NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 24 dicembre 2011

Ancora qualche alpino (?) dalle tre narici

Articolo di tipo Lettere al Direttore   pubblicato nel numero di Gennaio 2012 dell'Alpino

Con orrore vedo stampata su L’Alpino di Ottobre nella sezione incontri la foto di un gruppo di sottufficiali SMALP degli anni 1954/55 che sfoggiano un tricolore con lo stemma sabaudo.
Mi chiedo se il gruppo festoso ricorda che Casa Savoia è responsabile di aver mandato alla carneficina centinaia di migliaia di giovani soldati in ben due guerre mondiali, di aver favorito una dittatura e soprattutto dopo l’armistizio dell’otto settembre del ’43 di essere fuggita di notte abbandonando al proprio destino non solo l’esercito ma l’intera nazione… non vedo come alcune persone possano aver nostalgia di tale stemma e di tale dinastia.
Mauro Galbiati - Brescia


Confesso che le poche bandiere con lo stemma dei Savoia esposte a Torino in occasione della nostra Adunata non solo non mi hanno disturbato ma le ho trovate doverose. Dell’ultimo re, Umberto II, possiamo solo dire che se n’è andato in esilio con dignità. Su Vittorio Emanuele III, che nell’arco di meno di trent’anni ha dichiarato o avallato cinque guerre, di cui due mondiali con oltre un milione di militari Caduti, il giudizio lo hanno espresso gli italiani votando Repubblica. Ma Casa Savoia è stata determinante per l’Unità d’Italia. Non ho nostalgie monarchiche, come credo non le avessero gli “smalpini” che ti fanno orrore. La storia del nostro Paese, come del resto quella di ogni Paese del mondo, con luci e ombre e se vuoi più ombre che luci, non si cancella e, fatte salve le legittime riserve morali su inaccettabili comportamenti individuali o collettivi, non si giudica col senno di poi.


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http://www.ana.it/page/lo-stemma-sabaudo-2011-12-23

domenica 18 dicembre 2011

Aggiornato il sito dedicato a Re Umberto II

La prima parte di un lungo appassionato articolo uscito nel primo anniversario della morte di Re Vittorio Emanuele III, pubblicato nel 1948 su "Il Giornale d'Italia" dal Senatore del Regno Alberto Bergamini.
Articolo fornitoci in originale dal Nostro Ingegner Giglio. 


www.reumberto.it/bergamini48.htm

sabato 17 dicembre 2011

"IO LI HO VISTI": UMBERTO II DI SAVOIA

"IO LI HO VISTI": UMBERTO II DI SAVOIAMAGGIO 1946 : è in pieno fermento la campagna elettorale che deve portare alla Assemblea Costituente : ma molto più aspra è quella che nello stesso tempo si combatte per il “referendum” tra Monarchia e Repubblica... (Di Franco Clementi)


A Roma, nei comizi (tutti affollati per la rinascente passione civile), i partiti calano i loro carichi da undici ed io, quattordicenne ginnasiale, trovo interessante andare ad ascoltare questo e quello per farmi un’idea mia:
  • De Gasperi, dal linguaggio scarno ed essenziale, uomo così probo da essere rispettato non solo dai suoi nemici, ma perfino dai compagni di partito, cosa, quest’ultima, assai rara tra i democristiani;
  • Nenni, appassionato capo-popolo, cui in seguito molto sarà perdonato perché molto avrà amato i lavoratori;
  • Di Vittorio, Segretario C.G.I.L. (allora Sindacato unico) sanguigno, vibrante, scarmigliato, fisicamente l’esatto opposto del suo molto futuro successore, il cotonato Cofferati;
  • Ferruccio Parri, ex -Presidente del Consiglio, ribattezzato dagli avversari “Fessuccio Parmi”;
  • i Tre Moschettieri del Partito Liberale, Orlando, Nitti e Bonomi, tre vegliardi che per le iniziali del loro cognome, O.N.B., venivano chiamati “Opera Nazionale Balilla”;
  • Croce il filosofo e tanti altri, oggi tutti scomparsi.
Avviene tuttavia che nella mia mente di adolescente, invece di farsi chiaro al sentir tutti quei focosi pareri, sembra entrar una confusione ancora più grande, con cambiamenti di opinione improvvisi, vacillamenti, oscillazioni da scala Mercalli, incertezze e dubbi che renderebbero invidioso un Amleto.
Quasi alla vigilia delle elezioni vado con un amico ad un raduno di monarchici al Quirinale, dove è annunziata la presenza del Re.
Quando arrivo sulla piazza sono di umore fieramente repubblicano; Giuseppe Mazzini al mio confronto sembrerebbe un aspirante ciambellano di corte, mentre guardo beffardamente i convenuti filo-sabaudi intorno a me.

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http://www.intornotirano.it/notizie-tirano-e-provincia-di-sondrio/io-li-ho-visti-umberto-ii-di-savoia

mercoledì 14 dicembre 2011

La tela restaurata della “Carica dei Bersaglieri” di Michele Cammarano esposta al Museo del Risorgimento di Milano

Esposta sino ad ora soltanto alla Reggia di Venaria nel 2011 in occasione della mostra “La bella Italia. Arte e identità delle città capitali”, l’opera è stata di recente restaurata e può ora essere ammirata nelle sale di Palazzo Moriggia






L’esposizione del dipinto a Palazzo Moriggia si colloca nell’ambito delle manifestazioni promosse per celebrare il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. L’opera ritrae infatti la carica dei bersaglieri a Porta Pia, che, in schiera compatta e con eroico slancio, si apprestano ad aprire il varco che consentirà l’ingresso del regio esercito nella città di Roma, sottraendola al potere temporale del Papa e preparando la via alla nascita della nuova capitale del Regno.

Il dipinto, intitolato all’origine “Savoia Savoia”, venne commissionato direttamente da re Vittorio Emanuele II...
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http://www.mi-lorenteggio.com/news/15479

domenica 11 dicembre 2011

Maria Gabriella di Savoia e lo storico Aldo Mola ripercorrono l'Unità d'Italia ai Martedì Letterari

Prestigiosa chiusura per la rassegna autunnale de I Martedì Letterari dedicata all’Unità d'Italia, presenti la principessa Maria Gabriella di Savoia e lo storico Aldo Mola per la conferenza: "Nascita e affermazione della nuova Italia".
Durante l’incontro verrà presentato il volume di Aldo Mola"Italia. Un paese speciale. Storia del Risorgimento e dell’Unità."Introdurranno l’autore Vincenzo Costantini, Marcello Veneziani e Ito Ruscigni, curatore della  rassegna letteraria.

Introduzione all’Opera.
Lo scrittore Aldo Mola, noto autore di libri di storia italiana,  ricostruisce tutte le tappe dell’epopea risorgimentale, dall’età franco-napoleonica  al 17 marzo 1861, giorno della proclamazione del Regno d’Italia, e oltre. L’Unità d'Italia è un evento storico senza precedenti nella storia d’Europa. Nel 1848 otto stati, in gran parte sotto dominio straniero, occupavano il territorio italiano. Solo tredici anni dopo l'Italia sarà proclamata libera e indipendente, uno Stato con una lingua e un’identità proprie. A ripercorrerla oggi, quella storia, sembra un miracolo perché l’unificazione fu un’opera ciclopica, mai tentata nella storia dell’Occidente, eppure, gli italiani dell’Ottocento vi riuscirono, a differenza di tanti altri popoli europei in cerca di Stato. Per questo l’Italia è un Paese speciale. Con una Storia speciale. Per comprendere le ragioni profonde di un evento tanto eccezionale, Aldo Mola non si limita, come tradizionalmente avviene nelle opere di storia, a ricostruire gli eventi politico-militari, ma mira a definire anche le ragioni culturali che hanno portato alla nascita di un sentimento di identità nazionale. Non solo guerre, trattati e diplomazia, quindi, ma anche letteratura, editoria, musica, arte, scienza, canti popolari: un affresco inedito dell’Italia dell’Ottocento, popolato da una galleria di personaggi fondamentali per la creazione dello Stato unitario. Napoleone, Carlo Alberto, Mazzini, Cavour, Garibaldi, Pio IX, Vittorio Emanuele II, Francesco Giuseppe, Napoleone III, Manin, Radetzky, i Borbone, i Mille, ma anche Manzoni, Giusti, Carducci, Verdi, Mameli, D’Azeglio, De Sanctis. 

