NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 30 giugno 2016

Considerazioni referendarie: cosa insegna il referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

di Domenico Giglio

-Il regalo per i novant’anni della Regina  Elisabetta.

Chi ha votato per l’uscita della Gran  Bretagna dall’Unione  Europea, ha pensato forse, inconsciamente, anche di rendere un omaggio alla sua Regina, ma, per l’eterogenesi  dei  fini, ha forse innescato la dissoluzione del Regno  Unito, come abbiamo visto quando Scozia e Irlanda  del  Nord, hanno precisato che loro intendono rimanere giuridicamente nell’Europa comunitaria e quindi staccarsi dal resto del Regno che diventerà non più “Unito”, cambiando necessariamente anche la bandiera per la quale avevano combattuto ed erano morti in centinaia di migliaia di soldati e marinai, anche scozzesi e irlandesi. Qualcuno  ha  poi  notato  che  nell’arco  di  400  anni  si  sta  probabilmente  compiendo    con  l’attuale  Regina  Elisabetta  II,un  ciclo  storico  con  il  ritorno  ad  un  Regno d’ Inghilterra ,  quale  era  quello   su  cui  regnava  la  prima  Elisabetta ? Se così fosse, non potevano fare regalo peggiore per i novant’anni della loro Sovrana!

-Similitudini tra referendum.

L’esito del referendum circa la permanenza del Regno  Unito nell’unione europea ha visto un’esplosione, da  parte  di analisti e commentatori, sui giornali italiani, di commenti negativi e disgustati per il risultato, e insieme con argomenti seri, specie di carattere economico, vi sono stati interessanti articoli sulla validità di questo voto, per la modesta differenza tra i “sì” e i “no”, quando per eventi del genere, sarebbe stata necessaria, così hanno scritto, una maggioranza  qualificata e alcuni, tenendo conto che i votanti sono stati poco più del 72% del corpo  elettorale, hanno rilevato che quindi solo il 37% si è espresso a  favore  dell’uscita dall’U.E. distanza di settanta anni, questi articolisti, che dai loro nomi escludo abbiano simpatie monarchiche, con queste considerazioni m hanno dato un’autorevole conferma che il referendum  istituzionale del 1946, lascia molti dubbi sull’effettiva vittoria repubblicana, il cui vantaggio di circa due milioni di voti, si sarebbe ridotto tenendo  conto del milione e cinquecentomila voti annullati e minoritario rispetto al totale degli iscritti nelle liste elettorali, e che un evento di tale genere con le conseguenze che abbiamo visto e che viviamo, si sarebbe dovuto tenere quando a votare dovevano essere tutti i cittadini italiani, di tutte le provincie, comprese le centinaia di migliaia di ex prigionieri, ancora non rientrati in patria.

-Anglofobia e anglomania.

Sempre con questo referendum sono tornati  a  galla sentimenti per  lo  più anglofobi, fino  a riesumare il termine della perfida “Albione”, dovuto a Vincenzo  Monti, certamente poeta famoso, ma non certo esempio di coerenza politica, ma anche sentimenti  di  amore e ammirazione per istituzioni, tradizioni, usi  e  costumi degli “angeli”, non “angli”, come li aveva definiti un antico Pontefice. E’ possibile che non si possa ragionare e valutare avvenimenti e popoli, con equilibrio e serenità, tirando invece fuori luoghi  comuni, se non addirittura barzellette, e questo dopo settantuno anni dalla fine della seconda  guerra  mondiale quando le ferite dovrebbero essere storicizzate e non più eventi sui quali ancora basarsi nei rapporti reciproci tra le nazioni  europee. La scena evangelica dell’adultera e la frase di Gesù  Cristo, che chi era senza peccato scagliasse la “prima pietra”, hanno una validità universale, per cui lasciamo agli storici, quelli veri e non ideologicità che scrive per dimostrare una tesi precostituita, di definire i rapporti avuti dall’Italia con la Gran  Bretagna e altre nazioni  europee, poiché è l’Europa tutta a essere oggi sotto attacco. 

mercoledì 29 giugno 2016

La cosiddetta "fuga" di Pescara


Opuscolo pubblicato nell'imminenza del referendum del 46. 
Ottime le sue argomentazioni.


Il tema più abusato dei fautori della repubblica è quello della... fuga di  Pescara. E' un tema facilmente sfruttabile perché colpisce l'immaginazione e, tocca il sentimento del popolo. Il trasferimento del Sovrano da Roma a Brindisi in territorio non occupato dal  nemico per esplicito invito dei Capo del Governo del tempo e dell'Alto Comando, viene presentato come una defezione del Sovrano: defezione che avrebbe avuto per conseguenza la caduta di Roma e l'occupazione tedesca dalle Alpi al campo di battaglia di Salerno.

Non vi è nulla di più malvagio e di più falso. Sin dal  momento della dichiarazione della città aperta di Roma da parte del Governo Badoglio si rese necessario di provvedere al trasferimento dalla         capitale del Re, capo supremo delle forze armate. E' noto infatti che lo Stato Maggiore aveva preso sede a Monterotondo. Nel colloquio del 31 agosto, del generale Castellano con il generale Smith Capo di Stato Maggiore di Eisenhower, presenti il Commodoro Strong e il generale Zanussi fu discussa l'opportunità di trasferire il Sovrano dalla Capitale, che veniva ormai a trovarsi sotto la diretta minaccia tedesca. Il comando anglo americano offriva di evacuare una parte della Sicilia perché il Re potesse recarsi in territorio sottoposto alla sua piena sovranità.
Nei primi giorni di settembre le misure predisposte per la difesa della Capitale poterono illudere l'Alto Comando e il Governo del Maresciallo, che Roma si potesse difendere, ma gli avvenimenti che si svolsero tra il sei e l'otto settembre fecero diminuire di molto questa speranza.

Quali avvenimenti?

In primo luogo il mancato sbarco della divisione aviotrasportata del generale Taylor, nei campi d'aviazione attorno a Roma, per la decisa opposizione manifestata a questo piano dal generale Carboni a cui era affidata la difesa della capitale. Il generale Carboni e il generale Taylor si recarono nella notte sull'otto settembre dal maresciallo Badoglio e questi fece suoi gli argomenti del suo sottoposto. Il maresciallo Badoglio sperava però di ottenere da Eisenhower una proroga nella comunicazione dell'armistizio. La proroga non fu concessa. Badoglio e l'Alto Comando si trovarono improvvisamente, nel pomeriggio del giorno otto, dinnanzi a una fatale scadenza che essi avevano previsto solo per la metà del mese. Sperarono di poter fronteggiare ugualmente, con le sole proprie forze, l'attacco tedesco ma, tra la mezzanotte e le quattro del mattino, la situazione militare si venne aggravando. Fu facile comprendere che i tedeschi erano ben lontani dal proposito di ritirarsi a nord della Capitale: le batterie costiere e alcuni reparti della Divisione Piacenza furono sorpresi e disarmati; i granatieri che difendevano le posizioni sulla Via Ostiense furono duramente attaccati. Alle quattro del mattino tutte le vie che portano alla Capitale apparvero dominate dai tedeschi, meno la Tiburtina.

Governo e Alto Comando decisero allora di sottrarre il Sovrano allo schieramento di prima linea.

E' noto che il Re non intendeva affatto partire e che egli si arrese alle sollecitazioni del maresciallo Badoglio quando gli fu fatto osservare che in un Paese senza Parlamento egli era la sola fonte legittima della Sovranità, l'unica che potesse rappresentare legalmente l'Italia presso il Comando alleato. Il Sovrano si arrese a queste considerazioni e lasciò Roma per il sud.
L’unico appunto che si potrebbe fare a questa partenza e che toccherebbe non il Re, ma il suo Governo, è  che essa fu compiuta troppo tardi, sotto la pressione degli eventi sfavorevoli e non tempestivamente, appena firmato l'armistizio, come sarebbe stato opportuno.
Ha influito l'assenza del Re sulla debole difesa Roma? Ci rimettiamo alla testimonianza del maresciallo Caviglia il quale assicura nel suo «diario» di essersi reso immediatamente conto, la mattina del 9 settembre, della impossibilità della difesa della Capitale senza l'ausilio di uno sbarco alleato nei pressi della città e  senza l’azione potente della sua aviazione. La diffidenza alleata verso di noi e la impreparazione ad una grande azione di sbarco (a Salerno sbarcarono quattro sole divisioni e non le quindici lasciate intravedere) furono la causa vera della tragedia italiana e della lunga guerra combattuta nella Penisola dal settembre 1943  al maggio 1945.
Ma, in conclusione, in che cosa l'atteggiamento del Re d'Italia si differenzia dall'atteggiamento di tutti i Re e Presidenti di Repubblica d'Europa nell'attuale conflitto? Purtroppo quasi tutti furono costretti a lasciare le loro Capitali e molle volte i loro Stati sotto la minaccia tedesca. Lasciarono in fretta la Capitale e il territorio nazionale il Presidente della repubblica polacca nel settembre 1939, il Re di Norvegia, la Regina d'Olanda e il Presidente della Repubblica francese nella primavera del 1940 come già nel 1914, il Presidente Poincaré Nel 1941 la stessa sorte toccò al Re di Jugoslavia e al Re, di Grecia e (non inorridite!) al maresciallo Stalin, che dové trasferirsi da Mosca a Kubiscev quando Mosca fu minacciata.

