NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 27 giugno 2014

Luglio 1914: il suicidio dell’ Europa

di Domenico Giglio

E’  abbastanza  ovvio  che  in  questi  giorni  si  ricordi  l’assassinio  dell’  Arciduca  d’ Austria  Francesco  Ferdinando, unitamente  alla  consorte  morganatica  Sofia, avvenuto  a  Sarajevo ad  opera  di  Gavrilo  Princip, ”due  colpi  di  pistola: dieci  milioni  di  morti”, come  è  stato  sintetizzato, ma  non  vedo  per  l’ Europa  questi  grandi  motivi  di  rammentare  un  evento  che  ha  significato  la  fine, o  l’inizio  della  fine, concretatasi  nel  1945, della  sua  supremazia  mondiale, se  non  per  un  atto  di  pentimento  per  gli  errori  commessi  e  per  la  riaffermazione, che  è  poi  il  maggiore  e  migliore  motivo  della   attuale  Unione, del  “mai  più  guerre   tra  gli  stati   europei”.
In  questi  ricordi  e  rievocazioni  del  “Luglio ’14 “, vi  è  una  tendenza  quasi  a  sottovalutare  l’assassinio  dell’erede  al  trono  dell’ Austria-Ungheria, quale  causa  scatenante  il  conflitto, in  quanto, dicono  illustri  storici, la  guerra  sarebbe  scoppiata  egualmente  perché  la  politica  mondiale  dell’ Impero  Germanico, lo  sviluppo  della  sua  flotta  da  battaglia, non  sarebbe  stata  tollerata  a  lungo  dalla  Gran  Bretagna, potenza  mondiale , particolarmente   egemone  sui  mari.
Le  guerre  però  non  sorgono  per  “autocombustione”, ma  necessitano  di  un  “casus  belli”, per  cui  non  è  facile  individuare  il  “quando” sarebbe  scoppiata  la  guerra  europea, se  non  ci  fosse  stato  Serajevo  e  l’arroganza  della  diplomazia  austroungarica, arroganza  già  mostrata  nel  1859  nei  confronti  del  Piemonte, ed  in  epoche  successive, per  cui  la  Serbia, che  sapeva  di  godere  della  protezione  “ortodossa”  dell’Impero  Russo, non  poté  accettare, come  Stato  Sovrano, l’incredibile  ultimatum  inviatogli  da  Vienna. “ Verum  ipsum  factum”, dice  Giambattista  Vico,  ed  il  fatto  e  la  verità  coincidono. Senza  Serajevo  il  1914  sarebbe  trascorso  tranquillamente, e  l’estate  avrebbe  ancora  una  volta  visto  il  gran  mondo  incontrarsi  nei  saloni  del  grandi  alberghi   e  nelle  stazioni  termali. Ed  il  1915? Se  vogliamo  continuare  le  ipotesi  quale  fatto  poteva  accadere  per  accendere  la  “miccia”  della  guerra? Se  la  storia  non  si  fa “con  i  se  e  con   i  ma”  vorrei  capire  se  in  un  anno  la  Germania  avrebbe  compiuto  un  ulteriore  balzo in  avanti, tale  da  costringere  la  Gran  Bretagna, ad  agire. Andiamo  al  1916  e  qui  è  un  fatto  certo   e  cioè  la  scomparsa  dopo  68  anni  di  Regno  di  Francesco  Giuseppe, e  l’ascesa  al  trono  di  Francesco  Ferdinando, se  non  fosse  stato  assassinato   due  anni  prima, come  fu  in  realtà.
Presi  in  questo  giuoco  si  poteva  pensare  che  il  nuovo  Imperatore, che  aveva  idee  interessanti  di  una  ristrutturazione  dell’ impero  che  riteneva  urgente, date  le  spinte  centrifughe  esistenti, si  sarebbe  imbarcato  in  imprese  belliche, almeno  per  qualche  anno  e  si  poteva  pensare  che  la  Germania , senza  avere  la  certezza  di  una  collaborazione  austroungarica, si  sarebbe, a  sua  volta, spinta  oltre  nella  sua  politica  espansiva? Questo  per  rimanere  su  dati  e  date  certe  perché  altrimenti  si  potrebbero  ipotizzare  gli  eventi  più  svariati, da  morti  improvvise  di  capi  di  stato, con  problemi  successori  od   a  rivolgimenti  interni  dagli  esiti  imprevedibili.
Per  questo  il  gesto  criminale  di  Gavrilo  Princip   rimane  l’unica  e  sola  causa  certa  ed  indiscussa  della  cosiddetta  prima  Guerra  Mondiale, che  portò  in  Europa  una  potenza  fino  ad  allora  estranea, gli  Stati  Uniti  d’America,  e  portò  anche  negli  eserciti  franco-inglesi   soldati  dei  loro  imperi  coloniali  che  videro, e  lo  rividero  nella  seconda  guerra  mondiale , i  “padroni”  bianchi  combattere  tra  loro, con  tutti  i  mezzi, anche  i  meno  leciti, come  i  gas  asfissianti,  e  capirono  che  erano   maturi  per  una  propria  indipendenza  nazionale, magari, e  questa  è  storia  recente, rivelatasi  di  molto  inferiore  alle  loro  aspettative.

Domenico   Giglio   

La "Repubblica" dà la zappa sui piedi a se medesima ed all'istituto di cui prende il nome

La monarchia inglese costa 30 milioni all'anno.
La Regina: "Solo un penny alla settimana"


Così titola il giornale dal nome che è tutto un programma. Ricordo una professoressa che usava repubblica come sinonimo di casino.
Si straccia le vesti per i 35 milioni e 700 mila sterline che costa all'anno, agli inglesi la Monarchia.
Lo stesso giornale asserisce che questi 35,7 milioni di sterline corrispondono a 30 milioni di Euro, sostenendo una grossolana fesseria, come d'altronde capita spesso in quel giornale ove l'odio acceca le menti.
I milioni di Euro sono in realtà 45, come riporta molto più correttamente l'Ansa.
Cifre notevoli che impallidiscono in confronto ai 261 milioni/anno che costa il Quirinale e quindi la presidenza della repubblica agli italiani.
E sì che la Monarchia inglese ha un suo cerimoniale che qualcosa deve per forza costare.
Cerimoniale comunque che attrae nel Regno Unito centinaia di migliaia di turisti e che quindi determina significative entrate nelle casse dello stato, come sono costretti a riconoscere perfino i sedicenti giornalisti di "repubblica".