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http://www.imfromim.it/articoli/2011/12/09/11304/maria-gabriella-di-savoia-e-lo-storico-aldo-mola-ripercorrono-lunita-ditalia-ai-martedi-letterari

sabato 10 dicembre 2011

Il patrimonio privato di Casa Savoia. Ricostruire una memoria.

Il 14 dicembre 2011, alle 15,30, presso l’Archivio Centrale dello Stato si svolgerà un’incontro sul tema

“Il patrimonio privato di Casa Savoia. Ricostruire una memoria”.

L’iniziativa intende presentare l’archivio della Amministrazione del Patrimonio privato di Casa Savoia, recentemente acquisito dall’Archivio Centrale dello Stato, grazie alla volontà del proprietario ambasciatore Antonio Benedetto Spada che, dopo averlo salvaguardato da una probabile distruzione,  si è fatto carico della sua conservazione ed ora ha voluto affidarlo in custodia a questo Istituto.

Contemporaneamente saranno illustrate altri complessi documentari analoghi conservati presso gli archivi di Stato di Torino, di Napoli, presso lo stesso Archivio Centrale dello Stato e presso l’Istituto per la storia del Risorgimento di Roma in un percorso che mira alla ricostruzione ideale degli archivi Savoia riguardanti il patrimonio privato della famiglia.

L’ingente documentazione dell’archivio della Amministrazione del Patrimonio privato di Casa Savoia è una fonte preziosa che consente la ricostruzione delle vicende attinenti il patrimonio privato di Casa Savoia dagli ultimi trent’anni dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento. Libri mastri, bilanci, rendiconti, inventari dei beni, contratti di acquisto e di vendita, carte relativi a lavori edilizi e agrari, planimetrie, protocolli, rubriche e indirizzari “raccontano” la storia quotidiana del Castello di Racconigi, del Castello di Sarre, del Castello di Pollenzo, della tenuta di Sant’Anna di Valdieri, di Villa Savoia, della abbazia di Hautecombe e della villa della regina Margherita a Bordighera e di diversi altri possedimenti della famiglia reale: dalla gestione delle relative aziende agricole ai rapporti con i coloni, dai lavori di restauro ai lavori stradali e di bonifica, dall’acquisto di piante e attrezzi agli affitti e alle vendite. Gli inventari dei beni mobili, dagli arredi alle suppellettili di cucina, dalle porcellane alle miniature e alle sculture, dalle liste di biancheria, tessuti, merletti agli oggetti preziosi e agli oggetti d’arte consentono la ricostruzione di usanze, ambienti e stili di vita.

Il confronto e l’integrazione tra i diversi fondi archivistici contribuiranno a dimostrare ancora una volta come la ricerca storica debba confrontarsi non solo con una molteplicità di fonti, ma anche con gli eventi storici che talvolta ne hanno causato la dispersione in sedi diverse.
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Archivio Centrale dello Stato ׀ P.le degli Archivi, 27 - 00144 Roma


mercoledì 7 dicembre 2011

L’ORDINE SUPREMO DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA



FRA TRADIZIONE E PROGRESSO
di Gianluigi Chiaserotti

 