In nessun paese è stata sollevata una questione d'onore contro i capi dello Stato, che hanno dovuto accettare la sorte alterna delle armi, meno che in Italia. Ma ciò è solo frutto dì bassa demagogia e di ignobile viltà. Basti pensare che al Re del Belgio si fa invece l'accusa di essere rimasto nel territorio occupato. Verrà il giorno in cui gli italiani arrossiranno d'avere prestalo orecchio a una così turpe campagna. Re Vittorio e il Principe Umberto nel lasciare la Capitale hanno obbedito, non al loro interesse dinastico, ma ad una superiore esigenza politica e militare e all'intimo proposito di servire il Paese e di salvare Roma e il Vaticano dalla guerra e dalla rovina.


lunedì 27 giugno 2016

Lo “splendido isolamento“

Quante volte abbiamo ripetuto la frase di Foscolo, “Italiani vi esorto alla storia”, ma questa frase è valida per tutti le nazioni che hanno una storia, e nella vecchia Europa gli stati affondano le loro radici in secoli e secoli per cui l’invito era valido anche per la Gran Bretagna, che dell’Europa fa  parte, almeno dall’epoca di Giulio  Cesare, dovendo affrontare un “referendum” sull’uscita dall’attuale Unione  Europea, di cui possiamo essere insoddisfatti, ma che aveva posto  fine a quelle guerre, che in un secolo dal  1914  al  2016, l’avevano fatta  retrocedere dalla continente guida e “signore” del mondo da tutti i punti  di vista dalla politica, alla cultura all’economia, alla finanza, e a tutti gli altri settori della vita civile, a un continente ormai minoritario come popolazione, con ricorrenti crisi economiche, in crisi  d’identità spirituale e di quei valori morali, che lo avevano reso grande, e accerchiato da nazioni emergenti, oltre a tutto di religione differente, molte del quale, a  loro volta, in crisi, di carattere politico e istituzionale, anche con guerre  civili d’inaudita violenza, che hanno reso endemico un fenomeno, quello dell’emigrazione, che esisteva da qualche tempo, ma che non aveva assunto le dimensioni attuali.

Ebbene in tutto questo scenario brevemente tratteggiato gli elettori britannici, accorsi massicciamente alle urne, hanno deciso, con una modesta maggioranza, che oggi molti contestano, di abbandonare l’Unione  europea, senza minimamente pensare alle conseguenze anche interne, vedi Scozia e Irlanda  del  Nord, che minacciano secessioni, avendo votato per il mantenimento dell’adesione all’Europa, inseguendo un sogno antistorico di splendido  isolamento, sul quale c’è molto da discutere. Senza andare, infatti, troppo lontano nel tempo, ma partendo da quei 1700, che vide anche ufficialmente l’unione della Scozia, all’Inghilterra, il Regno  Unito, ha partecipato a tutte le dispute e le guerre che si svolsero nel continente, toccando il loro culmine nelle guerre napoleoniche, alle quali proprio l’esercito britannico pose  fine nella giornata di Waterloo, e solo da allora, fino al 1914, si estraniarono, almeno ufficialmente dalle vicende europee, anche considerando quella strana guerra contro l’impero russo, in Crimea, insieme  con la Francia e il Regno  di  Sardegna, lungimiranti Cavour e Vittorio  Emanuele  II, dedicandosi invece a ingrandire e rafforzare il suo impero, con guerre  coloniali, vedi repressioni delle rivolte in India o nel Sudafrica, contro i boeri, impero che così raggiunse una dimensione mondiale, mai vista fino allora, e oggi unico. Quanto  al periodo successivo al 1914 e alle due guerre  mondiali la partecipazione alle stesse del Regno, Unito, anche come protagonista, in entrambi i casi alleato con la Francia, è storia recente che dimostra il suo stretto legame con l’Europa, la prima volta mosso in soccorso del Belgio e la seconda volta per la Polonia, entrambi Stati Europei, purtroppo aggrediti da un altro paese  europeo, eventi questi che l’unione dovrebbe avere esorcizzato.

Quali siano state perciò le  argomentazioni  portate  invece a  favore  dell’uscita , abbiamo  letto e  constatato  la  loro  povertà  in  termini  ideali  e  pratici , quando il  governo  Cameron  aveva   già ottenuto  condizioni  invidiabili  ed  eccezionali, per  cui  un  voto  positivo  per  il  mantenimento  della  adesione, anche e  proprio   con  una  forte  minoranza  favorevole  all’uscita, sarebbe  risuonato  egualmente  alto  e  forte  come  monito  ai  burosauri   di  Bruxelles, ed  avrebbe  spinto  le  altre  nazioni  europee  ad  una  radicale  revisione  della  politica  comunitaria, in  quei  settori in  cui  è  sotto  accusa  in  vari  altri  paesi  europei, ed  invece  spinto   al rafforzamento  della  politica  estera  comune , oggi  quasi  inesistente ,  e degli  organismi  militari  ed  antiterroristici  che  rispondano  alle  attuali  esigenze, anche  se, fortunatamente  esiste, ma  nessuno  lo  ha  ricordato, pur  sempre  la  NATO, di  cui  il  Regno  Unito, è  stato   ed  è  parte  non  secondaria.


Domenico  Giglio

domenica 26 giugno 2016

La regina Elena e la nazionale italiana di calcio

di Emilio Del Bel Belluz 

Non amo il calcio, ma con piacere condivido la gioia del mio Paese  nel momento in cui la nazionale vince. In questi giorni ci sono gli europei in Francia, che per me è un Paese tanto caro. Gli azzurri sono in ritiro a Montpellier. In questa cittadina francese è sepolta la regina Elena di  Montenegro, moglie di Re Vittorio Emanuele III.

Mi sono chiesto, se questi nostri campioni abbiano pensato di recarsi a portare un fiore alla tomba della regina d’Italia. Questa donna coraggiosa e buona seguì il marito in esilio e dopo la morte del  Re in Egitto si trasferì in Francia. Ha sempre aiutato i poveri con tutta se stessa e continuò a farlo anche nella cittadina francese. 
Una regina che si intratteneva molto volentieri con le persone italiane che casualmente incontrava.
Una donna di Rivarotta, emigrata in Francia per lavoro, mi ha raccontato di essersi più volte intrattenuta a parlare con la regina.  La sovrana amava pescare e se incontrava qualcuno nato sotto il cielo d’Italia chiedeva informazioni sulla sua vita e cercava di mitigare la sofferenza che l’italiano provava nel vivere lontano dalla sua terra. La donna di Rivarotta mi ripeteva sempre che la regina anche in Francia aveva saputo farsi amare. 
Soffriva la lontananza dalla sua patria  e da suo figlio Re  Umberto II che si trovava in esilio a Cascais.
Alla sua morte, questa donna partecipò ai funerali della buona regina.
Mi ripeto, mi auguro che i nostri azzurri riescano a deporre un fiore sulla tomba della regina Elena di  Montenegro. Se potessi, ricorderei ai nostri calciatori che anche l’ultimo Re d’Italia e la sua consorte Maria Josè sono sepolti in Francia, in un posto incantevole: Hautcombe.
 Vorrei poi ricordargli che l’ultimo Re era un grande tifoso dell’Italia. Ho letto su una rivista, la notizia  che la nazionale italiana fece visita al Re Umberto II, quando si trovava in Portogallo per giocare. In quell’ occasione il sovrano fu tra gli spettatori ad assistere e ad applaudire la nazionale. In quelle magliette azzurre venne tolto lo stemma Sabaudo, e posto al suo posto la bandiera tricolore.
L’Italia vinse due campionati del mondo durante il periodo della monarchia, indossando la maglietta con lo stemma Sabaudo. Sono d’accordo che la storia è scritta  dai vincitori, ma un tributo da parte degli azzurri  alla regina Elena mi sembrerebbe  doveroso.
Mi viene in mente una foto che raffigura il Re Umberto II che depone un mazzo di fiori sulla tomba della madre. I suoi occhi esprimevano una grande malinconia che solo lui conosceva bene.
Una malinconia che lo accompagnò fino alla morte  per non essere potuto tornare al suo Paese che tanto amava e che aveva dovuto lasciare. L’esilio che scontò fino all’ultimo giorno, finchè ricevette l’abbraccio del Signore e la quiete che il mondo gli aveva negato.

venerdì 24 giugno 2016

Brexit. L’ulteriore prova della superiorità della Monarchia

Il Brexit è buono o cattivo?

Brexit. Sì, se guardo i miei investimenti in borsa oggi mi verrebbe da andare a scuoiare l’ambasciatore britannico in Italia come fanno i Bolton nel Trono di Spade.
Non sono un aruspice, un oracolo nè tantomeno una sibilla. Per cui quali saranno gli esiti nel medio e lungo termine di questa Brexit non lo so. Chiedetelo al vostro vicino di casa: di sicuro oggi è un esperto di macroeconomia. Prima di tornare allenatore di calcio domani.

Democrazia monarchica o repubblicana?