Mai che venisse loro in mente di fare un confronto con le nostrane istituzioni.
Forse dovrebbero riconoscere che nel loro sarcastico livore si stanno sbagliando enormemente. 
In un rapporto di circa il 17,24138% rispetto ai costi delle Repubblica italiana ( la maiuscola ci costa una fatica immensa). Quindi con un errore dell'82,7% circa. Tanto costa di più la repubblica italiana rispetto alla Monarchia inglese.

Fatevi due conti.




giovedì 26 giugno 2014

I meriti delle monarchie europee, lettere al Giornale di Brescia

IL CASO SPAGNOLO 

dr. Giovanni Soncini (Brescia)

Ho letto con curiosità l’articolo di Francesco Bonini sul «Giornale di Brescia» del 20 giugno. Da oltre 50 anni sono lettore del Suo Giornale e quasi sempre ho notato che gli articolisti ospitati hanno considerato i re come capi di Stato di serie B. 
L’abdicazione di re Juan Carlos era un’occasione per affermare almeno una volta il contrario. I 39 anni del suo regno sono stati soprattutto grazie a lui, i più liberi, democratici e prosperi della lunga storia di Spagna. 
Quanto sopra viene affermato su La Repubblica del 19 giugno in un lungo articolo del celebre scrittore Premio Nobel Mario Vargas Llosa che è un vero e proprio elogio al re Juan Carlos. Indubbiamente coadiuvato da altre forze politiche il Re di Spagna riuscì a trasformare un regime franchista in uno stato democratico (dove anche i repubblicani possono esprimere il loro parere) ben diverso dal modello autoritario che il Caudillo Francisco Franco voleva imporre dopo la sua morte. 
Tutto era stato preparato dal Caudillo affinché il regime franchista continuasse. Ciò non è avvenuto, senza alcuna lotta civile, grazie alle doti del Re ed alle capacità di trasformazioni insite nelle monarchie moderne. Continua l’articolista Vargas Llosa: «La monarchia è una delle poche istituzioni che garantiscono quell’unità nella diversità senza la quale rischiamo di assistere alla disintegrazione di una delle civiltà più antiche e influenti del mondo». 
Non ho capito cosa voglia dimostrare l’articolo di Francesco Bonini e soprattutto non ho compreso quale attinenza abbia con il recente avvento al trono di re Filippo VI. 
Mi consenta di aggiungere, rispettando al massimo chi la pensa diversamente e preferisce le repubbliche, l’osservazione che, oggi, in Europa i nove/dieci Paesi istituzionalmente monarchie sono tra i più liberi, democratici, moderni, civilmente, socialmente ed economicamente progrediti al mondo. In ciascuno di essi il re, o la regina, assolvono ai doveri di Capo dello Stato al di sopra dei partiti, e sono arbitro e moderatore - mai parte - nell’ambito delle politiche, di governo e di opposizione, che spettano esclusivamente a chi è stato votato dagli elettori. 
Essi incarnano il simbolo della storia e della identità dei loro popoli; rappresentano un punto di riferimento, di incontro e di coesione per la stragrande maggioranza dei cittadini e tra le generazioni, ancora più essenziale nei momenti di crisi e di difficoltà; e garantiscono, allo stesso tempo, che tali valori nazionali - la cui importanza penso sia intramontabile - si coniughino con la tutela e la promozione delle diversità, specificità, autonomie e diritti, regionali e locali, il cui migliore e più armonioso sviluppo è possibile proprio nel quadro istituzionale della Monarchia costituzionale. 
[...]

L'ITALIA NELLA GRANDE GUERRA 1914-1915 L'ANNO DELLE SCELTE :CONVEGNO INTERNAZIONALE


CENTRO GIOVANNI GIOLITTI - XVI SCUOLA DI ALTA FORMAZIONE

nel Centenario della Prima Guerra Mondiale
il Centro Europeo Giovanni Giolitti per lo Studio dello Stato,
organizza il Convegno internazionale di studi su

L'ITALIA NELLA GRANDE GUERRA
1914-1915 L'ANNO DELLE SCELTE

diretto da Aldo A. Mola 



PERCHÉ L'INTERVENTO DEL 1915 NELLA GRANDE GUERRA? L'ORA DELLE SCELTE IN UN CONVEGNO INTERNAZIONALE DEL CENTRO GIOLITTI A CUNEO E A CAVOUR (14-15 NOVEMBRE 2014)

Nell'estate 1914 anche l'Italia dovette fare i conti con la conflagrazione, subito violentissima, tra
gli Imperi Centrali (Germania e Austria-Ungheria, ai quali dal 1882 essa era legata da alleanza
difensiva) e l'Intesa (Gran Bretagna, Francia, Russia, tutrice della Serbia). Che fare? Re Vittorio Emanuele III, il governo, presieduto da Antonio Salandra, la generalità dei parlamentari e, con poche eccezioni, le maggiori forze politiche, economiche e culturali furono per la prudenza. In quella guerra l'Italia non aveva poste in gioco dirette. Rimanendo neutrale essa avrebbe pesato di più nelle trattative per il ritorno al “concerto delle grandi potenze” durato in Europa dal Congresso di Vienna del 1815 al 1914 e, forse, avrebbe ottenuto “compensi” per via diplomatica (il Trentino e garanzie per gli italofoni di Trieste e dell'Istria).
Dopo le prime gigantesche battaglie, esose di vite e di risorse, la guerra divenne “di logoramento”. Incapaci di vittorie decisive, gli eserciti furono affossati in campi trincerati, dai quali milioni di uomini vennero lanciati in offensive mai risolutive.
Dall'ottobre 1914 alcuni membri del governo presieduto da Antonio Salandra si domandarono
sino a quando l'Italia, la cui vita economica (consumi e produzione) dipendeva largamente da
importazioni, soprattutto nei settori vitali (cereali, carbone, minerali ferrosi,...), avrebbe potuto
rimanere neutrale. Sulle scelte pesarono non tanto i nuclei interventistici (nazionalisti, imperialisti,...) e riviste di modesta circolazione, quanto la posizione geografica e la vulnerabilità del sistema difensivo, che esponevano ad attacchi sia da parte dell'Intesa, sia da parte dell'Austria-Ungheria.
Roma avviò trattative segretissime proprio con il fronte per lei più insidioso: l'Intesa. Con il Patto sottoscritto a Londra il 26 aprile 1915 s'impegnò a entrare in guerra contro gli Imperi Centrali. Il 3 maggio denunciò la vecchia Triplice con Vienna e Berlino e il 24 maggio scese in guerra contro l'Impero austro-ungarico.
La decisione fu imposta dalla durata della guerra: il cui prolungamento ebbe poi conseguenze
devastanti in ogni ambito della vita pubblica e privata.
Il Centro Giolitti di Dronero e Cavour affronta la tematica in un convegno organizzato con la
Provincia di Cuneo e l'Ufficio Storico SME, il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo e l'adesione di vari istituti e centri di studio. Esso passa in rassegna il quadro istituzionale, la visione che dell'Italia ebbero due paesi “latini”, le ripercussioni dell'intervento su partiti, produzione letteraria e cinematografica e affronta un tema suggestivo: la conflagrazione europea e l'intervento italiano furono frutto di un complotto soprannazionale massonico?
Infine evoca l'unico il tentativo tenacemente perseguito da Giovanni Giolitti di trattenere l'Italia
dal ricorso alle armi (specialmente contro la Germania nei cui riguardi non aveva alcun contenzioso) e coronare il Risorgimento in via diplomatica.
Per le elevate perdite umane subite e le profonde trasformazioni registratevi la “Granda” e il
Piemonte hanno motivo di riflettere sull'Italia nella Grande Guerra. Anche se non è magistra vitae, la conoscenza del passato impone responsabilità nelle decisioni odierne. Gli errori (insegnano le scelte del 1914-1915 e quelle del 1939-1940) si pagano per decenni, a volte per secoli, come appunto ripeté Giolitti. Invano.
Aldo A. Mola


