NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 27 febbraio 2015

Conferenza del Senatore Fisichella per il Circolo Rex

Carissimi amici,

Vi segnaliamo la prossima conferenza del Circolo Rex tenuta dal Professore Senatore Domenico Fisichella, autore di libri come '"Elogio della Monarchia", "Il Miracolo del Risorgimento", "Dal Risorgimento al Fascismo",  "Dittatura e Monarchia". Già Ministro dei beni culturali e Vicepresidente del Senato.
Il Professore terrà per il Circolo Rex la conferenza:



Il ruolo dell’Italia nella genesi delle due 

Guerre Mondiali



1 marzo 2015

SALA UNO

nel cortile della Casa Salesiana San Giovanni Bosco

con ingresso in Via Marsala 42

(vicino Stazione Termini)


INGRESSO: 10,15

ORA INIZIO CONFERENZE: 10,30



giovedì 26 febbraio 2015

La repubblica, la sua magistratura e la persecuzione a Casa Savoia



Come linea "editoriale" abbiamo sempre scelto di occuparci di storia, di politica e di tralasciare le cronache, checché riguardanti i Principi di Casa Savoia.

Questa volta va fatta una doverosa eccezione innanzitutto per condividere la gioia, una volta tanto, che la vicenda dell'arresto del Principe Vittorio Emanuele si sia risolta in quello che a tutti quelli dotati di un minimo di buon senso parve da subito: un flop.

In secondo luogo per censurare le follie giudiziarie di alcuni magistrati "primedonne" che mettono gli innocenti in galera, condannano i Carabinieri che arrestano "violentemente" spacciatori di droga che non volevano farsi arrestare, che indagano per "eccesso" di legittima difesa chi trova alle tre di notte in casa sua uno sconosciuto armato e gli procura danni che mai avrebbe potuto ricevere se fosse anch'egli stato nel suo letto a dormire.

Gli innocenti in galera, la loro reputazione nella polvere e i criminali di una criminalità diffusa in giro a delinquere.

La magistratura repubblicana, figlia della magistratura di Togliatti, si dimostra sovvertitrice di ogni elementare buon senso, punisce i cittadini e premia l'illegalità.

Plaudiamo al gesto del Principe di donare ad un ente specializzato nella difesa dei cittadini vittime della "giustizia" i 40.000 euro di risarcimento per l'ingiusta detenzione, che verranno pagati dalla collettività nel nome della quale certi pubblici ministeri agiscono così male e non dai pubblici ministeri responsabili delle offese arrecate alla Giustizia, quella vera.

lunedì 23 febbraio 2015

Nuovo aggiornamento del sito dedicato a Re Umberto II




Dalla penna di Nino Bolla e dalle parole del Re alcune considerazioni circa l'atteggiamento di alcuni, tanti, voltagabbana, antimonarchici dell'ultimissima ora:
I nemici della Monarchia


Buona lettura e viva il Re!