Quello che so è che gli inglesi, che sono organizzati in una Monarchia, hanno scelto con un voto popolare. Cioè, nel regime in cui a detta di tanti deciderebbe un sovrano-tiranno, a scegliere se stare dentro o fuori dall’Unione Europea sono stati i sudditi.
In Italia invece c’è una repubblica democratica. Il popolo dovrebbe decidere. Invece già la repubblica è nata su un voto molto dubbio e intriso di brogli. In più nessuno ha mai chiesto al popolo se voleva entrare nell’Unione Europea e se voleva avere sopra la testa una schiera di persone che avrebbero comandato le loro vite.
[...]

martedì 21 giugno 2016

L’ultimo saluto dei Corazzieri al loro Re

 di Emilio Del Bel Belluz 

Quando si avanza con gli anni, si sente il bisogno di cercare le proprie radici. Si cercano quei  sentieri che sapranno resistere alla terribile scure del tempo che annienta tutto. Spesso con mio padre parlavo di sua madre, che era una Del Bianco. Era una donna semplice che non sorrideva mai. Un suo fratello aveva prestato servizio nei corazzieri del Re. Era una persona di alta statura che assomigliava a Carnera. Questo termine, un tempo, si usava molto per definire una persona alta e dotata di una imponente muscolatura. Anche mio padre assomigliava fisicamente allo zio corazziere. In paese nutriva una grande considerazione, infatti era un grande onore appartenere al corpo dei Corazzieri del Re. 
Una volta erano davvero poche le possibilità per far fortuna. Una famiglia contadina, come la sua, era sempre in difficoltà. La terra offriva pochi frutti. La famiglia di mia nonna abitava ad Azzano, e anche mio padre proveniva dallo stesso paese. 
 L’ ho immaginato spesso con la sua impeccabile divisa addosso, mentre prestava servizio alla famiglia reale, con il portamento dai caratteri nobili. Chissà quante volte avrà visto i  Re Vittorio Emanuele III ed Umberto II, e quante volte avrà sentito la loro voce. Se avessi avuto modo di conoscerlo sicuramente mi sarei fatto raccontare alcuni aneddoti su Casa Savoia. I ricordi sono le  pagine più belle che bisogna lasciare a quelli che verranno. So che ha avuto un figlio che è stato deportato in  Germania dopo l’otto settembre del 1943. Alla fine della guerra fu uno dei tanti che dovettero emigrare per andare a lavorare in Belgio. Aveva stipulato un contratto di lavoro in una miniera  di carbone dalla durata di otto anni. 
Dopo quei lunghi otto anni di lavoro, il figlio del corazziere tornò al paese, appena in tempo per assistere alla morte di suo padre. La storia del prozio corazziere mi ha fatto ritornare in mente la partenza per l’esilio di Re Umberto II, avvenuta il 13 giugno 1946. In questi giorni  ho ritrovato un articolo sul settimanale – Il Tempo  - del 1948, in cui si raccontava che il Re prima di partire aveva reso omaggio ai suoi fedeli corazzieri, salutandoli uno ad uno. L’articolo conteneva anche delle fotografie di questi uomini del Re, raffigurati nelle loro belle ed eleganti uniformi e con il volto serio. In altre foto venivano rappresentati a cavallo. Il corazziere che di solito superava il quintale, indossava la corazza, l’elmo e gli stivali. L’articolo scritto da Renata Alterocca era intitolato: “ I giganti che custodivano Einaudi piansero abbracciando Umberto”.  “ Sono state giornate di gran da fare, queste, per il capo armaiolo Capriolo della Caserma dei Corazzieri in via XX settembre : c’era da levare la ruggine da cento sciabole, cento corazze da tirare a lucido, senza contare il problema di avvitare  nei fori lasciati vuoti dai  fregi reali, i nuovi fregi repubblicani. I Corazzieri sono tornati il 12 maggio al Quirinale,  riassumendo con una sola, ma fondamentale variante le loro funzioni di guardia personale del Capo dello Stato. Ma ancora, quel giorno, nel corteo che accompagnava il primo presidente della repubblica Italiana nel suo viaggio da Montecitorio alla sua residenza ufficiale, a distinguere il plotone dei  Corazzieri da quello dei Carabinieri non c’era che l’altezza, un minimo di metri1,82.  Questi cento uomini sono così impegnati dall’addestramento e dalle ore di servizio che, nonostante le loro qualità fisiche, non si sono creati quella popolarità che per esempio hanno i bersaglieri ed i cavalleggeri; e vivono inosservati in una casermetta nascosta presso il  Ministero della Guerra. 
Dicevo che, tornando  al Quirinale, dopo averne varcata la soglia il presidente  Einaudi, sceso dall’automobile, si è trovato dinnanzi, a fargli gli onori di casa, un plotone di Corazzieri in uniforme di gran gala, Corazzieri veri, insomma, di quelli che conosciamo noi, sin da bambini, tutti luccicanti nelle loro corazze, con la lunga criniera che gli cade dall’elmo dorato giù per le spalle, le sciabole al fianco, le smisurate gambe inguainate di daino bianco sino a dove non giungono i neri stivaloni alla scudiera. Così sono ricomparse queste guardie speciali dopo un oscuro periodo trascorso in incognito sotto la denominazione di terzo squadrone del gruppo dei Carabinieri a cavallo, con mansioni di vigilanza a Palazzo Giustiniani dove risiedeva il presidente provvisorio della repubblica. C’era stato per i Corazzieri un periodo più oscuro ancora, quello iniziatosi l’otto settembre del 1943. I tedeschi li avevano per un giorno, arrestati in massa. Rilasciati poi in base ad un accordo internazionale che garantisce l’immunità delle guardie personali dei Capi di Stato, si trovarono improvvisamente disoccupati. Si sparpagliarono qua e là, molti si unirono, varcando la linea gotica ai gruppi dei partigiani; due dei loro ufficiali, il maggiore Pianzola e il capitano Medici Tornaquinci  compirono atti di eccezionale valore. Uno solo, il corazziere  D’ Azan, che oggi vive in Argentina riuscì a portare i suoi 108 chilogrammi distribuiti proporzionatamente su un metro e novantacinque di statura sani e salvi fino a Bari dove li mise al servizio del suo piccolissimo Re. Dopo la liberazione di Roma, lo squadrone di Corazzieri tornò a ricostruirsi, le divise che erano state nascoste nei sotterranei della caserma furono riportate alla luce. Ricominciarono, in un’ atmosfera tesa ed incerta, i turni di guardia al  Quirinale. Vennero giorni di ansia febbrile a palazzo. Il cinque  giugno i risultati, non ancora ufficiali del referendum, che del Regno d’Italia facevano una Repubblica, furono noti al Quirinale. Giù nel cortile i Corazzieri se ne stavano immobili come grandi statue di pietra: aspettavano la pubblicazione ufficiale della repubblica. Non si sarebbero mossi un minuto prima.   
Solo il 13  giugno, verso le due del pomeriggio, il generale Infante, Aiutante di Campo di Umberto chiamò al telefono l’ufficiale di guardia, quel giorno capitano Riccardo Massimo, impartendogli l’ordine  di radunare lo Squadrone al completo, con tutti gli ufficiali nel cortile del  Quirinale. In un quarto d’ora c’erano tutti, in tenuta normale, per salutare il Re che partiva. Alle 3  circa, Umberto II scendeva nella vetrata antistante il cortile; mentre s’avvicinava lo Squadrone gli aveva reso gli onori militari. Poi erano cominciate le strette di mano: colonnello Riario Sforza, maggiore Pianzola , capitano Medici Tornaquinci, capitano Massimo, capitano Dassinari. Aveva salutato tutti chiamandoli per nome, finché si era trovato davanti un maresciallo, e se l’era abbracciato. Il maresciallo, forse per giustificare i propri lucciconi, è pronto a giurare che Umberto aveva anche lui le lacrime agli occhi. Tornati in caserma i corazzieri avevano l’aria dei bambini che del collegio ne hanno avuto abbastanza. I loro ufficiali avevano chiesto ed ottenuto di essere messi in libertà e il comando dello Squadrone lo assunse il capitano Tassoni. Dei gregari alcuni avevano chiesto di essere congedati, altri si consigliavano con gli ufficiali circa le decisioni da prendere. Il Re li aveva sciolti dal giuramento di fedeltà e allora, perché non restare? E così i più restarono. 
Erano diventati Corazzieri senza Re e senza corazza, addetti alla vigilanza del presidente provvisorio di una repubblica allo stato di crisalide. Tutto fu rimesso a posto, dunque, quando qualcuno si ricordò che c’era ancora qualcosa da mettere da parte, e non provvisoriamente, ma per sempre. Cercarono lo stendardo: lo stendardo dei Corazzieri del Re, color  blu Savoia con l’aquila ricamata in oro. Frugarono  dappertutto, interrogarono sottufficiali e soldati, ma lo stendardo non venne fuori. Ancora oggi  nessuno sa dove sia nascosto. Ci fu, nello stesso periodo, un colonnello di Cavalleria che, prima di dare le proprie dimissioni dall’Esercito, rifiutò di consegnare il suo stendardo ai superiori che glielo avevano richiesto e lo consegnò, invece, al Re. Chissà che anche lo stendardo azzurro dello Squadrone dei Corazzieri non sia oggi nelle mani di Umberto, chissà che non riposi invece, in una vetrinetta  di qualche salotto, assieme ai cimeli di un epoca passata. 
E i  Corazzieri della repubblica si sono dovuti fare un nuovo stendardo”.

sabato 18 giugno 2016

giovedì 16 giugno 2016

Dal Candido 1946

Qualche settimana fa abbiamo completato un'impresa difficile. Tutta la collezione di Candido di Giovannino Guareschi dal 1945 al 1961. E abbiamo atteso di completarla la collezione prima di concederci il piacere di sfogliarne i numeri.
Questa è un disegno sulla prima pagina del numero del 1 Giugno del 1946 che illustra perfettamente, in anticipo, quelli che poi sarebbero stati i dubbi dei monarchici pochi giorni dopo.



mercoledì 15 giugno 2016

QUATTRO BUONE RAGIONI A FAVORE DELLA MONARCHIA

Ci dissociamo, ovviamente, dalla  posizione antisabauda  e antirisorgimentale dell'autore.
E' diventata una moda sterile che ostacola qualsiasi buon pensiero. Casa Savoia, Risorgimento e Unità d'Italia sono capisaldi della Storia contro cui le critiche a posteriori non hanno senso alcuno
Tuttavia l'essere monarchici non è patrimonio esclusivo di chi fa riferimento a Casa Savoia. E noi non abbiamo paura di confrontarci con chi la pensa diversamente. 
Perché abbiamo ragione noi.



