Opuscolo pubblicato nell'imminenza del referendum del 46.
Ottime le sue argomentazioni.
Ottime le sue argomentazioni.
Il tema più abusato dei fautori
della repubblica è quello della... fuga di
Pescara. E' un tema facilmente sfruttabile perché colpisce
l'immaginazione e, tocca il sentimento del popolo. Il trasferimento del Sovrano
da Roma a Brindisi in territorio non occupato dal nemico per esplicito invito dei Capo del
Governo del tempo e dell'Alto Comando, viene presentato come una defezione del
Sovrano: defezione che avrebbe
avuto per conseguenza la caduta di Roma e l'occupazione tedesca dalle Alpi al campo
di battaglia di Salerno.
Non vi è nulla di più malvagio e
di più falso. Sin dal momento della
dichiarazione della città aperta di Roma da parte del Governo Badoglio si rese
necessario di provvedere al trasferimento dalla capitale del Re, capo supremo delle
forze armate. E' noto infatti che lo Stato Maggiore aveva preso sede a
Monterotondo. Nel colloquio del 31 agosto, del generale Castellano con il
generale Smith Capo di Stato Maggiore di Eisenhower, presenti il Commodoro Strong e il
generale Zanussi fu discussa l'opportunità di trasferire il Sovrano dalla
Capitale, che veniva ormai a trovarsi sotto la diretta minaccia tedesca. Il
comando anglo americano offriva di evacuare una parte della Sicilia perché il
Re potesse recarsi in territorio sottoposto alla sua piena sovranità.
Nei primi giorni di settembre le
misure predisposte per la difesa della Capitale poterono illudere l'Alto
Comando e il Governo del Maresciallo, che Roma si potesse difendere, ma gli
avvenimenti che si svolsero tra il sei e l'otto settembre fecero diminuire di
molto questa speranza.
Quali avvenimenti?
In primo luogo il mancato sbarco
della divisione aviotrasportata del generale Taylor, nei campi d'aviazione
attorno a Roma, per la decisa opposizione manifestata a questo piano dal
generale Carboni a cui era affidata la difesa della capitale. Il generale
Carboni e il generale Taylor si recarono nella notte sull'otto settembre dal
maresciallo Badoglio e questi fece suoi gli argomenti del suo sottoposto. Il
maresciallo Badoglio sperava però di ottenere da Eisenhower una proroga nella
comunicazione dell'armistizio. La proroga non fu concessa. Badoglio e l'Alto
Comando si trovarono improvvisamente, nel pomeriggio del giorno otto, dinnanzi
a una fatale scadenza che essi avevano previsto solo per la metà del mese.
Sperarono di poter fronteggiare ugualmente, con le sole proprie forze,
l'attacco tedesco ma, tra la mezzanotte e le quattro del mattino, la situazione
militare si venne aggravando. Fu facile comprendere che i tedeschi erano ben
lontani dal proposito di ritirarsi a nord della Capitale: le batterie costiere
e alcuni reparti della Divisione Piacenza furono sorpresi e disarmati; i
granatieri che difendevano le posizioni sulla Via Ostiense furono duramente
attaccati. Alle quattro del mattino tutte le vie che portano alla Capitale
apparvero dominate dai tedeschi, meno la Tiburtina.
Governo e Alto Comando decisero
allora di sottrarre il Sovrano allo schieramento di prima linea.
E' noto che il Re non intendeva
affatto partire e che egli si arrese alle sollecitazioni del maresciallo
Badoglio quando gli fu fatto osservare che in un Paese senza Parlamento egli
era la sola fonte legittima della Sovranità, l'unica che potesse rappresentare
legalmente l'Italia presso il Comando alleato. Il Sovrano si arrese a queste
considerazioni e lasciò Roma per il sud.
L’unico appunto che si potrebbe
fare a questa partenza e che toccherebbe non il Re, ma il suo Governo, è che essa fu compiuta troppo tardi, sotto la
pressione degli eventi sfavorevoli e non tempestivamente, appena firmato
l'armistizio, come sarebbe stato opportuno.
Ha influito l'assenza del Re
sulla debole difesa Roma? Ci rimettiamo alla testimonianza del maresciallo
Caviglia il quale assicura nel suo «diario» di essersi reso immediatamente
conto, la mattina del 9 settembre, della impossibilità della difesa della
Capitale senza l'ausilio di uno sbarco alleato nei pressi della città e senza l’azione potente della sua aviazione.
La diffidenza alleata verso di noi e la impreparazione ad una grande azione di
sbarco (a Salerno sbarcarono quattro sole divisioni e non le quindici lasciate
intravedere) furono la causa vera della tragedia italiana e della lunga guerra
combattuta nella Penisola dal settembre 1943
al maggio 1945.
Ma, in conclusione, in che cosa
l'atteggiamento del Re d'Italia si differenzia dall'atteggiamento di tutti i Re
e Presidenti di Repubblica d'Europa nell'attuale conflitto? Purtroppo quasi
tutti furono costretti a lasciare le loro Capitali e molle volte i loro Stati
sotto la minaccia tedesca. Lasciarono in fretta la Capitale e il territorio
nazionale il Presidente della repubblica polacca nel settembre 1939, il Re di
Norvegia, la Regina d'Olanda e il Presidente della Repubblica francese nella
primavera del 1940 come già nel 1914, il Presidente Poincaré Nel 1941 la stessa
sorte toccò al Re di Jugoslavia e al Re, di Grecia e (non inorridite!) al
maresciallo Stalin, che dové trasferirsi da Mosca a Kubiscev quando Mosca fu
minacciata.
In nessun paese è stata sollevata
una questione d'onore contro i capi dello Stato, che hanno dovuto accettare la
sorte alterna delle armi, meno che in Italia. Ma ciò è solo frutto dì bassa
demagogia e di ignobile viltà. Basti pensare che al Re del Belgio si fa invece
l'accusa di essere rimasto nel territorio occupato. Verrà il giorno in cui gli
italiani arrossiranno d'avere prestalo orecchio a una così turpe campagna. Re
Vittorio e il Principe Umberto nel lasciare la Capitale hanno obbedito, non al
loro interesse dinastico, ma ad una superiore esigenza politica e militare e
all'intimo proposito di servire il Paese e di salvare Roma e il Vaticano dalla
guerra e dalla rovina.
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