NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 30 aprile 2022

I padroni (idioti) del 25 aprile

Cosa c'è di peggio degli ignoranti?  Gli ignoranti presuntuosi.

Coloro che pur non sapendo  si permettono di dare lezioni, convinti dei propri poveri dogmi, in virtù dei quali credono di poter separare i buoni dai cattivi.

Con l'aggravante che all'ignoranza si può rimediare facilmente con delle buone letture mentre alla presunzione arrogante è molto più difficile rimediare: l'arrogante presuntuoso difficilmente ammetterà di avere il minimo torto anche se messo davanti all'evidenza. 

Di seguito una piccola rassegna stampa con preclari esempi di ottusità unità alla più crassa ignoranza.

Buona, pessima, lettura!


https://www.ilrestodelcarlino.it/ancona/cronaca/che-errore-invitare-i-monarchici-hanno-omaggiato-i-partigiani-1.7608796

https://www.corriereadriatico.it/ancona/sirolo_monarchici_festa_25_aprile_pd_critica_sindaco_ultime_notizie-6653654.html

https://www.centropagina.it/ancona/stemma-savoia-festa-liberazione-sirolo-circolo-pd-sfregio-inaccettabile/

https://www.vivereancona.it/2022/04/28/sirolo-bandiere-dei-savoia-alle-celebrazioni-del-25-aprile-fal-pd-solo-con-consapevolezza-storica-possibile-la-riconciliazione/2100167750/



lunedì 25 aprile 2022

Per il 25 Aprile

In un'Italia ancora in guerra i Monarchici tentavano di compattarsi attorno all'Istituzione che aveva reso grande la Patria.

Bello il riferimento alle forze monarchiche che si battono per cacciare l'invasore tedesco.

Per questo ne anticipiamo la premessa nella data del 25 Aprile che non è la festa né dei repubblicani né degli estremisti di sinistra.


Nelle prossime settimane la pubblicazione dell'intero opuscolo.
Ricordiamo che proprio a Firenze, ove questo Fronte Monarchico si costituì, tenne nell'Ottobre del 45 il suo primo congresso l'Unione Monarchica Italiana.




Firenze 15 febbraio 1945


FRONTE MONARCHICO

PROGRAMMA


Il Fronte Monarchico si propone di:

1) Riunire in un fronte unico tutti coloro che vedono nella Monarchia costituzionale, liberamente scelta dal popolo italiano secondo le sue tradizioni, la sola istituzione adatta a compiere il nuovo risorgimento democratico della Patria e a meritare la fiducia e la collaborazione materiale di tutte le Nazioni civili.

2) Esplicare elevala e onesta azione divulgatrice delle proprie idee per rafforzare il convincimento-della maggioranza che se l'Italia dovesse mutare le sue istituzioni supreme, sarebbe fatalmente condotta verso una nuova dittatura.

3) Agire nella legalità, opponendosi però, decisamente a qualsiasi atto di sopruso e di violenza che possa essere effettuato in danno della libertà individuale e dello Stato.

4) Coordinare e alimentare nell’Italia ancora occupata dai tedeschi la lotta che tutte le forze monarchiche del Nord stanno conducendo sin dall'8 settembre 1943 contro l'invasore e contro la nefasta repubblica fascista.

5) Cercare di fondere tutte le correnti monarchiche in un Fronte Monarchico Italiano, che per il suo programma e per la scelta dei suoi dirigenti dia sicura garanzia di successo.

6) Accogliere nelle sue file tutti i cittadini aventi diritto al voto, appartenenti o meno ai diversi partiti democratici e indipendentemente da ogni pregiudiziale politica.


domenica 24 aprile 2022

Il Mito di Roma



Scritto da Massimo Fulvio Finucci e Clarissa Emilia Bafaro il .

L’IDEA DI ROMANITAS PER L’UNITA’ D’ITALIA

Il Mito di Roma si può considerare a buon diritto il filo conduttore del processo di Unificazione Nazionale. Nel Risorgimento le diverse tendenze di pensiero trovarono nell’idea di Romanitas un punto di contatto e di incontro. Non poteva nascere l’Italia senza Roma. Questo il sentimento che guidò le generazioni e che lasciò una traccia indelebile nei Monumenti e nei cambiamenti urbanistici della Città Eterna.

La riscoperta archeologica della Roma Classica trovò grande impulso agli inizi dell’Ottocento, e costituì una spinta ideale all’Unificazione Nazionale. Il 17 Marzo 1861 si proclamava ufficialmente il Regno d’Italia, con la Legge N. 1 del 21 Aprile, giorno del Natale di Roma, nasceva il Regno d’Italia. Aprile dal latino a-perire, significa aprire, tornare a nuova vita, non morire, e richiama l’immortalità di Roma, la Città Eterna. Inizio ben augurante del processo di Unificazione, che giunse a compimento con la Vittoria della Grande Guerra, celebrata con la composizione da parte del poeta Fausto Salvatori dell’ “Inno a Roma”. L’Inno si ispira al Carmen Saeculare di Orazio, musicato dal Maestro Giacomo Puccini, eseguito per la prima volta il giorno del Natale di Roma, il 21 Aprile 1919.

[...]