giovedì 19 febbraio 2015

DALLA NEUTRALITA’ ALL‘INTERVENTO - 28 luglio 1914 - 24 maggio 1915-

Conferenza dell' Ingegnere Giglio al Circolo Rex

Nulla  faceva  presagire, alla  fine  di  giugno  1914, quanto  stava  per  avvenire  a  Serajevo, nel  corso  della   visita  dell’arciduca  ereditario  dell’ Impero  Austro-Ungarico   Francesco  Ferdinando, accompagnato  dalla  sua  consorte , sposa  morganatica, Sofia  Chotek, città  dove  si  sapeva  sussistere  qualche  possibilità  di  disordini  e  di  contestazioni, in  quanto   si  riteneva   fosse  stata   programmata  dalla  imperial regia  polizia  ed   esercito, un  adeguato  servizio  d’ ordine  e  di  sicurezza. Invece  le  vicende  andarono   come  andarono, ma  malgrado  lo  sdegno, la  solidarietà  dinastica, la  riprovazione  unanime  che  scosse  tutti  gli  stati  europei, non  si  immaginava  ancora  quello  che  sarebbe  accaduto  un  mese  dopo, con  l’inaccettabile  ultimatum  dell’ Austria- Ungheria, che  la  Serbia  non  poteva  discutere, ma  accettare  integralmente, il  che, non  essendo  avvenuto, fu  ritenuto  motivo  sufficiente  per   la  diplomazia  austroungarica, forte  del  richiesto  appoggio   e   consenso  germanico, ma  non  di  quello  italiano, punto   fondamentale  sul  quale  ritorneremo, per  dichiarare  guerra   al  Regno  di  Serbia, che  pur  sapevano  essere  sotto  l’alta  protezione, per  solidarietà  religiosa  e  slava, dell’ Impero  Russo.
Perché  doveva  l’Austria-Ungheria  rivolgersi  anche  al  Regno  d’ Italia? Perché   così  era  chiaramente  previsto  in  un  articolo  di  quel  trattato  di  alleanza  difensivo, denominato  “Triplice  alleanza“, che  dal  1882  legava  il  Regno  d’ Italia  all’ Impero  Germanico  ed  a  quello  Austro-Ungarico, e    doveva  scattare  solamente  quando  uno  dei  tre  contraenti  fosse  stato  attaccato  da  altre  nazioni, e   inoltre   prevedeva  compensi  agli  altri  firmatari  se  uno  dei  tre  avesse  ottenuto  in   Europa, dei  vantaggi  territoriali. Per  cui  giustamente  un  autore  non  italiano, Oswald  Uberegger, precisa : “…l’Austria  e  la  Germania  non  coinvolsero  l’ Italia, ciò   violava  chiaramente  le  clausole  del  Patto  difensivo  che  prevedevano  l’ obbligo  di  consultazione   con  violazione  dell’art. 1  e  3…”. Purtroppo  questo  timore  del  grande  impero  Austroungarico    nei  confronti  del  piccolo  Regno  di  Serbia, era  da  qualche  tempo  una  costante  della  diplomazia  austriaca, anche  dopo  che   la  stessa  aveva  proceduto  all’annessione  formale  della  Bosnia  Erzegovina, dove  era  Serajevo, avvenuta  nel  1908  dopo  decenni, dal  1878, di   amministrazione  fiduciaria  austriaca, ed  a  questo  proposito  si  seppe  che  già  nel  1913, senza  alcun  pretesto   l’Austria  volesse  attaccare  la  Serbia, venendone  dissuasa  dal  governo  italiano, presieduto  da  Giolitti. Perciò  la  dichiarazione  della  neutralità  italiana, da  parte  del  governo  presieduto  da  Antonio  Salandra, era   la  logica  conseguenza  della  violazione  austriaca  dei  patti, anche  se  la  stessa  fu  malvista  ed  anche  vituperata  da  Vienna  e  dall’ opinione  pubblica  austriaca  che  ritenevano  la  “servetta”  Italia  dovesse  fare  quello  che  decidevano  i  “padroni”!
La  guerra  iniziata  vedeva  perciò  in  campo  da  una  parte  Germania   ed  Austria-Ungheria, alle  quali  si  sarebbe  aggiunto  diversi  mesi  dopo  l‘Impero  Ottomano, dall’altra  parte  la  Serbia, la  Francia, il  Regno  Unito  e  l’impero  Russo, mentre  il  neutrale  Regno  del  Belgio, veniva  attraversato  dalle  armate  germaniche, malgrado   la  resistenza  del  suo  piccolo  e  valoroso  esercito, comandato  personalmente  dal  Re  Alberto, suscitando  lo  sdegno  sia  nei  paesi  della  “Intesa”, termine  usato  per  l’alleanza  franco-britannica, sia  nei  paesi  neutrali , fra   i  quali  l’Italia.
Perché  allora  il  Regno  d’Italia  si  era  legato  all’ Austria  ed  alla  Germania? La  risposta  è  lunga  ed  articolata  e  discende  dalla  solitudine  dell’ Italia, dopo  il  1870, quando   con  Roma, si  era  completata  l’unificazione  del  Regno, nato  nel  1861, salvo  il  Trentino  e  l’Istria, quella  che  poi  chiamammo  Venezia  Giulia, “…si  com‘a  Pola, presso   del  Quarnaro, che  Italia  chiude  e  suoi  termini  bagna…” (Dante –canto  IX-vv.113/114), in  quanto  la  Francia, caduto  Napoleone  III, non  ci  era  più  amica, temendo  la  nostra  concorrenza  nel  Mediterraneo  ed  in  Africa, ed  i  cattolici  francesi  non  ci  perdonavano  il  nostro   ingresso  a  Roma, ponendo  fine   all’assurdo  potere  temporale, che, a  quei  tempi  molti  ancora  ritenevano  indispensabile  per  l’indipendenza  del  Pontefice. C’era   poi  l’ Austria   che  nel  suo  intimo  avrebbe  desiderato  riprendersi, anche  con  le  “cattive”  il  ricco  Lombardo-Veneto. Rimaneva  fuori  la  Gran   Bretagna, che  pur  essendoci  stata  vicino  ed  amica  durante  il  nostro  processo  unitario, non  intendeva   impegnarsi  nel  continente  europeo, volendo  ancora  accrescere  e  consolidare  il  suo  impero  negli  altri  continenti, impero   come  mai  se  ne  era  visto, né  si  sarebbe  visto  successivamente, l’ eguale. Quanto  a  Spagna  e  Portogallo, dove  era  Regina  Maria  Pia, figlia  di  Vittorio  Emanuele  II, la  loro  importanza  in  Europa  era  ormai  secondaria  ed  erano  oltre  tutto  lontani, come  lo  era  l’Impero  Russo, che  all’epoca  cercava  quella  alleanza  dei  tre  imperatori  di  Austria , Germania  e  Russia, che, finché  fu  mantenuta   fino  alla  fine  del  XIX  secolo, tanto  contribuì  alla  pace  europea. Rimaneva  la  Germania  che  aveva  raggiunta  anch’essa  nel  1870  la  sua  unità  imperiale, e  con  la  quale  il  regno  d’Italia  era  già  stato  alleato  nella  guerra  del  1866 (per  noi  terza  guerra  d’indipendenza). Qui  il  cancelliere  Bismarck, ottenuti  e  raggiunti   gli  obiettivi  territoriali  con  le  guerre  tutte  vittoriose, da  quella  del    1864  contro  la  Danimarca, insieme  con  l’ Austria, per   i  due  ducati  dello  Schleswig   e  dell’  Holstein, alla  successiva  guerra  del  1866  contro  l’Austria, alleata  con  il  regno  di  Baviera, per  estrometterla  dalla  guida  degli  stati   tedeschi, ed  infine   la  guerra  del  1870-1871  contro  la  Francia, con  l’ acquisizione  della  Alsazia  e  della  Lorena, voleva  dedicarsi, sia  alla  politica  coloniale, alla  quale  l’ Austria  non  era  interessata, sia  al  rafforzamento  interno  dell’ Impero  Germanico, ed  assicurare  quei  decenni   di  pace  di  cui  l’ Europa  godette  fino  allo  sciagurato  luglio  1914, quando  Bismarck  era   morto  da  anni (1898), dopo  essere  stato  estromesso  nel  1890, dalla  guida  del  governo.
In  questa  ottica  possiamo  affermare  che  Bismarck  fu  l’ideatore  ed  il  fautore  della  “Triplice”, che  impediva  all’  Austria  di  attaccare  l’Italia, tranquillizzava   l’Italia  stessa  e  formava  un  blocco  territoriale, che  dal  mare  del  Nord  e  dal   mar  Baltico, raggiungeva  il  mare  Adriatico  ed  il Mediterraneo.  Si  arrivò  così   sotto   il  Governo   Depretis, esponente  principale  della  “sinistra  storica”, alla  firma  del  trattato, avvenuta  a  Vienna, il  20  maggio  1882, da  parte  del  nostro  ambasciatore  di  Robilant, trattato  segreto, di  carattere  esclusivamente  difensivo, che  ripetutamente   rinnovato, era  ancora  in  vita  nel  1914, trattato  in  cui  era  stato  aggiunta  una  interessante  postilla, da  noi  sollecitata, nella  quale  si  precisava  che  non  doveva   essere  usato  “contro”  la  Gran  Bretagna.