Nel 70° anniversario della Repubblica Italiana c'è da notare che se Dio esiste (ed esiste!) la realtà non è né ''repubblicana'' né ''democratica'', ma inevitabilmente ''monarchica''

di Corrado Gnerre 
da http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4255

In occasione del 70° anniversario della Repubblica Italiana offro qualche riflessione in merito non alla Repubblica ma alla Monarchia, più specificamente alla Monarchia Cristiana. Prima però mi preme fare due premesse.
La prima è più specifica. Confesso (ma penso sia cosa abbastanza prevedibile) di non nutrire alcuna simpatia per Casa Savoia per una serie di motivazioni, prima fra tutte il fatto che essa ha svolto un ruolo decisivo in quel processo, cosiddetto "Risorgimento", che altro non è stato che una sorta di "piemontizzazione" dell'Italia.
La seconda premessa è più generale. La Dottrina Cattolica tradizionale (quindi non contaminata da derive modernistiche) accetta diverse forme di governo, sempre che non cadano in derive totalitarie. Ricordo che anche la democrazia, non intesa in senso classico, bensì come puro "democraticismo" (pretesa di poter tutto decidere con il criterio del numero anche cosa è oggettivamente bene e cosa è oggettivamente male) cade inevitabilmente nel totalitarismo, come è ben affermato da Giovanni Paolo II nell'enciclica Centesimus Annus al punto 46: "Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia."
Fatte queste due premesse, vengo al dunque. Le buone ragioni della Monarchia sono quattro. La prima è "sociale", la seconda "antropologica", la terza "religiosa" e la quarta "filosofica". Ho utilizzato le virgolette perché il significato di queste aggettivazioni è in senso ampio.

1) RAGIONE SOCIALE
Una delle più precise definizioni di Monarchia è "governo di una famiglia su tante famiglie". Infatti, la Monarchia altro non è che la "centralità politica" della Famiglia. Qui ovviamente il riferimento è alla concezione tradizionale e vera della società. Secondo questa concezione la società non può che avere una dimensione comunitaria. Essa non è un insieme di individui ma di famiglie: è una "famiglia di famiglie". La concezione individualistica della società è invece un prodotto tipicamente "moderno". Ed è proprio la forma repubblicana ad esprimere chiaramente l'impostazione individualistica, cioè il governo di uno su tanti, di un individuo su tanti individui.
Relativamente a questo discorso va detto che la concezione vera della Monarchia -o meglio: la concezione della Monarchia vera- si espresse non a caso nel medioevo cristiano, che fu un periodo tutto all'insegna della dimensione comunitaria e "familiare". Le stesse corporazioni erano strutturate sul modello familiare.
In merito alla famiglia bisogna fare un'altra considerazione. A differenza di altre forme di governo, nella Monarchia Cristiana il Re è tenuto, anche se indirettamente, a render conto di come gestisce la propria famiglia che è parte integrante della sua rappresentatività politica; il tutto nella convinzione che non si può pretendere di governare uno Stato se non si è capaci di saper governare la propria famiglia.

2) RAGIONE ANTROPOLOGICA
Passiamo adesso ad un'altra buona ragione della Monarchia, che possiamo definire "antropologica". Dico subito che qui il discorso si fa molto più "delicato", non solo nel senso che va ben capito, ma anche perché sembrerebbe offrire argomenti un po' troppo "sottili". Ma si tratta ugualmente di una questione importante.
Governare è qualcosa di impegnativo: è un'arte che è difficile improvvisare. Ebbene, nella Monarchia vige il riconoscimento del principio secondo cui sin da piccoli bisogna prepararsi a governare. Può sembrare una sciocchezza, ma non lo è. Lasciamo stare la misteriosa incompetenza di molti politici dei nostri giorni, "misteriosa" perché assume proporzioni tali da sembrare voluta. Spesso mi viene la tentazione di pensare che coloro che ci comandano formalmente siano volutamente scelti per la loro pochezza da coloro che ci comandano sostanzialmente (che stanno dietro le quinte) affinché possano essere più facilmente gestibili. Ma, lasciando stare questo discorso che porterebbe molto lontano, resta il fatto che l'arte del governo è anche l'esito di un apprendimento, di una scuola, di un'educazione. San Luigi IX (che a detta del famoso medievista di formazione laica, Jacques le Goff, è stato il più il più grande Re di Francia) così scrive al figlio che dovrà ereditare il Regno: "Caro Figlio, la prima cosa che ti raccomando è che tu metta tutto il tuo cuore nell'amare Dio. Se Dio ti manda delle avversità, sopportale pazientemente. Confessati spesso e scegli confessori prudenti. Mantieni i buoni costumi del regno e combatti quelli cattivi. Prendi cura di avere in tua compagnia tutti uomini prudenti, sia religiosi, sia secolari. Non sopportare che si dica davanti a te nessun oltraggio verso Dio, né ai Santi. Rendi sovente grazie a Dio di tutti i doni che Egli ti ha fatto, affinché tu sia degno di averne ancora. Le tue genti vivano in pace e in rettitudine sotto te, anche i religiosi e tutte le persone della Santa Chiesa. Dona i benefici di Santa Chiesa. Pacificati piuttosto che porre guerre, sia coi tuoi, sia coi tuoi sudditi, come faceva San Martino. Sii diligente di avere buoni preposti e buoni podestà e buoni inquisitori. Sforzati di impedire il peccato e cattivi giuramenti; fa distruggere le eresie contro il tuo potere. Fa in modo che le spese del tuo palazzo siano ragionevoli. Infine, caro figlio, io ti do tutte le benedizioni che un buon padre pietoso può dare a suo figlio, e che sia benedetta la Santissima Trinità e tutti i Santi ti guardino e ti difendano da ogni male; e che Dio ti dia la Grazia di fare sempre la sua volontà, in modo che Egli sia sempre onorato da te".

3) RAGIONE RELIGIOSA

Se Dio esiste (ed esiste!) la realtà è gerarchica; e per logica tutto deve essere riconducibile alla sovranità di Colui che è il Re di tutto: il Re dei Re. Se Dio esiste (ed esiste!) la realtà non è né "repubblicana" né "democratica", ma inevitabilmente "monarchica".
Qui c'è da aggiungere una cosa interessante. Prima abbiamo detto che simbolicamente la Monarchia rappresenta la centralità politica e sociale della Famiglia; ebbene il Cristianesimo parla di un Dio che è Unico ma anche Comunione, in quanto Trinitario. Dunque, è proprio nel Cristianesimo, più di ogni altra religione, che la Monarchia, come centralità politica della Famiglia, trova il suo fondamento teologico. Possiamo in un certo qual modo dire che il Cristianesimo è strutturalmente monarchico e che la Monarchia è strutturalmente cristiana.

4) RAGIONE FILOSOFICA

La Monarchia esprime anche un'altra conformazione, ed è quella alla realtà. Ecco la ragione "filosofica" che è legata al "realismo filosofico", unico criterio per una corretta speculazione razionale.
La dimensione gerarchica è nell'ordine naturale delle cose; tant'è che anche negli ambienti che ne teorizzano l'illegittimità e l'innaturalità, questa, cacciata dalla porta, rientra in un certo qual modo dalla finestra. Provare per credere: finanche negli ambienti anarchici il leader finisce sempre con l'emergere.
E' nella natura delle cose riconoscere che chi comanda può comandare per sempre, che sui talenti che il Signore dona non c'è data di scadenza. Se la politica diventa un bene di consumo, allora sì che esiste il rischio che vada a male; ma se la politica è promozione e difesa del bene comune (tradizionalmente e metafisicamente inteso) allora non c'è rischio né che vada a male né che possa passare di moda.
Titolo originale: Le buone ragioni della monarchia
Fonte: Civiltà Cristiana, 01/06/2016