https://www.consulpress.eu/il-mito-di-roma/

Capitolo III Il vecchio zio Gaetano

  di Emilio Del  Bel Belluz


Lo zio Gaetano, che mi aveva lasciato  la sua casa di legno, era sempre stato una persona molto allegra. Quell’abitazione l’aveva costruita lungo il fiume per una ragione ben precisa. Un giorno mentre stava calando le reti dalla sua barca, questa si rovesciò. Gaetano non sapeva nuotare, e la fortuna volle che una ragazza del paese, Rosa, che stava rastrellando lungo l’argine, lo vedesse, e lo sentisse urlare implorando aiuto. Costei, senza indugio,  lasciò il rastrello, si tolse i vestiti e le scarpe  e si buttò nel fiume Livenza. Rosa era una grande nuotatrice, aveva imparato fin da bambina, e spesso le piaceva fare il bagno, anche se il fiume era impetuoso.   Con delle bracciate veloci riuscì  ad afferrare Gaetano, e lo portò a riva più morto che vivo, avendo bevuto molta acqua. La prima cosa che fece dopo il recupero dell’uomo fu quello di rianimarlo, come aveva imparato da un vecchi infermiera del paese. Dopo alcuni minuti Gaetano riusciva a riprendere i sensi ed apriva gli occhi.  Poco dopo erano arrivati da una casa vicina degli uomini che avevano sentito le urla e cercarono di sollevare Geatano e portarlo via dalla riva del fiume. Rosa appariva distrutta ma sorrideva dalla felicità perché con il suo coraggio aveva salvato  una vita umana. Qualcuno le batteva sulla spalla per elogiarla, e qualcun altro era curioso di sapere come avesse fatto a salvarlo con le pessime condizioni del fiume. La ragazza disse che in quel momento non aveva pensato a nulla, se non a salvare quel ragazzo, di cui non conosceva neanche il nome. La gratitudine della famiglia di Gaetano era stata veramente smisurata, la mamma del giovane l’aveva abbracciata tante volte con le lacrime agli occhi; le disse che questo miracolo era avvenuto proprio grazie alla suo coraggio e all’aiuto del buon Dio. La povera donna, qualche giorno dopo, si rivolgeva al parroco per far celebrare una messa alla Vergine del fiume che era intervenuta soccorrendo suo figlio. La ragazza per qualche giorno fu al centro di tutte le conversazioni che si erano tenute in  paese, a tal punto, che era giunto anche un giornalista con un fotografo per intervistarla.  L’indomani uscì l’articolo sul giornale, corredato da una sua foto. Dal canto suo Gaetano sentiva ancora addosso la paura di quello che gli era capitato, la morte l’aveva vista davvero in faccia, ricordava una mano che lo afferrava e lo portava verso la riva. Ci vollero dei giorni affinché Gaetano si riprendesse e poi andasse a trovare Rosa. Questa volta la ragazza appariva diversa, aveva un viso dai lineamenti dolci, vestiva con grazia, un filo di trucco le colorava le guance e le chiese se voleva uscire con lui a  fare una passeggiata. La giovane rimase in silenzio, ma con il capo annuì e, pochi minuti dopo, uscivano assieme dalla sua casa. Il paese  era un grappolo di case che attorniava la piazzetta in cui sorgevano la chiesa, un’osteria dove si beveva e si mangiava e una bottega dove si vendevano generi alimentari. I due giovani non disponevano di molti soldi, e non avendo la possibilità di andare all’osteria, si sedettero su una panchina all’ombra di un maestoso tiglio, nella piazzetta.  Si misero a parlare di quel giorno, di quanto coraggio avesse dimostrato Rosa nel salvarlo, rischiando la sua vita. Gaetano le esprimeva ancora la sua grande riconoscenza. Prima di quel giorno si conoscevano in modo superficiale, non si erano scambiati che qualche parola. Mentre stavano seduti, arrivò il vecchio parroco che voleva salutarli, e chiederli se avevano ringraziato il buon Dio per quello che era avvenuto. Il sacerdote disse che era stato il buon Dio con l’intercessione della Madonna a fare il miracolo, e per questo li invitò ad entrare in chiesa a ringraziare. Il sacerdote sorrise loro, e dentro di sé aveva capito che tra quei due giovani era successo qualcosa che li avrebbe legati per tutta la vita. Da quel giorno i due giovani iniziarono a frequentarsi come amici, ma con il tempo questo sentimento si trasformò in un grande amore, davvero speciale. Alcuni anni dopo si sposarono, e lo zio Gaetano aveva deciso di vivere lungo il fiume, in una casa di legno che aveva costruito con l’aiuto dei fratelli. La vicinanza al fiume gli permetteva di andare a pescare spesso, anche se Rosa non era molto d’accordo, le era rimasta addosso la paura di quel giorno, nonostante Gaetano avesse, nel frattempo,  imparato a nuotare. Per vivere i due giovani lavoravano un fazzoletto di terra vicino a casa. Il lavoro dei campi per quanto duro li permetteva d’avere del  cibo per sfamarsi. IL fiume era solcato da delle chiatte che partite da Venezia, si fermavano a Caorle, per poi arrivare a Motta di Livenza con il loro carico di merce. Gaetano si rendeva disponibile per lo scarico del pesce  e delle grandi casse piene di mercanzia. Le chiatte nel viaggio di ritorno si riempivano di derrate ed altri prodotti e Gaetano provvedeva anche al loro carico. Era un altro modo per guadagnare qualcosa per aiutare la famiglia e per conoscere tutto un mondo legato alla navigazione delle merci. Era costituito da persone semplici, abituate alla fatica per sopravvivere.  Uno di essi, pescatore pure lui, gli insegnò altri accorgimenti per una pesca più produttiva. Costui era diventato una persona importante  nella sua vita e fu proprio lui che volle vendergli una barca più grande e più stabile, una pilotina con la quale fare delle piccole consegne e allo stesso modo per andare a pescare, calando le reti, anche in posti più lontani. Rosa era preoccupata dell’acquisto perché aveva un costo non alla portata delle loro tasche e ci sarebbe voluto del tempo per poterla pagare. Fu, cosi, che si misero a vendere il loro pescato ai paesi che costeggiavano il fiume . Questo commercio s’era rivelato molto vantaggioso e li rendeva sereni e più tranquilli nell’affrontare l’avvenire. Unica loro tristezza era la mancanza di figli, tanto a lungo desiderati. Ma Gaetano e Rosa avevano sempre rispettato la volontà di Dio, e se in figli non arrivavano, bisognava farsene una ragione. Gli anni passavano e con l’andare del tempo, venne a bussare in quella casa la malattia. La prima ad andarsene fu proprio Rosa, nel mese di settembre  le venne diagnosticata una malattia per la quale non esistevano cure e la portò a morire in poche settimane. Il vecchio Gaetano, dopo la sua morte,aveva cambiato vita; aveva incominciato a frequentare l’osteria del paese, trascurando se stesso e i suoi interessi. L’amico che lo frequentava assiduamente ero io, mi faceva tanta tristezza vederlo nella solitudine bere fino a stare male. Il mondo circostante non gli era più di alcun interesse. Non andava più in barca perché le mani erano diventate dolenti e le sue braccia non avevano più la forza di un tempo. Una notte di tempesta, mentre il vento la faceva da padrone e le acque erano più arrabbiate del solito grazie alle piogge, l’imbarcazione si staccò dall’albero in cui era legata e venne portata via dalla corrente, e non fu mai trovata. Il mattino seguente, accortosi di quello che era successo, il vecchio Gaetano osservò il cielo e imprecò contro la sorte che lo aveva messo in ginocchio. Ora che la vecchiaia aveva preso il posto non gli rimanevano molti anni. Continuava ad annebbiare la mente con l’alcool per non ricordare il passato. Ma non trascurava mai di porre dei fiori davanti alla immagine della moglie,  lo stesso faceva sulla sua tomba in cimitero. Alla mattina, talvolta, si recava a pescare sul suo fiume, calava la lenza e chiudeva gli occhi, e s’assopiva come succede molto spesso ai vecchi. Una mattina lo trovarono addormentato vicino alla sua canna, il galleggiante era scomparso, la sollevarono e vi era appeso un grosso pesce.  Cercarono, inutilmente, di svegliarlo ma non fu possibile. Era morto, vicino al suo fiume, nello stesso posto dove era stato salvato dalla sua Rosa.  Questa volta la raggiungeva in cielo, venne sepolto vicino a lei, nel piccolo camposanto di Villanova dove riposano tuttora. Alla sua morte si trovò il testamento in cui  diceva che la sua casa di legno, unico suo bene, era destinato a me.

sabato 23 aprile 2022

La Monarchia dal 22 a domani - XII parte

 

Vita travagliata; i liberali ai primi di novembre insorgono specie avversi alle nuove leggi sull'epurazione e contro l'invadenza dei, C.L.N. i quali, dopo tutto, secondo quanto dichiarava il 6 del mese il Colonnello Fiore, Commissario dell'A.K.G. per la Provincia di Torino «non esistono più e non hanno alcuna autorità di proclamare leggi e promulgare decreti». L'opposizione dei liberali non placa e sfocia il 24 del mese nelle dimissioni del Gabinetto.

E qui comincia. una deplorevole azione da parte dei C.L.N. per sovrapporsi ai poteri del Luogotenente Generale. Il lavoro parallelo non segna alcun, progresso. Il Luogotenente oltre le consuete Personalità, convoca al Quirinale i segretari dei vari partiti. Svanisce la possibilità di un Governo presieduto da, personalità estranee ai Partiti specie, per quanto riguarda Nitti dopo il suo discorso di Napoli con ostilità dichiarata ai C.L.N. Agli ultimi di novembre pare che la soluzione si orienti verso un Ministero De Gasperi, che, se pure non in forma ufficiale, viene incaricato di formare il Gabinetto: dice infatti il comunicato del 1 dicembre del Ministro della Real Casa che “Prospettandosi la possibilità di risolvere la crisi sulla base dei sei partiti, il Luogotenente invitò l'on. De Gasperi a proporre la possibilità di realizzare tale proposito». Ma il suo tentativo «si impaluda nell'aspro dissidio dei Partiti», finché nella notte tra il 5 e il 6, avendo i Liberali elevato formali difficoltà, i cinque partiti rimasti in lizza invitano De Gasperi a procedere immediatamente alla formazione di un Governo a cinque». De Gasperi ne riferisce nella notte al Luogotenente, che gli dichiara che il Ministero deve essere formarlo da tutti e sei i Partiti, «secondo l'incarico commessogli» commenta «La Nuova Stampa» del 7 dicembre:

«Oggi, come oggi, il Luogotenente ha operato durante la crisi con saggezza moderatrice; si pone non avanti ai, C.L.N., ma al di fuori, rivalutandone direttamente il carattere sia costituzionale che pratico. Questo gesto... sarà rilevante e appare effettivo ed operante alle stesse sinistre che lo interpretano, per      citare la parola dell'azionista "Mondo", come inteso a rivendicare e a difendere il proprio diritto».