Programma

venerdì 14 novembre 2014 h. 9,00

Cuneo, Palazzo della Provincia, Sala Giolitti
Presiede Giuseppe Catenacci, Associazione Nazionale ex Allievi della Nunziatella
Introduce Sig.ra Gianna Gancia, p. Presidente della Provincia di Cuneo
Saluti delle Autorità
· Tito Lucrezio RIZZO, I poteri istituzionali
· Federico LUCARINI, I Governi Salandra
· Jean-Yves FRETIGNE', L'Italia veduta dalla Francia
· Fernando GARCIA SANZ, L'Italia veduta dalla Spagna
· Col. Antonino ZARCONE, La preparazione militare italiana dal Ministro Domenico
Grandi a Vittorio Zupelli
h. 12,45 Aldo A. Mola, conclusioni della sessione

sabato 15 novembre 2014 h. 9,00

Cavour (Torino), Centro Giolitti, Abbazia di Santa Maria
Presiede Giovanna GIOLITTI, presidente Sede di Cavour del Centro Giolitti
· Giovanni RABBIA, La guerra negli scrittori italiani
· Giorgio SANGIORGI, La guerra nella cinematografia
· Giovanni GUANTI, Canti popolari di guerra
· André COMBES, La Massoneria francese nella Grande Guerra: complotto
internazionale o patriottismo?
· Luigi PRUNETI, La Massoneria italiana nella Grande Guerra
· Aldo G. RICCI, Fuori e dentro il parlamento: le forze politiche (radicali, repubblicani,
socialisti)
· Aldo A. MOLA, Giolitti: come fermare la guerra?
h. 13,00 consegna degli attestati di partecipazione

ESPOSIZIONE DI OPERE DELL'UFFICIO STORICO SME
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Segreteria: Centro Giovanni Giolitti, via XXV aprile 25, 12025 DRONERO CN
cell. 348 / 18 69 452 - info@giovannigiolitti.it
I laureati e docenti interessati a rimborsi spese per la partecipazione inviino richiesta e
curricula al Centro (anche via e-mail) entro le h.12,00 del 28 settembre 2014.

lunedì 23 giugno 2014

Auguri al Re

 Roma, lì 19 giugno 2014

Maestà,

                   nel solenne giorno della Assunzione al Trono dei Vostri Avi della cattolicissima Nazione Spagnola, da storico, da monarchico, da cavaliere costantiniano,Vi auguro i miei più sinceri ed autentici voti per il Vostro impegno di Capo dello Stato.
                    Un pensiero particolare lo rivolgo al Vostro Augusto Genitore che ha guidato per quasi 39 anni il Vostro Paese, Figura di Sovrano che ho sempre posto in evidenza ed apprezzato quale esempio per il III Millennio dell’Era Cristiana.
                   E’ ancora vivo nella mia memoria il momento (28 aprile 1981) in cui ebbi l’onore di vederLo in Roma, in Campidoglio, giorno in cui ricevette la cittadinanza onoraria dell’Urbe.
                  Ulteriore pensiero particolare va alla Vostra Augusta Consorte, Letizia, ed alla Vostra Augusta Erede al Trono, Leonor, Principessa delle Asturie.
                                               
                    Vostro dev.mo,


(Gianluigi CHIASEROTTI)
Const. Eq.





S. M. el Rey de España
Don FELIPE VI de BORBON y GRECIA  
Palacio de la Zarzuela

E-28071 – MADRID (España) -

domenica 22 giugno 2014

La stanza di Mario Cervi Quando tra monarchia e repubblica è una questione di maiuscole

Gentile Dott. Cervi, 
ho apprezzato molto e condiviso quasi in toto il suo articolo sull'abdicazione di Re Juan Carlos. Ma mi permetta una «domanda ortografica». Perché i giornalisti scrivono re e monarchia sempre con l'iniziale in minuscolo e invece Presidente e Repubblica sempre con l'iniziale in maiuscolo? Lo impone il politicamente corretto? Oppure una legge non scritta prescrive un omaggio assoluto verso tutti gli inquilini del Colle? Oppure l'art. 139 dell'attuale costituzione sancisce, oltre l'eternità della repubblica, anche le maiuscole? A me - absit iniuria verbis - ricorda il famoso DUCE di Starace, anche da lei citato nel volume con Montanelli L'Italia littoria 1925-1936.

Antonio Ratti
Caro Ratti, personalmente non sono molto attento - è una colpa, lo so - alle maiuscole e alle minuscole: anche perché a bravissimi colleghi tocca la sventura di rileggere, correggendo errori e sciatteria, ciò che scrivo. 
Non credo che la scelta, da lei rilevata, del maiuscolo per la Repubblica e del minuscolo per la monarchia derivi dal conformismo e dall'obbedienza ai dettami del politicamente corretto. La stagione di certe contrapposizioni che infiammarono gli italiani è molto lontana nel tempo. 
E non infiamma più nessuno. Tuttavia d'ora in poi, glielo prometto, starò più attento alle maiuscole e alle minuscole. Con l'occasione rispondo anche a Marco Maranesi che ha visto nel mio commento all'abdicazione di Juan Carlos un sottofondo d'ostilità ai Savoia: da me citati solo per mettere a confronto l'abdicazione d'oggi in Spagna e quelle del passato in Italia. Marco Maranesi, del quale rispetto i sentimenti monarchici, ritiene che l'Italia debba riconoscenza a Vittorio Emanuele III. 
Che senza dubbio si comportò bene nel convegno di Peschiera dopo Caporetto. Le leggi razziali, la firma all'avvio d'una guerra catastrofica al fianco di Hitler, la vergogna dell'8 settembre 1943 hanno secondo me appannato quei meriti, quasi cancellandoli. Probabilmente il mio giudizio è ingiusto. Il giudizio di uno che dalla vergogna dell'armistizio è stato colto e travolto.
Ovviamente noi non siamo d'accordo con Cervi ma non possiamo non segnalare questo scambio agli amici che ci seguono 
Lo staff