Se  queste  erano  le  più  che  giustificate  motivazioni  storiche  della  “Triplice”, non  possiamo  dimenticare  che  in  Italia, esisteva  fin  dal  1866  un  fondo  di  amarezza, negli  spiriti  risorgimentali,per  Trento  e  Trieste, rimaste  all’ Austria, chiamato  “irredentismo”, che  l’atteggiamento   austriaco  nei  confronti  delle  esigenze  scolastiche, linguistiche  e  culturali  della  minoranza  di  lingua  italiana, in  diverse  occasioni  provvedeva  a  rinfocolare, mantenendolo  così  vivo  e  vitale, come  si  vide  proprio  nel  periodo  che  esaminiamo, quando  a  Trieste   il  principe  di  Hohenlohe, ancora nel  1913, emetteva  una  ordinanza  con  la  quale  venivano  licenziati  dagli  impieghi  i  cittadini  italiani, accentuando  la  politica  slavofila  che  già  da  anni  veniva  svolta  nell’ Istria  e  nella  Dalmazia, favorendo  l’invasione  dell’elemento  slavo, le  cui  conseguenze  si  sono  protratte  anche  dopo  la  nostra  vittoria  del  1918   ed  hanno  pesantemente  determinato   il  destino  degli  italiani  dopo  la  seconda  guerra  mondiale.
Di  tutto  ciò  il  Regno  d’ Italia  era  consapevole. Operava  diplomaticamente, accoglieva  gli  italiani  provenienti  da  queste  regioni, ma  non  poteva  scatenare  una  guerra, contando  su  di una  evoluzione  naturale, anche  dinastica, del  vicino  impero, per  cui  lo  scoppio  della  guerra  del  luglio  1914  apriva  di  colpo   e  senza  alcun  preavviso  nuovi  scenari  e  prospettive, alle  quali  non  eravamo  preparati, né materialmente, né  psicologicamente.
Il   Regno  d’Italia, non  aveva  nessuna  colpa  o  responsabilità  nello   scoppio   della  guerra, come  ribadito  da  Domenico  Fisichella, nel suo  recente  studio  “Dal  risorgimento  al  fascismo”, anche  se  qualche  scrittore  italiano  masochista  sostiene  questa  tesi, facendo   riferimento  alla  nostra  guerra  di  Libia  contro  l’ impero  Ottomano, alla  quale  erano  seguite  nel  1913  le  guerre   balcaniche che  avevano  senza dubbio  modificato  la  geografia  politica  della  regione  ed  ingrandito  il  Regno  di  Serbia, ritenendola   prodromica   alla  grande  guerra, ma  la  tesi  è  facilmente  opponibile  dal  momento  che  senza  l’assassinio  dell’ Arciduca  Francesco  Ferdinando, nessuna  guerra  sarebbe  scoppiata  in  quella  estate  del  1914  che  ancora  vedeva  le  località  termali,  come  Vichy  dove  riposava  Giolitti, ed  altri  siti  turistici  pieni   di  esponenti  politici  dei  più  vari  paesi. Per  cui  giustamente  Giacomo  Perticone, nella  sua  “L‘Italia   contemporanea - 1871- 1948”, scrive  testualmente: “…l’Italia, l’unica  tra  le  grandi  potenze  che  avesse  escluso  dalla  sua  politica  estera  una  soluzione  del  problema  dell’equilibrio   attraverso  un  conflitto  armato. Gli  Italiani….credevano  nella  ragione, contro  la  forza…Era  stata  l’Italia  l’unica  che  aveva  gettato  apertamente  un  ponte  tra  le  due  coalizioni  europee, mettendole in  guardia  contro  i  facili  calcoli  degli  stati  maggiori  militari…L ‘ Italia  aveva  inequivocabilmente  negato  ogni   solidarietà  alla  politica  della  sciabola  guglielmina, alla  politica    della  sacra  “revanche” francese, ponendosi  in  questo  modo  fuori  del  circolo  delle  responsabilità  che  gravano, più  o  meno, sulle   altre  Potenze:”.
Giustamente  quindi, rifacendosi  alle  clausole  del  Trattato, disattese  dall’Austria, il  governo  Salandra, in  carica  dal  21  marzo  1914, raccogliendo  quasi  l’unanimità  della  Camera, il  2  agosto    1914  proclamava  la  neutralità  dell’ Italia, nel  conflitto  appena  iniziato,  ed  il  Ministro  degli  Esteri, il  marchese  Antonino  di  San  Giuliano, in  una  nota  successiva  spiegava  che  essere  neutrali  non  significava  non  provvedere  alla  tutela  degli  interessi   nazionali,  nota  particolarmente  importante  perché  proveniva  da  un  ministro  che  dal  1910  dirigeva  la  nostra  politica  estera  ed  era  quindi  stato  Ministro  con  Giolitti, nel  precedente  governo. In  quanto  Giolitti  si  era  sì  dimesso il  10  marzo  1914  per  l’uscita  dei  radicali  dalla  sua  maggioranza, ma  aveva  lui  stesso  indicato  al  Re   il  nome  di  Salandra  come  successore . E’  infatti  da  ricordare  che  già  altre  volte  Giolitti  si  era  ritirato  dal  governo, lasciando  spazio  temporaneo  ai  Fortis, ai  Sonnino  ed  ai  Luzzatti, prima  di  riprenderne  le  redini, ma  questa  volta  il  destino   aveva    deciso  diversamente  e  Salandra, al  governo  da  pochi  mesi  si  trovò  a  gestire  con  il  di  San  Giuliano, purtroppo  già  malato  e  che  sarebbe  mancato  il  16  ottobre  1914,  il   più  grave  problema  che  l’ Italia  avesse dovuto  affrontare  e  risolvere   da  quando  era  unita  e  con  Roma  Capitale. Giova  qui  ricordare  che  Antonio  Salandra , di  origine  pugliese, nato  a  Troia  in  provincia  di  Foggia, era  uno  degli  esponenti  principali  delle  “destra”  liberale, ed  era  tra quelli  che  maggiormente  intendevano  collegarsi  con  i  valori  patriottici  e  risorgimentali  della  “Destra  storica”, dei  Ricasoli , Minghetti  e  Sella.
L’ ipotesi  di  scendere in  campo  con  gli  alleati  della  Triplice, se  albergò  in  qualche  vecchio  Senatore ,ambasciatore  o  addetto  militare, non  fu  mai  presa  in  considerazione  per  il  noto  motivo  che  era  stata  l’ Austria   ad  aggredire   la  Serbia  e  non  il  contrario, per  cui  il  problema  era  il  mantenimento  della  neutralità  o  la  entrata  in  guerra  a  fianco  dell’ Intesa, se  non  si  fossero  altrimenti  ottenute   le  famose  modifiche  delle  frontiere, rimaste  tali  dal  1866  e  che  vedevano  centinaia  di  migliaia  di  Italiani, ancora  sotto  un  governo  straniero, da  cui  quell’irredentismo, che  tenuto  a  freno  per  quarant’anni  per  i  motivi  già   esposti  poteva  finalmente  tornare  ad  essere  l’ ago  della  bilancia   e  con  l’irredentismo, si  muoveva  l’ interventismo, che  aumentava  di  peso  di giorno  in  giorno  e nel  quale  confluivano  le  tendenze  più  disparate,  che  ci  voleva  a  fianco  della “cugina”  Francia, dove  già  una  “legione  garibaldina”  di  volontari  era  accorsa, memore  di  quanto  era  già  avvenuto  con  Garibaldi  nel  1870, anche  se  di  quell’intervento  la  Francia  non  gli  era stata  grata, avendo  già  avuto  numerosi  caduti  tra  i  quali  proprio  i  nipoti  Bruno  e  Costante  Garibaldi.
Abbiamo  parlato  di  tendenze  disparate  dell’ interventismo, a  cominciare  dalla  massoneria, legata  particolarmente  alle  Logge  Francesi, dai  repubblicani, dove  riemergeva  con  prepotenza   la  componente  patriottica  e risorgimentale, dai  sindacalisti  rivoluzionari, che  più  antiveggenti  di  altri  ritenevano  che  dalla  guerra, come  poi  accadde, con  la  scomparsa  di  quattro  imperi, sarebbe  uscito  un  mondo  del  tutto  diverso  da  quello  in  essere, dai  futuristi  ed  anche  dai  nazionalisti dopo  una  iniziale  sbandata. A  questi  via  via, specie  dall’ottobre  si  sarebbero  aggiunti  anche  gruppi  cattolici, con  personalità  di  spicco  quale  Giuseppe  Donati  e  successivamente  Filippo  Meda, che  divenne  successivamente  Ministro, ed  ai  primi  del  1915, anche  gli  aderenti  all’ Unione  Popolare  dei  cattolici  italiani, nella  loro  assemblea  approvavano  per  acclamazione  un  ordine  del  giorno  che  affermava  la  necessità  della  piena  efficienza  delle  Forze  Armate  ed invitava  i  cattolici  a  sottoscrivere  il  prestito  nazionale  di un  miliardo, che, a  titolo  indicativo, ma  significativo,  ebbe  poi  sottoscrizioni  per  1380  milioni,ed    il  loro  Presidente, Giuseppe  della  Torre  affermava  che  la  neutralità  era  “…condizionata  dall’inviolabilità  di  quei  diritti, di  quelle  aspirazioni, di  quegli  interessi  che  costituiscono  il  patrimonio  di   una  Nazione…che  sono  la  vita  della  sua  vita, la  speranza  di tutto  il  suo  avvenire.”. Quanto  ad   altri  interventisti  persino  un  famoso  anarchico  Enrico  Malatesta  proclamava  che  la  Monarchia  neutralista   era  condannata  e  da  Torino, Efisio  Giglio  Tois, pacifista, fondatore  della  Federazione  Internazionale  studentesca  “ Corda  Fratres“, telegrafava    minacciosamente  al  Re, “se  non  avesse  portato  l’ Italia  in  guerra, sarebbe  stato  spazzato  via  dalla  rivoluzione.”  E  successivamente  si  intimò  “o  guerra  o  repubblica” , simile  anche  come  origine  a  “o  la  repubblica  o  il  caos” , del  1946!