Come si vede, travagliatissima fu l'opera del Principe; costituzionalmente perfetta, non abdicò mai ai suoi poteri anche quando l’esarchia tentava di soverchiarlo. Non risparmiò le sue consultazioni in modo da aver sempre la maggior luce sulla situazione politica del momento e sulle varie correnti dei Partiti e del Paese; e pur lasciando libero il giuoco ai medesimi, intervenne invece energicamente quando la situazione lo richiedeva.

Così pure quando non si adattò alle pretese di Togliatti di usurpare alla Corona il diritto di grazia, ricorrendo al giudizio autorevole del competentissimo Orlando, col riportare così la questione nei suoi termini del diritto costituzionale, senza lasciarla scivolare nelle competizioni di partito.

Contro di lui puntarono i loro strali i Partiti estremi, accusandolo di filofascismo, mentre si sa la lotta che il Regime. gli ha sempre fatto perché lo sapeva avverso, dal colpo mancino della legge sul Gran Consiglio, all’avere sempre fatto tacere la stampa su quanto Egli facesse come Principe e come Generale dell'Esercito... sino a non indicarlo mai col suo titolo di Principe Ereditario le rare, volte che fosse necessario nominarlo.

E prova concreta dei suoi sentimenti sono i «tre passi concreti fatti nel 1941 come narra Malacoda (1), prima presso esponenti della grande industria, poi presso un gruppo di Senatori, infine presso alcuni Generali perché gli uni e gli altri si facessero iniziatori di un gesto qual si fosse che offrisse un appiglio alla Corona per provocare un mutamento di Regime ».

Purtroppo seguita Malacoda, «l’inviato del Principe se ne tornò con tre dinieghi velati appena da platonici plausi per le intenzioni della Corona, da non compromettenti consigli, da vane attestazioni di consenso». Aggiunge ancora «Falliti i tre tentativi il Principe Ereditario riprese successivamente nel 1942 il progetto del colpo di Stato, indirizzandosi ormai prevalentemente per altra via all'ambiente dell'Esercito..» .

Questo il passato del Principe, pur nella necessità di non levarsi ostensibilmente contro il suo Re sia per senso di dovere sia per non accrescergli le difficoltà entro cui si dibatteva per l'onnipotenza di Mussolini. Ricordino gli Italiani quale contributo di debolezza abbia recato alla Monarchia Asburgica il dissidio tra l'Imperatore e il Principe Rodolfo a proposito del loro dissenso nella questione delle varie nazionalità dell'Impero.

E quale nobiltà nella sua recente lettera del 16 marzo corr. al presidente del Consiglio nel ritornargli con la sua sanzione i decreti sul referendum e sulla Costituente! «La mia sanzione — egli dice — è il coronamento di una tradizione che sta a base del patto tra popolo e monarchia, patto che, se confermato, dovrà costituire il fondamento d'una Monarchia, rinnovata, la quale attui pienamente l'autogoverno popolare e la giustizia sociale». E prosegue:

«Io, profondamente unito alle vicende del Paese rispetterò come ogni italiano le libere determinazioni del popolo che, ne sono certo, saranno riservate al migliore avvenire della Patria».

Le sue aspirazioni passate, l'opera sua di governo in questi i mesi di così gravi difficoltà per lo stato di emergenza in cui si trova la Monarchia, accresciute per la lotta che le fanno i partiti estremi, nonché le sue determinazioni in ordine al Referendum e alla Costituente, sono arra sicura che, risolvendo il Referendum — che Egli per il primo ebbe ad invocare quando il Governo era ancora nel Mezzogiorno —. favorevolmente la questione istituzionale — come io ho ferma fiducia — sarà riservato al Paese, coll’ausilio delle forze sanamente democratiche che ci darà la Costituente di potersi in breve sollevare dalle attuali sue tristi condizioni.

Checché si vociferi, la Monarchia Sabauda ha radici profonde nel cuore degli Italiani, da noi degli Stati ereditari a quelli che si aggiunsero per i plebisciti del 1860 -1870, ben a ragione ricordati dal Principe, sino agli ultimi che videro, soddisfatte le aspirazioni

secolari    coll'altra fortunata guerra e che speriamo non vadano ora deluse, per cui si può dire senza tema di smentita, che oggi è comune alla grandissima maggioranza degl’italiani il vanto del nostro ridanciano Gianduja:

Nòi autri piemonteis pr di' ch'as dia

Con i Savoia j soma
’npo’ 'd famija

 