L’origine dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, riconosciuto per il più antico tra i suoi consimili, ci viene tramandato dagli storici sotto il nome della “Collana d’Oro” o “dell’Anello”, con il qual i re insignivano i loro vassalli.
Si parla di questi simboli – collana ed anello – di già dai tempi dei faraoni in Egitto; scrive Giuseppe, storico delle antichità giudaiche: “(…) e Faraone si trasse il suo anello di mano, e lo mise a Giuseppe, e lo fece vestir di vesti di bisso, e gli mise una collana d’oro al collo”.
Ciò dimostra che gli ordini cavallereschi ascendono ad epoca alquanto remota.
Al sorgere dei primi legislatori, furono distribuite insegne di ordini in premio a coloro che avessero compiuto alte azioni morali e materiali.
Con la venuta di Gesù Cristo, e dopo l’era volgare, il primo fondatore di ordini equestri fu l’imperatore Costantino (285-337). Narra la leggenda che, prima della battaglia combattuta con Massenzio, Costantino udisse, nella notte, una voce misteriosa consigliarlo di ornare gli stendardi imperiali con la croce del Redentore. La notte seguente Gesù Cristo apparve agli occhi dell’imperatore stesso, ancora dubbioso sulla scelta di una religione: il Messia lo esortava a marciare con fede sotto il segno celeste della Croce. Svegliatosi, all’alba, Costantino, senza alcun indugio, ordinò che i labari venissero sormontati dal monogramma di Cristo con le tradizionali parole:
In hoc signo vinces
Affrontate, quindi, le milizie nemiche, le respinse vittoriosamente e le disperse, e entrò in Roma, ove, in punto di morte e molti anni dopo, fu battezzato dal Papa San Silvestro (Silvestro, romano, 314-335). Questo episodio storico è brillantemente raffigurato nell’affresco denominato “Leggenda della vera Croce” di Piero della Francesca (Sansepolcro 1415/20-1492), conservato nella Chiesa di San Francesco in Arezzo e recentemente restaurato.
Altri fatti vittoriosi e gloriosi si ebbero in quel tempo, anche perché apparve, quale incitamento, la figura di San Giorgio, il mitico cavaliere della Cappadocia che sconfisse il drago, e in suo onore sorse l’Ordine dei Cavalieri di San Giorgio, composto di cinquanta cavalieri valorosi. L’imperatore Costantino ne fu il Gran Maestro: dignità che trasmise a tutti i di lui discendenti.
Nel Medio-Evo, con il flusso di un gran numero di pellegrini verso Gerusalemme, vennero istituiti ordini religioso-cavallereschi al fine di assistere ed eventualmente proteggere quanti si recavano nei luoghi santi. Alcuni di essi acquisirono grande prestigio e potenza divenendo dei veri e proprii stati sovrani, e sappiamo quali sono: l’Ordine di Malta, l’Ordine di San Lazzaro, che poi si unificò con quello sabaudo di San Maurizio, l’Ordine Teutonico. Ebbero quindi una funzione importantissima specie nel corso delle Crociate in Palestina, nella Penisola Iberica e nell’est Europeo.
Successivamente divenne abbastanza frequente che nel proprio castello un cavaliere, a volte conte o duca sovrano, riunisse amici costituendo una “compagnia” con intenti religiosi, cavallereschi o anche solo galanti. Spesso ne scaturiva l’impegno di recarsi, quali crociati, a combattere gli infedeli. Il più delle volte tutto finiva lì e, tornati alle proprie case, agli impegni di ogni giorno, la “compagnia” si scioglieva senza lasciar traccia di sé.
Passiamo alla contea sabauda.
La corte dei conti di Savoia era una delle più eloquenti quanto a nobiltà e spirito di cavalleria.
Nel  secolo XII dichiarare guerra al proprio vicino era un facile diritto e quindi le terre della nostra Penisola erano continuamente percorse di soldati e di suoni di battaglia.
Durante i periodi di pace quei principi agguerriti non cessavano mai di prepararsi ad affrontare nuove guerre e periodicamente essi trovavano svago in gare cavalleresche o nelle partite di caccia. Erano le c.d. “giostre” o “tornei”. I cavalieri ardenti di sentimento e d’amore verso la dama preferita, si guadagnavano il di lei affetto, non sospirando mollemente a’ suoi piedi, ma affrontando coraggiosamente un’impresa di sangue e di morte.
Ma codeste gare furono messe al bando dalla Santa Sede, perché pericolose.
Quindi, nel secolo XIV, “la giostra, il passo d’armi, la quintana, la corsa all’anello” divennero spettacoli praticamente di galanteria. In Chambéry, in Rumilly, in Bourg-en-Bresse, ed in Portt d’Ain, le gare si succedevano affermando sempre di più il nome dei Savoia e dei conti di Ginevra.
Regnava sulla Contea, Amedeo VI (1334-1383), principe generoso e cavalleresco, più volte vincitore delle compagnie di ventura, famoso per il di lui coraggio e per aver aggiunto ai suoi domini il Fossigny ed acquistato nuovamente il paese di Vaud, il quale, nel 1350, in occasione delle nozze di Bianca di Savoia (1336-1387), sorella del Conte, con Galeazzo II Visconti  (1320-1378), conte di Ginevra, inaugurò una giostra dove i competitori presero il nome di “cavalieri del Cigno Nero”.
Questo torneo originò la credenza di un ordine sabaudo detto della “compagnia del Cigno Nero”, ma in realtà questo non è mai esistito.
Più tardi, Amedeo VI partecipò, unitamente ad altri cavalieri, ad un torneo a Bourg-en-Bresse; essi si dissero “Cavalieri Verdi” - in quanto indossavano costumi in prevalenza verdi – e da ciò ne è scaturito il soprannome, tramandato sino ai giorni nostri, di Amedeo “Il Conte Verde”.
Anche l’impresa del “Collier de Savoie”, trova la sua origine da una giostra celebrata dal Amedeo VI a Chambéry, nell’anno 1361, al fine di festeggiare il ricordo della vittoria riportata contro Federico II, Marchese di Saluzzo. Questo nuovo torneo risulta essenzialmente un’impresa d’amore.
Il Conte sabaudo, nel 1362, dispose quindi che venissero eseguiti, in Avignone, quindici collari d’argento dorati, intrecciati di nodi d’amore e di rose, con inciso il motto “F.E.R.T.”. Il “Conte Verde” distribuì personalmente  le insegne tra i cavalieri che componevano la giostra e si proclamò primo cavaliere del Collare. Amedeo, quel giorno portava i lacci d’amore e dedicava l’impresa ai begli occhi di una dama della sua corte, rivolgendo all’amata le seguenti parole: “io, il vincitore in campo aperto del Marchese di Saluzzo, sono stato vinto dalla vostra beltà e sono pronto a fare quanto volete purchè ciò possa piacervi”.
I lacci d’amore, il collare di nostra dama, la parola “F.E.R.T.” formavano un’unica divisa dei cavalieri partecipanti all’impresa ed ognuno veniva incatenato alla sua dama per mezzo dei nodi d’amore, ed il fedele cavaliere per essa era disposto a sopportare ogni dolore ed ogni pena.
Ma i primi statuti dell’Ordine, lasciati dal “Conte Verde”, andarono smarriti.
Si conobbero, invece, quelli istituiti da Amedeo VIII (1383-1451) nel 1409. Ecco perché, da parte di alcuni storici, sorse la credenza che l’Ordine, creato e fondato da Amedeo VI, avesse avuto un carattere religioso e politico, conforme all’interpretazione data dagli statuti del mistico Amedeo VIII, detto “il Pacifico”.
Secondo codesto Duca, “Notre Dame”, non fu la dama prescelta dal cavaliere, ma bensì la Santa Vergine ed i quindici cavalieri, i quindici misteri del Santo Rosario (o allegrezze di Maria). Fu quindi un lavoro di adattamento per spogliare, oseremo dire, l’Ordine della primitiva profanità.
Nel testamento del  “Conte Verde”, si disse di edificare la Certosa di Pierre-Chatel, destinata ad essere la chiesa dell’Ordine. Codesta la si ultimò il 23 settembre 1393, e fu retta da quindici frati certosini, i quali celebravano quindici messe al giorno in onore dei quindici cavalieri, delle allegrezze della Madonna e per onorare la pace dei cavalieri defunti. Questo fu un fatto fondamentale per l’attribuzione delle origini dell’Ordine, e su ciò si basò Amedeo VIII per darne gli statuti, “dati” in Chatillon en Dombes il 30 maggio 1409. Essi erano composti di quindici capitoli, nei quali il Duca Sabaudo elenca i doveri, le finalità, lo spirito religioso dell’Ordine. E’ lo storico piemontese, Luigi Cibrario (1802-1870), che riesce a dare una data notarile, cioè certa, a codesti Statuti.
Sin d’ora abbiamo visto le origini storiche dell’Ordine, il quale, quanto ad importanza, è pari all’Ordine della Giarrettiera inglese, fondato (1355) da Edoardo III (1312-1377), ed all’Ordine austro-spagnolo del Toson d’Oro, fondato (1431) dal Duca di Borgogna Filippo il Buono (1396-1467).
Vediamo le sostanziali riforme fino ai nostri giorni.
Lo stesso Amedeo VIII, con gli statuti concessi il 13 gennaio 1434, aggiunse altri cinque nuovi capitoli.
Il Duca Carlo III detto “Il Buono” (1486-1553), nel 1518, fece varie modifiche: aumentò di cinque il numero dei cavalieri, in memoria, sembra, delle cinque piaghe di Gesù Cristo. Poi, nel vuoto pendente formato dai nodi d’amore, vi fece introdurre l’immagine dell’Annunciazione, e quindi l’Ordine fu definitivamente chiamato “Ordine Supremo della Santissima Annunziata”.
Fu stabilito anche il cerimoniale dell’Ordine, e ciò ad imitazione di quello della corte di Borgogna per quello del Toson d’Oro.
Fu altresì istituito un Cancelliere, un Segretario, un Cerimoniere ed un Tesoriere.
Si deputò all’Ordine un Araldo il quale prese l’appellativo di “Bonnes Nouvelles”.
Fu quindi prescritto per i cavalieri un manto di velluto chermisino.
Il Duca Emanuele Filiberto (1528-1580), figlio del precedente, comprendendo l’importanza dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, si prodigò al fine di promulgare nuove riforme, anche perché riconobbe l’utilità di quella compagnia cavalleresca (riforme promulgate tra il 1570 ed il 1577).
Innanzitutto il Duca di Savoia cambiò il colore del mantello da chermisino in azzurro, colore, tra l’altro, del sacro vessillo che il “Conte Verde” portava in battaglia, bandiera della devozione che recava l’immagine di Maria disegnata su un campo disseminato di stelle. Colore, come sappiamo, il quale divenne dei Savoia e quindi dell’Italia. E’ il colore anche della sciarpa che portano tuttora a tracolla gli ufficiali in alta uniforme. Sciarpa che, anni or sono, han cercato di far abolire poiché “poteva” ricordare il regno, la monarchia sabauda, ma senza minimamente pensare alle sue origini, cioè al colore, e da sempre della Madonna!
