione, il Duca di Savoia ritornò in Germania.
Ma, tuttavia, questa decisione non fu presa solo per ragioni personali; il Duca comprese che le sorti dell’Europa si sarebbero decise fuori dell’Italia e difatti i campi di battaglia principali furono la Lorena e le Fiandre.
Egli prese parte all’assedio di Metz e, nell’aprile 1553 ed in tutto l’anno seguente, fu nominato capitano generale dell’esercito imperiale nella guerra di Fiandra; anche nel 1557 e nel 1558 ebbe nuovamente il medesimo incarico.
Quindi lo studio, la preparazione militare, il contatto con grandi generali ed uomini di stato affinarono le sue concezioni politiche e militari e lo portarono ai successi che abbiamo appena visto.
Il piano strategico studiato ed ideato dal Duca di Savoia contro la Francia fu semplicissimo. Poiché il Duca di Guisa aveva portato in Italia il maggior sforzo francese, si doveva approfittarne per raccogliere rapidamente ed in seguito un forte esercito con il quale il Savoia condusse fino in fondo la guerra in Fiandra ed in Francia. Costrinse, per di più, Enrico II (1519-1559) a dividere le sue scarse forze tenendolo nell’incertezza sugli obiettivi che si volevano raggiungere ed anche con una dimostrazione nella regione della Champagne. Gettatosi allora su San Quintino, che dominava il principale nodo stradale fra la Fiandra, lo Hainaut e Parigi e, impadronitosi della fortezza (2-27 agosto 1557), nella omonima battaglia (10 agosto 1557), rifulsero e brillarono tutte le recondite doti militari del Duca di Savoia, il quale – dopo la brillante vittoria – propose, ma invano, di muovere, con parte dell’esercito, su Lione e, con il grosso delle soldatesche, su Parigi, sicuro che nessuno avrebbe potuto impedirgli l’occupazione della capitale nemica.
La vittoria ebbe luogo, come abbiamo visto, il 10 agosto, giorno di San Lorenzo, e per questa, Filippo II fece erigere lo “Escorial” – il “Πανθήον” spagnolo – a forma di graticola in quanto il detto Santo fu martirizzato su di uno strumento di supplizio chiamato “graticola” (conservata nella per insigne Basilica romana di San Lorenzo in Lucina, tanto cara alla Real Casa di Savoia) identico a preciso a quello usato per la carne.
Ma torniamo al Duca Emanuele Filiberto di Savoia.
La ricordata vittoria  fu possibile in quanto il Duca abbandonò i criteri militari tradizionali per l’arte della guerra moderna. Il fattore nuovo consiste nell’aver saputo costringere il nemico a combattere contro la sua volontà, nell’aver concepito l’azione come diretta all’annientamento anziché alla vigilanza ed all’allontanamento dell’avversario secondo le usanze e le tecniche temporeggiatrici dell’arte della guerra del Rinascimento.
Quando si concluse tra Francia e Spagna la pace di Cateau-Cambresis, lo sforzo del “Testa di Ferro” fu teso a persuadere Filippo II ed i suoi consiglieri che solo e soltanto con la ricostituzione dello Stato Sabaudo si poteva giungere ad una pace duratura e quindi equilibri duraturi, i quali avrebbero assicurato i domini ispano-imperiali in Italia, ponendo in evidenza la coincidenza degli interessi spagnoli con quelli sabaudi. Durante le trattative di pace sulla questione appunto della restituzione del Piemonte e su quella di Calais, la lotta diplomatica fu aspra e le trattative corsero più volte di naufragare. Conclusa la pace (3 giugno 1559), ad Emanuele Filiberto venivano restituiti quasi tutti i suoi territori, dei quali egli veniva riconosciuto, da ambo le parti, signore amico, ma indipendente e neutrale: fatto importante questa neutralità, che fu la base di tutta la politica posteriore del Duca. Venivano meno, tuttavia, sette località importanti alla restituzione, di cui cinque tenute ancora dai francesi: Chieri, Pinerolo, Villanova d’Asti, e soprattutto, Torino in attesa che fossero esaminati i pretesi diritti del Re di Francia sui domini sabaudi; e due spagnoli: Asti e Vercelli, che avrebbero dovuto essere lasciate entro tre