sabato 21 giugno 2014

I colloqui di Nino Bolla con Re Umberto II sul sito dedicato al Re



Sul sito di Re Umberto II inizia una lunga e bella serie di interviste rilasciate dal Re all'Ufficiale, giornalista, scrittore Nino Bolla già direttore dei Servizi Stampa del Governo del Re a Brindisi e schietto sostenitore della causa monarchica.
Di Nino Bolla ricordiamo diverse opere dedicate alla causa : Colloqui con Umberto II, Il segreto di due Re, Processo alla Monarchia. E anche un introvabile opuscolo del 1944 dedicato al Luogotenente Umberto di Savoia Principe di Piemonte.
E' bello dire che gli stessi famigliari del valoroso Bolla hanno consentito alla diffusione delle interviste sul sito.

www.reumberto.it

Quanto sono fessi i repubblicani spagnoli?


Riprendiamo un articolo del Giornale, che insinuerebbe, stupidamente facendosi portavoce dei repubblicani spagnoli, che la Corona costi tanto.

Il paragone con le cifre di casa nostra è stridente.
Il Quirinale costava qualche anno fa 261 milioni di euro all'anno. La Casa Reale Spagnola costa 7,7 milioni.

Il capo del protocollo Reale 65000 euro. Per il barbiere della Camera dei deputati italiana stanno facendo una legge apposita per mettere un tetto di 260.000 euro ai suoi guadagni.
Cari repubblicani, tenetevi il Re. lo pagate molto meno.

La rivolta dei repubblicani: la casa reale ci costa troppo
Il divieto di concentrazioni, deciso dal Tribunale Supremo dopo che alcuni membri del Coordinamento repubblicano avevano organizzato una manifestazione pro-repubblica in Puerta del Sol a Madrid, non basta a spegnere le polemiche attorno al trono di Spagna.

Nel giorno della proclamazione di Felipe VI rispunta il tema dei costi della casa reale borbonica. Accusata di mentire, e anche di un bel po', sulla sua effettiva incidenza nel bilancio dello Stato. A puntare il dito sono proprio i repubblicani, secondo cui i reali costerebbero 561 milioni di euro all'anno. Cifra quasi 70 volte superiore a quella ufficiale, di 7,77 milioni di euro, dichiarata dalla famiglia regnante nel 2014. Da qualche anno infatti la casa reale pubblica sul proprio sito ufficiale il denaro che riceve dalle casse dello Stato, cioè dai contribuenti spagnoli. Una misura divenuta necessaria sull'onda della pressione mediatica e di un indice di gradimento davanti all'opinione pubblica in netta discesa, soprattutto dopo la bufera del caso Noos, che vede indagati per corruzione l'infanta Cristina (non a caso ieri unica assente alla proclamazione di Felipe VI) e suo marito Iñaki Urdangarin.
Nel 2011, appena scoppiò lo scandalo, Juan Carlos decise, per la prima volta nella storia della monarchia, di far pubblicare annualmente un elenco delle spese di corte. Due anni dopo, nell'aprile del 2013, fu approvata la nuova legge sulla trasparenza che introduceva un vero e proprio libro contabile dei Borbone, nel quale questi avrebbero rendicontato ai sudditi in che modo viene speso ogni centesimo della quota di bilancio dello Stato destinata loro. Secondo la versione ufficiale della casa reale, le spese annuali sarebbero state di 8,4 milioni nel 2011, 8,2 milioni nel 2012, 7,9 milioni nel 2013 e 7,7 quest'anno. Ma nel calcolo, è questa l'accusa dei repubblicani, rientrano solo alcune voci, quelle relative ai costi della monarchia come macchina istituzionale: personale dell'alta rappresentanza degli uffici e del protocollo (il «supermanager» di corte, Rafael Spottorno, guadagna come un ministro: 69.981 euro all'anno), oltre che l'assegno personale di Juan Carlos, Sofia, Felipe e Letizia, i vestiti che indossano, il parrucchiere. Restano fuori, come rivelò un'inchiesta del quotidiano iberico Publico, una lunga serie di altre voci: viaggi ufficiali, spese per la manutenzione del palazzo della Zarzuela e per la cura del giardino, autisti, guardie del corpo, oltre che quelle per la Guardia real. Tutte voci che non vengono conteggiate perché non compaiono nel bilancio generale dello Stato ma in quello dei singoli ministeri degli Interni, della Difesa e delle Finanze. Anche a questa domanda, ora, toccherà al nuovo re dare risposta.

mercoledì 18 giugno 2014

E' vivo il Re! Viva il Re!




La notizia dell'abdicazione del Re di Spagna ci ha trovato lontani dalla nostra abituale postazione e per questo abbiamo potuto soltanto pubblicare il contributo del Dottor Chiaserotti con la bandiera di Spagna e le foto autografe dei Reali.

E' bello poter festeggiare il nuovo Re senza dover piangere la scomparsa di quello vecchio.


La Monarchia dimostra di sapersi rinnovare senza traumi né tragedie. 
Lo abbiamo visto in Olanda. Lo abbiamo visto in Belgio. Lo abbiamo visto perfino in Vaticano ove mai ci saremmo attesi dal Sommo Pontefice un gesto di lungimiranza per lasciare che forze giovani possano occuparsi della gestione di affari che richiedono grande energia.
Col suo triste spettacolo la Repubblica Italiana, lo scriviamo con la maiuscola solo per carità di Patria, si conferma vecchia nella sua costituzione, nella sua rappresentanza, nella sua stessa struttura. Incapace di rinnovarsi, di adeguarsi, di snellirsi, di correre con l'enorme velocità che i tempi attuali richiedono.

E' con gioia che porgiamo al nuovo Sovrano di Spagna i più calorosi auguri di un lungo e felice Regno per il bene della Spagna.

Invitiamo tutti i nostri amici a visitare il seguente link con il quotidiano spagnolo ABC di valida e lunga tradizione monarchica. La Spagna che seppe rinnovarsi con Juan Carlos I che gestì la difficile transizione dalla dittatura alla democrazia, saprà restare una grande nazione con Felipe VI.

!VIVA  ESPAÑA! VIVA EL REY!