lunedì 13 giugno 2016

Il Re buono Umberto II

di Emilio Del Bel Belluz  

Maggio è il mese dedicato alla Madonna. Ogni giorno,  nei momenti di solitudine, cerco di recitare il rosario. Il mese di maggio, per me, è anche il mese dell’ultimo Re d’Italia: Umberto II, che regnò solo il mese di maggio del 1946. In questi giorni, i media hanno iniziato la rievocazione  dei settant’anni dalla nascita della repubblica. Nenni durante la campagna elettorale ripeteva lo slogan minaccioso: “ O la repubblica o il caos “ , a differenza dei monarchici che si esprimevano in termini molto moderati. Nessuno ricorda però che la monarchia perse,  ma quasi undici milioni di italiani erano favorevoli al Re. 
E se teniamo conto dei brogli elettorali la vittoria dei repubblicani appare ancora più incerta. Il re Umberto II subì un grave torto. Lasciò la sua patria e prima che il portellone dell’aereo si chiudesse trovò il coraggio di sorridere, anche se quel sorriso nascondeva tantissima malinconia e la voglia di morire. 
Quando penso all’esilio di Umberto II, mi viene in mente la seguente citazione filosofica greca: “ Colui, il quale soffre l’ingiustizia è meno infelice di colui il quale commette l’ingiustizia”. Lasciata l’Italia si stabilì a Cascais e vi rimase per trentasette anni. Quando partì, non credo che in cuor suo  immaginasse di finire i suoi giorni in terra straniera, ma vi era in lui la speranza  di rientrare dopo qualche anno, quando la situazione politica si fosse stabilizzata. Gli sono state attribuite delle colpe, ma non gli è stato riconosciuto quel grande atto di bontà che fece per evitare che il Paese diventasse un campo di battaglia.
 Ci furono delle sommosse a Napoli con dodici morti innocenti e pertanto il Re comprese che per evitare ulteriori spargimenti di sangue bisognava allontanarsi dall’Italia. Un vecchio professore dell’Università di Trieste, Fulvio  Crosara, diceva che molti avevano abbandonato il Re al suo destino invece di stargli accanto con fedeltà. Ci fu anche chi disse che non poteva amare più questa Italia perché era rimasta senza il suo Re. Lo scrittore Cesare Cantù diceva : “ Il miglior modo di fare il bene è la ferma risoluzione di combattere il male”.  Re Umberto II era stato fatto Re per combattere il male e per mettere assieme un Paese diviso. 
Alla fine della guerra, dopo il 25 aprile, ci furono migliaia di morti frutto delle vendette partigiane contro i fascisti. Il Re era nato con il cuore buono, con il sorriso, ma a  questo Re così generoso, la repubblica ha impedito che i suoi genitori riposassero al Pantheon, dove erano sepolti gli altri Re  d’Italia. Anche questo suo desiderio non è stato esaudito, anche lui è sepolto in terra straniera  e precisamente è sepolto a Hautecombe, in  Francia, in una bella abbazia  benedettina. Gli ultimi sovrani d’Italia sono stati esiliati sia da vivi che da morti. Infelice destino per questa casa regnante che aveva fatto l’unità d’Italia. La vita di questo sovrano è sempre stata guidata dalla fede in Dio. 
 In questi giorni mi sono letto per la quarta volta il libro : “ Il Re in un angolo ” scritto da Giovanni Mosca , un testo che contiene molte verità storiche, scritte da un giornalista che ha avuto il piacere di recarsi a Cascais a visitare il Re. Con il sovrano ha passato dei giorni che gli hanno permesso di scrivere una serie di articoli per i lettori della Gazzetta del Popolo di Torino e che poi successivamente li ha riuniti in questo libro. La visita al Re nasce nell’autunno del 1949, a pochi anni dal suo esilio. L’inizio del libro racconta la figura del sovrano nei momenti in cui esce da Villa Italia per recarsi a messa in una piccola chiesa, verosimilmente eretta dai pescatori. 
Allora Cascais era formato da un grappolo di case abitate da pescatori  che si mantenevano  con il duro lavoro in mare. Un piccolo paese con le barche arenate lungo la spiaggia, con le reti messe ad asciugare e i pescatori intenti a ripararle. Quasi a far ricordare gli scritti di Giovanni Verga sulla vita dei pescatori. 
 Questa gente non avrebbe mai pensato di poter vivere nello stesso posto in cui viveva Re Umberto II. 
 Il Re di maggio si soffermava spesso a parlare con loro, osservava il loro lavoro,  trattava quei poveri pescatori come se fossero dei fratelli e li amava veramente di cuore.  Il Re scrutava spesso l’orizzonte e se da lontano scorgeva una nave si augurava che fosse una nave italiana e che avesse l’intenzione poi di approdare proprio a Cascais. Il Re di maggio con il cuore colmo di malinconia cercava di andare avanti. Quando si ha la certezza di non aver fatto del male, di non aver colpe, ma il fatto di essere trattati come se ne avessimo, il dolore è ancora più grande e costante come una spina conficcata nel cuore.  
Penso al dolore di re Umberto e mi viene in mente una frase di Pierre l’Ermite  che dice: “Il dolore è simile ad una mandorla amara che si getta sul margine di una via; cade, la si dimentica : essa germoglia: vent’anni dopo, ripassando per il medesimo luogo, si trova un mandorlo in fiore”.  Il dolore di Umberto di Savoia mi fa pensare a quella mandorla amara che a distanza di molto tempo germoglia per diventare un mandorlo in fiore. Nelle ore cupe dei primi mesi dell’esilio il sovrano avrà sicuramente trovato conforto nella fede in Dio e nel frequentare la piccola chiesa che sorgeva poco distante dalla sua casa, una chiesa semplice e spoglia come le case dei pescatori che lui amava. 
Lui che era abituato a frequentare delle chiese stupende e sfarzose, ora nell’asprezza della solitudine, trova conforto anche in questa piccola chiesa che contiene  l’essenziale: il crocifisso. La chiesa è  così descritta da Giovanni Mosca: “ La sacrestia della chiesa parrocchiale di Cascais è una piccola stanza nuda con un grande orologio tarlato fermo ad un’ ora di chi sa quale anno lontano, un vescovo di gesso colorato sotto una campana di vetro, e quel magro odore di incenso delle chiesette povere, che ne bruciano soltanto un granellino la domenica e scaltramente vi aggiungono un pizzico di polvere di magnesio per fare molto fumo. Un tempo la porticina che dà nel presbiterio aveva un vetro, ora non ha che un foglio di carta gialla reso trasparente con un po’ d’olio di lampada per far passare almeno una parte della poca luce delle piovose domeniche invernali. 
Ci  troviamo sulla cosa atlantica, a una trentina di chilometri da Lisbona. Costeggiando prima il Tago che nell’ultimo suo tratto sembra già un mare, e poi l’aperto oceano, un trenino elettrico, coi bigliettai e i controllori risplendenti di galloni d’oro come generali, porta in poco più di mezz’ora dalla capitale portoghese al povero villaggio di pescatori che da colui che per troppo breve tempo fu il Re d’Italia perché molti non lo chiamino ancora il principe Umberto è stato scelto per trascorrervi il tempo dell’esilio”. Anche Gesù scelse come suoi primi discepoli dei poveri pescatori che abbandonarono tutto e tutti per seguirlo. Giovanni  Mosca continua così la sua descrizione : “ una povera chiesa di pescatori, tra gridi di gabbiani e leggeri voli di spume. Dentro è piena d’errori d’ortografia. Dipinto sulla parte c’è l’Arcangelo Gabriele che entra e dice: “ Ave Maria, “ Gacia” Plena ”, e la Madonna, inginocchiata, gli risponde: “ Ecce “ Ancila ” domini”. Errori gravi, ma del XVII secolo ”.  
Tutte le domeniche, arrivava in questa chiesa per assistere la Santa Messa delle undici  l’ultimo Re d’Italia, Umberto II. Era accompagnato dalle sue figliolette e il piccolo principe. La gente del luogo lo conosceva bene gli stava vicino chiamandolo Re, come se fosse il loro Re, anche se il Portogallo  era una repubblica. Il rispetto degli umili abitanti era talmente grande che si inchinavano davanti a lui e si toglievano il cappello. I contadini e i pescatori di Cintra lo chiamavano tutti Rey d’Italia.  
Il giornalista raccontava che molta gente veniva anche da lontano per vedere il Re di cui avevano sentito tanto parlare per i suoi modi eleganti e cortesi. Forse quella gente leggeva nel suo volto una profonda malinconia che non poteva nascondere sempre. Anche quando sorrideva lasciava trasparire la profonda tristezza che albergava nel suo cuore. Qui tutti seguono con affettuosa curiosità la vita di questa famiglia che fino a ieri regnava sull’Italia… e oggi altro della patria lontana non le è rimasto se non, chiuso nel cuore, il ricordo ed un nome da dare a una casa sugli scogli dell’atlantico: villa Italia; di questa famiglia per la quale celebravano la messa vescovi e cardinali, ed oggi, nella chiesetta d’un villaggio di pescatori, non ha che un povero, piccolo prete che, quanto a latino, ne sa ancor meno della poco istruita Madonna dipinta sulla parete”.  Per la messa delle undici è di solito gremita. Il Re si siede sempre allo stesso posto. “ Vuol vederlo? E’ nel presbiterio, a destra dell’altare, tra il fianco dell’arco e la parete. E’ il suo posto preferito. Fa tanto piacere a lui trovarlo libero quanto a noi lasciarlo. Ma non le conviene passare tra la calca; faccia il giro della chiesa ed entri di fianco, dalla porticina della sacrestia; dalla sacrestia si affacci al presbiterio e senza nemmeno entrare lo vedrà subito. Lo conosce, non è vero? Anch’io lo conosco” , sorride il pescatore. “ La mia casa è sulla strada di Cintra, e “ O Rey d’Italia” viene spesso a trovarmi. Debbo a lui la mia barca e le mie reti nuove”. Questa parte del libro mi è molto cara.  Parla dell’amore che i vecchi pescatori donano a questo Re lontano dalla sua terra. “ Umberto di Savoia assiste attentamente  e devotamente alla messa, segnandosi e inginocchiandosi ogni volta che il rito lo prescrive. Legge le preghiere in un vecchio libretto nero dal taglio d’oro, regalatogli da sua madre quando era ragazzo. 
Nell’ombra che ne accentua il pallore del volto ed ancor più lo affila, è impressionate la somiglianza con Carlo Alberto, del quale ho veduto ieri a Oporto l’ultima dimora ed il giardino di fronte al mare, dove solo una volta, uscito per breve tempo dal mortale abbandono d’ogni forza in cui giacque per tutto il tempo del breve esilio, solo una volta riuscì a trascinarsi. C’è un quadro che lo raffigura, all’ombra del tiglio che tuttavia fiorisce nel giardino, in atto di preghiera. La preghiera di chi altro non aveva da chiedere a Dio se non la morte. Diversa è la preghiera di Umberto.Vedo in lui, pur nella medesima solitudine, pur di fronte al medesimo mare, chi ancor forte, ancor giovane, ancora senza errori, non crede ancora finita la propria missione su questa terra.”.