anni. Se il trattato ridava le terre di già occupate dai due contendenti, non restituiva, però, quelle che durante la contesa o si erano staccate dal dominio dei Savoia come Ginevra, o erano state occupate dagli svizzeri di Berna, di Friburgo e del Vallese. Inoltre al Duca era restituito un paese disorganizzato, immiserito, spopolato, diviso da lotte religiose (valdesi), da varietà di ordinamenti e di ambizioni di signorotti e città. Un paese bisognoso di assoluta tranquillità e di ordine. Stretto tra Francia e Spagna, le due maggiori potenze europee e da tutte e due agonato, insidiato, senza fortificazioni e per di più spezzato in due parti dalla barriera delle Alpi. Perduta Ginevra e data la nuova potenza alla Francia, la capitale non poteva più essere Chambéry e la si trasferì in Torino.
Ma tutto era da rifare in quello Stato rovinato da tanti anni di guerra, con le città diroccate, scomparse le industrie, rovinati i commerci, la popolazione ridotta a  900.000 abitanti in Piemonte ed a 500.000 nella Savoia.
La neutralità proclamata nel trattato di pace era condizione necessaria di vita ed Emanuele Filiberto fece un continuo sforzo per evitare che tra Spagna e Francia scoppiasse una nuova guerra, persuaso che se doveva scoppiare era interesse savoiardo che essa riprendesse il più tardi possibile. Gli obiettivi che la realtà pose innanzi al Duca furono codesti: recupero delle terre ribelli od occupate dagli svizzeri; abbandono delle terre presidiate dai Francesi e dagli Spagnoli; riorganizzazione dello Stato.
Emanuele Filiberto tentò di riavere Ginevra per volontaria dedizione degli abitanti (1560); ma nulla avendo ottenuto, pensò di costituire una lega sabaudo-franco-ispano-papale al fine di sottomettere nuovamente, e con la forza, quelle terre; ma egli vide subito sia Francia che Spagna ostili ad un ingrandimento territoriale e venne meno, quindi, la possibilità dell’impresa. Parimenti difficili furono le trattative all’avvicinarsi dello scadere del triennio stabilito nella pace per la liberazione del territorio dall’occupazione straniera.
In tutte queste delicate trattative il Duca ebbe l’efficace ausilio della consorte Margherita (1523-1574), sorella del Re di Francia, da lui sposata secondo gli accordi stabiliti dal trattato medesimo. Donna di eccezionali doti intellettuali e morali che gli assicurò anche la continuazione della Dinastia con la nascita, il 12 gennaio 1562, di Carlo Emanuele (1562-1630). Ma la controversia ebbe rapida soluzione per via dello scoppio delle guerre di religione in Francia. Il “Testa di Ferro” riuscì, quindi, a staccare dai francesi Torino, Chivasso, Chieri e Villanova d’Asti, lasciandogli ancora Pinerolo con Savigliano e Perosa, con la speranza che, ridotta l’occupazione francese, Filippo II restituisse Asti e Santhià, che gli spagnoli tenevano anziché di Vercelli, ma ne ebbe un rifiuto. Solamente nel 1574 il Duca di Savoia riuscì a farsi restituire dal Enrico III (1551-1589) anche quelle terre, il che costrinse gli spagnoli ad andarsene, benché a malincuore. In codesta situazione Emanuele pensò di rafforzarsi cercando degli alleati; poiché poco vi era da sperare sugli stati italiani, entrò quindi in successive trattative con gli svizzeri.
Forte di questo appoggio svolse un’azione più ferma di fronte alle due potenze rivali e per ottenere l’abbandono completo delle milizie straniere ingrandì lo Stato con acquisti e cessioni come Oneglia acquistata dai Doria e la Contea di Tenda. Riaffermò i suoi diritti su Saluzzo e sul Monferrato, dando maggiore unità allo Stato.
In questo periodo su creato un nuovo motto: “pugnando restituit rem”!
Internamente il Ducato fu dal Filiberto ricostituito sui seguenti punti: armi nazionali, severa politica finanziaria, e giustizia imparziale.