Torino Marzo 1946

lunedì 18 aprile 2022

Capitolo II. Il fiume e il pastore

di Emilio  Del Bel Belluz


Nel 1920  avevo sedici anni, ero appena rimasto orfano di entrambi i genitori, il mio nome era Vittorio, anche se tutti mi chiamavano Vito. Rimasto solo andai a vivere in una casa di legno, ereditata da uno zio, lungo il fiume Livenza. Era di una semplicità davvero unica, fatta di tronchi, a cui avevo successivamente apportato delle migliorie. Le sue molte finestre  mi permettevano di vedere il fiume come dagli oblò di una nave, il sole che sorgeva al mattino con la sua luce dorata e tramontava lasciando filtrare i suoi ultimi raggi rossastri tra la ricca vegetazione cresciuta sulla sua sponda.  In quella casa avevo la possibilità di godere di una solitudine assoluta, privo di qualsiasi obbligo,  ed avere come unico padrone il fiume che scandiva  la mia vita. Nella casa durante l’inverno mi concedevo delle lunghe letture che mi  rasserenavano e costruivo con esse la mia conoscenza. Il fiume era sempre il mio maestro e io dovevo essere umile nei suoi confronti come uno scolaro che impara le sue lezioni. Gli alberi che avevo piantato vicino alla mia casa, costituivano una grande ricchezza, si trattava delle piante da frutto che in primavera si arricchivano di fiori di colori diversi, tanto da sembrare la tavolozza di un pittore.  Oltre che una gioia per gli occhi, erano una fonte di ottimi frutti che mi permettevano di preparare delle buone marmellate che condividevo con i miei vicini. Coltivavo, inoltre,  la passione per la pesca perché mi permetteva di trascorrere parecchie ore in solitudine,  a stretto contatto con la natura che era diventata un tutt’uno con me stesso. Spesso salivo sulla mia barca e solcavo le acque del mio amico fiume che mi aspettava in qualsiasi momento del giorno. Aveva sempre colori diversi  e mi piaceva osservarlo  mentre fluiva lento o quando era ingrossato, quasi rabbioso, ma non per questo lo amavo di meno. La pace e la quiete che mi dava il fiume non era paragonabile a nessun’ altra cosa. Ero capace, talvolta, quando il sonno non mi rapiva, ad alzarmi per raggiungere la sua sponda e sedermi per sentire il lieve fiato delle sue acque, i guizzi dei pesci, finché non venivo sopraffatto da una pace interiore.  Vi erano  delle notti in cui il fiume faceva paura, quando usciva dal suo letto e quasi arrivava a  lambire le case che lo costeggiavano. In quei momenti tutti pregavano Iddio che venisse a placare la sua furia e a farlo rientrare nel suo alveo.  Le nostre suppliche, fortunatamente, molto spesso, venivano esaudite, così la paura cessava e il fiume ritornava ad essere amico e fratello. A volte mi piaceva parlare con il Livenza, e pregarlo nei momenti in cui avevo bisogno di pescare dei pesci  per venderli perché avevo necessità di racimolare dei soldi che mi servivano per condurre una vita dignitosa. Ricevevo molto spesso la visita di Genoveffa, un signora avanti con gli anni, amica della mia famiglia, che mi trattava, essendo rimasto solo, come un figlio. Aveva, pure, cura della mia roba da vestire, e mi rammendava i vestiti sdruciti che dovevo far durare a lungo. Provvedeva anche alla pulizia delle mie due stanze. La donna era stata moglie  di un pescatore, il marito era morto durante la Grande Guerra e non aveva figli. Ogni tanto mi portava qualche manicaretto da lei preparato, o addirittura veniva in casa a cucinare.  Tra l’altro, avendo avuto un marito pescatore, sapeva molto bene come aggiustare le reti. La sua presenza addolciva la mia solitudine e in qualche modo sconfiggeva la sua. Genoveffa mi aveva sempre detto che starsene sola in casa la intristiva e il farmi visita l’aiutava a trascorrere meglio il tempo.  La buona  Genoveffa aveva una grande fede, e non mancava mai di andare alla Santa Messa del mattino e mi spingeva a frequentare la casa del Signore, cosa che incominciai a fare anch’io nei giorni festivi. Il nostro rapporto era diventato filiale e l’affetto era reciproco.  Alla mattina partivo da casa prima che il sole sorgesse e la volta celeste brillava ancora di stelle. Ero accompagnato da una capretta lungo il percorso per arrivare al fiume. Al ritorno mi faceva mille feste come se fossi una persona cara. Questa capretta mi era stata donata da un pastore come ricompensa per del pesce che gli avevo dato e  l’ospitalità che gli avevo offerto. Quando si trovava a passare nei miei paraggi con il suo gregge, lo ospitavo a cena.  L’uomo apprezzava molto il pesce cucinato da  Genoveffa, un piatto raro per lui, abituato a del pane raffermo e a del cibo in scatola.  L’uomo aveva una grande passione per il vino, e qualche volta eccedeva con il buon nettare, che lo faceva addormentare di sasso, ma era ,al tempo stesso, tranquillo perché sapeva che alla sorveglianza del gregge avrebbero provveduto i suoi fedeli cani. Nei suoi racconti mi parlava spesso delle persone che aveva incontrato nei tanti  paesi che aveva incrociato e di quelle che lo avevano fatto arrabbiare, come certi padroni di terre, che non gli permettevano di passare sui loro campi. Ma c’erano pure gli amici che rivedeva ogni anno e che aspettavano il suo arrivo come un grande evento da festeggiare assieme nell’osteria del paese, bevendo del vino . Si faceva preparare anche una pentola di pastasciutta che, però, doveva consumare sorvegliando il suo gregge. Al pastore gli piacevano le chiesette che  incontrava nel suo cammino, si fermava volentieri a discorrere con il sacrestano che di solito non mancava mai di riferirgli le novità dell’anno trascorso. La cosa che lo metteva in imbarazzo erano i suoi vestiti che puzzavano di pecora e quell’odore non era facile cancellarlo. Per quanto si lavasse i vestiti con l’aiuto di qualche persona amica, questi non profumavano mai di pulito.  La sua vita non era facile, a casa, in montagna ,aveva una moglie e dei figli che lo aspettavano, e lo amavano. La famiglia gli mancava, e spesso, mangiando con i suoi cani in riva al fiume, la nostalgia era talmente forte che ogni tanto aveva maledetto la vita che faceva. Il Leopardi, un poeta molto famoso, aveva cantato la vita dei pastori, e questa notizia letteraria gliela aveva detta il parroco di un paese e, pertanto, si sentiva fiero che qualcuno si fosse ricordato di loro.


venerdì 15 aprile 2022

La Monarchia dal 22 a domani - XI parte


A ROMA

Badoglio si era subito, dimesso ed era stato formato un nuovo Gabinetto con la presidenza dì Bonomi e colle rappresentanze dei sei partiti — si era aggiunta la Democrazia del lavoro — con ben sette Ministri senza portafoglio. Si inizia così quell'esarchia, che rafforzata poi dall'apparto dei C.L.N. dopo la liberazione del Nord, doveva permettere ai sei partiti di detenere il potere governativo anche quando era da tempo finito lo scopo per cui essi erano sorti. 

Intanto appena al potere i Ministri decisero che il giuramento anziché alla Corona fosse fatto alla Patria, impegnandosi tuttavia ad astenersi da ogni controversia sulla questione istituzionale fino a quando non fosse stata risolta da parte del popolo la scelta tra la Monarchia o la Repubblica.

Nel settembre Churchill, fa un giro in Italia per visitare le truppe inglesi combattenti, in realtà è lecito supporre, per rendersi conto del come siano le cose, e il 27 riferisce ai Comuni dicendo «di aver potuto avvicinare i rappresentanti dei sei partiti all' ambasciata inglese e di aver avuto colloca con Bonomi, presente anche Badoglio, che sono amici». E aggiunge ancora «Ho avuto un colloquio col Luogotenente Generale, la cui sincerità ed entusiasmi per la causa degli Alleati va di pari passo e il cui prestigio presso la, popolazione va crescendo di giorno in giorno»; il che confermerebbe la voce che allora correva, che egli avesse detto che in Italia aveva. trovato due ingegni realmente superiori: il Pontefice e il Luogotenente Generale.

Intanto gli urti tra i partiti borghesi ed i social-comunisti in seno al Governo si facevano sempre pii forti, tanto che Bonomi è costretto il 26 novembre a dare le dimissioni.

Il Luogotenente dà opera per la costituzione del nuovo ministero con le consuete consultazioni degli uomini politici più indicati; e il corrispondente dell'Agenzia Reuter, Cedi Sprigge, in data 10 dicembre, non manca di osservare che «nella soluzione della crisi italiana ha avuto una parte molto importante il Luogotenente Generale del Regno, il quale fino allora era stato praticamente ignorato». Egli precisa che il Principe Umberto ha svolto un'azione personale per impedire un'aperta rottura tira i partiti in lotta». La crisi Sfocia il 10 dicembre con la costituzione del secondo Ministero Bonomi, con solo quattro dei sei partiti, esclusi il socialista e quello d'azione.

Era stata questione grossa il caso Sforza, essendosi ritenuto in America che l'Inghilterra fosse stata contraria alla sua nomina. Churchill nella seduta ai Comuni dell'8 stesso mese, non aveva creduto tacere il suo punto di vista dichiarando: «E' un errore affermare che noi abbiamo opposto un, veto alla nomina del Conte Sforza a primo Ministro o a Ministro degli Esteri; soltanto il popolo italiano potrebbe fare ciò... Tutto ciò Che noi abbiamo a dire a questo proposito è che non abbiamo fiducia nel Conte Sforza... » (1.)

Il secondo Ministro Bonomi ebbe vita travagliata; durò tuttavia fino alla liberazione del Nord, quando i C.L.N. che, capeggiando i partigiani nelle loro operazioni contro il nemico avevano concordato col Governo Nazionale, che, caduta la sedicente repubblica sociale, avrebbero temporaneamente e subito dopo l'eclissarsi dei tedeschi e dei repubblicani, assunta l'immediata amministrazione dei territori liberati, reclamarono la loro partecipazione al Governo. La campagna contro il Ministero, iniziata a mezzo Maggio, si fece tanto pressante che Bonomi ai primi di giugno ritiene urgente la formazione del nuovo Governo. I C.L.N. si agitano e i rappresentanti dei sei Partiti si accapigliano; Bonomi acconsente di prorogare la crisi, ma, aggravandosi sempre più la situazione, il 12 rassegna le sue dimissioni.