Dunque  il  Re! Fino  ad  ora  non  avevamo  mai  accennato  al  Re, Vittorio  Emanuele  III. Ebbene  il  Re   era  profondamente  legato  alla  storia  ed  alle  tradizioni  della  Sua  Casa, e  particolarmente  al  Risorgimento, e  da  bambino  non  voleva  giuocare  nel  giorno  dell’anniversario  della  tragica giornata  di  Novara  del  1849, per  cui  pur  mantenendo   la  Triplice  Alleanza, aveva  intensificato  i  rapporti  personali   con  la  Gran  Bretagna, la  Francia  e  l’Impero  Russo, recandosi   e  ricevendo  i  relativi  Capi  di  Stato, Re, Presidenti  ed  Imperatori , in  modo  che  l’ Italia  non  fosse  ritenuta  esclusivamente  legata  agli  Imperi  centrali, ma  aperta  all’ amicizia  ed  alla  collaborazione  con  tutte  le altre  maggiori  potenze  dell’epoca, per  preservare  il  bene  inestimabile  della  pace  europea, pur  “pensando    da irredentista”, come  scrissero  personalità  che  lo  avvicinarono  in  quegli  anni. Ed  a tale  proposito  è  bene  ricordarlo  e  ripeterlo, il  prestigio  internazionale  del  Re  era  tale  che  a  Lui  furono  affidate  da  altre  nazioni, arbitrati  su  questioni  di  confini, ed  a  Lui  si   rivolse  un  prestigioso  uomo  d’affari  statunitense, anche  se  nato  in  Europa, David  Lubin, israelita, per  i  problemi  della  agricoltura,ottenendo  il  Suo  consenso  ed  il  suo  aiuto,  che  portò, il  7  giugno  1905, alla  nascita  dell’ Istituto  Internazionale  dell’ Agricoltura, con  sede  in  Roma, progenitore  dell’  attuale  FAO, che  per  questo  motivo  ha  mantenuto  la  sua  sede  nella  Capitale  d’ Italia .
Il  Re  dunque, nel  1914, seguiva  attentamente  le  vicende  internazionali, ed  aveva  già  dovuto  prendere  delle  decisioni  che  si  sarebbero  rivelate  fondamentali  nel  prosieguo  del  tempo, la  prima  con  la  nomina, 10  luglio  1914, di  Luigi  Cadorna, a  Capo  di  Stato  Maggiore  Generale  del  Regio  Esercito, essendo  deceduto  improvvisamente   il  primo  luglio, Alberto  Pollio, che  ricopriva  tale  carica, e  la  nomina  a  Ministro  degli  Esteri, di  Sidney  Sonnino, uomo  politico  toscano, nato  a  Pisa, e più  volte  oltre  che  Ministro,  Presidente  del  Consiglio, ed  esponente  della  “destra” liberale, anche  in  questo  caso  per  la  morte  del  marchese  di  San  Giuliano. Si  afferma  che  entrambe  queste  personalità  scomparse  fossero  “tripliciste”, ma  su  questo  punto  è  bene  fare  chiarezza. Se  la  Triplice  era  l’ alleanza  ufficiale  del  Regno  d’ Italia  potevano  due  altissimi  funzionari  della  stato  remare  “contro“? Potevano, specie  il  Pollio, militare, uomo  di  vasta  cultura  storico-militare, autore  di  importantissimi  studi  su  “Custoza - 1866”  e  su  “Waterloo”, progettare  piani  d’azione  contro  gli  alleati,  e  questo  anche  a  prescindere  dal  fatto  del  fascino  che  esercitava , non  solamente  in  Italia, lo  Stato  Maggiore  e  l’esercito  germanico, il  primo  in  Europa  e nel  Mondo, dopo  la  disfatta  dell’esercito  francese  nel  1870  e  di  quello  russo, nella  guerra  russo-giapponese  del  1904? Quindi  che  fossero  “triplicisti”  non  era  assolutamente  una  colpa  e  lo  stesso  Cadorna, appena  insediato,  pensava  a  progetti  di  appoggio, in  caso  di  guerra, all’esercito  germanico  sul  Reno! Quanto  a  di  San  Giuliano, oltre  e  dopo  la  nota  già  citata   sul  significato  della  neutralità, negli  ultimi  travagliati  mesi  della  sua  vita, aveva  già  ipotizzato  e  studiato  il  distacco  dalla  Triplice  e  l’adesione  all’Intesa.
Quindi  la  guerra  dichiarata  dall’ Austria, modificava  lo  scenario, anche  se  come  già  detto  l’Italia  aveva   scelto  la  neutralità, il  che  sul  piano  della  guerra  appena  iniziata  giovò  alla  Francia  che  potè  così  sguarnire  la  frontiera  alpina, e  ci  consentiva  di  rivolgere  la  propria  attenzione  ai  problemi  dell’esercito, in  quel  momento  ridotto  a  poco  più  di  300.000  uomini, anche  a  causa  della  recente  guerra  di  Libia, terminata  nel  1912, che  aveva  richiesto  un  notevole  dispendio  di  uomini  e  di  materiali, e  a  richiamare  alcune  classi  per  portarlo  lentamente  a  900.000, ed  infine, quando  si  decise  l’intervento, con  la  relativa  mobilitazione  generale, alla  cifra  di  1.554.535  soldati.
Che  la  giusta  decisione  del  2  agosto  1914, cioè, la  neutralità  non  potesse  essere  definitiva  fu  presto  evidente  per  il  fronte  “interventista”, ma  era   altrettanto  evidente  che  l’eventuale  passaggio  dalla  neutralità  all’intervento, presentava   sul  piano  diplomatico  difficoltà  gravissime, anche  se  proprio  da  Bismarck, molto  tempo  addietro, era  venuta  questa  lapidaria  affermazione  che  “..nessun  popolo, sull’altare  della  fedeltà  ad  un trattato   (in  altra  occasione  definito  “chiffon  du  papier“) potrà   mai  sacrificare  le  ragioni  della  propria  esistenza“. Per  cui  il  fronte  interventista  si  andava  ulteriormente  ampliando, con  la  svolta  del  socialista  Mussolini, ancora  direttore  dell’Avanti!, che  nell’ottobre  passa  alla  neutralità  “attiva  ed  operante”, e  da  lì  a  poco  all’interventismo, con  la  conseguente  estromissione  dall’Avanti  ed  all’espulsione, il 29  novembre, dal  Partito  socialista, ed  alla  contemporanea  nascita  di  un  nuovo  giornale, da  Lui  diretto, “Il  Popolo  d’ Italia”. Strani  mesi  per  l’Italia   quelli  da  agosto  a  dicembre  1914, quando  avviene  una  sterzata  governativa, prima  con  la  frase  del  “sacro  egoismo”, pronunciata  da  Salandra, ma  particolarmente con  il  suo discorso, da  Presidente  del  Consiglio, il  3  dicembre, che  annuncia  una  “neutralità  poderosamente  armata  e  pronta”, ed  i  deputati  della  maggioranza  sorgono  in  piedi  inneggiando  all’ Italia  ed  a  Trieste, atteggiamento  che  viene  criticato  da  Alfredo  Frassati, direttore  de  “La  Stampa“   di  Torino,  e  senatore  del  Regno  dal  1913,uno  dei  quotidiani  più  importanti   e  diffusi  dell’ epoca, decisamente  neutralista, anche  se  di  profonde  convinzioni  patriottiche, convinto  che  l’ Italia  non  dovesse  essere  “rinunciataria”, ma  neutrale, sfruttando  questa  sua  neutralità  in  maniera  dinamica  ed  attiva, utilizzando  gli  strumenti  diplomatici  e  negoziando  le  acquisizioni  territoriali   con  l’ Austria  finché  fosse  possibile . 
Sulla  sponda  opposta, “Il  Giornale  d’Italia”, sonniniano  e  diretto  da  Alberto  Bergamini, il  “Secolo”, ma  soprattutto  l’altro  maggiore  quotidiano  italiano, “Il  Corriere  della  sera”, di  Luigi  Albertini, anche  Lui  senatore  del  Regno, che  era  fautore  deciso  dell’ intervento, ritenendo  la  guerra  “metafora  della  rigenerazione  morale, civile  e  politica  del  paese.”, atteggiamento  che  avrebbe  influito  sulla  media  ed  anche  piccola  borghesia  urbana,indirizzandola  verso  l’intervento, e  sugli  studenti, da  cui  provennero  successivamente  numerosi  volontari, convincendo  che  l’ Italia, se  voleva  essere  una  potenza  europea  non  potesse  rimanere  fuori  dal  conflitto.