Ma per attuare importanti e radicali riforme era necessario un forte potere accentrato e quindi Emanuele Filiberto pose da parte la mediovale istituzione degli “Stati e Congregazioni Generali”, la quale – più che di aiuto – serviva ad inceppare, per via dei privilegi di casta, il potere centrale. Si ebbe così un potere assoluto che fu esercitato al fine di rendere rispettata la giustizia da ogni ordine di cittadini e quindi ordinata l’amministrazione, promovendo l’agricoltura, risvegliando le industrie, dando nuovo incremento agli studi.
Cure particolari furono rivolte dal Duca alla difesa dei suoi domini, restaurando vecchie fortezze e provvedendo ad opere fortificate nuove, impiantando fabbriche d’armi, ma soprattutto dotando lo Stato di un saldo esercito nazionale, rompendo risolutamente e drasticamente con la tradizione mercenaria e con gli usi delle monarchie del tempo, quando gli eserciti erano composti di individui pagati, senza distinzione di nazione e di età. Questa la struttura militare: l’esercito sabaudo era composto di circa 36.000 uomini dai 18 ai 50 anni, e di milizie cittadine, valligiane ed alpine:
a)                               quattro squadre di località (c. d. parrocchie) formavano una centuria;
b)                               quattro centurie contigue erano una compagnia, la quale si radunava almeno una volta al mese;
c)                               sei compagnie formavano un colonnellato con un raduno almeno quattro volte all’anno.
La cavalleria, invece, era strettamente della nobiltà, la quale conservò – con qualche restrizione – i suoi privilegi ma non l’obbligo del servizio militare.
Emanuele Filiberto riordinò sia l’Ordine di San Maurizio, unendovi quello di San Lazzaro contro gli infedeli (con l’ipotesi, poi declinata, di trasformarlo in una milizia marinara), così come fece Cosimo I (1519-1574) in Toscana con quello di Santo Stefano, sia che quello della Santissima Annunziata.
Possedendo Nizza, Villafranca ed Oneglia, il Duca si interessò, per via marina, contro i pirati che infestavano il Mediterraneo ed anche perché non voleva restar fuori dalle grandi potenze. Tra i suoi collaboratori emerge Andrea Provana di Leynì (1511-1590) - primo cavaliere dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata di Casa Provana ed antenato del Segretario per l’Araldica del Re Umberto II (1904-1983) Umberto Provana di Collegno (1906-1991) a sua volta insignito del Supremo Ordine – primo Ammiraglio di Casa Savoia, il quale partecipò, rimanendo ferito, alla gloria di Lepanto (dal greco “Ναύπακτος”) e di cui scrisse una dettagliata relazione che è tra le più importanti che si conoscono.
Emanuele Filiberto si adoperò per una completa e sistematica revisione degli statuti della sua casa non più impedito dalle opposizioni dei comuni, dei feudatari delle Congregazioni Generali. Rinnovò il diritto penale; istituì due Senati: uno in Savoia e l’altro in Piemonte; riordinò il Consiglio di Stato e la Camera dei Conti; riorganizzò la finanza in Piemonte e questo risanamento finanziario lo si cercò di conseguire tanto col severo controllo dell’amministrazione dello Stato, quanto con i rimaneggiamenti diretti a ripartire i pesi fiscali con minore sperequazione (una parola molto di attualità) di quella che era generalmente in uso nel tempo.
Vennero costruiti nuovi canali; si abolì, seppur gradualmente, la servitù della gleba; si aprirono filande di seta in Vercelli, Torino e Chambéry ed il relativo sviluppo della lana, dei tessuti, della tintura della seta, del filo, del sapone, della carta e dell’arte dei fustagni (Biella).
Vissuto Emanuele Filiberto, in tempi di gravi lotte religiose, quando Piemonte ed Alta Savoia erano pervasi dall’eresia, ebbe tra i di lui scopi quello di ricostituire l’unità cattolica del suo dominio, sia per convinzione religiosa, sia che per ragione di Stato.