13 Giugno


Dalla nostra personale collezione di Candido, il disegno, bellissimo, con cui Guareschi porse il saluto suo e di tanti altri connazionali al Re che partiva per l'esilio.
A distanza di 70 anni non siamo ancora indifferenti a questa brutta ricorrenza.

domenica 12 giugno 2016

ITALIA REALE ELEZIONI AMMINISTRATIVE 2016

Italia Reale raggiunge il 6,16% a Zenevredo,
3,07% a Montevecchia.
3 Consiglieri Comunali eletti col nostro simbolo
Le recenti elezioni amministrative sono state caratterizzate, da un sempre maggiore allontanamento della popolazione dalla politica. Questa "Democrazia senza popolo" non ha più nulla da dire agli italiani. Non saranno certo le riforme di Renzi a recuperare la fiducia perduta. Quanto proposto, infatti, segnerebbe, in caso di vittoria dei sì, una ulteriore deriva autoritaria, con meno deputati sempre più controllabili e ben remunerati di soldi e di privilegi. Il Senato sarà consegnato ai "maneggioni" delle regioni.
Noi Monarchici ribadiamo il concetto: erano le Regioni a dover essere abolite, per ridare competenza alle province, da accorparsi  in gruppi,  di non più di tre.
E' il Ministero dell'Interno che parla: a Roma ha votato il 56,15% degli elettori e a Torino il 57,17%.  Nel complesso gli elettori votanti non hanno superato il 64%. La metà degli italiani non crede più a questo sistema che si é consolidato, nell'ambito di una repubblica che ha festeggiato i suoi 70 anni.
La Monarchia é l'unica valida alternativa e può essere rappresentata soltanto come progetto politico, a coronamento di un vasto programma di rinnovamento sociale ed economico, nonché di ripensamento dello Stato.
Italia Reale ha presentato proprie liste, grazie a Silvio Caleffi,  in provincia di Pavia e di Lecco. A Zenevredo ha raggiunto il 6,16% dei voti, aMontevecchia il 3,07%. 
Per la prima volta, dal 1980, sono stati eletti, con il simbolo di Stella e Corona, tre consiglieri comunali.  Monarchici a viso aperto, come avrebbe detto Sua Maestà il Re Umberto II.
A Torino Italia Reale ha appoggiato la candidatura a Sindaco di Roberto Rosso e la sua coalizione, eminentemente civica-di centro destra. Purtroppo la nostra lista, come quella del Partito Liberale, per una abnorme interpretazione data dalla Prefettura, é stata esclusa. Ovviamente stiamo preparando le opportune azioni per rivendicare il diritto di ogni cittadino italiano a farsi autenticare l'accettazione della candidatura nel proprio Comune di residenza, per potersi, poi, candidare dove vuole e con chi vuole.
Roberto Rosso ha, comunque, riportato su tutti i suoi manifestini elettorali il nostro simbolo, tra i gruppi politici che lo hanno appoggiato a Torino.
I nostri rappresentanti sono sempre convocati alle riunioni elettorali della coalizione ed una bella riunione-conferenza stampa é stata organizzata proprio il 2 giugno, presente il candidato Sindaco Roberto Rosso, che ha ricordato la lungimiranza dei politici "d'altri tempi", ed i meriti della Monarchia Sabauda.  La coalizione ha raggiunto il 5,05% e dovrebbe essere rappresentata in Consiglio Comunale.
A Caserta i Monarchici di Italia Reale  si sono mossi, nei limiti delle possibilità, appoggiando, con una lista del tutto civica, il candidato Sindaco On.le Riccardo Ventre (mai toccato da inchieste giudiziarie),  che andrà al ballottaggio. Elio Santabarbara ha sempre partecipato a tutte le riunioni elettorali, a nome di Italia Reale, considerata componente della coalizione, così come evidenziato nei manifesti che riportavano, addirittura l'immagine del candidato Sindaco sotto il simbolo di Stella e Corona e quello della Lista Civica "Primavera Casertana".
A Roma sono state le incertezze, la volubilità ed i capricci della Meloni che hanno frammentato l'area del centro-destra. I nostri amici, Paolo Dragonetti e Leonardo Casu, hanno impegnato le loro persone nell'ambito dei Municipii 1 e 11 ma sono stati danneggiati dal clima che si é venuto a creare e dalla scarsa affermazione del Movimento "Noi con Salvini" che, a Roma, non ha superato il 3%. Nella loro azione  hanno, però, impegnato tutta quella forza morale di disinteressato servizio per la cosa pubblica e di onestà di comportamento che caratterizza, in ogni situazione, i Monarchici di Italia Reale.
Un grazie, dunque, a tutti coloro che hanno reso  vivo e presente, sul territorio, il nostro Movimento Politico.  Circa 60 persone perbene ci hanno dato la loro disponibilità per le candidature, a Torino  460 cittadini hanno sottoscritto, validamente la nostra Lista.
Purtroppo, oltre al problema delle "accettazioni" vi é stato quello di errori di sottoscrizione che ci hanno fatto mancare 40 firme. Numero che si sarebbe potuto raggiungere facilmente, in una qualunque delle numerose cene e feste, organizzate da quei Monarchici "col pennacchio" che non ci hanno neppure avvicinati.
Hanno scritto di noi:  Il Fatto Quotidiano, Linkiesta Online, La Stampa, il Periodico di Pavia,  La Provincia Pavese, Il Giorno di Lecco, Merate Online, Il Giornale di Sicilia, Cronaca di Caserta, Il Mattino.
Le elezioni sono state anche l'occasione per raccogliere nuove adesioni e costituire nuove delegazioni provinciali.  A Verbania é stato nominato delegato Giovanni Roveda, a Lecco Daniele Maggioni. Le nuove adesioni provengono, ovviamente, dalle città e regioni dove eravamo presenti: Lecco,  Torino, Campania, Lombardia.
Massimo Mallucci

Presidente Nazionale di Italia Reale

sabato 11 giugno 2016

Novara: 70° anniversario della partenza del Re per l'esilio




Il libro azzurro sul referendum - Cap 2 - II

L'epurazione dei Senatori dei Regno e la pratica soppressione

L'art 3 del D.L.Lt. in data 25 giugno 1944, n 151 stabiliva il giuramento « sul loro onore » dei Ministri e dei Sottosegretari di Stato di non compiere, fino alla convocazione dell'assemblea Costituente atti che comunque pregiudicassero la soluzione della « questione istituzionale».
E' evidente che l'impegno legislativamente assunto di non compiere fino alla Costituente atti che comunque avrebbero potuto pregiudicare la questione importava anche l'impegno non solo di non sopprimere il Senato, ma anche di non alterarne la struttura. la composizione il funzionamento e le
guarentigie costituzionali dei singoli membri, trattandosi di uno degli organi fondamentali dell'istituto monarchico.

Sono significative in argomento le dichiarazioni dell'alto Commissario del tempo sui criteri cui si era informato per sottrarre al deferimento per la decadenza 109 senatori su 420. Rispondendo all'on. Boeri già segretario generale dell'Alto Commissario sul giornale «Avanti!» del 14 luglio 1945 n. 194, egli scriveva;  «Come governo noi ci eravamo impegnati alla tregua istituzionale ed essa concerneva anche il Senato; se io avessi proposto la sua riduzione ai meno di venti puri che votarono meco contro Mussolini dopo l'assassinio Matteotti noi avremmo dato all'estero l'impressione che si prometteva la tregua istituzionale da un lato e la si violava dall'altro ».

Lo stesso Alto Commissario aveva fatto analogo riconoscimento nel suo opuscolo «Le sanzioni contro il fascismo» ( Ed Roma 1944 pag. 25): «Se avessi denunciato tutti i Senatori all'alta Corte avrei mancato ad un mio dovere: rispettare nel modo più assoluto la tregua istituzionale alle tregua avrei anzi violato in modo odioso colpendo il Senato alle spalle».

In un'acuta disamina delle norme contenute negli art. 2 cap. 8 u.c.  del D.L. Lt. 27 luglio 1944 n. 159 e negli art. 8 e 9 del D.L.Lt. 13 settembre n. 198 il prof. Filippo Vassalli afferma che esse non hanno forza di legge, perchè anticostituzionali (7).

«”Le norme anzidette infatti avrebbero avuto praticamente l'effetto di abrogare:

1) l'art. 33 dello Statuto Albertino che stabilisce la durata vitalizia dello carica di Senatore;

2) l'art. 31 dello Statuto che stabilisce non essere i senatori sindacabili per le opinioni da essi manifestate e per i voti dati nella loro Camera Legislativa;

3) gli art. 36 e 37 dello stesso Statuto, che riservano all'alta Corte di Giustizia il giudizio sugli illeciti e sui reati addebitati ai Senatori.
Con ciò sarebbero state violate le norme donde traeva configurazione e disciplina uno degli organi più tipicamente costituzionali dello Stato, e cioè il Senato; e ciò in violazione degli art. 1, 3 e 4 del D.L.Lt. 25 giugno 1944, n. 151, i quali disciplinano, i poteri del Governo nel periodo di tempo che va fino al momento dell'insediamento dell'assemblea Costituente; e che vietavano al governo di pregiudicare, durante detto periodo di tempo, in qualsiasi modo la questione istituzionale che avrebbe dovuto essere, risoluta solo dal referendum popolare; e di legiferare, in materia costituzionale, riservata esclusivamente, all'Assemblea Costituente”».

A parte l'esame di legittimità del predetto D.L.Lt. n. 151 se esaminato in relazione al preambolo (art. 18 della Legge 19 gennaio 1939 n. 129)  che stabilisce, sotto pena di decadenza, la presentazione ad una delle due Assemblee legislative per la conversione in legge non oltre il termine di 60 giorni dopo la sua pubblicazione, è pertanto evidente che, fatta salva l'urgenza e la necessità di provvedere, in esecuzione agli impegni presi inerenti allo stato di guerra ed alle sue conseguenze, a stabilire che il popolo italiano avrebbe liberamente scelto le forme istituzionali, il predetto Decreto rimetteva all'assemblea Costituente le deliberazioni circa la nuova Costituzione dello Stato; in essa evidentemente si comprendeva il mantenimento o meno del Senato, non soltanto formale. Il prof. Emilio Crosa rilevò in un suo circostanziato parere dell'agosto 1945: « Non può per l'aspetto giuridico ammettersi che il D.L. abbia voluto significare abrogazione totale dell'ordinamento in atto, come avverrebbe quando si ritenesse, che il D.L. avesse abolito il parlamento previsto dallo Statuto (8), e quindi conferito tutti i poteri, che oggi spettano al Governo del Re e in Parlamento, all’assemblea Costituente. Ogni norma eccezionale non può venire, interpretata che restrittivamente, e un D.L., norma eccezionale per eccellenza, non può avere efficacia se non nei limiti precisi in cui sta la necessità urgente che l'ha determinato.

Ora questa necessità era contenuta nelle dichiarazioni di consenso alla formazione dell'Assemblea Costituente, non già nell'ordinamento costituzionale vigente.