Sotto il regno di Carlo Emanuele II (1634-1675), il manto dei cavalieri cambiò colore: divenne amaranto. Esso era orlato intorno con ricami aurei e fiamme, portava i soliti simbolici nodi ed il motto “F.E.R.T.”. I cavalieri della Santissima Annunziata erano quasi sempre insigniti dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, per cui fu introdotta la consuetudine di vestire la clamide color sangue di detto Ordine, e su quella veste veniva posto il collare dell’Annunziata.
E’ di regola tutt’oggi che quando un candidato non ha nessuna decorazione di un ordine cavalleresco, il Sovrano Gran Maestro, prima di conferirgli il supremo Collare, lo crea cavaliere toccandolo con la spada di San Maurizio, e fa seguire all’atto le parole: “Io vi creo Cavaliere in nome di San Maurizio”. Infatti i cavalieri dell’Annunziata sono anche “de jure” cavalieri di gran croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Tutte le volte che il Re convocava i cavalieri dell’Annunziata, essi si adunavano in consiglio, che prendeva il nome di capitolo. Si dicevano riuniti in Cappella in occasione di Sante Messe, e delle ricorrenze del Santo Sudario, di San Maurizio, dei Santi Martiri e dell’Annunciazione.
In occasione del battesimo dei Principi Reali, si riunivano in Cappella straordinaria.
Chiesa dell’ordine non era più la Certosa di Pierre-Chatel. Divenne, quindi, l’eremo dei Camaldolesi sulle colline torinesi. Ma la Rivoluzione Francese soppresse quest’Ordine.
Con Carta Reale del 15 marzo 1840, il Re Carlo Alberto (1798-1849) dichiarò cappella dell’Ordine la Certosa di Collegno, sepolcreto anche dei cavalieri. Quando, poscia, la detta Certosa divenne un manicomio, l’Ordine ebbe quale sua cappella la Palatina di Torino.
Per cinque secoli codesta suprema onorificenza venne conferita esclusivamente ad uomini di provata nobiltà e veniva attribuito loro il titolo di “Cugino del Re”.
Fu il medesimo Re Carlo Alberto a spezzare le rigide tradizioni dell’Ordine, concedendo la collana anche a coloro che avessero prestato dei particolari servigi allo Stato, senza tener conto della loro discendenza.
Disse il Re: “In verità, non sarà colpa mia se il collare dell’Annunziata e le altre cariche saranno date ai borghesi, poiché al merito e non all’ambizione è dovuta la ricompensa”. Notate, il Re scrive “al merito”!!
 Il primo, senza ascendenze nobiliari a meritarsi il Collare dell’Annunziata fu Luigi Carlo Farini (1812-1866), dittatore dell’Emilia Romagna ed insignito, unitamente a Bettino Ricasoli (1809-1880), il 22 marzo 1860 quale nomina n. 513. Questo fatto dimostra chiaramente il profondo distacco delle nuove idee dalle vecchie: erano mutate le condizioni dei tempi ed il Re Vittorio Emanuele II (1820-1878), dopo l’avvenuta costituzione del Regno d’Italia, riconobbe come degni della suprema onorificenza i titolari delle alte cariche militari e civili ed introdusse la riforma degli statuti con Carta Reale 3 giugno 1869.
Con questo decreto, gli Ufficiali dell’Ordine furono ridotti a due: Segretario e Maestro delle Cerimonie; l’uno per il Ministro degli Esteri e l’altro per il Primo Elemosiniere del Re.
Ma con Decreto 7 aprile 1889 n. 6050, il Re Umberto I (1844-1900) conferì al Presidente del Consiglio dei Ministri la carica di Segretario dell’Ordine, fermo restando che esso rimaneva e rimane ordine dinastico.
Il Re Vittorio Emanuele III (1869-1947), con Regio Decreto 14 marzo 1924, modificava l’articolo 1 della Carta Reale 3 giugno 1869, disponendo che, nel novero dei venti cavalieri, non si contassero: oltre al Capo e Sovrano, il Principe Ereditario, i principi parenti del Re in linea paterna fino al quarto grado incluso, e come prima, gli ecclesiastici e gli stranieri.
Poco dopo, con Regio Decreto 4 maggio 1924 n. 899, veniva istituito ed autorizzato l’uso di uno speciale nastrino di riconoscimento per i cavalieri della Santissima Annunziata, quando essi non facevano uso delle collane.
La legge 30 marzo 1951, n. 178, della Repubblica Italiana, all’articolo 9 ha dichiarato: “L’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppressi”. In precedenza, numerosi ed illustri giuristi ed esperti di materie cavalleresche avevano fatto pervenire alla Commissione Affari della Presidenza del Consiglio (che studiava il disegno di legge) esaurienti memoriali storico-giuridici, dimostranti in modo limpido ed inequivocabile che l’Ordine Supremo della Santissima Annunziata era “dinastico” e non “statuale” (anche se, come abbiamo visto, dal 1860 al 1946 la dignità di Gran Maestro era stata concentrata nella persona del Re) e quindi non poteva essere oggetto di decisione da parte della Repubblica Italiana, per difetto di giurisdizione.
Ma la Commissione non diede alcun peso ai memoriali, né alle documentate pubblicazioni di eminenti professori universitari (Cansacchi, Nasalli Rocca ed altri). E portò al Parlamento la proposta di legge, che fu approvata. Il Gorino Causa, professore incaricato di Diritto Canonico nella Università di Torino, scrisse che la Repubblica Italiana “non poteva sopprimere né modificare gli Ordini della SS. Annunziata e Mauriziano per carenza di poteri sovrani nella materia”. D’altronde il parere dei più illustri esperti, non mai contestato, è che le case già sovrane (Hohenzollern, Romanoff, Absburgo, Borbone di Francia e Borbone delle Due Sicilie) conservino il magistero dei loro Ordini dinastici anche in esilio.
Nel merito infine, l’”Enciclopedia Forense” diretta da  Gaetano Azzariti, Ernesto Battaglini e Francesco Santoro Passatelli, scrive che l’Ordine “fu soppresso dalla Repubblica (…) con errore storico, non essendo mai stato abrogato l’art. 1 dello Statuto del 1570 che ne fa Ordine di famiglia e gentilizio della Casa di Savoia”. 
Vittorio Emanuele di Savoia (1937- ), attuale Gran Maestro dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, con Decreto Magistrale “Motu Proprio” in data 11 giugno 1985, ha rivisto gli statuti relativamente art. 3.
Gli statuti Li ha poi ulteriormente rivisti in data 10 ottobre 1997, relativamente all’art. 1 inserendo quali categorie da escludere nel novero dei venti cavalieri anche i Capi di Stato, i membri delle Case Regnanti o già regnanti, e nuovamente all’art. 3.
Le collane sono così distribuite: quelle storiche, cioè le venti (precisamente sono diciannove) dei cavalieri italiani, sono grandi e devono essere restituite al Gran Maestro, che ne è solo il depositario. Agli eredi resta una collana piccola che ciascun insignito puo’ farsi creare per proprio conto. Alle altre categorie di insigniti, viene consegnata una collana piccola che resta di loro proprietà e dei loro eredi.
E’ interessante rilevare che l’insignito italiano puo’ scegliere la collana tra quelle disponibili, che sono numerate. La n. 1 la scelse il conte Dino Grandi (1895-1988), che a sua volta fu di Luigi Carlo Farini e di Giovanni Giolitti (1842-1928); Ivanoe Bonomi (1873-1951) scelse la n. 12, che fu di Agostino Depretis (1813-1887); Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952) scelse la n. 14, che fu di Antonio Starabba, marchese di Rudinì (1839-1908)  e che poi sarebbe stata di Falcone Lucifero (1898-1997).
Il Principe di Piemonte e di Venezia, Emanuele Filiberto di Savoia (1972- ) ha la collana che fu di un suo grande omonimo, il Duca Emanuele Filiberto di Savoia “Testa di Ferro”.
Più volte si è accennato al motto dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata e della Real Casa di Savoia, cioè “F.E.R.T.”.
Vediamo alcune delle sue svariate interpretazioni. Per nostra comodità abbiamo operato una scelta, tra le centinaia, e precisamente quella più consona all’araldica ed alla storiografia del Casato, ma, indubbiamente, l’interpretazione del motto resta un vero e proprio enigma insoluto.
La prima è quella più tradizionale, e cioè: “Fortitudo eius Rhodum tenuit”, “il suo valore conservò Rodi”. Con essa si fa riferimento all’impresa del conte Amedeo V di Savoia (1249-1323), recatosi nell’isola di Rodi in aiuto dei cavalieri gerosolimitani contro i Turchi. Abbiamo visto che Amedeo VI, suo nipote, creò l’Ordine e non è da sottovalutare che lo creò anche per l’ispirazione mariana che illuminò le Crociate. La presente interpretazione del motto “F.E.R.T.” la ritroviamo anche nello stendardo delle c.d. “Guardie del corpo” (gli antenati dei corazzieri) del re Carlo Felice (1765-1831) e cioè al centro vi era ricamata l’Annunciazione entro il Collare dell’Annunziata e sopra la fascia svolazzante la scritta  “Fortitudo eius Rhodum tenuit”, il tutto in campo azzurro.
L’interpretazione “Foedere et religione tenemur”, “siamo vincolati da un patto e da una fede” è dovuta al ritrovamento di codesta frase su di un doppione aureo coniato sotto il regno di Vittorio Amedeo I (1557-1637), e potrebbe significare l’unione (vincolo) vigente tra i cavalieri dell’Annunziata, i quali giuravano (ecco il patto e la fede) all’atto in cui ne venivano creati.
Filibertus Emmanuel Rex Taurinorum”, anche questo trovato su di una moneta relativo al regno del  “Testa di Ferro”.
Si pensa anche a “Foemina erit ruina Tua”, “la donna sarà la tua rovina”, riferendosi all’ammonimento con il quale il beato Sebastiano Valfrè (1629-1710), confessore del Re Vittorio Amedeo II (1666-1632), richiamava il suo real penitente, noto amatore.
Finora abbiam visto delle interpretazioni che considerano il motto quale un acronimo, vediamo quelle che lo considerano nel suo complesso lessicale.
Innanzitutto come abbreviazione di “ferté” o “ferto”: la prima come voce lessicale dell’antico francese per “fermezza”; la seconda dal latino mediovale “ferto- onis” o “fertum”, od anche “ferdonum”.
Il “ferto” sarebbe quell’unità ponderale che corrispondeva alla quarta parte del marco, o moneta di conto del valore medesimo; interpretazioni, però, che non si rifanno alle origini cavalleresche dell’Ordine del Collare. E’ quindi più attendibile, ma ancora non dimostrabile, invece, che “F.E.R.T.” sia l’imperativo presente del verbo latino “fero”, inteso come “sopporta”. Infatti, essendo il Collare adornato di nodi, ciò puo’ significare l’impegno, per il carattere cavalleresco-amoroso che ebbe l’Ordine, del cavaliere che deve “sopportare” sia i nodi d’amore per la di lui dama, sia, quando assume carattere religioso-militare,  “sopportare” ogni cosa per devozione ed in onore della Madonna (“fert crucem”). Infine citiamo il Cibrario, il quale scrive: “(…) è l’abbreviazione dialettica di “fortitudo”, “saint fert”, la “Fertè”, nomi di luoghi voltatisi in latino per “fortitudo”.
Dunque “F.E.R.T.” del Collare dell’Annunziata ad interpretarlo da solo, potrebbe significare “fortitudo”, cioè “valore”.