I MONARCHICI ITALIANI DAL 1944 AD OGGI

di Domenico Giglio

Durante  il  periodo  del  Regno  e  quindi  della  Monarchia, non  aveva  alcuna  logica  l’ esistenza  di  un  partito  o  di  un  movimento  monarchico, aderendo  alla  istituzione  monarchica  la  grande  maggioranza  dei   parlamentari  dalla  Destra   al  Centro-Sinistra, con  l’eccezione  spiegabile  del  partito  repubblicano  mazziniano,  e  quella  meno  spiegabile  del  partito  socialista, nei  suoi  vari  tronconi, incapace  di  imboccare  la  strada  del  riformismo, salvo  casi  sporadici  seguiti  da  espulsione,  per  cui, al  massimo   esistevano  delle  associazioni, per  lo  più  locali, che  riaffermavano  la  fedeltà   alla  Casa  Savoia,  e  tutto  questo  oltre  tutto,  fino  al  consolidarsi  del  fascismo , come  regime  a  partito  unico, che  già  mal  tollerava, anche  dopo  la  Conciliazione  del  1929, l’ esistenza  e  l’attività  delle  organizzazioni   cattoliche, tenacemente  difese   dalla  Chiesa, tra  cui  quelle  universitarie, che  servirono  infatti  dopo  il  25  luglio  1943, a costituire , insieme  con  i  vecchi  quadri  del  Partito  Popolare,  l’ ossatura  della  Democrazia  Cristiana, il  nuovo  nome  assunto  al  posto  del  “popolare”.

Perciò   dopo  l’ 8  settembre  1943 , di  fronte  all’attacco  concentrico  alla  Monarchia  dal  Nord, repubblica   sociale, e  dal  Centro- Sud, comitato  di  liberazione  nazionale, composto  da  partiti  liberale, democratico  cristiano, democratico  del  lavoro, socialista, comunista   e  d’ azione, particolarmente  accanito  contro  il  Re  Vittorio  Emanuele  III, il  Principe  Umberto, con  fantomatici  dossier, e  tutta  Casa  Savoia, si  pensò  di  riunire  nel  Meridione, senza  coinvolgere  il  Sovrano,  i  sostenitori  del  mantenimento   dell’ istituzione  monarchica, con  iniziative  varie, alcune  combattentistiche  ed  altre  politiche  come  il  Partito  Democratico  Liberale, dell’onorevole   prefascista  (1919 -1926), ed  antifascista, Raffaele  De  Caro, dove  fece  le  sue  prime  esperienze   il  trentenne  professore  Alfredo  Covelli, ma  è  dopo  la  liberazione   di  Roma, nel  giugno 1944, che  nascono  sia  il  Partito  Democratico  italiano, ad  opera   di  Enzo  Selvaggi, anche  lui  giovane  di  trentuno  anni  ed  all’inizio  della  carriera  diplomatica, con  un  giornale  battagliero  “Italia  Nuova”, dove  scrivevano  il  marchese  Roberto   Lucifero, il  giornalista   e  scrittore  napoletano  Alberto  Consiglio, insieme  con  numerosi  giovani, sia  una  associazione  apartitica , l’Unione  Monarchica  Italiana, ( agosto  1944), anche  qui  ad  opera  di  un giovane  ufficiale , il  conte  Luigi  Filippo  Benedettini  e  di  un  altro   ex-ufficiale  Augusto  De  Pignier. E  dal  Sud   approdava  a  Roma, dandone  la  Presidenza  al  senatore  Alberto  Bergamini, figura  prestigiosa  di  liberale  antifascista, già  Direttore  del  “Giornale  d’Italia”, la  Concentrazione  Democratica  Liberale,con  Segretario  Emilio  Patrissi  e  Vice  Segretario  Alfredo  Covelli. Questa  presenza  giovanile  era  senza  dubbio  significativa  ed  apprezzabile, ma  logicamente   mancava  di  esperienze , con  nomi  praticamente  poco  conosciuti, mentre  i  “grandi  vecchi“, ad  eccezione  di  Bergamini , ovvero  Ivanoe  Bonomi, Benedetto  Croce, Enrico  De  Nicola, Luigi  Einaudi, Francesco  Saverio  Nitti, Vittorio  Emanuele  Orlando, si  erano  tutti  piuttosto  defilati  di  fronte  al  problema  istituzionale, anche  se  successivamente, prima  del  Referendum, fecero  esplicite  dichiarazioni  a  favore  del  mantenimento  della  Monarchia  dei  Savoia, avendo   abdicato  il  9  maggio  1946, Vittorio  Emanuele, ed  essendo  divenuto   Re, il  Principe  Umberto,  che  aveva  bene  operato  nei  due  anni  di  Luogotenenza.

Vi   erano  quindi  politicamente  dei  giovani  “generali”, ma  mancavano  i  “quadri”, né  questi  esistevano  nel  Partito  Liberale, l’unico  dei  sei  partiti  del  CLN, che, a  maggioranza  si  fosse  pronunciato  a  favore  della  Monarchia, essendo  sorto  come  partito, proprio  quando  si  stava  affermando  il  fascismo, e  quindi   non  aveva  potuto   costituire  quella  struttura  organizzativa  che  avevano  i  “popolari”  ed   i  socialisti, e  che , rimasta  “dormiente “  nel  ventennio, permise  agli  stessi, ed  al  Partito  Comunista  di  riprendere  l’attività  dopo  il  1944, in  tutto  il  territorio  nazionale, via  via  che  lo  stesso  venisse  “liberato” dalle  forze  anglo-americane, alle  quali  si  erano  aggiunti  anche  reparti  del  Regio  Esercito, e  nelle  regioni   ancora  occupate  dai  tedeschi  di  operare  clandestinamente  con  la  Resistenza.
La  situazione  non  cambiò   molto  nei  due  anni  dal  1944  al  1946 , per  cui  la  campagna  elettorale  del  Referendum  Istituzionale, e  per  la  Costituente, fu   condotta  in  ordine  sparso. 