Il Luogotenente Generale inizia subito le sue consultazioni con le consuete personalità politiche, mentre i segretari dei sei partiti aderenti ai C.L.N. Parri, già partigiano collo pseudonimo di «Maurizio» appartenente al Partito d'Azione. Interviene la Commissione Alleata a ricordare che il Governo dovrà continuare a rispettare la tregua istituzionale e potrà governare solo sulle 43 Provincie consegnate alla sua amministrazione, mentre nelle rimanenti non avranno vigore le leggi italiane se non in quanto sieno espressamente estese ed applicate dal Governo Militare Alleato, che resta l'unico Governo nella provincia del Nord. Consultazioni fra i diversi Partiti, mentre il Luogotenente Generale prosegue nelle sue consultazioni fra gli uomini dei diversi partiti e finalmente si viene ad un accordo e il 20 giugno nasce il Ministero Parri coi rappresentanti di tutti sei i Partiti.

 

1) Giornale «l’Italia» dal 10 dicembre 1944.


La conquista delle stelle


 

lunedì 11 aprile 2022

Degustando un libro

 Segnaliamo un interessante appuntamento culturale, 
promosso dai nostri amici Proff. Finucci e Bafaro,

che si svolgerà presso la LIBRERIA HORAFELIX
Martedi' 12 Aprile alle ore 18,30.




Presentazione del Libro del
Prof. Francesco Carlesi "Mussolini e Roosevelt" Luni Editrice, 2022.

Con l'Autore ne parleranno il Prof. Giuseppe Parlato,
Presidente della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice,
modera il Prof. Cristian Leone.


domenica 10 aprile 2022

A Napoli l'assemblea nazionale dei giovani monarchici: «Vogliamo il Re»


di Emiliano Caliendo


«Il futuro dell’Italia è nell'istituzione della monarchia», è questo il responso dell’ultima assemblea nazionale del Fronte Monarchico Giovanile, tenutasi il 9 aprile a Napoli, nella sala ricevimenti di un ristorante a Santa Lucia. A ribadirlo alla platea di circa una quarantina di presenti, perlopiù giovanissimi giunti da diverse regioni italiane, è il neosegretario, eletto per acclamazione, Amedeo Di Maio, ventiduenne studente napoletano di medicina: «Vogliamo diffondere - dichiara - la nostra idea di un’istituzione diversa da quella repubblicana, coinvolgendo i giovani sui temi del lavoro, dell’istruzione e dell’ambiente».
[...]
Fonte: Il Mattino.it

La vita sul fiume.

 di Emilio del Bel Belluz

Capitolo I  

Ieri mattina sono andato a camminare sull’argine che costeggia il fiume Livenza, a Villanova di Motta.  Non c’era anima viva in giro. Nel posto dove avevo attraccato la mia barca sentii solo  il profumo del fiume a cui ero da sempre abituato, e che me lo faceva sempre riconoscere. Quella mattina il sole non splendeva, era coperto da un cielo grigio. Una bruma si levava dalle acque, come se fossi davanti a una  caffettiera che fumava e non mi permetteva di intravvedere le case che stavano a poca distanza da dove avevo ormeggiata la barca. 


Era di piccole dimensioni, ma avendola costruita con le mie mani, ne ero particolarmente fiero.  La barca portava il nome della Regina Elena, moglie del Re Vittorio Emanuele III. I sovrani amavano la pesca e avevo visto delle immagini che li ritraevano su una barca, intenti a pescare.  La mia mente mi portò a riflettere sulla Regina Elena, che amo ed ammiro tantissimo, perché è stata una persona che si é sempre prodigata per i poveri, gli umili e le persone sofferenti. 

Qualcuno mi aveva raccontato che la Regina aveva fondato la Croce Rossa Italiana e fu, tra le prime, ad indossare quella divisa, per assistere i feriti che tornavano dal fronte, durante la Grande Guerra. Quante volte avevo immaginato il suo volto sorridente che si avvicinava a quello dei feriti, come se fosse la loro madre o la Mamma celeste. Quello che conosco su di Lei, l’ho appreso, soprattutto, dai racconti che mi sono stati riferiti dalle persone che l’avevano conosciuta. Tutte mi parlavano della sua bontà e mi dissero che un giorno andò a visitare un collegio, dove erano ospitati dei bambini, i cui genitori stavano scontando una pena detentiva.  

La Regina che era arrivata senza farsi annunciare, era accompagnata da alcune dame della carità. Si accorse che i locali non erano stati ancora puliti, e soprassedendo alle giustificazioni delle suore che gestivano il collegio, si fece portare l’occorrente per la pulizia. Senza indugio si mise, assieme alle dame di carità, a pulire con dovizia le stanze. La regina aveva dimostrato di essere una persona molto umile e pragmatica nello stesso tempo. Poi, la regina volle conoscere i bambini, che erano circa un centinaio e vestivano molto dimessamente. Si misero in cerchio attorno a Lei, ed uno di loro, il più coraggioso, si avvicinò chiedendole se Lei era proprio la Regina che avevano studiato sui libri di scuola e che era sul ritratto appeso in classe. 

La Regina colta di sorpresa, si divertì a dirgli che era proprio lei e che aveva deciso di passare una giornata con loro. La sovrana accarezzò il volto di tutti dolcemente. Non mancava molto all’ora di pranzo e la stessa Elena volle aiutare le cuoche con mille attenzioni, a distribuirlo. Dopo aver pranzato con loro, volle aiutare le suore ad allestire il presepe, in un angolo del salone. Anche i bambini vi parteciparono, ponendo ciascuno una statuina. Una particolare attenzione fu riservata alla collocazione della Sacra Famiglia, che doveva supplire alla mancanza dei loro genitori. I bambini, nel frattempo, avevano mangiato le caramelle distribuite dalla sovrana, che erano contenute in un sacchetto nella tasca del suo grembiale. Per questo dalla sua sarta di corte si era fatta cucire delle grandi tasche sui suoi vestiti.  La Regina chiese ai bambini dei loro genitori che si trovavano in carcere, e cercò di confortarli amorevolmente.  

Prima di andarsene volle stingerli a sé , uno ad uno, dando loro un bacetto sulla guancia. I loro cuori erano felici   perché potevano raccontare di aver ricevuto una bacio dalla regina, come se fosse la loro vera mamma. Alla vigilia di Natale, la sovrana  fece recapitare al collegio un centinaio di regali con un suo biglietto d’augurio in cui annunciava una sua seconda visita.  Promessa che venne mantenuta: quei bambini erano diventati come i suoi figli.

sabato 9 aprile 2022

La Monarchia dal 22 a domani - X parte

 


Quanto a Badoglio si deve aver presente che non aveva alcun comando Militare né effettivo né nominale; era il Capo. del Governo, perciò i suoi doveri preminenti erano quelli inerenti alla sua carica, cioè assicurare la continuità del Governo. E come tale, prima di dipartirsi, non mancò di dare le sue direttive "In la nota comunicazione dell'8 sera": Ogni atto di contro le Forze anglo americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo; esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza. Non era evidentemente competenza né del Sovrano né del Capo del Governo dirigere la difesa di Roma.