Pietra Ligure: la Guardia d’Onore all’inaugurazione di piazza Vittorio Emanuele II

Pietra L. L’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon – delegazione provinciale di Savona – parteciperà alla cerimonia di inaugurazione di una piazza intitolata a Vittorio Emanuele II, che si svolgerà giovedì 8 dicembre nella città Pietra Ligure.

“Il nostro Istituto – afferma il vice delegato Fabrizio Marabello – è la più antica Associazione Combattentistica e d’Arma d’Italia fondata nel 1878 con la denominazione di Comizio dei Veterani delle Guerre d’Indipendenza per l’Unità d’Italia ed è custode dell’Unità Nazionale e delle tradizioni militari della Patria; si propone di fornire con i propri iscritti una Guardia d’Onore alle Tombe dei nostri Sovrani quale tributo di riconoscenza per l’Augusta Casa Savoia che portò all’unità e alla grandezza dell’Italia”.
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http://www.ivg.it/2011/12/pietra-la-guardia-donore-allinaugurazione-di-piazza-vittorio-emanuele-ii/

lunedì 5 dicembre 2011

Magari....

Presto in Italia cambio di forma di stato da repubblica a monarchia parlamentare se vuole salvarsi dalla bancarotta




Una delle profezie di Padre Pio, il Santo da Pietrelcina venerato e pregato da milioni di fedeli in tutto il mondo, riguardante la restaurazione della Monarchia in Italia.


Che il Santo da Pietralcina avesse simpatie monarchiche e che avesse davvero profetizzato il ritorno in Italia della Monarchia è fatto accertato e conosciuto, anche se quasi totalmente sottaciuto da almeno vent’anni. Veniamo ai fatti riportati.


Durante l’esilio ginevrino, la Regina Maria Josè, moglie di Re Umberto II, tenne una corrispondenza con il santo, che la consolava delle sofferenze patite all’estero a causa della lontananza forzata dall’Italia che le era stata imposta.


Su una lettera indirizzata alla Regina, il Santo scrive: “Maestà, la Monarchia tornerà in Italia, e un suo parente diventerà Re”.


A molti sembrerà incredibile, eppure il santo già aveva dato una amara previsione alla stessa Maria Josè, e questa, puntualmente, come aveva avvertito il santo si realizzò.


Sul finire degli anni trenta la Regina si recò in pellegrinaggio a fargli visita e il Santo la sorprese, profetizzandole la fine della Monarchia di li a poco e avvertendola di stare pronta, perché non avrebbe avuto quasi neanche il tempo di accorgersene per la velocità con cui si sarebbero susseguiti gli eventi, che come si sa la avrebbero destinata all’esilio.


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http://www.romanotizie.it/page.php?page=topic&id_article=14882&id_forum=5956&id_mot=

sabato 3 dicembre 2011

Il vescovo spiega il significato della beatificazione del giovane religioso ucciso dai partigiani


Il seminarista che si fece uccidere per non togliersi la talare

Da Fatti Sentire 
di Andrea Zambrano

REGGIO EMILIA (16 novembre 2011) - "Il martirio di Rolando Rivi riscrive la storia. Quella storia nella quale tanta parte di cultura cattolica ha preferito non entrare". Il vescovo di San Marino monsignor Luigi Negri spiega in questa intervista esclusiva il significato dell’ormai imminente beatificazione del seminarista di Castellarano, ucciso il 13 aprile 1945 a soli 14 anni in odium fidei da due partigiani comunisti. 70 anni, milanese, allievo di don Giussani, monsignor Negri conserva ancora una caratterstica fondamentale oggi per l’uomo di Chiesa: la chiarezza, senza se e senza ma. E nel suo ruolo di presidente del Comitato Amici di Rolando Rivi, che da 6 anni promuove la causa di beatificazione del seminarista di San Valentino, parla di Rolando come di un martire, il cui sacrificio è in grado di dare verità storica ad una pagina oscura della nostra storia. Un martirio che arriva agli onori degli altari dopo decenni di oblio, con un ricordo coltivato negli anni bui del dopoguerra soltanto in ambito familiare, ma che col tempo si è trasformato in una vera e propria devozione e che farà di Rolando Rivi non solo il primo beato di Reggio dopo 500 anni e il primo seminarista di un seminario minore diocesano dichiarato beato. Ma soprattutto il primo martire ucciso per mano della violenza partigiana comunista che la Chiesa riconosce beato. Un modo per ribadire che in quegli anni si moriva in odio alla fede e, da parte della Chiesa, certificare che in quegli anni era in atto una sistematica violenza messa in campo per debellare i cristiani. Ecco perché con la sua beatificazione, è come se in un certo senso, la Chiesa riconoscesse il martirio dei tanti sacerdoti uccisi dalla violenza della guerra civile, soprattutto nel Triangolo della morte. Intervistiamo monsignor Negri all’indomani la notizia, data dal comitato, che la causa di beatificazione presso la Congregazione per le cause dei Santi, è uscita dal limbo dell’indeterminatezza per entrare in quella delle date certe.

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http://blog.messainlatino.it/2011/12/il-vescovo-negri-il-vescovo-spiega-il.html

mercoledì 30 novembre 2011

Napoli, i monarchici ricordano la Regina della Carità

9/11/2011, ore 16:10 - 

Ieri in tutta Italia ed all'estero è stato ricordato l'anniversario del richiamo a Dio in esilio di Elena del Montenegro, Principessa di Napoli e seconda Regina d'Italia. A Napoli, una S. Messa di suffragio è stata presieduta nella Reale e Pontificia Basilica di S. Francesco da Paola dal Rettore, Padre Damiano La Rosa, che ha voluta ricordarLa, durante l'omelia come donna umile, pronta ad aiutare quanti erano in difficoltà, con sollecitune cristiana aprì, infatti, le porte del Quirinale per i soldati feriti, aiutò i terremotati e quale esempio di sposa fedele seguì il marito in esilio nel 1946. Dopo la S.Messa è stato consegnato il quadro commemorativo, al Rev. Parroco, creato nell'ambito delle celebrazioni dei 150 anni della proclamazione del Regno d'Italia. 
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lunedì 28 novembre 2011

Celebrazione del 150° Anniversario dell’unità d’Italia,1861-2011

L’eclatante evento Celebrato a Boston  nello Stato del Massachusetts, oltre ad altre attivita’ culturali, alla Galileo Legacy Foundation, la promozione e l’organizzazione della lunga serie di Conferenze “L’Italia dal Risorgimento e la nascita della Nazione”.