Per  la  Costituente  vi  era  una  sola  lista  nazionale  dichiaratamente  monarchica, il  Blocco  Nazionale  della  Libertà, con  simbolo  una  “Stella  a  Cinque Punte”, che  non  aveva  però  qualcosa  che  richiamasse  la  Monarchia, e  che  non  era  presente  in  tutte  le  circoscrizioni, ed  alcune  liste  altrettanto  dichiaratamente  monarchiche   anche  nei  simboli , ma  su  scala  locale, che  nel  complesso  presero   75.000  voti , ma  nessun  seggio, disperdendo  perciò  il  voto   che  con  i  680.000, pari  al  2,8%,  del  Blocco,  avrebbe  fatto  eleggere  più  di  16  Costituenti. In  ogni  caso  la  propaganda  per  la  monarchia  ricadde  quasi  esclusivamente  sui  candidati  del  Blocco  nazionale   della  libertà, che  vide  eletti   i giovani  Covelli, Selvaggi, Lucifero, Benedettini, e  tra  quelli  più  anziani  il  generale  Roberto  Bencivenga, tra  i  più  attivi  patrioti  a  Roma, nei  nove  mesi  della  occupazione  tedesca,  l’industriale  Tullio  Benedetti, presidente  dell’ UMI , l’avvocato  Francesco  Caroleo  (padre  dell’avv. Nunzio  Caroleo , eletto  al  Parlamento  per  il  PNM , nel  1953), l’avvocato  Gustavo   Fabbri, il  senatore  Bergamini  ed   il  professore  Orazio  Condorelli,dell’ Università   di  Catania   figura  storica  dei  monarchici  siciliani, e  che  fu  successivamente  eletto  senatore  per  il  PNM, nel  1953, al  quale  si  deve  una  amara  frase  pronunciata  già  nel  marzo  1947  e  che  spiega  tante  cose  del  mondo  monarchico  da  allora  ad  oggi: “ Le  mie  speranze  per  la  Monarchia   si  attenuano  quando  partecipo  alle  riunioni  politiche  monarchiche!”

Ritornando   alla  campagna   per  il  Referendum, nella  quale  specie  al  Nord  fu  anche  in  molti  casi  impossibile  riuscire  a  tenere  comizi   monarchici  per  l’azione   violenta  ed  intimidatoria  della  sinistra  social comunista, dobbiamo   ricordare  in  Piemonte   l’opera  del  “Gruppo  Cavour”, dotatosi  di  un  battagliero   settimanale, il  “Cavour“, ed  i  comizi  di  un  avvocato  milanese, Cesare  Degli  Occhi , di  una  famiglia  di  antica  tradizione  politica  cattolica, che  dopo  aver  militato  da  giovane  nel  Partito  Popolare  e  dopo  la  caduta  del  fascismo  nella  Democrazia  Cristiana, ne  era  uscito  dopo  la  scelta  congressuale  repubblicana   che  lui  aveva  combattuto   con  tutte  le  sue  forze. Anche  Degli  Occhi, dopo  essere  stato  eletto  consigliere  comunale  di  Milano, fu  successivamente   mandato  nel  1953  in  Parlamento, dai  monarchici  della  circoscrizione  Milano –Pavia, ed  attorno  a  Lui, a  Milano, crebbero  dei  giovani  monarchici  tra  i  più  qualificati  intellettualmente  e  di  indirizzo  cattolico  e  liberale, quali  Mario  Foresio, Angelo  Domenico  Lo  Faso, Achille  Aguzzi, tutti  oggi  scomparsi, alcuni  prematuramente, e  l’avvocato  Lodovico  Isolabella, ed  in   epoca  successiva  Massimo  De  Leonardis,  senza  dimenticare  Guido  Aghina  e  due  esponenti   della  sinistra  monarchica, Mario  Artali, poi  deputato  del  PSI, e  Tebaldo  Zirulia, divenuto  importante  esponente  sindacale.

La  propaganda  monarchica  poté  avvalersi   come  giornali  della  già  citata  “Italia  Nuova”  , del  “Giornale  della  Sera”, di  qualche  altro  di  minore  diffusione  nel  Centro-sud,  ed  al  Nord  del  “Mattino    d’Italia”, diretto  da  Massimo  Mercurio, di  estrazione  Partito  Democratico,  e  fu  conclusa  il  30  maggio, alla  radio, dal  Ministro  della  Real  Casa, Falcone  Lucifero, con  un  messaggio  di  grande  apertura  democratica  e  sociale, che  delineava   le  linee  di  una  rinnovata  Monarchia  ed  interpretava  il  pensiero  di  Umberto  II, come   possiamo  vedere  dai  messaggi   che  il  Re   inviò  dall’esilio  agli  italiani, sintetizzati “Autogoverno  di  popolo  e   giustizia  sociale”, che  il  PNM, riportò  sulla  sua  tessera  d’iscrizione.

La  sconfitta  della  Monarchia, portò  logicamente  ad  una  diversa  impostazione   della  battaglia  politica, mirante  a  riproporre  il  problema  istituzionale, con  la  nascita  di  vari  partiti  monarchici, in  primo  luogo, il  22  luglio  1946, a  Roma, il  Partito   Nazionale  Monarchico, simbolo  “ Stella  e  Corona “ , ma  non   vide, ad  esempio, la  confluenza  nello   stesso, del  Partito  Democratico  Italiano, che  preferì  entrare  nel  PLI, rafforzandone  la  componente  monarchica, tanto  che  l’onorevole  Roberto  Lucifero, ne  divenne  Segretario  nazionale, sia  pure  per  un  breve  periodo. Nel  nuovo  partito, PNM, di  cui divenne  Segretario  Nazionale  l’ onorevole  Alfredo  Covelli, che  conservò  ininterrottamente  tale  carica, anche  nel  successivo   PDI   e  PDIUM, (Partito  Democratco  Italiano  di  Unità  Monarchica), fino  al  1972, data  della  scomparsa  del  partito  stesso, confluito  nel  Movimento  Sociale  Italiano, eccettuato  un  numeroso  gruppo, particolarmente  giovani , con  un  Vice  Segretario  del  PDIUM, dr. Alfredo  Lisi, entrarono  subito  diversi  ex-militari, che  avevano  lasciato  il  servizio  attivo, per  non  riconoscere  la  repubblica, ma  che  certo  non  avevano  preparazione  politica. E  questa  fu  prima  forma  di  monachismo, cioè  la  fedeltà  al  giuramento  prestato  a  suo  tempo  al   Re, malgrado  che  Umberto  II, nel  messaggio   lasciato  alla  partenza  per  l’ esilio, li  avesse  nobilmente  sciolti  dallo  stesso, insieme  con  lo  sdegno  per  come  si  era  svolto  il  referendum  ,  ed  i  ragionevoli  dubbi   sul  suo  risultato, che  per   anni  furono   tra  i  principali  motivi, più  che  giustificati, della  propaganda   monarchica. In  ogni  caso   vi  erano, tra  gli  ex-militari,  persone  dotate   di  capacità    organizzative , come  ad  esempio  il  colonnello  De Carli, che  resse  per  anni  l’ ufficio  organizzazione   del  PNM. Fondato  il  PNM , bisognava  coprire    il  territorio  nazionale  con  Federazioni  Provinciali  e  con  le  Sezioni  Comunali, molteplici  nel  caso  delle  grandi  città, aprendo  sedi   dignitose, così  da  poter  effettuare  un  regolare  tesseramento  e  poter   presentare  liste  alle  varie  elezioni  amministrative  che  si  tennero  dopo  il  referendum, particolarmente  nel   Centro-Sud, volutamente  escluso  da  Romita, Ministro  dell’ Interno, nel  primo  turno  elettorale   svoltosi  volutamente al  Nord, prima  del   fatidico   2  giugno  1946, ed  alle  famose  elezioni  politiche  del  18 aprile  1948. In  questo  primo  banco  di  prova  il  giovane  partito  ottenne   il  2,8%  dei voti   e   14  deputati  ,tutti  concentrati  tra  Campania, Puglie  e  Sicilia , tra   i  quali  , riconfermato   Covelli, entrarono   i  siciliani  Alliata  e  Marchesano   ed  il  napoletano  Gaetano  Fiorentino, del  gruppo  del “comandante”  Lauro, che  si  era  avvicinato  al  PNM, di  cui  poi  divenne  Presidente  e  finanziatore  moderato, per  cui, nei  movimenti  monarchici, non  vi  è  stata  mai  ricchezza  di  mezzi  finanziari, malgrado  le accuse, le  dicerie  ed  altre  insinuazioni  dei  nostri  avversari   di  centro  e  di  sinistra.