Prima dì proseguire non è superfluo fare il punto; le dolorose vicende dal 25 luglio all'8 settembre furono certo disastrose per l'Italia; a parte la composizione di un Ministero di tecnici che non fu, e che non poteva essere, di ausilio al Sovrano in un momento in cui il criterio politico internazionale doveva occupare il primissimo posto, con l'aggravante della lontananza nei primi giorni del Ministro degli Esteri Guariglia, fu di gravissimo nocumento il non essersi dato carico immediatamente dell'assoluta necessità di far sapere agli Alleati che la nuova Italia, appena svincolatasi dal giogo), fascista, intendeva abbandonare la Germania ed unirsi a Loro.

Questa l'origine dei guai successivi, avendo dato appiglio, e quanto meno pretesto, a ritenerci, se non proprio nemici, tuttavia titubanti al cambiamento di fronte. In seguito l'intervento esclusivamente militare are, le varie cause di diffidenza enumerate, la incomprensione degli Alleati, nonché gli errori nella condotta della guerra in Italia da parte degli Alleati, confessati, analizzati discussi dalla critica franca e sincera» di Lord Strabolgi, (1) e in fine il gesto inconsulto di Eisenhower hanno talmente aggravato la nostra situazione, che l'8 settembre, che, avrebbe potuto segnare veramente la fine dell'incubo fascista anche nei riguardi bellici fu invece il principio di un disastroso intermezzo prima della ripresa della nostra vita normale di costituzionalità.

 

IL GOVERNO A BARI


Il Capo dello stato e il Governo che, insediatisi a Bari, potevano sperare. di trovare almeno quell'angolo di regno concorde in un'azione dì risollevamento furono invece subito travagliati dalla più viva opposizione dei Partiti. I cinque Partiti che subito si erano fatti vivi al 26 luglio, come abbiamo detto, non mancarono di rivolgere lo stesso 8 settembre un altro Appello a tutti gli Italiani «per difendere l'armistizio contro ogni offesa, decisi di tutelare fino all'ultimo i loro ideali di libertà». E il 10 settembre successivo usciva altro Manifesto a firma degli stessi cinque partiti - sempre     senza nomi personali, - che annunziava che aveva inizio «la vera lotta della libertà che sarà difesa contro i fascisti, di dentro e di fuori». Notiamo questo cenno a fascisti redivivi, per l'occasione, che sarà l'accusa che sentiremo ripetere all'infinito per denigrare chiunque a loro contrario sebben convintissimi che di fascismo — almeno nel puro senso della parola, se a carico dei partiti costituzionali non fosse davvero più il caso di parlare, specie allora che non era ancora neppure apparsa quella tragicomica repubblichetta sociale che fu in seguito istaurata nel territorio occupato. dai Tedeschi.

L'attacco dei cinque partiti era evidentemente contro la Monarchia in ambi i manifesti; anziché unirsi e almeno non contrastare fin dal primo giorno l'azione del Governo in quei terribili momenti, in cui gli eserciti del mondo si contendevano questa povera Italia, i cinque Partiti per opera di innominati che si erano autoeletti. e proclamati difensori del popolo italiano cominciarono l'opera loro diretta ad interessi di partito.

E se ne videro ben presto i perniciosi effetti: Sforza tornato dall'estero; si fa capo dell'opposizione monarchica chiedendo l'abdicazione del Re insieme colla rinunzia alla successione al trono del Principe Umberto, colla conseguente sostituzione di un Consiglio di Reggenza per il seienne Principe di Napoli, ciò che vorrebbe dire una repubblica larvata, con tutti í malanni di questa, senza i vantaggi di una Monarchia con un Capo veramente efficiente. È assai rilevante quanto scrive a questo riguardo Camillo Lanciani nella sua «lettera aperta al Cavaliere della SS. Annunziata Carlo Sforza (2).

Si voleva tenere alla fine di dicembre una riunione a Napoli dei gruppi regionali antimonarchici del Comitato di Liberazione (spuntavano già fin da allora Comitati di Liberazione che impadronitisi poi del potere, come diremo, più non lo vollero lasciare!)  ma fu proibito dalle Autorità Alleate.

Fu deciso allora per la fine di gennaio un Congresso a Bari; i suoi postulati furono annunziati per radio il 27 da Sforza ed Omodeo per l’abdicazione del Re; il congresso si inaugurava, il 28 con un discorso di Croce sulle stesse direttive e chiudeva, con un ordine del giorno, conforme ai postulati sopraindicati.

Di fronte a tali conclusioni insorgono gli ex combattenti che tengono, ai primissimi di febbraio altro Congresso a Taranto, nel quale rinnovavano la loro fiducia dal Re e chiedono che Egli rifiuti di abdicare.

Contemporaneamente la Radio-Bari fa notare che anche solo dei territori allora liberati e quindi nella possibilità di prendere parte al Congresso, erano assenti la Sardegna, la Sicilia, la Basilicata, e parte delle Calabrie, nonché i partiti liberali delle classi medie che avevano avuto a capo Giolitti, Nitti, De Nicola ed altri, per cui i convenuti ai Congresso erano ben lontani dal rappresentare il pensiero e la volontà anche solo di quelle regioni. Il 12 marzo comizio a Napoli - assenti i democristiani in cui si insiste per l'abdicazione.

In questo tumultuoso agitarsi dei partiti il Sovrano pensa ad un atto di pacificazione e il 12 aprile Radio Bari fa sapere che il Re delegherà i poteri regi al figlio col grado di Luogotenente immediatamente dopo la presa di Roma e che allora sarà subito formato un Gabinetto comprendente i capi di tutti i partiti antifascisti: si sarebbero fatte le elezioni e si sarebbe deciso sul problema istituzionale. La decisione del Re quale è riportata di questi giorni integralmente nei giornali precisa: «Che S. M. ha deciso di ritirarsi dalla vita pubblica... E che tale decisione, che faciliterà l'unità nazionale, è definitiva ed irrevocabile».

Intanto il 20 aprile aveva luogo la nuova incarnazione del Ministero Badoglio su più larga base: Sforza, Croce, Rodinò democratico cristiano, Togliatti comunista e Mancini socialista, vi entrano come Ministri senza portafoglio. Questo Ministero vive vita travagliata sino a quando, liberata Roma il 4 giugno 1944, dopo le disastrose vicende belliche che hanno portato tanta rovina, in quelle desolate regioni, il Re, in conformità al proclama del 12 aprile, cede le sue funzioni al figlio e si ritira a vita privata.

Egli si è sacrificato «con un atto spontaneo allo scopo di eliminare qualunque, ostacolo che impedisse di raggiungere una vera unità nazionale». Messaggio di Badoglio del 18 aprile.

 

(1) Ruggero Guerra : La conquista dell'Italia, in « La Gazzetta d’Italia» del 22 Marzo 1946.

(2) Camillo Lanciani: Vittorio Emanuele III fu complice del fascismo? Edizione: Avvenire d'Italia 1946.     

L’assemblea nazionale dei giovani monarchici per discutere del futuro della loro generazione



La gravità della situazione politica, economica e sociale nel momento storico che viviamo è fonte di particolare preoccupazione per il Fronte Monarchico Giovanile Giovanile, così come per tutti i giovani ai quali oggi s’impone un forte impegno per tracciare un futuro di crescita e di sviluppo al quale questa generazione non può e non vuole essere marginale nella vita sociale e politica dell’Italia.

I giovani monarchici, pertanto, si riuniscono per discutere del futuro il 9 aprile 2022 a Napoli in Via Santa Lucia 58, nei pressi del ristorante da Ettore, alle ore 9:00, per la loro Assemblea Nazionale, che definirà anche l’assetto della dirigenza associativa sul territorio nazionale, allo scopo di affrontare al meglio le sfide che attendono i giovani italiani.