Nell’aspirare a ristabilire il dominio sabaudo su Ginevra, Emanuele pensò ad un accordo con Roma ed alla formazione di una lega cattolica, inducendosi a perseguitare i riformati. Sostenne una lunga azione contro i valdesi, trovando valida resistenza (1560-1561); poscia, persuaso anche dalla consorte più incline a tolleranza religiosa, concesse loro (accordo di Cavour del giugno 1561) libertà di culto entro le valli e di coscienza fuori le valli. Vennero quindi prese severe misure contro altri protestanti, ma poi per codesti il Savoia concesse liberà di coscienza con, naturalmente, la proibizione del culto. Al medesimo tempo si occupò molto del miglioramento del clero cattolico e favorì l’applicazione dei decreti di riforma del Concilio di Trento, tenendosi in relazione con San Francesco di Sales (1567-1622) e San Carlo Borromeo (1538-1584), appoggiando anche la Compagnia di San Paolo e quella di Gesù. Ma il Duca tutelò gli interessi e la sovranità dello Stato anche sul terreno ecclesiastico. Ottenne dal Papa Gregorio XIII (Ugo Boncompagni, 1572-1585) la conferma dell’indulto del 1471 del Papa Nicolò V (Tommaso Parentucelli, 1447-1455) che era stato uno dei compensi per la rinuncia da parte del Duca Amedeo VIII di Savoia al pontificato quale XXXII ed ultimo antipapa della Storia con il nome di Felice V. Tale indulto stava nel fatto che il Papa doveva consultarsi con il Duca per la nomina dei vescovi e degli abati; mentre per entrare in possesso dei benefici occorreva il “placet” ducale. Inoltre spettava al fisco l’amministrazione dei benefici vacanti e fu controllata, come in Toscana, l’attività dell’Inquisizione Romana.
Emanuele Filiberto di Savoia morì quando non aveva ancora compiuto la sua complessa opera; era il 30 agosto 1580. La sua fibra debole nell’infanzia e nell’adolescenza, rafforzata poi nella vita militare, si affievolì in venti anni di intensa attività pubblica.
E’ sepolto nella Cappella della Santa Sindone in Torino.
Dalla consorte, abbiamo visto che ebbe Carlo Emanuele, suo successore. Ma ebbe anche sette figli da unioni morganatiche, e precisamente: uno ciascuna da Lucrezia Proba, da una certa di cognome Doria e da un’ignota; due figli rispettivamente da Laura Crevola e Beatrice Langosco.
Vediamo cosa hanno detto o scritto di Emanuele Filiberto.
Il grande storico piemontese Francesco Cognasso (1886-1986) nella sua monumentale opera “I Savoia” ci riporta alcuni illuminati giudizi sul nostro personaggio. Eccoli:
(…)  E’ agile, destro della persona e tanto che in ogni esercizio del corpo sì a piedi che a cavallo riesce mirabilmente. E’ nemico mortale dell’ozio e quasi del continuo negozia passeggiando (…)”.
Dopo cena(…) se ne va’ in casa d’ un architetto (…)  ove “stilla acque ed ogli, disegna, fa modelli di fortezze e di altri strumenti di guerra”.
 E ne viene tentata anche una fisionomia morale:
E’ principe altrettanto giusto che religioso come lo manifestano le azioni sue tutte e seppure nella giustizia piega a ciascuno estremo, è verso quello che è proprio il principe, la pietà e la clemenza. E’ di animo forte, temperato, liberale, magnifico, e non inclinato alla collera, affabile, sommamente veridico, della parola osservatore (…) Parla poco, massime di cose di importanza, dove puo’ entrare interessi di principi, ma dei consumi dei paesi, delle guerre fatte e delle cose del tempo suo, che gli passano per mano, ragiona volentieri e con diletto. Ha grandissima cognizione delle cose del mondo, degli umori delle corti, degli affetti e passioni dei principi”.
Di codesta sua rettitudine e buon senso è importante riportarVi un documento del Duca datato 1566. Scriveva al di lui rappresentante a Roma quando il Santo Padre lo voleva costringere ad inviare al rogo un tal Giorgio Olivetta, già condannato dall’Inquisizione di Vercelli:
Non basta né conviene in questi tempi bruciare un uomo la cui morte non farà li buoni esser migliori, si bei mali esser peggiori (…) So bene che tollerare gli eretici puo’ essere pericolosissimo, ma non bisogna ingannarsi. Castigarli tutti a me è impossibile; abbriciarne alcuni infiamma crudelmente gli altri alla vendetta. Sicchè (…) il  mio parere è (…) che si abbia da usare della modestia tanto necessaria in questi tempi (…)”.