Il   consolidamento   elettorale  del  PNM  negli  anni  successivi  al  1948, iniziato  con  le  elezioni  regionali  sarde  del  1949, con  oltre  l’11%  di  voti, e  con  quelle  siciliane, dove  entrò  nel  governo  dell’isola  con  importantissimi assessorati, l’industria  con  l’on. Bianco  e  l’ istruzione  con  l’on.Castiglia,  e  con  alcune  importanti  elezioni  amministrative, culminato  con  i  risultati  del  7  giugno  1953, ed  i  40  deputati  e  16  senatori,  fu  accompagnato  logicamente  dal  rafforzamento  della  struttura  organizzativa, con  un  Movimento  Giovanile, la  cui  importanza  non  fu  mai  apprezzata  a  sufficienza, ma  che  oggi   in  una  visione  storica  costituisce  il  maggiore  titolo  di  vanto  del  partito  monarchico. Infatti  nel  decennio  1948 – 1958  si  costituirono  in  numerose  città, oltre  ai  gruppi  universitari  dove  esistevano  Atenei, dei  nuclei  di  giovani  validi, oltre  al  già  citato  gruppo  milanese, i  cui  esponenti, se  in  vita, perché  molti  sono  mancati  prematuramente, partecipano  ancora  oggi  alla  battaglia  monarchica. A  titolo  indicativo  e  non  esaustivo, ricordiamo  a  Torino, i  fratelli  Giancarlo  e  Roberto  Vittucci, e  Vincenzo  Pich, a  Biella Gustavo  Buratti e  Mario  Coda, A  Padova, Giulio  De  Renoche, Paolo  Cadrobbi e  Carlo  Crepas, a  Pisa, Bruno  Brunori, Ettore  Mencacci e  Nino  Bergamini, a  Roma, oltre  al  gruppo  più  anziano  dei  Nicola  Torcia, Giovanni  Semerano, Renato   Ambrosi  de  Magistris, Michele  Pazienza, Vito  Andriola, Enzo  Mauro, Riccardo  Papa, Edoardo  Albertario, Gabriella  Cro, i  più  giovani   Domenico   Giglio, Antonello  Delcroix, Gianvittorio  Pallottino, Amedeo  De  Giovanni, Mario  Pucci, Manuel  Miraglia, Camilla  Sibilia, Marzio  di  Strassoldo, divenuto  successivamente  Magnifico  Rettore  ad  Udine.   A  Napoli, Gustavo  Pansini, Luca  Carrano, Mario  Miale, Carlo  Antonio  del  Papa, a  Bari Waldimaro  Fiorentino ( oggi  a  Bolzano) e  Carlo  Alberto  Dringoli, a  Genova, Domenico  Fisichella, Arduino  Repetto, Luciano  Garibaldi, Giulio  Vignoli   e  Pippo  Tarò, a   Catania, Enzo  Trantino  ed  Antonio  Paternò  di  Roccaromana,  e  poi  alcuni  singoli  come  Sergio  Boschiero   a  Vicenza, Enzo  Barbarino  a  Trieste,  Edilberto  Ricciardi   a  Salerno, Bruno  Melis  a  Cagliari  ed  a  Pescara Vincenzo  Vaccarella .
Ritornando  al  PNM , a  rafforzarne  la  base  storico –poiltica,  sempre  dopo  il  1948 , entrarono, forse  su  segnalazione  superiore, un  nutrito  gruppo  di  ambasciatori  da  Roberto  Cantalupo, che  pubblicava  un  periodico  “ Governo”  di  notevole  spessore  culturale,  a  Raffaele  Guariglia, Guido  Rocco, Armando  Koch, Emanuele  Grazzi, che  se  rafforzarono  i  vertici, non  coprirono  il  fabbisogno  di  quadri  operativi, dove  si  stavano  avvicinando  diversi  professionisti  e  funzionari  dello  stato, ma  rimanevano  numerosi  gli  ex-militari, fra  cui  molti  carabinieri, nella  sezioni  comunali  e  periferiche. I  quadri  invece,  lo  si  constatò  nelle  elezioni  del  1958, si  stavano   costituendo  proprio  con  i  giovani, mancanti  ancora  di  adeguata  istruzione  politica  ed  elettorale, in  quanto  non  era  mai  esistita  una  “scuola  di  partito”, ed  il  primo  ed  unico  “Manuale  dell’ attivista”, scritto  da  Angelo  Domenico  Lo  Faso, uscì  solo  nel  1957, ben  undici  anni  dopo   la  fondazione  del  partito. Malgrado  quanto  affermato  dagli  antimonarchici  e  dalla  stampa  di  “regime”, nel  PNM  la  presenza  della  nobiltà  era  limitata, basti  guardare  i  vertici  del  partito  e  gli  stessi  gruppi  parlamentari, per  cui  si  può  serenamente  affermare  il  suo  carattere  interclassista, maggiormente  riscontrabile  tra  i  giovani.