Lo  scontro  che  avrebbe  assunto  nel  successivo  1915 , anche per  l’intervento  di  Gabriele  d’ Annunzio, oratore  principe  del  fronte  interventista, toni  sempre  più  aspri  e  violenti, favorito  anche  dai  mesi  di  incertezza,come  non  era   accaduto  nel  resto  dell’ Europa, dove  la  fulmineità  delle  decisioni  governative  non  dettero  tempo  a  contrasti  e  polemiche   e  quindi  furono  accolte  con  entusiasmo  dalle  popolazioni  e  dalle  forze  politiche, socialisti  compresi, con  l’ eccezione  della  Francia, dove  il  leader  socialista  Jean  Jaurès, noto  antimilitarista  fu  ucciso  il  primo  agosto  1914, alla  vigilia  della  guerra,da  un  nazionalista.
Abbiamo  sottolineato  il  confronto  ed  il  conflitto  giornalistico  esistente  a  livello  dei  maggiori  quotidiani, ma  anche  nelle  numerose  riviste  esistenti, nate  nel  primo  quindicennio  del  secolo  ventesimo, testimonianza  di  una  notevole  vivacità  intellettuale  e  della  volontà  di uscire  dal  provincialismo  della  vecchia  Italia  preunitaria, ricordiamo  “Lacerba”, il  “Leonardo”, ”Hermes”, “Il  Regno”, ma  particolarmente  “La  Voce“, fondata  nel   1908  dall’ allora  giovanissimo  Giuseppe  Prezzolini ( 1882-1982), che  si  firmava  “Giuliano  il  Sofista” , che  nel  1914 , prima  di  essere  sostituita  da  “La  Voce  politica”, erano  tra  le  voci  più  qualificate  e   documentate  a  favore  dell’ intervento , a  fianco  dell’ Intesa. E  questo non  solo  per  il  raggiungimento  della  completa  unità  nazionale  e  territoriale, ma, come  scrisse  lucidamente  Gaetano  Salvemini  perché  “..la  vittoria  della  Triplice  Intesa  non  minaccia  l’indipendenza  nazionale  dell’Italia  né  di  alcun’altra  nazione  europea, al  contrario  di  ciò  che  si  deve  aspettare  da  una  vittoria  austro-germanica..”, e  perché  “…L’ Italia  non  essendosi  fatta  da  sola, aspetta  finalmente  l’atto  che  la  dimostrerà  capace  di  fare  da  sé…”.  Su   queste  riviste, è  bene  sottolinearlo,scrivevano  giovani  scrittori, poeti  e letterati  che  coerenti  parteciparono  alla  guerra, arruolandosi  anche  come  “volontari”, pagando  in  molti  casi  con  la  vita  la  loro  scelta  e  la  loro  passione  da  Giosuè  Borsi  ad Umberto  Boccioni, Alberto  Caroncini, Renato  Serra, Antonio   Sant’Elia, Scipio  Slataper  e  Carlo  Stuparich . 
Nelle  decisioni  che  si  sarebbero  poi  prese, argomento  non  indifferente , anche  se  di  minore  impatto  emotivo, e  molto  trascurato  nella  pubblicistica  sia  recente  che  dell’epoca, ma  che  doveva  essere  tenuto  ben  presente  dai  governanti, era  quello  degli  approvvigionamenti  di  merci, anche  alimentari ,  di  materie  prime  e  di  materiali   di  cui  l’Italia  aveva  assolutamente  bisogno, essendone  in  tutto  o in  parte  priva, approvvigionamenti  che  arrivavano  via  mare, via  controllata  dalla  Gran  Bretagna, la  cui  flotta  era  la  prima  del  mondo, e  che, pertanto, sarebbero  mancati  nel  caso  di  una  nostra  confermata   neutralità, che, a  questo  punto, sarebbe  divenuta  un  vantaggio  non  indifferente  sul  piano  militare  per  gli  Imperi  Centrali  e  quindi  svantaggiosa  per  le  Potenze  dell’ Intesa  che  ne  avrebbero  tratto  le  relative  conseguenze.
In  ogni  caso  prima  di  svincolarci  in  modo  civile  dai  residui  finali  della  Triplice, dovevamo  esperire  con   l’ Austria, secondo  l’articolo  7, del  trattato, la  strada  dei  compensi  territoriali  dovutici  e  solo  la  loro  dimostrata   impossibilità  di  conclusione  positiva, avrebbe  giustificato  agli  occhi  di tutti, l’accordo  con  l’Intesa. Iniziava  così  il  9  dicembre  1914, come  da  istruzioni  date  da  Sonnino, sull’art. 7  che, ripetiamo,  imponeva  l’obbligo, previ  accordi, di  congrui  compensi  per  occupazioni  territoriali, la  lunga  trattativa  con  il  governo  austroungarico, tenuta  dal  nostro  ambasciatore  a  Vienna,  Avarna, con  contemporanea  conoscenza  al  governo  germanico, da  parte  dell’ ambasciatore  Bollati. Questa  trattativa  protrattasi  per  mesi, fino  ad  aprile, è  documentata  nel  “Libro  verde”, predisposto  per  la  seduta  del  20  maggio  della  Camera  dei  Deputati,  dal  Ministero  degli  Esteri, ricco  di  ben  77  documenti  ufficiali, che  dimostra  la  iniziale  riluttanza  della  diplomazia  austriaca  a  riconoscere  le  nostre  ragioni, poi  la  lentezza   nell’approfondire  le  nostre  richieste  territoriali, poi  una  loro  respinsione, poi  ancora  una  accettazione  parziale  e  riduttiva, portando  così  l’ Italia  a  stipulare  il  26  aprile  1915  il  “Patto  di  Londra”  con  l’Intesa, Gran  Bretagna, Francia  e  Russia.
In  questa  vicenda  delle  trattative  con  l’Austria, si  inserisce  la  missione  straordinaria  diplomatica  a  Roma, che  l’Impero  Germanico, più  lungimirante  e  concreto  del   suo  alleato, affidò   ad  una  personalità  di  primo  piano, già  Cancelliere  dell’ impero, il  Principe  di  Bulow, buon  conoscitore  dell’ Italia  e  della  sua  classe  politica  e  governativa, oltre  tutto  sposato  con  la  figlia  di  Donna  Laura  Minghetti  e  cognato  del  Senatore  del  Regno, il  Principe  di  Camporeale. Il  Principe  di  Bulow, dal  suo  alloggio  di  Villa  Malta, si  prodigò  in  quei  mesi  sia  a  convincere  gli  amici  italiani  sulla  opportunità  e  sui  vantaggi  del  mantenimento  della  neutralità, sia  sopratutto  a  convincere  Berlino, che  a  sua  volta  convincesse  Vienna  ad  accedere  a  tutte  le  richieste  italiane  dal  Trentino  a  Trieste, intervento  che  portò  alle  tardive  ed  ancora  incomplete  concessioni  del  18  maggio, quando  già  il  Governo  Italiano  aveva    provveduto  il  3  maggio  alla  denuncia  della  “Triplice”.
Qui  giunti  è  necessario  fare  il  punto  sulle  accuse  di  tradimento, cambio  di  fronte, disprezzo  dei  trattati, definiti  come  una  “costante”   della  storia  italiana  e  come  tali  ripetute  incoscientemente  anche  da  noi, cominciando  dal  Risorgimento, che  portò  all’ Unità  d’Italia, in  quanto  prima  dello  stessa  vi  erano  gli  italiani  dispersi  in  vari  stati, diversi  dei  quali  per  di  più  con  Sovrani  stranieri, ma  non  l’Italia. La  Storia  d’ Italia, come  disse  mirabilmente  Giovanni  Pascoli, nel  suo  discorso  del  9  aprile  1911  agli  Allievi  dell’Accademia  Navale  di  Livorno,   inizia  dal  1861! In  ogni  caso  vediamo  la  Prima  Guerra  d’ Indipendenza, 1848 – 1849.
Il  Regno  di  Sardegna   iniziò  da  solo  la  guerra  all’ Austria  nel  1848  e  da  solo  la  terminò, sia  pure  sconfitto, nel  1849 ,dato  che  il  concorso  iniziale  di  truppe  pontificie  e  napoletane, venne  a  mancare  essendo  state  ritirate  dai  rispettivi  governi .
La  seconda  Guerra  d’ Indipendenza  del  1859  vide  il  Regno  di  Sardegna  alleato  con  l’ Impero  Francese  di   Napoleone  III, ed  aveva  lo  scopo  di  liberare  il  Lombardo-Veneto  dal  dominio  austriaco, ma  dopo  la  battaglia  pur  vittoriosa, di   Solferino, Napoleone  firma  con  Francesco  Giuseppr  l’ armistizio  di  Villafranca, ritirandosi  dalla  guerra, senza  tener  conto  dei  patti  e  dell’alleanza  con  Vittorio  Emanuele, limitando  così  il  ricongiungimento  della  sola  Lombardia  al  Regno  Sardo.