Infatti, il ciclo di Conferenze, volge al termine con l’ultima  e X Conferenza programmata per il giorno 28 novembre del corrente anno alle ore 7:30 p.m., presso la Biblioteca Pubblica, località di Burlington, Massachusetts. Allo stesso tempo, e’ doveroso motivare le ragioni che ha spinto la Galileo Legacy Foundation, che e‘un’ente privato “not profit organization”che opera negli Stati Uniti su basi strettamente legate alla cultura ed alla scienza con un’identita’ dalle connotazioni italiane, italo-americane ed americane e soprattutto mirata al volontariato, ma allo stesso tempo assume una sua internazionalità con un ruolo previlegiato come ponte di unione nell’ interesse dell’Italia e degli Stati Uniti.

L’eclatante evento del 150° dell’unita’ d’Italia, la Galileo legacy Foundation, ha ritenuto logico ed opportuno coinvolgersi nella celebrazione di tale evento storico geopolitico dell’ Italia con l’iniziativa di una particolare attività culturale che illustrasse a coloro che sono interessati alla Storia come e perché dopo molti secoli, nacque il 17 Marzo 1861, uno Stato Unitario. Con un suo territorio naturale nel bel mezzo del Mare Mediterraneo, che i romani lo chiamarono imperativamente “Mare Nostrum”.

La nascita della Nazione Italiana e’ attribuibile con la dovuta riconoscenza all’allora Regno di Sardegna, che prima d’intraprendere l’avventura difficile e pericolosa, tale Regno si conquisto’ il ruolo di una grande nazione per avere partecipato alla Guerra di Crimea merito attribuibile al Conte Benso di Cavour che ne interpreto’ con abilita’ il ruolo politico, diplomatico e quando fu necessario anche l’Esercito Piemontese con l’onore delle armi.
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giovedì 24 novembre 2011

La Regina Elena sul sito dedicato a Re Umberto II

Una nuovo "colloquio" con il Re in esilio di Camilla Cederna pubblicato pochi giorni prima della morte della Regina Elena a Montpellier. 


Sul sito dedicato a Re Umberto II nel 59° anniversario della scomparsa della Regina. 


http://www.reumberto.it/cederna52.htm

martedì 22 novembre 2011

Riapre la Palazzina di Caccia di Stupinigi

Era chiusa dal 2006, anno in cui sono ripresi in maniera più massiccia – consolidamento della staticità, rinnovamento dell’impiantistica – i lavori di restauro progettati e diretti, su coordinamento di Mario Verdun, da Roberto Gabetti (fino al 2000), Aimaro Isola (Isolarchitetti), Studio Momo, in collaborazione le soprintendenze competenti. La Palazzina di Caccia di Stupinigi ha finalmente riaperto i battenti, perlomeno il primo lotto di questa settecentesca residenza dei Savoia dedicata a partire dagli Anni Venti del Novecento al Museo dell’Ammobiliamento. Iniziati nel 1986, i restauri hanno ora portato alla luce l’ala di Levante, dalla scuderia juvarriana al Salone Centrale, fino all’Appartamento del Duca di Chiablese, completamente riarredato dopo il ritrovamento e il restauro, da parte della Compagnia di San Paolo, dei mobili rubati nel 2004.

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IN MOSTRA "IL QUIRINALE. DALL'UNITA' D'ITALIA AI NOSTRI GIORNI"

(AGI) - Roma -  Al Quirinale dal 30 novembre la mostra "Il Quirinale. Dall'Unita' d'Italia ai nostri giorni". 

Il 150° anniversario dell'Unificazione nazionale ha rappresentato l'occasione per un approfondimento storiografico e una riflessione sulle vicende storico-politiche e istituzionali che hanno segnato l'evoluzione dello Stato italiano. 


Il Palazzo del Quirinale costituisce l'espressione simbolica di un percorso complesso, che ha posto l'Unita' nazionale di fronte a prove durissime e a momenti di grave crisi, ma anche a significativi momenti di consolidamento dello Stato: edificato dai papi nel 1583, e' diventato nel 1870 residenza dei sovrani d'Italia e dal 1 gennaio 1948 e' sede della Presidenza della Repubblica. 


Il filo conduttore della mostra e' costituito dalla funzione di rappresentanza dell'Unita' nazionale che lo Statuto Albertino prima e soprattutto la Costituzione poi hanno conferito al Capo dello Stato, e dal modo in cui tale funzione e' stata interpretata e attuata dalle diverse personalita' che hanno ricoperto la piu' alta carica istituzionale della nazione. 

La mostra intende, da una parte, illustrare il patrimonio artistico, la politica di costante acquisizione di opere d'arte da parte dei sovrani di casa Savoia, e il successivo impegno dei Presidenti della Repubblica volto allo studio, al restauro, alla scoperta, alla gestione degli edifici, dei giardini e dei tesori d'arte custoditi nel Palazzo. 

Dall'altra, sotto il profilo storico-istituzionale, la riflessione parte dal ruolo svolto dai Savoia (e dalle consorti dei sovrani, in particolare dalla regina Margherita alla quale e' dedicata un'apposita sezione relativa alla sua Biblioteca conservata presso il Quirinale) per poi approfondire l'attività dei Presidenti della Repubblica.
Verranno, dunque, presentati materiali e opere del Quirinale - quadri, libri e oggetti d'arte -, documenti di archivio e quotidiani, con largo uso di fotografie, registrazioni sonore e riprese cinematografiche e televisive.
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http://www.agi.it/-appunti-darte/xx-mese-200x/notizie/titolo-dellarticolo205