Dal punto di vista politico di osservare che tale abrogazione costituisce un atto di tale portata politica e storica che non può essere rimesso a una delegazione di partiti, di cui per la circostanza in cui è venuta a trovarsi l'Italia nessuno conosce quale sia l'efficienza rappresentativa, ma deve essere secondo i più elementari ed evidenti postulati democratici, deciso dal popolo... Il prof. Giuseppe Sabatini afferma (9) «che la dichiarazione di decadenza... altro non è che espressione di un potere, discrezionale, che l'ordinamento costituzionale in vigore all'8 settembre vietava, ma che, se dovesse ammettersi, non potrebbe riconoscersi spettare ad altri  che alla Corona». 

*

Nella sentenza 9 giugno - 9 luglio 1947 sui ricorsi dei senatori Sarrocchi ed altri, la Corte suprema di Cassazione, Sezioni unite civili, non ritenne fondato l'assunto sopra esposto del prof Filippo Vassalli, basandosi sui seguenti fatti.
Nello stato d'emergenza determinato nel nostro paese dall'8 settembre 1943 all'insediamento dell'Assemblea Costituente (giugno 1946), il Governo, per evidente ed inevitabile stato di necessità, fu assunto dai rappresentanti dei partiti che avevano validamente contribuito alla liberazione ed unificazione del territorio nazionale. Tale Governo - legittimo - emanò D.L.Lt. 25 giugno 1944 n151 (integrato successivamente dal D.L.Lt 18 settembre 1944 n 129) il quale si basò per esplicita dichiarazione dello stesso Governo, sui seguenti principi fondamentali:

1) la forma istituzionale dello stato sarebbe stata liberamente scelta dal popolo italiano, che a tale fine avrebbe eletto un'Assemblea Costituente, per deliberare la nuova Costituzione dello Stato, la legge elettorale, la ratifica del trattato di pace;

2) la tregua istituzionale tra i vari partiti ed i rappresentanti dei vari partiti a1 governo ( Gentlemen's agreement ) fino alla convocazione dell'Assemblea Costituente (giugno 1946).

3) l'attribuzione al governo, composto dei rappresentanti dei vari partiti della liberazione, dell'esercizio del potere legislativo ordinario, fino a quando non fosse entrato in funzione il nuovo Parlamento, con esclusione della facoltà di emanare ogni legge di carattere istituzionale o costituzionale. Orbene il D.L.Lt. 27 luglio 1944 n. 151) ( epurazione) fu emanato in diretta dipendenza del D.L.Lt. 25 giugno 1944 n 151.
La Suprema Corte affermò non esservi alcun dubbio sulla legittimità dei D.L.Lt. 25 giugno 1944 n. 151 giacché nel nostro ordinamento non si è mai dubitato delle facoltà del potere esecutivo - in una situazione d'emergenza od in uno stato di necessità - di emanare decreti-legge aventi precisa forza di legge fino al momento di convalida da parte del potere legislativo; ritenne non esservi alcun dubbio che i DD.LL.Lt  27 luglio 1944 n. 159 e 13 Settembre 1944 n. 198 si fossero mantenuti nei limiti stabiliti dal D.L.Lt. 2 luglio 1944 n. 151.

I limiti posti al Governo col D.L.Lt. n 151 riguardavano principalmente la questione istituzionale (Monarchia o Repubblica; se Monarchia quale, se Repubblica, di quale tipo), riguardavano indubbiamente, pure il Senato come istituto, ma non anche l'allontanamento dalla vita pubblica degli uomini politici, compresi i Senatori che indipendentemente da responsabilità penale per determinati reati, dovevano essere rimossi dalla carica come responsabili del disastro fascista e della guerra fascista. L'epurazione dei Senatori fu configurata come una funzione giurisdizionale affidata ad un altro organo giurisdizionale ( l'Alta Corte ) sostituito per evidenti ragioni di opportunità all'Alta corte del
Senato, e con un procedimento giurisdizionale, regolato dalle norme del codice di procedura penale, in quanto applicabili.

*

E' interessante riportare i pareri di altri autori sulla epurazione del Senato che si è risolta in una pratica soppressione. Il Lavagna nega che l'art. 4 del D.L.Lt. n 151 importi delegazione di      legislativa al Governo e nega ogni carattere di legge costituzionale al decreto stesso: «nel nuovo ordinamento figurò attuata una forma di Governo essenzialmente dittatoriale in cui più non esisteva alcuna divisione di poteri in ordine alla funzione legislativa. Con tali atti il Governo poteva esercitare, come in effetti ha esercitato, non solo la funzione legislativa ordinaria bensì la stessa funzione costituente... » (10).

La sentenza 9 luglio 1947 delle sezioni unite, al contrario assume senza ambagi che il D.L. 25 giugno    1944 n. 151, «effettivamente ha fatto una netta distinzione tra leggi ordinarie che il Governo poteva emanare - e leggi di carattere costituzionale che il Governo non poteva emanare» (11)
«  »
Il Consigliere di Stato e professore Michele La Torre ha affermato: «   Per gli atti costituzionali spesso non esiste alcun limite o almeno condizione… Quando si è creata ad esempio un'alta Corte per dichiarare decaduti i Senatori che si trovano in una data situazione, è vano, sostenere che la costituzione o la legislazione si oppongono, che la carica di Senatore è vitalizia, che vi sono prerogative riconosciute dalla legge o dalla costituzione e così via. In altre parole non si può porre la questione su un piano «normale », e di normale legittimità quando si tratta, invece di attività o di atto costituzionale extralegale addirittura rivoluzionario. La modifica essenziale, il capovolgimento dell'ordinamento vivono fuori del diritto e si legalizzano da sé…»  (12).

Le suddette considerazioni sono però in contrasto colle affermazioni di diritto della Corte di Cassazione, degli organi governativi e il fondamento giuridico degli Stati.

1) La Suprema  Corte di Cassazione stessa ha affermato nell'esame della sua competenza quanto segue: « Funzione delicatissima - e perciò rivestita delle garanzie giudiziarie - che doveva essere limitata per i casi di grave indegnità politica appunto per non modificare la struttura e la composizione del Senato e per non violare il gentemen's agreement che costituiva  un dovere preciso, dovere, garantito col giuramento dai singoli ministri del governo della liberazione. Sarebbe perciò contrario proprio alle mens legis snaturare i limiti contenuti nel D.L.Lt. n. 151 del 1944, tanto più che nel periodo di emergenza che va dall'8 settembre 1943 al 2 giugno 1946, il compito del Senato composto di membri nominati secondo le norme dello Statuto Albertino, dopo lo scioglimento delle Camere dei Fasci e delle Corporazioni, (D.L. 2 agosto 1943 n. 105) poteva essere limitato solo ad una funzione non più di carattere legislativo   - che avrebbe potuto essere esercitata solo in connessione colla Camera elettiva, non più esistente – ma solo consultiva ed eventualmente giudiziaria (l’Alta Corte) ».

2) Nella stessa relazione che precede lo schema di provvedimento legislativo proposto alla  Consulta nazionale dal Presidente del Consiglio dei Ministri e dal Ministro della Costituente (13) sono precisati       i principi del D.L. 25 giugno 1944 e si aggiunge: « Si è già ricordato come in base al decreto fondamentale di Salerno, il Governo debba continuare ad esercitare il potere legislativo (ordinario) finché non sarà entrato in funzione: il nuovo Parlamento». «Appare confermato anche da ciò per dichiarazione stessa del Governo, che a causa della proclamata tregua istituzionale di proposito si volle distinguere «il potere legislativo ordinario» dal «potere costituente» di competenza dell'Assemblea Costituente di futura formazione ».

«La dichiarazione del Governo, la relazione sopra citata stesa da V. E. Orlando, i discorsi pronunciati dai vari Consultori in occasione     della discussione del progetto medesimo sono tutti nello stesso senso; ma un valore ancor più grande ha il testo medesimo del D.L.I.t. marzo 1946 n. 98, perché tutte le sue disposizioni con vera e propria autentica, predicano per una consapevole separazione del potere legislativo ordinario dal potere costituente, e quindi per la interdizione «ex tune». Al Governo provvisorio   di emanare norme dirette a modificare l'ordinamento costituzionale della Stato.
Il  Prof. Filippo Vassalli (14) afferma senza alcun dubbio che i Decreti 27 luglio 1944 n. 159 e, 13 settembre 1944 n. 198 c particolarmente gli art. 2-8 e 42 dal primo e 8 e 9 del secondo hanno invaso in quanto si riferiscono ai Senatori, il campo riservato all'assemblea Costituente ed hanno comunque pregiudicato la questione istituzionale:

a) si sono abrogate le norme donde trae configurazione e disciplina uno degli organi costituzionali dello stato;

b) si sono dichiarate abrogate le prerogative previste dagli art. 36, 37, 42, dello Statuto;

c) si è taciuta l’abrogazione espressa dagli art. 33 e 51 dello Statuto;

d) sono state alterate le proporzioni tra i componenti del Senato, compiendosi atti contrari all'impegno legislativamente assunto di non compiere fino alla Costituente « atti che comunque pregiudichino la questione Istituzionale» (art 3 dei D.L.Lt. 25 giugno 1944 n 151), giacché l'impegno evidentemente importa non soltanto il vincolo di non sopprimere il Senato, ma anche quello di non alterarne la struttura, 1a  composizione il funzionamento le guarentigie;

e) è stato invaso il campo di competenza della Costituente e, «esorbitando, largamente da quei limiti che il Governo aveva imposto a se stesso, impegnandosi solennemente ad osservarli».

f) Si è formulata la norma donde poteva derivare la pratica Soppressione del Serrato come di passaggio «quanto ai membri di assemblee legislative o di enti o di istituti che con i loro voti o atti ecc... la decadenza della carica sarà decisa... ecc.». Il Senato non è esplicitamente menzionato; se lo fosse stato sarebbe apparsa evidente la violazione del D.L. n. 151 (art. 1 e 3) e del criterio politico fondamentale 1   che lo informava e il D.L.Lt. n. 159, nella disposizione dell'art. 8 ti. cpv. non avrebbe potuto ricevere l'exequatur delle Commissioni Alleate per avere forza di legge

3) « Il concetto di una distinzione tra materia costituzionale e materia legislativa ordinaria per la quale risultava tale limite fissato, è stato nel frattempo confermato e chiarito dagli atti del Governo provvisorio. Il D.L. 15 marzo 1946 n. 98 recante integrazioni e modifiche al D.L. 2 giugno 1944 anzidetto, che è la chiave di volta del sistema della legalità nell'ordinamento giuridico in vigore fino alla decisione dell'Assemblea Costituente, ha ribadito in modo espresso che il Governo non ha potestà normativa in materia costituzionale. L'art. 3 di tale Decreto ha infatti «Durante il periodo della Costituente e fino alla convocazione dei. Parlamento a norma della nuova costituzione il potere legislativo resta delegato, salvo la materia costituzionale al Govern ».