La  terza  Guerra  d’ Indipendenza   del  1866  vede  il  Regno  d’ Italia  alleato  con  il  Regno  di  Prussia, ma  i  prussiani  dopo  la  vittoria  di  Sadowa  sull’ esercito   austriaco, ritengono  raggiunti  gli  scopi  della  guerra    e   non  tengono  conto  dell’alleato  italiano  che  ottiene  egualmente  il  Veneto, ma  grazie  all’intervento  di  Napoleone  III.
Nella  guerra  Franco - Prussiana  del  1870-1871, il  Regno  d’ Italia  si  mantenne  neutrale  non  avendo  né  patti  né  trattati  con  i  due  belligeranti, e  sarà  Garibaldi, libero  da  impegni  di  carattere  istituzionale  ad  accorrere  in  soccorso  della  Francia, ottenendo  a  Digione, l’unica  vittoria  sull’esercito  prussiano.
Dal  1871  al  1914  l’ Europa  rimase  in  pace, Balcani  esclusi, per  cui  non  vi  potevano  essere  cambiamenti  di  fronte  ed  il  Regno  d’ Italia   partecipò  insieme  con  le altre  potenze  alle  vicende  di  Creta  e  della  Cina,  ed  alla  guerra, oggetto  di  queste  note,  l’Italia  partecipò  dall’inizio nel  1915  alla  fine  nel  1918  a  fianco  dell’ Intesa. Quindi  quali  cambiamenti  di  fronte?
Ed  i  trattati   stracciati ? Ripetiamo  che  la  Triplice  era  un  trattato  esclusivamente  difensivo  e  prevedeva   la  solidarietà  solo  nel  caso  che  una  delle  tre  potenze  venisse  attaccata  da  altre  potenze,”casus  foederis”, mentre  nel  luglio  1914  avvenne  decisamente  il  contrario! I  due  imperi  germanico  ed  austroungarico  non  si  curarono  di  chiedere  il  parere  dell’ Italia, prima  di  gettarsi  nel  conflitto, forse  perché  ritenevano  che   sarebbe  stato  negativo, come  nel  1913. Allora  chi  ha  violato  i  trattati? Non   certo  l’ Italia  che  cercò, nell’ ambito  ancora  della  Triplice  di  raggiungere   i  risultati  territoriali  che  si  era  storicamente  proposta  e  dopo  il  tergiversare  dell’ Austria, come  già  detto, prese  contatto   con  le  altre  potenze, la  vittoria  delle  quali, in  quella  primavera  del  1915  non  era  poi  così  certa, per  cui  non  si  può  dire  che  ci  buttammo  dalla  parte  dei  vincitori !
In  conclusione  il  Patto  di  Londra  dava  al  Regno  d’Italia  molto  di  più  di  quanto  ci  avrebbe  riconosciuto  l’ Austria, cioè  ci  riconosceva  il  confine  del  Brennero , invece  che  a  Salorno, confine  che  avrebbe  ripetuto  la  vulnerabilità  della  nostra  frontiera, così  come  era  stato  il  confine  del  1866  che  vedeva  l’Impero  Austriaco, con  il  Trentino  incuneato  tra  Lombardia  e  Veneto,con  i  conseguenti  rischi  che  si  videro  nel  1916  quando  l’ Austria, sferrò   la  famosa  offensiva, la spedizione  punitiva, “ Strafexpedition”, e   l’altro  confine  delle  Alpi  Giulie, con  Trieste, non  più  “città  imperiale”, l’Istria, e  poi  la  Dalmazia, le  isole  Curzolari  e  Zara, bloccando  le  pretese   di  ingrandimento  della  Serbia,   dopo  il  1918, divenuta  Jugoslavia, che  voleva  raggiungere  il  confine  dell’Isonzo, che  solo  la  sfortunata  guerra  del  1940, le  ha  consentito  di  avere, escluse  però Gorizia  e   Trieste  sulle  quali  ancora  sventola  quel  tricolore, che  dovemmo  invece  ammainare  a  Pola, Fiume  e  Zara, con  l’esodo  di  oltre  trecentomila  giuliano-dalmati. Ed  a   proposito  di  Fiume, che  dopo  la  fine  della  guerra, nel  1919,  fu  motivo  di  scontri,  e  di  accuse  di  “dimenticanza”  nel  Patto  di  Londra, è  bene  precisare  che  all’epoca  del  patto, che  oltre  tutto  non prendeva  in  considerazione  lo  smembramento  dell’Impero  Austro- Ungarico, risultava  essere  maggiore  desiderio  dei  fiumani  di  avere  una  ampia  e  completa  autonomia, piuttosto   che  l’annessione  all’Italia, per  divenire  lo  sbocco  commerciale  di  tutto  il  retroterra  slavo.
Il  Patto  di  Londra, firmato  il  26  aprile  1915 , prevedeva  un  mese  di  tempo  per  la  nostra  entrata  in  guerra, per  cui  la  strada  dell’intervento  era  aperta, ma  i  neutralisti  erano  ancora  numerosi, specie  nel  Parlamento.
Fu  bello  ci  si  chiese  e  si  chiede negoziare quasi  contemporaneamente  su  due  fronti? A  questa  domanda  recentemente  ha  risposto  Sergio  Romano: “No, ma  è  impossibile  negare  che  le  concessioni  degli  Alleati  Occidentali  rispondessero  maggiormente  agli  interessi  nazionali  come  erano  allora  percepiti  dalla  maggioranza  della classe  dirigente  e  della  società  italiana“. Tornando  alla  Camera  dei  Deputati, la  stessa  eletta  nel  1913, con  le  prime elezioni   a  suffragio  quasi  universale, era  in  maggioranza  di  osservanza  giolittiana,  e , malgrado  il  voto  favorevole  dato  al  governo  Salandra, guardava  sempre   a  Giolitti  e  specie  di  fronte a questo  nuovo  ed  imprevisto  problema  della  guerra, era  neutralista  perché   sapevano  che  Giolitti  sconsigliava  la  guerra. Ma  il  neutralismo  di  Giolitti  era  così  assoluto?  Era  invece  un  neutralismo  condizionato  e  ritenuto  tale  per  via  di  una  sua  famosa   lettera   all’amico  Peano, in cui  si  faceva  l’ipotesi, ma  non  la  certezza, non  essendo  lui  al governo, che  si  sarebbe  ottenuto  “parecchio”  dall’ Austria , senza  ricorrere  alle  armi, perché “…io  considero  la  guerra  come  una  disgrazia, la  quale  si  deve  affrontare  solo  quando  è  necessario  per  l’onore  e  per  i grandi  interessi   del  paese”. Posizione  perciò  assolutamente diversa  e  contrastante  con  il  neutralismo  dei  socialisti, l’ unico  vero  ed  assoluto, anche  dopo  le  critiche  mosse  allo  stesso  da  Mussolini, di cui  abbiamo  già  parlato.
Ora  questa  posizione, forse  volutamente non  capita, fece  di  Giolitti   in  quei   primi  mesi  del  1915  il  bersaglio  principale  degli  interventisti, con  definizioni  volgari  ed  oltraggiose, con  sospetti  ed  accuse  infamanti  di  corruzione, con  minacce  all’integrità  fisica   della  persona, che  si  dovette  proteggere, e  spiace  che  in  questa  campagna  contro  Giolitti  si  distinguesse  d’ Annunzio, che  forse  non  gli  perdonava   la  censura  che  aveva  dovuto  doverosamente  adottare  nel  1911, quale  Presidente  del  Consiglio,  su  una  sua  “ canzone  d’oltremare“, dove  veniva   colpita  la  persona  dell’allora  alleato  Imperatore  Francesco  Giuseppe.
Quindi  il  mese  di  maggio  del  1915  fu  uno  dei  mesi  più  drammatici  che  avesse  attraversato  la  storia  dell’ Italia  unita, per  un  possibile  conflitto  tra  le  istituzioni  dello  stato  e  nella  società  civile, per  cui  la  riapertura  della  Camera, prevista  per  il  20  del  mese  era  attesa  con  un  interesse, mai, forse  raggiunto  in precedenti  occasioni.
Gli  interventisti  avevano  toccato  il  culmine  della  loro   propaganda  sull’opinione  pubblica  con  i  discorsi  di  Gabriele d’ Annunzio, il  5  maggio  a  Quarto, per  l’inaugurazione  del  monumento  ai  “Mille”, dove  sarebbe  dovuto  intervenire  anche  il  Re, presenza  che  il  Governo  non  aveva  ritenuto  opportuna, per   cui  il  Re  si  limitò  a mandare  un  telegramma, il  cui  testo    predisposto  da  Ferdinando  Martini, era  però  particolarmente  significativo:  “Se  cure  dello  Stato, mutando  il  desiderio  in  rammarico, mi  tolgono  di  partecipare  alla  cerimonia…non  si  allontana…dallo  scoglio  di  Quarto  il  mio  pensiero. A  codesta  …sponda…che  vide  nascere  chi  primo  vaticinò  l’unità  della  Patria  (Mazzini) e il  duce  dei  Mille (Garibaldi)  salpare…verso  immortali  fortune, mando  il mio commosso  pensiero. E  con  lo  stesso fervore  di  affetti  che  guidò  il  mio  grande  Avo traggo  la  fede  nel  glorioso  avvenire d’ Italia.”, ed  il  successivo  discorso  il 16  maggio  dalla ringhiera  del  Campidoglio.