Amedeo Di Maio

lunedì 4 aprile 2022

Umberto II, l'ultimo monarca d'Italia. Da principe anti-Hitler a "re di maggio"

 

ROMA (storie & metallo) - Breve storia dell'ultimo regnante sul trono italiano. Luogotenente ed anti-interventista, partito per l'esilio a sua insaputa

Figlio del re d'Italia più longevo, Vittorio Emanuele III (1900-1946), Umberto II è passato alla storia come il "Re di maggio". Ma non è esattamente così, non fu esattamente così.

Una figura storica poco conosciuta perché matura e maturata negli anni più difficili per il nostro Paese: quelli del regime fascista prima e quelli della Seconda guerra mondiale poi. Ma si tratta di una figura che, probabilmente, merita una maggiore centralità soprattutto nei difficili anni compresi tra il 1940 ed il 1946.

Umberto vive all'ombra dell'inevitabilmente ingombrante padre, a sua volta costretto a fare i conti con una casa Savoia ritrovatasi ad essere la casa Reale, la sua scarsa altezza ed una educazione militare asfissiante. Ma soprattutto, negli anni della maturità di Umberto, con la figura del Duce.

Come se ne esce?

Male e a fatica. Umberto, nato nel 1904 quando Vittorio Emanuele è già sul trono da 4 anni dopo l'assassinio di Umberto I (fatto fuori dall'anarchico Bresci a Monza), subito proclamato "principe di Piemonte" (e non di Roma, per evitare lo sgarbo al Papa, ancora lontano il momento del Concordato) si distingue dal padre per le sue posizioni personali. Umberto ha anche la fortuna di sposare una donna bella ed intelligente, Maria Josè di Belgio, che ne sostiene le iniziative.

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https://www.ilmamilio.it/c/news/45716-storie-metallo-umberto-ii-l-ultimo-monarca-d-italia-da-principe-anti-hitler-a-re-di-maggio.html


domenica 3 aprile 2022

Una riflessione sulla Regina Elena

 di Emilio Del Bel Belluz



La primavera è alle porte e mi ritorna in mente  un capitello costruito sul ciglio di una  stradina  di campagna, visto lo stesso periodo dell’anno scorso. In questa edicola votiva  vi era dipinto l’immagine della  Madonna, e mentre mi apprestavo a fotografarla, mi si avvicinò un contadino che mi disse che il pittore  aveva conosciuto la Regina Elena del Montenegro. 
L’uomo continuò a parlarmi della sovrana,  della sua bontà, e dell’amore che aveva per gli italiani. Questo vecchio tolse dal suo portafoglio una foto della Regina Elena e me la mostrò. L’immagine raffigurava la sovrana  vestita in modo semplice, che sorrideva. Il vecchio volle donarmi questa foto, dicendo che a lui non sarebbe servita a lungo, perché aveva ancora pochi anni davanti. L’uomo mi chiese di scrivere qualcosa sulla Regina, che meritava d’essere ricordata, anche perché era stata nominata Venerabile ed aveva ricevuto dal Papa Pio IX  la Rosa d’oro della Cristianità, il 5 aprile 1937. 
L’uomo mi chiese di scrivere con il cuore, perché quella donna aveva curato le ferite di suo padre che aveva combattuto nella Grande Guerra. 
La Regina lo aveva messo a suo agio, prendendogli la mano,  infondendogli coraggio e la speranza che sarebbe tornato a casa molto presto. Infatti,  fece ritorno a casa e spesso ricordava la sua Regina che gli aveva curato le ferite come una Madre e pensò che ella assomigliasse alla Madonna. 
Dopo questo racconto così toccante, cercai di conoscere la storia della regina Elena,  apprendendo anche dalle testimonianze della gente che l’aveva conosciuta.  In questi giorni ho ricevuto da una maestra che ha sempre insegnato con amore e con una bravura davvero grandiosi, una riflessione sulla Regina Elena del Montenegro. 
Questa cara Maestra e lo scrivo con la lettera maiuscola,  ha novantaquattro anni ed alcune settimane fa avevo scambiato con lei  qualche parola sulla Regina, e le avevo comunicato la mia speranza che presto venisse proclamata beata. La Chiesa non può non onorare una Regina che anche durante la guerra aveva cercato in tutti i modi di promuovere la pace, scrivendo una lettera con il cuore, nel 1939, dopo l’invasione della Polonia, da parte della Germania, alle consorti dei sovrani affinché desistessero dall’intenzione di scendere in guerra. 
Una donna coraggiosa disposta a tutto pur di essere dalla parte dei poveri, e dei sofferenti. Una donna piena di fede che si era consegnata pienamente nelle mani di Dio. Una mamma che nel lager di Buchenwald, il 28 agosto 1944, perse  l’adorata figlia, la principessa Mafalda. Anche questo dolore lo aveva offerto a Dio. Riporto la riflessione della maestra Adalgisa, di Motta di Livenza: “Mi è giunta, graditissima, la notizia che presto sarà beatificata la benemerita Regina Elena, moglie di Vittorio Emanuele III di Savoia. Soprattutto mi ha colpito, positivamente, il sapere che questa fervente Regina abbia voluto camminare, umilmente, con il suo amato popolo. 
Il profumo profuso dalla sua carità chiama  tutti, e  ciascuno di noi, ad imitarla sapendo che Dio ci ha creato, è morto per noi e ci ama sempre. Amata regina, grazie del tuo sublime insegnamento. Il tuo profumo si espande ancora”.

sabato 2 aprile 2022

Maria Adelaide d'Asburgo Lorena, la mostra alla Palazzina di Caccia di Stupinigi

 


Nell’anno del bicentenario della nascita, una mostra alla Palazzina di Caccia di Stupinigi ripercorre la vita e la storia di Maria Adelaide d’Asburgo Lorena, la “non regina d’Italia”, in quanto sposa devota di Vittorio Emanuele II che divenne Re d’Italia solo nel 1861, sei anni dopo la sua prematura scomparsa a soli 32 anni. Scrisse di lei Costanza d’Azeglio: “Principessa che tutti ammiravano per la sua bellezza e che conquistava i cuori per qualche cosa di angelico negli sguardi, nei gesti e nelle parole che ne rivelavano l’animo”. 

L’esposizione, organizzata dal Centro Studi Vittorio Emanuele II, è allestita nella Galleria di Ponente e rientra nel percorso di visita alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. In mostra oggetti, fotografie storiche, abiti, a cui si affiancano gli approfondimenti a cura di Maura Aimar con il Centro Studi Principe Oddone.

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Fonte 

Torino Today


Sullo stesso argomento altro interessante articolo su 

Il torinese

La Monarchia dal 22 a domani - IX parte

 




E allora? Salus rei pubblicati suprema lex esto, proclamava, la saggezza giuridica di Roma e fin dal IV secolo a. c. Euripide proclamava: Si violandum est jus, regnandi causa violandum est.

Ma, ripeto, ormai la questione ha perduto di importanza perché anche quelli che al primo momento furono restii ad ammettere la moralità dell'atto compiuto dall'Italia, finirono dopo più maturo consiglio e giudizio sull'opera della Germania durante fa guerra nei confronti con gli Alleati, a chiedersi, come fa il Prof. Crosa, «chi fu il tradito e chi il traditore».

Annunziato l'armistizio, seguirono le tristi vicende militari dell'8 e 9 settembre a Roma che esulano dalla mia trattazione. Malacoda, dopo averle narrate e aver dichiarato che a non intendeva sottoscrivere né una difesa dello Stato Maggiore e neppure un atto di accusa contro gli Alti Comandi e meno che mai contro gli Ufficiali e le truppe che ovunque furono degnamente comandate si batterono con l'antico valore”, conclude che «la Monarchia è assolutamente fuori di causa in tutto questo». (1).