E che la materia del  Senato e dello stato giuridico dei componenti di esso sia d natura costituzionale lo ha riconosciuto il Governo stesso, quando nel prendere atto della avvenuta cessazione dì diritto a seguito della caduta della monarchia del Senato regio, ha deferito alla Costituente di prendere i provvedimenti occorrenti sulle situazioni giuridiche dei Senatori in carica (1). «Né si dica che l'impegno relativo alla decisione costituente e alla tregua istituzionale è un mero impegno politico quasi un gentlemen's agreement senza rilievo nell'ordine del diritto. Essenza dello Stato moderno, quale stato di diritto, è che il potere statuale si limita legiferando e l'ordine di cose stabilito sia pure a titolo provvisorio (costituzione provvisoria) col D.L. n. 151 del 1944 non è fuori del diritto, perché ciò importerebbe la nullità giuridica di ogni atto compiuto in base ad esso dal pubblico potere e quindi anche la nullità di tutte le sanzioni contro il fascismo il che naturalmente va oltre il fine dell'argomentazione. « Non è senza pregio osservare che, discutendo da par suo il tema del sindacato sulla costituzionalità della legge, il Mortara erasi spinto ad ammettere il sindacato giurisdizionale anche rispetto a norme di legge che fossero in contrasto con date late norme dello Statuto fondamentale del Regno» … «Una legge che, deroghi o contrasti ai divieti degli art. 31 0, 71 dello Statuto noti può far parte del diritto obiettivo dello Stato…»  (3).



L'Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo aveva detto: «Se avessi denunciato tutti i Senatori all'Alta Corte avrei mancato ad un mio dovere: rispettare nel modo più assoluto la tregua istituzionale; tale tregua avrei anzi violato in modo odioso, colpendo il Senato alle spalle ».

«Quel che valesse cotesto accorgimento del primo Alto Commissario si è poi dato cura di dimostrare il secondo Alto Commissario il quale deferendo in blocco settantasette residui Senatori, ha travolto l'illusorio paravento e ha dimostrato a chiare note che il deferimento dei Senatori per la decadenza poteva anche importare la soppressione del Senato».

«Si è praticamente soppresso il Senato... impedendogli così di esercitare per mancanza di numero, quelle funzioni, come ad esempio quella giurisdizionale, che, costituito in alta Corte di Giustizia, il &nato può esercitare anche a sessione parlamentare chiusa »
(I).

In totale su 408 Senatori i giudizi rifletterono 394; di essi 34 morirono durante la procedura, per 3 si dichiarò non essere luogo a deliberare; di 275 fu dichiarata la decadenza; per taluni si operò la discriminazione in un cosiddetto giudizio di revocazione.

Il deferimento a giudizio di tutti i Senatori meno quattordici ha avuto l'effetto dalla stessa Cassazione dichiarato, di modificare sostanzialmente la struttura e la composizione del senato (2)

« E' chiaro che poche decine di Senatori non fanno Senato... Il Senato come corpus è stato soppresso. E lo è stato con piena consapevolezza che ciò non poteva farsi senza violare la tregua istituzionale neppure attraverso l'espediente « subdolo ed odioso » (l'apprezzamento è dello Sforza «   Le san contro il fascismo», pag. 253, dell'epurazione) (3).

E d’altronde è regola costante e naturale in ogni eventualità di riforma della costituzione di uno Stato che il Governo in carica, in attesa che i nuovi organi costituzionali entrino in funzione si astenga dal pregiudicare coi propri atti la competenza d'essi. Così all'atto dell'emanazione dello Statuto di Re Carlo Alberto l'art.  «Il presente Statuto avrà il suo assetto dal giorno della prima riunione delle due Camere, la quale avrà luogo appena compiute le elezioni. Fino a quel punto sarà provveduto al pubblico servizio di urgenza con sovrane secondo i modi e le forme sin qui eseguiti». Sono alte considerazioni politiche che hanno oggi imposto in Italia
di tenere ben separato dal potere del Governo in atto il potere sovrano del popolo al quale solo spetta a decidere sul modo d'essere costituzionale dello Stato. E la separazione si è riflessa sul sistema del diritto positivo con le conseguenze di determinare l'inefficacia di ogni atto compiuto da parte dello
esecutivo legiferante in pregiudizio delle attribuzioni proprie della futura Assemblea popolare...

In ossequio al D.L. n. 151 non poteva dunque il Governo con decreto legislativo, emanato in virtù dell'art. 4 del D.L. stesso modificare la composizione e le attribuzioni del Senato del Regno, sopprimere le guarentigie statutarie e le prerogative dei membri del l'assemblea vitalizia. Così facendo è incorso in manifesta violazione del limite imposto alla sua potestà legislativa, limite segnato nell'atto stesso coi quale il Governo ha assunto, per dichiarate ragioni di necessità e d'urgenza, l'esercizio della potestà legislativa (4).

L'armistizio (sia l'armistizio breve del 3 settembre 1943, sia l'armistizio lungo del 29 settembre, sia infine le dichiarazioni esplicative successive) imponeva limitazioni alla potestà legislativa dello Stato Italiano, come conseguenza della occupazione bellica e particolarmente importava l'incapacità a modificare  la costituzione basata sulla Monarchia e sugli istituti come il Senato, che erano con essa in connessione statutaria.

E' indubbio da quanto sopra detto che "il giudizio sul passato e sull'avvenire del Senato spetta soltanto al potere costituente del popolo, ai sensi dell'art 1 del D.L. n. 151. E non poteva essere anticipato o pregiudicato da un atto dell'esecutivo legiferante sorto nel giugno 1944, atto per cui sono state travolte, nel tempo stesso la guarentigia dei Senatori, le attribuzioni del Senato e le prerogative della Corona, che pure il Governo aveva dichiarato in modo formale e solenne di voler rispettare".

E' stato pertanto violato l'impegno politico di fronte al popolo italiano e di fronte alle Nazioni Unite : quello di rispettare la cosiddetta questione istituzionale deferita alla volontà popolare " (1).



La "legion of Merit, a Umberto (2)

«In considerazione della parte avuta da Umberto nella guerra di liberazione, il Comando della V Armata propose al Comando Generale di Caserta il conferimento di un'alta onorificenza: "La legion of merit "; il Ministero della guerra di Washington diede parere favorevole... ».

La proposta tornò a Roma; sì voleva interpellare il governo italiano m per ragioni di opportunità ».

I giorni passarono, gli eventi precipitarono e la partita restò sospesa.




Protesta dell'U.M.I. contro la violazione della tregua istituzionale (3)

L'Unione Monarchica Italiana ha fatto affiggere un manifesto che, dopo aver rammentato l'attività dell'Unione. protesta contro la violazione della tregua istituzionale continuamente operata dagli uomini responsabili che pure avevano giurato di osservarla.




(1) Da Il segreto di due Re, di Nino Bolla, Rizzoli, Milano 1951, pag 115 e seguenti “Intervista col Luogotenente Generale del Re, del 22 Aprile 1944

(2) Da Storia segreta di di un mese di Regno di Italicus, Sestante Roma 1947, pag. 51.

(3) Da La Monarchia e il fascismo, di Mario Viana, Ed l'Arnia 1951 pag 527

(4) Ved W. Churchill, La 2° Guerra « La morsa si stringe; la campagna d'Italia» . Ed. A. Mondadori Vedi in  particolare il Cap. XI «L’asse viene spezzato a pag 211 e seguenti: «Il volubile atteggiamento del Conte Sforza»…
(5) Da Storia segreta di di un mese di Regno di Italicus, Sestante Roma 1947, pag. 85 - 87.

(6) Da Storia segreta di di un mese di Regno di Italicus, Sestante Roma 1947, pag. 89.

(7) Prof Filippo Vassalli, La decadenza dei Senatori dalla carica: «Una pagina di diritto costituzionale e di diritto giudiziario». Nicola Zanichelli Ed. Bologna 1949, pag. 176
e seg.

(8) Emilio Crosa “La constitutione italienne du 1948”, Libraire Armand  Collin1950, pag, 57


(9) «Sulla natura del potere dell’A.C per la dichiarazione di decadenza dei Senatori   » in La Giustizia Penale, febbraio marzo 1948 p III col 71.
(13) Prof Filippo Vassalli, op s. cit. pag 151

(14) Prof Filippo Vassalli, op s. cit. pag 147 e seguenti
(15) Prof Filippo Vassalli, op s. cit. pag 139
(16) Prof Filippo Vassalli, op s. cit. pag 150.
(17) Prof Filippo Vassalli, op s. cit. pag 126 nota. L'art. 71 dice: «Niuno può essere distolto dai suoi giudici naturali. Non potranno perciò essere creati tribunali o commissioni straordinarie»
(18) Prof Filippo Vassalli, op s. cit. pag 188
(19) Prof Filippo Vassalli, op s. cit. pag 213
(20) Prof  Lener, Le sanzioni contro il fascismo, estratto dalla rivista “ La civiltà cattolica”, 1945 () Roma 1946 , pag 79 e seg.
(21) Prof Filippo Vassalli, op s. cit. pag 25 e seguenti