Giolitti, non  era  a  Roma, dove  giunse  da  Cavour, la  mattina del  9  maggio, trovando   i  famosi  trecento  biglietti  da visita  di  parlamentari  suoi  devoti, ed  ebbe  subito  colloqui  con  Salandra, ed  il successivo  10  maggio  con  il  Re, dove  spiegò  il  suo  pensiero  ed  anche  l’origine  del  suo  neutralismo, che  non  era  antipatriottismo, ma  nasceva  dalla  sua visione, oltre  modo  pessimistica   dell’Italia  in  caso  di  guerra, sia  sul  terreno  militare, sia  per  possibili  rivolgimenti  interni, il  che  è  ben  strano  nell’uomo  che  tanto  aveva contribuito  alla  crescita  economica, politica  e  sociale  dell’Italia  stessa  nei  tredici  anni  dei  suoi  governi, e  che  aveva  condotto  positivamente  la recente  annessione  della  Libia. Di  fronte  a  questa  posizione  il  Governo  ritenne  doveroso  dimettersi  il  successivo  13  maggio, ed  il  Re , nel  suo  abituale  rispetto  delle  consuetudini  parlamentari, iniziò  con  estrema  urgenza  le  consultazioni  per  la  soluzione  della  crisi, convocando  per  primi  i  Presidenti  delle  Camere, Manfredi  e  Marcora, poi  Giolitti, che  dichiarandosi  non  disponibile  per  costituire  un  nuovo  governo, suggerì   il  nome  dell’on. Carcano, e  poi  ancora  un  vecchio  stimato  parlamentare, Boselli, ma  avendo  avuto  tutte  risposte negative, il  Re  non  potè  che  respingere  le dimissioni  del  governo, rinviando  lo  stesso  alle  Camere. Con  questa  decisione, statutariamente  ineccepibile, il  Re, come  sempre  si  assumeva  le  sue  responsabilità, mentre  altri  sfuggivano  le  loro, per cui  non  può  parlarsi, come  da  alcuni  fu  detto  allora  e ripetuto   successivamente, di  “colpo  di  stato”, termine  assurdo  se  consideriamo  che  il  Re  era  il  Capo  dello  Stato. Quindi  mentre  Giolitti  ripartiva  il  17  per  Cavour, il successivo  20  si  apriva  la  Camera  ed il  Governo  presentava  un  disegno  di  legge, di  un  solo  articolo, che  attribuiva  al  governo  stesso, “..in  caso  di  guerra e  durante  la  guerra….”, poteri  straordinari  per  agire ,“..dalla  difesa  dello  stato, dalla  tutela  dell’ordine  pubblico, e da  urgenti e straordinari  bisogni  della  economia  nazionale….”, disegno  di  legge che  veniva  approvato  con  407  voti  favorevoli, 74  contrari, in  gran  maggioranza  socialisti  e  un  astenuto, ed  il   21  maggio il  Senato  confermava  l’unanime  l’approvazione  da  parte  dei  281  senatori   presenti.
Così  dopo  dieci  mesi  di  discussioni  anche  accese, di ragionevoli  incertezze, di  trattative  necessariamente  nascoste, l’ Italia  entrava  in guerra  il 24  maggio, in  quella che  fu  anche  definita  “Quarta  Guerra  d’ Indipendenza”, e  sottolineo  questa  dizione,  a  dimostrazione  che  la  nostra  guerra  non  aveva   fini  imperialistici, ma  quello  di raggiungere  i  confini  storico-geografici  della  Nazione Italiana  e  compiere  così  l’impresa  del  Risorgimento, per  cui  la  formale  dichiarazione  di  guerra, che  statutariamente  spettava  al  Re, fu  inviata  alla  sola  Austria-Ungheria, e  non  alla  Germania, con  la quale  non  avevamo  alcun  contenzioso, ed  alla quale fummo  costretti  ad  inviarla  il  successivo  25  agosto  1916.
Il  larghissimo  voto  favorevole  della  Camera   e  la  successiva  entrata  in  guerra, se  non   crearono  quella  “unione  sacra” che  sarebbe  stata  necessaria, perdurando  l’atteggiamento  negativo  dei  socialisti, ebbero  però  un  riscontro  positivo, anche  in  chi, fino  ad  allora  aveva  professato  convinzioni  neutraliste  ed  a  tale  riguardo  ritengo  particolarmente  significativo  citare  il  discorso  che  proprio  Giolitti  tenne  al  Consiglio  Provinciale  di  Cuneo, di  cui  era  Presidente, il  successivo   5  luglio, che  per  nobiltà  di  termini ,oggi  desueti, andrebbe  affisso  a  testimonianza  di  un  sentire  nazionale, altrettanto  oggi  desueto: “Quando  il Re chiama  il  paese  alle armi, la  provincia  di  Cuneo, senza  distinzioni  di  parti  e  senza  riserve, è  unanime  nella  devozione  al  Re, nell’appoggio  incondizionato  al  Governo, nell’illimitata  fiducia  nell’esercito  e  nell’armata….L’ impresa  cui  l’Italia  si  è  accinta  è  ardua  e richiederà  gravi  sacrifici, ma nessun  sacrificio  ci  parrà  troppo  grave  se  ricorderemo  sempre  che  dall’esito  di  questa guerra,….dalla  situazione  politica   che  ci  troveremo  a  pace  conclusa, dipenderà  l’avvenire  dell’Italia  per  un  lungo  periodo della sua  storia”, invocando  infine  “concordia, perseveranza  e  la  calma  dei forti.” Con  l’entrata  in  guerra, il  Re, partendo  per  il  fronte  dove  per  quaranta  mesi  avrebbe  seguito  giornalmente  e  personalmente  le  operazioni, la  cui  responsabilità   tecnica  era  demandata  al  Capo  di  Stato   Maggiore, Cadorna, nominava  suo  Luogotenente  Generale, lo  zio  Tommaso  di  Savoia, Duca  di  Genova, fratello  della  Regina  Madre  Margherita, onde  assicurare  la  continuità  dell’attività  governativa, legislativa  ed  amministrativa  del  Regno, e  con  il  Re, tutti  gli  altri  componenti  della  Casa  Savoia  assumevano  posti  di  responsabilità  nella  conduzione  della  guerra  stessa, dal  Duca d’ Aosta, comandante  della  Terza  Armata, al  Conte  di  Torino, comandante  dell’Arma  di    Cavalleria  ed al  Duca  degli  Abruzzi, comandante  della  Forze  Navali, mentre  tutti  i  più giovani  principi  dei  due  rami, Genova  ed  Aosta, partecipavano   alle  operazioni  belliche  dando  prova  di  valore  e di  coraggio  ed  infine  le  Regine  Elena  e  Margherita  trasformavano  in  ospedali  militari  il    palazzo  del  Quirinale  ed  il  Palazzo  Margherita, e  la  Duchessa  d’Aosta, ispettrice  nazionale  della  Croce  Rossa, visitava  instancabilmente  gli ospedali  da  campo  e  le  altre  strutture  sanitarie  in  zona  di  guerra.
Dal  Quartier  Generale, il  26  maggio  il  Re  indirizzava  un  proclama  ai  Soldati  di  Terra  e  di  Mare, messaggio, che lo  storico  Perticone  nella  sua  opera  già  citata  considera  in  termini  positivi  e  per  il  quale  il  periodico  “La Voce”, che  non  era  certo  una  voce  cortigiana, scrisse  questo  commento: ”Il  proclama  del  Re: eccellente. Tutti  lo  dicono. Tutti  lo  sentono. Breve, sobrio, efficace, senz’ira, senza  vanteria. Se  lo  Stato  Maggiore  condurrà  la  guerra  con  lo  stessi  stile, l’ Italia  farà  una  bella   figura. Ma c’è  di  più : il  proclama  del  Re  è  una  lezione  di  scrittura. Dovrebbe  essere  dato  come  modello  ai  giornalisti, agli  oratori, agli  studenti. Senza  Dio  e  senza  paura, proprio  moderno. In  questa  Italia, dove  non  si  sa  far  nulla  senza  l’ aquile  romane, il  proclama  del  Re  ha  portato  una  nota  simpatica  e  nuova” .Ed  ecco  il  proclama :
“L’ora  solenne  delle  rivendicazioni  nazionali  è  suonata. Seguendo  l’esempio  del  mio  grande  Avo, assumo  oggi  il  comando  supremo  delle  Forze  d  Terra  e  di  Mare, con  sicura  fede  nella  vittoria, che  il  vostro  valore, la  vostra  abnegazione , la  vostra  disciplina  sapranno  conseguire. Il  nemico  che  vi  accingete  a  combattere  è  agguerrito  e  degno  di  voi. Favorito  dal  terreno  e  dai  sapienti  apprestamenti  dell’arte, egli  opporrà  tenace  resistenza, ma  il  vostro  indomito  slancio  saprà  di certo  superarlo. Soldati, a voi  la  gloria  di  piantare  il  Tricolore d’ Italia  sui  terreni  sacri  che  Natura  pose  a  confine  della  Patria  Nostra; a  voi  la  gloria  di  compiere  finalmente, l’opera  con  tanto  eroismo   iniziata dai  nostri  Padri.  “
Domenico  Giglio