Un  notevole  contributo  storico-politico-culturale , a  Roma, fu  dato  dalla  fondazione  nel  1947 , da  parte  di  monarchici  dichiarati, di  un  “Circolo  di  Cultura  ed  Educazione  Politica”, denominato “REX”, indipendente  da  partiti  ed  associazioni, aperto  a  tutti, ma  non  legato  a  nessuno, ancora  oggi  operante  e  giunto  al  suo  67°  ciclo, che  inizialmente   riuniva  per   venti  domeniche  all’anno, monarchici  e  simpatizzanti, con  conferenze  affidate  a  relatori  ed  oratori  di  grande  prestigio  e  cultura, dato  che, allora, il  mondo  monarchico  in  genere, dal  PNM , all’ UMI, ed  altri  gruppi, era  ricco  di  personalità, dai  Rettori  d’Università, quale  Allara  a  Torino, Menotti  De  Francesco  a  Milano, Origone   a  Trieste, Papi  a  Roma, al  grande  latinista  Ettore  Paratore, agli  storici  Ghisalberti, Levi  e  Volpe, che  ne  fu  anche  Presidente  Onorario, elenco  anche  questo  indicativo, ma  non  esaustivo.
Quanto   poi  agli  esponenti  nei  comuni  e  nelle  provincie, vi  furono  personalità  locali  che  occupavano  tutti  gli  spazi, dal  caso  più  clamoroso  di  Achille  Lauro , eletto   Sindaco  trionfalmente  a  Napoli  nel  1952, e  nel  1956  con  la  maggioranza  assoluta  dei  voti, ad  un  Oronzo  Massari, che  conquistò  il  Comune  di  Lecce, con  “Stella  e  Corona”, senza  bisogno  di  alleanze.

Il  volere  “tutti  i  monarchici  in  un  solo  partito”, slogan  iniziale  del  PNM, se  fece  affluire  subito  numerosi  iscritti, guadagnando  nel  numero, non  facilitò  la  realizzazione  di  una  omogenea  linea  storico   culturale,che   incominciando  dal  Risorgimento, ne  attualizzasse  i  suoi  valori  di  libertà  e di  democrazia, e  proseguisse  fino  alla  Guerra  di  Liberazione, ricordando  e  rivendicando   la  fedeltà  al  Re, dell’Esercito, della  Marina  e  dell’Aviazione, e  la  presenza  numerosa  e  qualificata  di  monarchici  nella  Resistenza, forse  per  la  necessità  degli  “apparentamenti”, imposti  dalla  legge  elettorale  per  le  elezioni  amministrative, dal  1952, con  il  Movimento  Sociale  Italiano, ma  che  videro  la  conquista  dei  Comuni  di  Bari, Foggia, Avellino, Benevento, Salerno  e  Napoli, con  sindaci  tutti  del  PNM, risultato  il  partito   maggioritario  dell’ alleanza.

Il  successivo  evolversi  della  situazione  partitica  dopo  il  1954, con  scissioni  dolorose  e  riunificazioni tardive, se  non  influì  sull’ organizzazione, che  vide  defezioni, ma  anche  il  raddoppio   del  numero  di  sedi  e dirigenza, acquisendo   qualche  nuovo  interessante  esponente, fu  però  negativa  per  i  giovani  che  non  affluirono  più  numerosi   dopo   il  1961 ma , fortunatamente, trovarono  nuovi  spazi  nel  Fronte  Monarchico  Giovanile  dell’ UMI, dove  alla  dirigenza  del  professore  Ernesto  Frattini, giovane  ricco  di  una   grande  cultura, successivamente  prematuramente  scomparso,  al  quale  si  deve  la  pubblicazione  di  una  serie  di  quaderni, oggi  introvabili, di  argomenti  storici  e  politici, ma  meno  ricco di  doti  organizzative, era  seguita  la  dirigenza  dinamica  di  Sergio  Boschiero, con  la  quale  abbiamo  una  ulteriore  qualificata  generazione  di  giovani , da  Antonio  Tajani ,a  Domenico  De Napoli, Antonio  Galano, Massimo  Mazzetti, Michele  D’ Elia, Antonio  Ratti, Salvatore  Sfrecola,Antonio  Maulu, Pier  Carlo  De  Fabritiis, Fabio  Torriero, Marco  Grandi  ed  il  caro, sfortunato  amico  Gian  Nicola  Amoretti.

La  diaspora  del  partito  monarchico  degli  anni  ‘60  di  cui  si  avvantaggiarono  democristiani  e  maggiormente  i  liberali  portò   alla  infelice  decisione  del  1972, di  cui  abbiamo  fatto  precedente  cenno , e  la  residua  organizzazione, malgrado  i  nobili  tentativi  della  “Alleanza  Monarchica”, per  coloro  che  avevano  rifiutato  la  confluenza  nel  MSI  di  mantenerla  regolarmente  in  vita, grazie  al  valoroso  periodico  mensile  di  Roberto  Vittucci, e  del  C.A.M. ( Centri  Azione  Monarchica), per  coloro  che  invece   avevano  aderito  al  MSI, per  non  esserne  schiacciati, si  andò  assottigliando  di  anno  in  anno , anche  se  vi  sono  state  alcune  interessanti  adesioni, ed  una  successiva  fioritura  spontanea  di  giovani  monarchici.

Nella  diaspora  sopra  citata  ed  in  altre  vicende  di  separazioni   e  scissioni  qualcuno  vede  la  causa  anche  in  un  deficit  di  democrazia  interna   e  nell’assenza  di  un  dibattito  politico  ed  ideologico, che  non  ha  consentito  di  fidelizzare  l’ elettorato,  razionalizzandone  le  convinzioni  monarchico  sabaude, lasciando  spazi  solo  ad  encomiabili  sentimenti, che  l’andare  dei  tempi  e  l’evolversi  generazionale  non  hanno  più  la  presa  emotiva  che  pure  aveva  costituito  la  base  dell’ iniziale   discorso  politico.

Domenico  Giglio 

Bibliografia  :
  1. Cesare  Degli  Occhi – Piero  Operti:  “Il  Partito  Nazionale  Monarchico” poi  cambiato  in  “Il  Movimento  Monarchico“ - editrice  Nuova  Accademia – Milano ( senza  data-1955?)
  2. Domenico  De  Napoli: “Il  Movimento  Monarchico  in  Italia  dal  1946  al  1954” –    Editore  Loffredo –Napoli – 1980
  3. ”Grande  Enciclopedia  della  Politica – I  Monarchici – volume   1 – settembre  1993 ; volume  2 –marzo  1994 – edizioni  Ebe  s.r.l.- Roma
  4. Andrea  Ungari: “ In  nome  del  Re – i  monarchici  italiani  dal  1943  al  1948” –edizioni  “Le  Lettere”-Firenze -2004 – Biblioteca  di  Nuova  storia  Contemporanea- Collana  diretta  da  Francesco  Perfetti.
  5. Andrea  Ungari –Luciano  Monzali: ”I  monarchici  e  la  politica  estera  italiana  nel  Secondo   dopoguerra “ – editore  Rubbettino - 2012