Il Papa non comprese tanto spirito di tolleranza.
Invece il Doge di Venezia Francesco Morosini (1619-1694) detto il “Peloponnesiaco” ci descrive il Duca di Savoia come un uomo alquanto colto:
Ha gran piacere di parlare con uomini letterati e dotti, li ascolta molto volentieri a discorrere in ogni professione, dimostrando bellissimo giudizio a metter dubbi in campo ed anco in dirvi sopra l’opinione sua, la quale sta fondata sul suo natural giudizio, non avendo mai forse veduto alcun libro di Aristotile o Platone. Legge con piacere tutti i libri di storia, ma molto più volentieri quelli che sono in lingua spagnola, la quale parla e scrive eccellentemente come se fosse nato in Spagna (…) Parla anco eccellentemente francese, essendo si puo’ dire quella la sua lingua naturale, poiché tutti i duchi passati parlarono sempre francese così come ora parla Sua Eccellenza quasi di continuo l’italiano (…) Usa parlare spagnolo con gli spagnoli, con i francesi francese, italiano con gli italiani (…)”.
Ed in realtà la corrispondenza del Duca di Savoia mostra limpidamente come egli scriva in francese, in spagnolo, in italiano con provata facilità.
Egli fu anche cultore delle arti. Ebbe attorno letterati e poeti, che erano anche consiglieri e segretari. Ebbe una fitta ed interessante corrispondenza con qualche poeta come Bernardo Tasso (1493-1569), ed ospitò, in Torino, anche Torquato Tasso (1544-1595) vagabondo in cerca di quiete. Emanuele elesse suo storiografo Uberto Foglietta, ma questi poi non venne mai in Torino.
Un progetto di Emanuele Filiberto fu quello di pubblicare il “Teatro universale di tutte le scienze”, e chiamò a sé numerosi scienziati che avrebbero dovuto mettere insieme l’opera, la quale discendeva, forse, da sue consimili del secolo XIII e che era il preludio di quello che sarebbe stato l’enciclopedia del ‘700. Arti e scienze il Duca aveva riunito a palazzo, e cioè: una biblioteca, un museo di arte e di scienze.
Al fine di realizzare codesti progressi in Piemonte occorrevano tipografi moderni. Furono fatti venire Niccolò Torrentino da Firenze e Niccolò Bevilacqua da Venezia. Sia con l’uno che con l’altro Filiberto volle creare società munite di privilegi che parvero costituire quasi un monopolio.
Siamo certi di affermare che con il Duca di Savoia la cultura del Piemonte era stata non rinnovata, ma forse creata del tutto. E questa feconda opera fu completata dal Re Vittorio Amedeo II (1666-1732), il quale, terminata la parte bellica e diplomatica del suo Regno, si dedicò a ricostruire lo Stato Sabaudo.
 Ed ora, richiamando i versi di Virgilio (70 a. C.- 19 a. C.) (Georg. III, 284), nella loro perenne  e duratura validità: “fugit interea, fugit inreparabile tempus (…)”, taccio e chiudo questa mia sommaria e forzatamente molto incompleta esposizione, ma permettetemi di tacere con l’intenzione di rendere omaggio ad una simpatica, saggia ed autorevole Signora, oggi alquanto trascurata ed abbandonata, che ci tiene sempre compagnia: mi riferisco alla Storia, rappresentata, sin dai tempi antichi, dalla musa Clio. Poiché se è vero, come è vero, che la Storia è maestra della vita – e, non a caso, lo ricorda anche l’Alighieri (1265-1321) “(…) ed in terra lasciai la mia memoria/ sì fatta, che le genti lì malvage/ commendan lei, ma non seguon la storia” (Pd. XIX, vv. 16-19) -  appare evidente che la stessa, come tanti saggi maestri, è oggi tenuta in scarsa considerazione e, comunque, ben poco, per non dire affatto, vengono apprezzati e messi in pratica i suoi insegnamenti.
E questo è, senza dubbio, anche un doveroso omaggio alla memoria delle nostre Tradizioni, che ci ha dato illuminati esempi di vita, di civiltà, di libertà, di prosperità, una Patria unita, un’Europa libera, e che propriamente e sicuramente le monarchie l’hanno rappresentata, la rappresentano e la rappresenteranno.

