NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 29 giugno 2016

La cosiddetta "fuga" di Pescara


Opuscolo pubblicato nell'imminenza del referendum del 46. 
Ottime le sue argomentazioni.


Il tema più abusato dei fautori della repubblica è quello della... fuga di  Pescara. E' un tema facilmente sfruttabile perché colpisce l'immaginazione e, tocca il sentimento del popolo. Il trasferimento del Sovrano da Roma a Brindisi in territorio non occupato dal  nemico per esplicito invito dei Capo del Governo del tempo e dell'Alto Comando, viene presentato come una defezione del Sovrano: defezione che avrebbe avuto per conseguenza la caduta di Roma e l'occupazione tedesca dalle Alpi al campo di battaglia di Salerno.

Non vi è nulla di più malvagio e di più falso. Sin dal  momento della dichiarazione della città aperta di Roma da parte del Governo Badoglio si rese necessario di provvedere al trasferimento dalla         capitale del Re, capo supremo delle forze armate. E' noto infatti che lo Stato Maggiore aveva preso sede a Monterotondo. Nel colloquio del 31 agosto, del generale Castellano con il generale Smith Capo di Stato Maggiore di Eisenhower, presenti il Commodoro Strong e il generale Zanussi fu discussa l'opportunità di trasferire il Sovrano dalla Capitale, che veniva ormai a trovarsi sotto la diretta minaccia tedesca. Il comando anglo americano offriva di evacuare una parte della Sicilia perché il Re potesse recarsi in territorio sottoposto alla sua piena sovranità.
Nei primi giorni di settembre le misure predisposte per la difesa della Capitale poterono illudere l'Alto Comando e il Governo del Maresciallo, che Roma si potesse difendere, ma gli avvenimenti che si svolsero tra il sei e l'otto settembre fecero diminuire di molto questa speranza.

Quali avvenimenti?

In primo luogo il mancato sbarco della divisione aviotrasportata del generale Taylor, nei campi d'aviazione attorno a Roma, per la decisa opposizione manifestata a questo piano dal generale Carboni a cui era affidata la difesa della capitale. Il generale Carboni e il generale Taylor si recarono nella notte sull'otto settembre dal maresciallo Badoglio e questi fece suoi gli argomenti del suo sottoposto. Il maresciallo Badoglio sperava però di ottenere da Eisenhower una proroga nella comunicazione dell'armistizio. La proroga non fu concessa. Badoglio e l'Alto Comando si trovarono improvvisamente, nel pomeriggio del giorno otto, dinnanzi a una fatale scadenza che essi avevano previsto solo per la metà del mese. Sperarono di poter fronteggiare ugualmente, con le sole proprie forze, l'attacco tedesco ma, tra la mezzanotte e le quattro del mattino, la situazione militare si venne aggravando. Fu facile comprendere che i tedeschi erano ben lontani dal proposito di ritirarsi a nord della Capitale: le batterie costiere e alcuni reparti della Divisione Piacenza furono sorpresi e disarmati; i granatieri che difendevano le posizioni sulla Via Ostiense furono duramente attaccati. Alle quattro del mattino tutte le vie che portano alla Capitale apparvero dominate dai tedeschi, meno la Tiburtina.

Governo e Alto Comando decisero allora di sottrarre il Sovrano allo schieramento di prima linea.

E' noto che il Re non intendeva affatto partire e che egli si arrese alle sollecitazioni del maresciallo Badoglio quando gli fu fatto osservare che in un Paese senza Parlamento egli era la sola fonte legittima della Sovranità, l'unica che potesse rappresentare legalmente l'Italia presso il Comando alleato. Il Sovrano si arrese a queste considerazioni e lasciò Roma per il sud.
L’unico appunto che si potrebbe fare a questa partenza e che toccherebbe non il Re, ma il suo Governo, è  che essa fu compiuta troppo tardi, sotto la pressione degli eventi sfavorevoli e non tempestivamente, appena firmato l'armistizio, come sarebbe stato opportuno.
Ha influito l'assenza del Re sulla debole difesa Roma? Ci rimettiamo alla testimonianza del maresciallo Caviglia il quale assicura nel suo «diario» di essersi reso immediatamente conto, la mattina del 9 settembre, della impossibilità della difesa della Capitale senza l'ausilio di uno sbarco alleato nei pressi della città e  senza l’azione potente della sua aviazione. La diffidenza alleata verso di noi e la impreparazione ad una grande azione di sbarco (a Salerno sbarcarono quattro sole divisioni e non le quindici lasciate intravedere) furono la causa vera della tragedia italiana e della lunga guerra combattuta nella Penisola dal settembre 1943  al maggio 1945.
Ma, in conclusione, in che cosa l'atteggiamento del Re d'Italia si differenzia dall'atteggiamento di tutti i Re e Presidenti di Repubblica d'Europa nell'attuale conflitto? Purtroppo quasi tutti furono costretti a lasciare le loro Capitali e molle volte i loro Stati sotto la minaccia tedesca. Lasciarono in fretta la Capitale e il territorio nazionale il Presidente della repubblica polacca nel settembre 1939, il Re di Norvegia, la Regina d'Olanda e il Presidente della Repubblica francese nella primavera del 1940 come già nel 1914, il Presidente Poincaré Nel 1941 la stessa sorte toccò al Re di Jugoslavia e al Re, di Grecia e (non inorridite!) al maresciallo Stalin, che dové trasferirsi da Mosca a Kubiscev quando Mosca fu minacciata.

In nessun paese è stata sollevata una questione d'onore contro i capi dello Stato, che hanno dovuto accettare la sorte alterna delle armi, meno che in Italia. Ma ciò è solo frutto dì bassa demagogia e di ignobile viltà. Basti pensare che al Re del Belgio si fa invece l'accusa di essere rimasto nel territorio occupato. Verrà il giorno in cui gli italiani arrossiranno d'avere prestalo orecchio a una così turpe campagna. Re Vittorio e il Principe Umberto nel lasciare la Capitale hanno obbedito, non al loro interesse dinastico, ma ad una superiore esigenza politica e militare e all'intimo proposito di servire il Paese e di salvare Roma e il Vaticano dalla guerra e dalla rovina.


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