IL REGNO DI SPAGNA FRA TRADIZIONE E PROGRESSO



Don Juan Carlos Víctor Maria de Borbón y Borbón nacque in Roma – ove la famiglia reale si trovava in esilio (in una casa sul Viale dei Parioli nei pressi di Piazza Santiago del Cile) – il 5 gennaio 1938 nella clinica Anglo-Americana (via Nomentana) e fu battezzato (26 gennaio) nella Cappella Magistrale del Sovrano Militare Ordine di Malta dall’allora Segretario di Stato Vaticano, cardinale Eugenio Pacelli (1876-1958) – il futuro Pio XII, ultimo Papa di una certa tradizione cattolica italiana.
Don Juan Carlos ebbe rispettivamente quali suoi padrino e madrina, lo zio Don Alfonso di Borbone (1901-1964), fratello della madre, e l’ava paterna Vittoria Eugenia di Battenberg (1887-1969), nipote della Regina Vittoria d’Inghilterra (1819-1901), consorte del Re Alfonso XIII (1886-1941). Erano altresì presenti la regina d’Italia, Elena di Savoia (1873-1952) ed il Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, Frà Ludovico Chigi Albani della Rovere (1866-1951).
Don Juan Carlos era figlio di Don Juan di Borbone (1913-1993), Conte di Barcellona, sesto figlio del Re Alfonso XIII e della già ricordata  Vittoria Eugenia di Battenberg, e di Maria de las Mercedes di Borbone delle Due Sicilie (1910-2000), figlia di Carlo, Infante di Spagna (1870-1949), e di Luisa d’Orlèans (1882-1958).
Gli inizi della vita di Juan Carlos si hanno a Roma fino a quando (1942), causa la II Guerra Mondiale, la famiglia reale si trasferisce nella villa svizzera “Les Rocailles” di Losanna sul lago Lemano.
Quindi i primi studi del futuro Re di Spagna furono al collegio “de Rolle”, e, più tardi, al “Villa San Giovanni” di Friburgo dei padri maristi, e precisamente la Congregazione Religiosa il cui nome ufficiale è “Società di Maria”, fondata a Lione nel 1822 dal venerabile Giovanni Claudio Colin (1790-1875) ed approvata dal papa Gregorio XVI [Bartolomeo Alberto Cappellari (nato nel 1765), 1831-1846].
Terminata la guerra, la famiglia reale si trasferì in Portogallo, ad Estoril, e il principe Juan Carlos proseguì i di lui studi preparatori sempre sotto la guida dei padri maristi.
Fu per il particolare interessamento del generalissimo Francisco Franco y Bahamonde (1892-1975) e quindi per non “perder ed contacto con la realidad” [“perdere il contatto con la realtà” (spagnola)], come amava ripetere il padre del futuro Re, che il principe Juan Carlos si trasferì (1948) in Spagna.
Il Principe sostenne l’esame ed entrò nell’istituto di San Isidoro per poi (1952) trasferirsi definitivamente a Madrid.
Terminati gli anni del liceo (1955), iniziò la sua formazione militare, e nelle tre armi (Esercito, Marina, Aviazione).
La prima arma fu l’esercito nella Reale Accademia Militare di Saragozza e, tra i suoi insegnanti, figura una persona che sarà legata al suo futuro di Re: si tratta di Nicolás Cotoner y Cotoner, marchese di Mondéjar e Grande di Spagna (1905-1996), il quale sarà il Capo della Casa di Sua Maestà il Re al Palazzo della Zarzuela e la nobile figura di questo uomo è stata molto importante nella vita del Principe considerando lo stesso sempre come un padre.
Dopo l’esercito (1957) Juan Carlos entrò nella Scuola Navale di Marina quale guardiamarina (era di già tenente di fanteria) e si imbarcò sul “Juan Sebastián Elcano” al fine di effettuare la pratica navale recandosi a Panama, nella Repubblica Dominicana, in Perù, in Colombia e, per finire, negli Stati Uniti, ove lo aspettava il padre per la visita ufficiale nel Nord America.
Terminata la preparazione navale, il principe Juan Carlos, con il grado di tenente di fregata, il 16 gennaio 1958 entrò nell’Accademia generale dell’Aviazione di San Javier con il grado di sottotenente dell’Aeronautica e conseguì il titolo di pilota militare.
Conclusa anche codesta formazione militare, il Principe Ereditario tornò in Saragozza per un ulteriore completamento del periodo di pratica, ed il 10 dicembre 1959 ricevette i gradi di Tenente di Fanteria, di Tenente di Fregata e di Tenente di Aviazione. Otto anni dopo (1967) conseguì il grado di Capitano, e, nel 1969, ottenne il brevetto di pilota di elicotteri.
Conclusa quindi la dura, ma necessaria formazione militare, il futuro Re iniziò (1960) gli studi universitari. Fu così che, presso l’Università di Madrid, frequentò i corsi di Storia della Spagna, di Letteratura Spagnola, introduzione alla Filosofia ed al Diritto, Economia Politica e, quindi, Diritto Sociale e Diritto Pubblico. Poscia, nel 1961, studiò anche Diritto Internazionale, Finanza Pubblica, Amministrazione dello Stato ed applicazioni scientifiche ed industriali. A coronamento di tutto ciò, e, per sua particolare dedizione ma anche attaccamento alla realtà del di lui paese, effettuò diversi viaggi di studio e nelle varie regioni spagnole.
A questo peregrinare per le varie regioni spagnole ed al contatto con la realtà, si deve aggiungere il lavoro che effettuò il Principe, dal 1963 al 1968, nelle varie branche della pubblica amministrazione: dal ministero delle opere pubbliche, a quello della giustizia, da quello dell’industria a quello della finanza pubblica. Questa sua attenta opera di studio e di lavoro non è paragonabile ad alcuno dei nostri politici italiani, i quali, il più delle volte, ascendono a cariche ministeriali estranee alla loro formazione culturale, mettendo in crisi l’intero paese. Ma questo pensiero non lo si deve per nulla paragonare ad un re, il quale, al di sopra delle parti per natura, opera solo e soltanto nell’interesse del paese e più volte Juan Carlos ce lo ha limpidamente confermato.
Quindi il Principe era pronto a succedere al “caudillo”.
Ciò avvenne il 22 luglio 1969, con il voto da parte delle Cortes - convocate in seduta plenaria e straordinaria - [491 (quattrocentonovantuno) voti a favore, 19 (diciannove) contrari e 9 (nove) astenuti], del testo della legge di successione con cui il generalissimo Franco propose il Principe quale futuro Re di Spagna.
Accettata la designazione, il 23 luglio, Juan Carlos di Borbone giurò dinanzi alle Cortes di compiere i suoi doveri costituzionali.
Nel suo nobile discorso, tra l’altro, disse: “(…) la Monarchia puo’ e deve essere uno strumentoefficace come sistema politico se si sa mantenere un giusto e reale equilibrio dei poteri e si consolida nell’autentica vita del popolo spagnolo”.
La Gazzetta Ufficiale del 24 luglio 1969 pubblicò un Decreto del Capo dello Stato che conferì al Principe, a titolo onorifico, i gradi di generale di brigata di fanteria, contrammiraglio e generale di brigata aerea.
I commenti alla designazione delle Cortes furono difformi e molto avversi al Principe: c’è chi lo chiamava “Re Franchista”; “Juanito il Breve”; chi “lavare la faccia”, cioè rendere la dittatura più presentabile; chi “il messia” perché il suo non poteva essere il regno di questa terra; oppure “re di allevamento”, “re prefabbricato”.
Invece, il re ha stupito tutti ed è riuscito a porre le basi per quello che dovrà essere la monarchia nel Terzo Millennio dell’Era Cristiana.
Il Principe sostituì, una prima volta nel 1974, Franco per una sua infermità. Eppoi lo fece una seconda volta il 30 ottobre 1975 in attesa del trapasso del Dittatore, avvenuto il 20 novembre.
Il 22 novembre 1975, il principe Juan Carlos, con nuovo giuramento dinanzi alle Cortes, divenne Re di Spagna.
Ed in quella occasione disse: “Il Regno che noi abbiamo stabilito non deve nulla al passato”.
In questo discorso il Re di Spagna espresse le idee basilari del suo regno: ristabilire la democrazia; essere il Re di tutti gli spagnoli, senza alcuna eccezione.
Questa transizione democratica iniziò con la legge della riforma della politica del 1976.
Nel maggio 1977, Don Juan di Borbone, genitore del Re di Spagna, rinunciò ai suoi diritti dinastici e glieli trasmise, così che divenne anche Capo della Real Casa di Spagna. Fu un atto molto apprezzato in quanto anche per la Corona ritornava la democrazia. Un mese dopo si celebrarono le prime elezioni libere dal 1936 ed il nuovo parlamento elaborò il testo dell’attuale Costituzione, confermata poi con referendum popolare il 6 dicembre 1978 e sanzionata con la firma del Re nella sessione solenne delle Cortes il 27 dicembre 1978.
Le elezioni del 1977 furono vinte dall’Unione Democratica di Centro di Adolfo Suárez González (1932- ), che rimase al governo fino al 1982, anno in cui le elezioni furono vinte dal Partito Socialista di Felipe González Márquez (1942- ), il quale governò fino al 1996, anno in cui ascese il Partito Popolare di José María Aznar López (1953- ), che governò fino al 2004, perdendo le elezioni dopo il vile attentato di Madrid del giorno 11 marzo 2004.
Successivamente fu Capo del Governo José Luis Rodríguez Zapatero (1960- ) del Partito Socialista, le cui scelte politiche le conosciamo e non sta a noi commentarle.         