 

Continua Malacoda: all'Alba del 9 settembre appare evidente che ormai un colpo di mano tedesco poteva effettuarsi in, qualunque momento. Nella notte tutte le autorità si erano riunite in sol luogo, il Ministero della Guerra; qui erano convenuti il Re, il Capo del Governo, il Capo di Stato, Maggiore Generale e molti dei ministri. Verso le tre del mattino il Maresciallo Badoglio, Ambrosio e il Capo di Stato Maggiore dell'esercito - Roatta - si consultano sulla situazione e concordemente decidono che si impone la partenza di quegli organi del potere politico e militare che non si volessero lasciar cadere in mano del nemico. Badoglio si recò dal Re e gli prospettò la necessità dell'allontanamento immediato del Governo, e della Famiglia Reale. Il Re non voleva partire e il Maresciallo penò assai a convincerlo; si decise alla fine e soltanto quando Badoglio gli disse di aver già ordinato ai Ministri di lasciare la Capitale e che i suoi ordini erano ormai in corso di esecuzione. A sua volta il Principe Ereditario, accettata dal Re: la decisione del Governo, oppone per quanto lo riguarda le stesse difficoltà e nei locali del Ministero ebbe col Padre un contrasto piuttosto violento. Verso le quattro e trenta poche autovetture seguite, da due autoblinde si dirigono verso l'Abruzzo lungo la via Tiburtina. Si incrociarono automezzi tedeschi che correvano nei due sensi; il Re e il Principe indossavano le divise (lo notino quelli che blaterano di fughe): i grigi occhi germanici guardavano senza vedere.

Su questa partenza del Re si è molto speculato dai Partiti, ma, anche indipendentemente da considerazioni politiche è innegabile che per molti la questione istituzionale è influenzata dal loro giudizio su questo atto. Scrive Malacoda (2): «Ben si comprende una istintiva reazione sentimentale al primo annunzio di affrettato abbandono di Roma che in quel momento poteva apparire inspiegabile: ben si comprende che l'improvviso avvenimento ferisse nel profondo quel naturale senso cavalleresco che è innato in tutti gli italiani, lo stesso del resto che portava il Re e il Principe, l'uno di fronte a Badoglio, l'altro di fronte al Sovrano a ribellarsi all'evento; ma in verità è ormai tempo di affermare che per il supremo interesse della Patria, il Re, la Famiglia Reale, il Governo dovevano partire».

Il Re come capo della nazione aveva soprattutto il dovere di garantire la continuità dello Stato.

Arangio Ruiz nell'ottobre 1944 sul «Giornale di Napoli» ne dava la più chiara giustificazione.

Dopo aver ricordato che in Ungheria il tentativo di sganciarsi dalla Germania era stato stroncato in 24 ore per la cattura del Reggente, Horty rimasto a Budapest, scrive: «...l'aver affermato tangibilmente l'esistenza di un'Italia belligerante presso gli Alleati capace, di rivendicare i diritti ed assumere obbligazioni ha assicurato all'Italia attuale, già essenzialmente diversa da quella del 1943, una legalità che in tanta miseria è la sola sua forza». E aggiunge ancora: «E a che cosa se non alla continuità dello Stato così garantita è dovuta la splendida disciplina della nostra flotta che immediatamente riprese a fianco degli Alleati le azioni di guerra che fino al giorno precedente aveva condotto contro di loro? A che cosa l'atteggiamento delle nostre unità schierate nella parte del territorio nazionale occupato dai tedeschi o in terre straniere da essi controllate e il fermo contegno dei quattrocentomila italiani che coraggiosamente affrontarono, per non collaborare, la dura prigionia tedesca e l'impossibilità in cui Mussolini si è trovato di formare un esercito ribelle, e lo slancio con il quale i militari, sbandati hanno inquadrato e addestrato i partigiani? A che cosa il rifiuto di tanta parte dei pubblici impiegati di giurare fedeltà alla Repubblica Sociale e l'inerzia di quasi tutte le forze poliziesche nel reprimere l'antifascismo e l'antinazismo, e insomma il fiasco totale di quell'improvvisata Repubblica Sociale?»

Queste appassionate parole di Arangio Ruiz potrebbero avere ben larga dimostrazione citando fatti e nomi: basti qui accennare all’ affondamento della nave ammiraglia di Bergamini; alle gloriose gesta dei Reparti che gli Alleati ci permisero di unire alle loro Forze, in cui rifulsero Casati, Ruffo di Calabria, Dolino Giojtre, Gastaldi...; la gloriosa resistenza delle 32 Divisioni dislocate nei Balcani, i 500 Ufficiali e 4000 soldati trucidati dalla ferocia tedesca e Cefalonia (3); i non meno gloriosi partigiani: Rossino, Gimmi Curreno, Pamparato, Galimberti, Cattaneo padre e figlio... il cui ultimo grida fu “Viva l'Italia! Viva il Re! (4); il formidabile esercito dei deportati che sopportarono sevizie, stenti e affrontarono la morte pur di tener fede a quell'Italia, che a stento da Bari a Roma riconquistava il Nord; e infine l'elettissima schiera dei prigionieri e morti del Fronte clandestino: Perotti, Montezemolo, Grenet, Frignani, Aversa...(5) Vi è chi obbietta clic il Re doveva restare a Roma e dare «allora» la luogotenenza al Principe di Piemonte; ma non pensano costoro quale pegno sarebbe stato nelle mani dei tedeschi Vittorio Emanuele III, pur sempre Re, per legare l'Italia a difenderlo per l'onore della Nazione? Ricordino. gli Italiani la Principessa. Mafalda, che pure era sposata ad un tedesco, fatta prigioniera col più cinico inganno e poi fatta perire a Buchenwald con inaudita ferocia!

E d'altra parte era prudente in un momento così grave una soluzione di continuità nella funzione di Capo dello Stato di cui evidentemente le forze politiche più disparate avrebbero approfittato per i loro fini di partito? Fu per queste ragioni che il Re, pur riluttante a lasciar Roma, dovette persuadersi dell'ineluttabile necessità della sua partenza la notte stessa. Purtroppo l'aver dovuto partire tanto improvvisamente e tanto affrettatamente ha prodotto una dolorosa impressione; che quanto alla partenza in sé quando ne fu necessità si hanno numerosi esempi sia nel conflitto del 1914-1918, dal Re del Belgio e quello di Serbia, di Romania, al Presidente della Repubblica Francese e in quest'ultima campagna bellica, dal Presidente della Repubblica Polacca a quello della repubblica Francese, al Re di Norvegia, a quello di Grecia, Jugoslavia e alla Regina Guglielmina. E per le stesse ragioni, insieme con il Suo stretto dovere di ubbidire al suo Re e a suo Padre, dovette assogettarvisi anche il Principe Ereditario. Non fu certo il più lontano pensiero della loro incolumità che vi ebbe il minimo peso: sarebbe offesa gratuita a dei Savoia.

Del resto il Re non fece che ripetere il gesto del suo glorioso antenato il Re Vittorio Amedeo II, che all'avvicinarsi delle truppe francesi a Torino nel 1706 lasciò la Capitale e dopo aver guerreggiato di qua e di là in Piemonte, si unì al valoroso Cugino il Principe Eugenio che comandava le truppe imperiali e con le forze unite vinsero la battaglia di Torino e d'allora cominciò l'ascesa regale che doveva concludersi col Regno d'Italia.

 

(1)  Malacoda – op. cit. pag. 189.

(2) Malacoda – op. cit pag. 174.

(3)  Ivanoe Bonorni: Le luci, in «La Nuova Stampa »

28 Marzo corr  

(4)  Mauri: Noi del 1° Gruppo Divisioni Alpine

(5) Amedeo Strazzera Perniciani: Umanità ed eroismi nella vita segreta di Regina Coeli