NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 13 giugno 2016

Il Re buono Umberto II

di Emilio Del Bel Belluz  

Maggio è il mese dedicato alla Madonna. Ogni giorno,  nei momenti di solitudine, cerco di recitare il rosario. Il mese di maggio, per me, è anche il mese dell’ultimo Re d’Italia: Umberto II, che regnò solo il mese di maggio del 1946. In questi giorni, i media hanno iniziato la rievocazione  dei settant’anni dalla nascita della repubblica. Nenni durante la campagna elettorale ripeteva lo slogan minaccioso: “ O la repubblica o il caos “ , a differenza dei monarchici che si esprimevano in termini molto moderati. Nessuno ricorda però che la monarchia perse,  ma quasi undici milioni di italiani erano favorevoli al Re. 
E se teniamo conto dei brogli elettorali la vittoria dei repubblicani appare ancora più incerta. Il re Umberto II subì un grave torto. Lasciò la sua patria e prima che il portellone dell’aereo si chiudesse trovò il coraggio di sorridere, anche se quel sorriso nascondeva tantissima malinconia e la voglia di morire. 
Quando penso all’esilio di Umberto II, mi viene in mente la seguente citazione filosofica greca: “ Colui, il quale soffre l’ingiustizia è meno infelice di colui il quale commette l’ingiustizia”. Lasciata l’Italia si stabilì a Cascais e vi rimase per trentasette anni. Quando partì, non credo che in cuor suo  immaginasse di finire i suoi giorni in terra straniera, ma vi era in lui la speranza  di rientrare dopo qualche anno, quando la situazione politica si fosse stabilizzata. Gli sono state attribuite delle colpe, ma non gli è stato riconosciuto quel grande atto di bontà che fece per evitare che il Paese diventasse un campo di battaglia.
 Ci furono delle sommosse a Napoli con dodici morti innocenti e pertanto il Re comprese che per evitare ulteriori spargimenti di sangue bisognava allontanarsi dall’Italia. Un vecchio professore dell’Università di Trieste, Fulvio  Crosara, diceva che molti avevano abbandonato il Re al suo destino invece di stargli accanto con fedeltà. Ci fu anche chi disse che non poteva amare più questa Italia perché era rimasta senza il suo Re. Lo scrittore Cesare Cantù diceva : “ Il miglior modo di fare il bene è la ferma risoluzione di combattere il male”.  Re Umberto II era stato fatto Re per combattere il male e per mettere assieme un Paese diviso. 
Alla fine della guerra, dopo il 25 aprile, ci furono migliaia di morti frutto delle vendette partigiane contro i fascisti. Il Re era nato con il cuore buono, con il sorriso, ma a  questo Re così generoso, la repubblica ha impedito che i suoi genitori riposassero al Pantheon, dove erano sepolti gli altri Re  d’Italia. Anche questo suo desiderio non è stato esaudito, anche lui è sepolto in terra straniera  e precisamente è sepolto a Hautecombe, in  Francia, in una bella abbazia  benedettina. Gli ultimi sovrani d’Italia sono stati esiliati sia da vivi che da morti. Infelice destino per questa casa regnante che aveva fatto l’unità d’Italia. La vita di questo sovrano è sempre stata guidata dalla fede in Dio. 
 In questi giorni mi sono letto per la quarta volta il libro : “ Il Re in un angolo ” scritto da Giovanni Mosca , un testo che contiene molte verità storiche, scritte da un giornalista che ha avuto il piacere di recarsi a Cascais a visitare il Re. Con il sovrano ha passato dei giorni che gli hanno permesso di scrivere una serie di articoli per i lettori della Gazzetta del Popolo di Torino e che poi successivamente li ha riuniti in questo libro. La visita al Re nasce nell’autunno del 1949, a pochi anni dal suo esilio. L’inizio del libro racconta la figura del sovrano nei momenti in cui esce da Villa Italia per recarsi a messa in una piccola chiesa, verosimilmente eretta dai pescatori. 
Allora Cascais era formato da un grappolo di case abitate da pescatori  che si mantenevano  con il duro lavoro in mare. Un piccolo paese con le barche arenate lungo la spiaggia, con le reti messe ad asciugare e i pescatori intenti a ripararle. Quasi a far ricordare gli scritti di Giovanni Verga sulla vita dei pescatori. 
 Questa gente non avrebbe mai pensato di poter vivere nello stesso posto in cui viveva Re Umberto II. 
 Il Re di maggio si soffermava spesso a parlare con loro, osservava il loro lavoro,  trattava quei poveri pescatori come se fossero dei fratelli e li amava veramente di cuore.  Il Re scrutava spesso l’orizzonte e se da lontano scorgeva una nave si augurava che fosse una nave italiana e che avesse l’intenzione poi di approdare proprio a Cascais. Il Re di maggio con il cuore colmo di malinconia cercava di andare avanti. Quando si ha la certezza di non aver fatto del male, di non aver colpe, ma il fatto di essere trattati come se ne avessimo, il dolore è ancora più grande e costante come una spina conficcata nel cuore.  
Penso al dolore di re Umberto e mi viene in mente una frase di Pierre l’Ermite  che dice: “Il dolore è simile ad una mandorla amara che si getta sul margine di una via; cade, la si dimentica : essa germoglia: vent’anni dopo, ripassando per il medesimo luogo, si trova un mandorlo in fiore”.  Il dolore di Umberto di Savoia mi fa pensare a quella mandorla amara che a distanza di molto tempo germoglia per diventare un mandorlo in fiore. Nelle ore cupe dei primi mesi dell’esilio il sovrano avrà sicuramente trovato conforto nella fede in Dio e nel frequentare la piccola chiesa che sorgeva poco distante dalla sua casa, una chiesa semplice e spoglia come le case dei pescatori che lui amava. 