Il regno del Re Juan Carlos è caratterizzato da numerose visite ufficiali nella totalità dei paesi del mondo e nei principali organismi internazionali, tanto a carattere universale, quanto regionale. A questo proposito è bene ricordare che nel corso dell’ennesimo viaggio nella Sua terra natale, l’Italia, dal 28 settembre al 2 ottobre 1998, ha avuto l’onore di essere il primo Capo di Stato straniero a leggere un discorso al Parlamento Italiano. 
Sua Maestà il Re ha dato anche impulso ad un nuovo stile nelle relazioni ispano-americane, evidenziando i segni della identità di una comunità culturale che si basa su una lingua comune con la necessità di porre in essere comuni iniziative e partecipare ad adeguate formule di cooperazione.
Il Re di Spagna ha posto sempre in evidenza la vocazione europea della Spagna insita nella sua tradizione e nella sua storia.
Per queste sue doti di grande democrazia e vocazione europeista, il Re ha ricevuto numerosi premi internazionali, tra cui il prestigioso Premio “Carlo Magno” in Acquisgrana il 20 maggio 1982.
Il Re è anche molto attento al mondo intellettuale ed alla sua capacità di innovazione e per questo detiene l’Alto Patronato delle Reali Accademie e mantiene un assiduo contatto con tutti gli ambiti culturali ed in particolare con l’Università. Egli stesso è stato insignito di una trentina di “Lauree honoris causa” in prestigiose università spagnole e straniere.
Il Re di Spagna è anche presidente onorario di diverse fondazioni e, propriamente per questo, favorisce personalmente la creazione e lo svolgimento di nuove tecnologie nel suo Paese, ed invoglia numerose iniziative nell’ambito dell’economia, dell’impresa e della ricerca: sono le avanguardie sociali e lo svolgimento della convivenza spagnola nelle sue più svariate manifestazioni.
La Costituzione stabilisce che il Re ha il comando supremo delle Forze Armate. E’ proprio per attuare l’esercizio della sua funzione che il Re, una volta all’anno, riunisce le tre armi nella “fiesta de la Pascua Militar”, presiedendo la cerimonia di consegna dei diplomi nelle Accademie e Scuole Superiori Militari, visitando numerose unità ed assistendo alle loro manovre ed esercitazioni. Anche tutto questo è proprio ed insito in un Capo di Stato, come un Re, che sente la sua nazione viva e vicina alla sua persona.
Sua Maestà il Re è anche un grande appassionato di sport, specialmente di sci e di vela. Anche in questo, Egli sostiene la pratica sportiva come scuola di formazione per la vita sociale. La costante presenza del Re e della Famiglia Reale è un grande stimolo alle squadre olimpiche spagnole.
Ciò si vide linearmente e limpidamente anche durante i Giochi Olimpici di Barcellona del 1992.
Juan Carlos di Borbone ha sposato (Atene 14 maggio 1962) Sofia di Grecia (Psychiko 2 novembre 1938- ), figlia del Re Paolo (1901-1964) e della Regina Federica di Hannover (1917-1981).
A proposito della Regina Sofia, in Spagna ci si diverte spesso a ricordare quanti sovrani vi siano tra i Suoi antenati, e precisamente: due imperatori di Germania, sette zar di Russia, otto re di Danimarca, cinque re di Svezia, un re ed una regina di Norvegia, una regina di Inghilterra e cinque re di Grecia.   
Dal  matrimonio di Juan Carlos e Sofia sono nati: - Infanta Doña Elena (María Isabel Dominica de los Silos de Borbón y Grecia) (Madrid 20 dicembre 1963- ), duchessa di Lugo, la quale ha sposato (Siviglia 18 marzo 1995) Don Jaime de Marichalar y Sáenz de Tejada (Pamplona 7 aprile 1963- ) e dal loro matrimonio sono nati, a sua volta, Felipe Juan Froilán (de Todos los Santos de Marichalar y Borbón)  (Madrid 17 luglio 1998- ) e Victoria Federica (de Todos los Santos de Marichalar y Borbón) (Madrid 9 settembre 2000- );  - Infanta Doña Cristina (Federica Victoria Antonia de la Santísima Trinidad de Borbón y Grecia) (Madrid 13 giugno 1965- ), duchessa di Palma di Maiorca, la quale ha sposato (Barcellona 4 giugno 1997) Iñaki Urdangarín Liebaert (Zumárraga, Guipúzcoa 15 gennaio 1968- ) e dal loro matrimonio sono nati, a sua volta, Juan Valentín (de Todos los Santos Urdangarín y Borbón)  (Barcellona 29 settembre 1999- ), Pablo Nicolás (de Todos los Santos Urdangarín y Borbón) (Barcellona 6 dicembre 2000- ), Miguel  (de Todos los Santos Urdangarín y Borbón) (Barcellona 30 aprile 2002- ) ed Irene (de Todos los Santos Urdangarín y Borbón) (Barcellona 5 giugno 2005- ); - Felipe, Principe delle Asturie ed Erede al Trono di Spagna (Juan Pablo Alfonso y de la Santísima Trinidad de Todos los Santos de Borbón y Grecia) (Madrid 30 gennaio 1968- ), il quale ha sposato (Madrid 22 maggio 2004) Letizia Ortiz y Rocasolano (Oviedo 15 settembre 1972- ) e dal loro matrimonio sono nate, a sua volta, l’Infanta Leonor (de Borbón Ortiz) (Madrid 31 ottobre 2005- ), erede al trono, e  l’Infanta Sofia (de Borbón Ortiz) (Madrid 29 aprile 2007- ).
Ed ora mi sia permessa qualche riflessione personale e concludere con qualche pensiero sul re e sulla corona in genere.
Come si diceva poc’anzi, Juan Carlos di Borbone, appena asceso al trono, iniziò un’attenta e doviziosa opera di mediazione che solo un re, per sua innata dedizione, puo’ operare nel placare gli animi e risolvere le discordie.
E’ riuscito a conquistare repubblicani convinti che Gli rinnovano in continuazione la loro fedeltà quale garante della democrazia e della libertà. Il lungo periodo di governo dei socialisti di Felipe González ne è il limpido esempio.
L’esempio della Spagna ci deve far, e non poco, riflettere; infatti constatiamo giornalmente l’attualità di questa forma di governo e non possiamo che inchinarci dinanzi ad un Re così moderno, così attuale e così volto al vero futuro dell’Europa che desideriamo e che non riusciamo a vedere unita e sovranazionale  come nei gloriosi tempi cristiani di Filippo II (1556-1598) e, più tardi, del Principe Eugenio di Savoia (1663-1736).
Fu però questa visione dell’Europa che si concretizzò nel 1989 con la caduta di regimi estranei che da oltre quarant’anni imperversavano nell’europeissimo est europeo.
Ed ecco che si torna a parlare di Monarchia: di sentimenti tradizionali, di interesse per le nobili figure dei Re: Michele per la Romania, Simeone per la Bulgaria, Wladimiro per la Russia, Otto d’Absburgo per l’Ungheria. Si torna a parlare di Monarchia nei paesi che, fino al 1918, erano il cuore dell’Europa tradizionale e sopranazionale. Solo in Italia si continua ad addurre ai Savoia colpe, se di colpe di deve parlare, che furono di altri.
Perché coloro che hanno redatto la Costituzione Europea - solennemente sottoscritta a Roma il 29 ottobre 2004 - non hanno tenuto conto nel c.d. “Preambolo” di questi valori? I valori cristiani e tradizionali che hanno rappresentato, che rappresentano e che rappresenteranno il nostro Continente. Valori che poi sono gli stessi da Lepanto (dal greco “Ναύπακτος”) in poi, che fu, tra l'altro, un’idea spagnola.
Quindi i trentasei anni di regno del Re Juan Carlos I siano la “novità nella nella continuità” di una tradizione che ciascuno di noi prova e che con nessuno vuole dividere.
Scrissi, il 5 gennaio 1983, su “Il Giornale d’Italia”  per il quarantacinquesimo genetliaco del Re di Spagna: “(…) ha successo per una virtù molto importante che pochi vogliono possedere: la modestia!”.
Disse il Re, a pochissime ore dal tentato golpe del 23 febbraio 1981: “(…) La Corona, simbolo della permanenza e dell’unità della Patria, non puo’ tollerare alcuna forma di azioni od atti di persone che pretendono di interrompere il processo democratico che la Costituzione votata dal popolo spagnolo determinò nel giorno del referendum”.
La figura, la personalità, il modo di regnare del Re Juan Carlos, quale modello per il Terzo Millennio dell’Era Cristiana, li continuiamo ad apprezzare, ed anche molto spesso.
Un singolare episodio è senza dubbio quello del 10 novembre 2007, nel corso di una conferenza ispano-americana di cooperazione a Santiago del Cile. Alle degenerazioni mentali ed alle offese del presidente venezuelano Hugo Chávez nei confronti di Aznar, quale predecessore di Zapatero, il Re lo ha senza mezzi termini apostrofato [“(…) Perché non taci?”], eppoi si è alzato e se ne è andato.
E l’ulteriore esempio che un Re è sempre al di sopra delle parti contro il grigiore e l’inutilità di certi personaggi anche se ai dittatori di sinistra tutto è possibile perché loro dicono di essere l’espressione del popolo.
Ma questo è, senza dubbio, anche un doveroso omaggio alla memoria delle nostre Tradizioni, che ci ha dato illuminati esempi di vita, di civiltà, di libertà, di prosperità, una Patria unita, un’Europa libera, e che propriamente e sicuramente le monarchie l’hanno rappresentata, la rappresentano e la rappresenteranno.