Bibliografia:

  1. Antonio  Salandra: “La  neutralità  italiana”- Collezione  italiana  diari etc. diretta  da  Angelo  Gatti.- Edizioni  Mondadori -  1928
  2. Antonio  Salandra:  “ L’ intervento- 1915-“  Collezione  italiana  diari  etc. diretta  da  Angelo  Gatti- Edizioni  Mondadori – 1930
  3. Amedeo  Tosti: “ Storia  della  Guerra  della  Guerra  Mondiale”. vol.2 ( volume  primo)- Edizioni  Mondadori – 1937
  4. Gian  Dauli : “ L’ Italia  nella  Grande  Guerra” – Edizioni  Aurora –Milano- 1935
  5. Giacomo Perticone : “ L’ Italia  contemporanea – 1871- 1948 “  dalla  “Storia d’ Italia  illustrata” vol.8 . Edizioni  Mondadori-   1962
  6. Gioacchino  Volpe: “L’ Italia  Moderna”  vol . 3 ( volume  terzo  dal  1900  al  1915 ). Editore  Sansoni – 1952 ( l’opera  è  stata  ristampata  con  prefazione  del  prof, Francesco  Perfetti)
  7. Indro  Montanelli: “L’ Italia  di  Giolitti“ – editore  Rizzoli  1974
  8. Aldo  A. Mola  : “Giolitti – lo  statista  della  nuova  Italia“ . Collana  “Le Scie”- Edizioni  Mondadori- 2003 
  9. Documenti  diplomatici  presentati  al  Parlamento  Italiano  dal  Ministro  degli  affari  esteri.-Roma  Tipografia  Editrice  Nazionale -1915
  10. Alberto  Pollio: “Custoza -1866-“, edizione  della  Libreria  dello  Stato –Roma  -1935. IV edizione.
  11. Domenico  Fisichella: “Dal  risorgimento  al  fascismo “, editore  Carocci -2012

Nota  sui  Principi  di  Casa  Savoia  dei  Rami  Aosta  e  Genova  impegnati  al  fronte,
  • Amedeo – n. 1898 – Duca  delle  Puglie - volontario  - artiglieria  da  campagna – una  medaglia  di  bronzo  e  due  di  argento ( duca  d’ Aosta  dopo  la  morte  del  Padre, Emanuele  Filiberto.)
  • Aimone  - n. 1900 – Duca  di  Spoleto – guardiamarina, poi  capo  squadriglia  idrovolanti – due  medaglie  di  bronzo  ed  una  di  argento  (Duca  d’ Aosta  dopo  la  morte  del  fratello  Amedeo )
  • Umberto – n. 1889 – m.1918 – Conte  di  Salemi - tenente, due  medaglie  d’argento
  • Ferdinando – n.1884 – Principe  di  Udine – tenente  di  vascello – due  medaglie  di  argento (Duca  di  Genova  dopo  la  morte  del  padre   Tommaso)
  • Filiberto – n. 1895 -  Duca  di  Pistoia- ufficiale  di  cavalleria – una  medaglia  di  bronzo
  • Adalberto -  1898 – Duca  di  Bergamo – ufficiale  di  cavalleria  nei  Lancieri  di  Novara