Lui che era abituato a frequentare delle chiese stupende e sfarzose, ora nell’asprezza della solitudine, trova conforto anche in questa piccola chiesa che contiene  l’essenziale: il crocifisso. La chiesa è  così descritta da Giovanni Mosca: “ La sacrestia della chiesa parrocchiale di Cascais è una piccola stanza nuda con un grande orologio tarlato fermo ad un’ ora di chi sa quale anno lontano, un vescovo di gesso colorato sotto una campana di vetro, e quel magro odore di incenso delle chiesette povere, che ne bruciano soltanto un granellino la domenica e scaltramente vi aggiungono un pizzico di polvere di magnesio per fare molto fumo. Un tempo la porticina che dà nel presbiterio aveva un vetro, ora non ha che un foglio di carta gialla reso trasparente con un po’ d’olio di lampada per far passare almeno una parte della poca luce delle piovose domeniche invernali. 
Ci  troviamo sulla cosa atlantica, a una trentina di chilometri da Lisbona. Costeggiando prima il Tago che nell’ultimo suo tratto sembra già un mare, e poi l’aperto oceano, un trenino elettrico, coi bigliettai e i controllori risplendenti di galloni d’oro come generali, porta in poco più di mezz’ora dalla capitale portoghese al povero villaggio di pescatori che da colui che per troppo breve tempo fu il Re d’Italia perché molti non lo chiamino ancora il principe Umberto è stato scelto per trascorrervi il tempo dell’esilio”. Anche Gesù scelse come suoi primi discepoli dei poveri pescatori che abbandonarono tutto e tutti per seguirlo. Giovanni  Mosca continua così la sua descrizione : “ una povera chiesa di pescatori, tra gridi di gabbiani e leggeri voli di spume. Dentro è piena d’errori d’ortografia. Dipinto sulla parte c’è l’Arcangelo Gabriele che entra e dice: “ Ave Maria, “ Gacia” Plena ”, e la Madonna, inginocchiata, gli risponde: “ Ecce “ Ancila ” domini”. Errori gravi, ma del XVII secolo ”.  
Tutte le domeniche, arrivava in questa chiesa per assistere la Santa Messa delle undici  l’ultimo Re d’Italia, Umberto II. Era accompagnato dalle sue figliolette e il piccolo principe. La gente del luogo lo conosceva bene gli stava vicino chiamandolo Re, come se fosse il loro Re, anche se il Portogallo  era una repubblica. Il rispetto degli umili abitanti era talmente grande che si inchinavano davanti a lui e si toglievano il cappello. I contadini e i pescatori di Cintra lo chiamavano tutti Rey d’Italia.  
Il giornalista raccontava che molta gente veniva anche da lontano per vedere il Re di cui avevano sentito tanto parlare per i suoi modi eleganti e cortesi. Forse quella gente leggeva nel suo volto una profonda malinconia che non poteva nascondere sempre. Anche quando sorrideva lasciava trasparire la profonda tristezza che albergava nel suo cuore. Qui tutti seguono con affettuosa curiosità la vita di questa famiglia che fino a ieri regnava sull’Italia… e oggi altro della patria lontana non le è rimasto se non, chiuso nel cuore, il ricordo ed un nome da dare a una casa sugli scogli dell’atlantico: villa Italia; di questa famiglia per la quale celebravano la messa vescovi e cardinali, ed oggi, nella chiesetta d’un villaggio di pescatori, non ha che un povero, piccolo prete che, quanto a latino, ne sa ancor meno della poco istruita Madonna dipinta sulla parete”.  Per la messa delle undici è di solito gremita. Il Re si siede sempre allo stesso posto. “ Vuol vederlo? E’ nel presbiterio, a destra dell’altare, tra il fianco dell’arco e la parete. E’ il suo posto preferito. Fa tanto piacere a lui trovarlo libero quanto a noi lasciarlo. Ma non le conviene passare tra la calca; faccia il giro della chiesa ed entri di fianco, dalla porticina della sacrestia; dalla sacrestia si affacci al presbiterio e senza nemmeno entrare lo vedrà subito. Lo conosce, non è vero? Anch’io lo conosco” , sorride il pescatore. “ La mia casa è sulla strada di Cintra, e “ O Rey d’Italia” viene spesso a trovarmi. Debbo a lui la mia barca e le mie reti nuove”. Questa parte del libro mi è molto cara.  Parla dell’amore che i vecchi pescatori donano a questo Re lontano dalla sua terra. “ Umberto di Savoia assiste attentamente  e devotamente alla messa, segnandosi e inginocchiandosi ogni volta che il rito lo prescrive. Legge le preghiere in un vecchio libretto nero dal taglio d’oro, regalatogli da sua madre quando era ragazzo. 
Nell’ombra che ne accentua il pallore del volto ed ancor più lo affila, è impressionate la somiglianza con Carlo Alberto, del quale ho veduto ieri a Oporto l’ultima dimora ed il giardino di fronte al mare, dove solo una volta, uscito per breve tempo dal mortale abbandono d’ogni forza in cui giacque per tutto il tempo del breve esilio, solo una volta riuscì a trascinarsi. C’è un quadro che lo raffigura, all’ombra del tiglio che tuttavia fiorisce nel giardino, in atto di preghiera. La preghiera di chi altro non aveva da chiedere a Dio se non la morte. Diversa è la preghiera di Umberto.Vedo in lui, pur nella medesima solitudine, pur di fronte al medesimo mare, chi ancor forte, ancor giovane, ancora senza errori, non crede ancora finita la propria missione su questa terra.”.


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