martedì 8 novembre 2011

I gioielli delle Regine d’Italia


Il diadema ed i gioielli indossati da Margherita, prima regina d’Italia, apparsi in alcune immagini del post precedente, hanno destato molta curiosità e Alessandro, un giovane lettore torinese, ci propone un articolo sulle gioie di casa reale.
Le gioie in dotazione alla real casa sono un gruppo di gioielli ufficiali utilizzati dalle regine di casa Savoia nelle cerimonie e negli eventi importanti. Furono smontati e riordinati per volere della prima sovrana d’Italia Margherita. Infatti per il suo matrimonio furono creati i primi pezzi che vennero integrati negli  anni fino alla creazione, per i 15 anni di matrimonio, del gran diadema nel 1883. Da questa data non furono più sottoposti a modifiche e il loro numero non fu più incrementato, come è dimostrato dall’inventario fatto dalla ditta Musy in quell’occasione e da quello effettuato nel 1946. questi gioielli, come quasi tutti quelli più importanti della famiglia, vennero ideati e creati dalla gioielleria Musy, fondata nel 1706 e attiva ancora oggi, ditta fornitrice di casa Savoia dalla metà del XVIII secolo. La sovrana era solita indossare molti gioielli contemporaneamente tanto da essere paragonata, più di volta, a unamadonna votiva nel giorno della processione.
Marghe2
La regina Margherita li portò fino al regicidio di Monza (29 luglio 1900), dopodiché  scrisse di suo pugno sotto l’elenco dei gioielli: “le Gioie della Corona sono state consegnate a Sua Maestà la regina Elena, mia nuora, il giorno 2 Agosto 1900 in Monza”.
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lunedì 7 novembre 2011

Unita' d'Italia: Firenze, mostra indaga su vita privata Vittorio Emanuele II

Firenze, 7 nov. - (Adnkronos) - 

Una mostra indaga la vita privata del re Vittorio Emanuele II e il rapporto tra i Savoia e Firenze nel periodo unitario. S'inaugura mercoledì' 9 novembre, alle ore 17.30, nella cornice di Villa Petraia a Castello, Firenze (ingresso da via della Petraia, 40) la mostra ''Le passioni del Re. 
Paesi, cavalli e altro a Firenze al tempo dei Savoia'', a cura di Mirella Branca e Annarita Caputo. Dopo i saluti della soprintendente al Polo Museale Cristina Acidini e della direttrice della Villa Medicea della Petraia Alessandra Griffo, si terranno il vernissage e la visita dell'esposizione, seguiti da un concerto a cura del Conservatorio Luigi Cherubini (ore 18.30).

La mostra, che si pone nell'ambito del 150° anniversario dell'Unita' d'Italia, indaga il rapporto avuto da Vittorio Emanuele II con Firenze tra il 1861 e il 1871 attraverso una accurata scelta di dipinti, fotografie, disegni, arredi e oggetti d'uso.

L'assetto sabaudo della Petraia, abitata da Rosa Vercellana, contessa di Mirafiore, ricordata come la ''Bella Rosina'' e solo dal 1869 moglie morganatica del re (non le furono riconosciuti i diritti e i titoli di regina), e' il punto di partenza per mettere a fuoco aspetti privati e passioni della vita di Vittorio Emanuele II re d'Italia.


sabato 5 novembre 2011

Ritratti della Famiglia Savoia. Una mostra a Bergamo


Mercoledì 9 novembre si inaugurerà la mostra «Ritratti della Famiglia Savoia dal Seicento al Settecento». L'appuntamento è alle 18 nella sala dell'Ex-Ateneo Piazza Reginaldo in Bergamo Alta.


L'esposizione nell'Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti, nella sala principale, ed è l'occasione per ripercorrere un'accattivante sequenza dei visi di alcuni dei personaggi – spesso effigiati con caustico realismo – che hanno costituito la genealogia aristocratica dei Savoia nei secoli XVII e XVIII, nel periodo della continua lotta con le potenze vicine, la Francia e gli Asburgo. 

Sarà possibile così riconoscere protagonisti celebri come Vittorio Amedeo II o Carlo Emanuele IV, insieme ad altri membri meno noti della dinastia sabauda che possiamo comunque spesso identificare grazie alle scritte presenti sui dipinti stessi e che troviamo rappresentati secondo canoni stabiliti dalla ufficialità dell'epoca, sul modello dei molti ritratti analoghi presenti ancor oggi nelle antiche residenze reali di Torino, realizzati da pittori di corte come Giorgio Domenico Dupra (1689-1770) o Giovanni Panealbo (1751-1819). 
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