NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 29 gennaio 2014

I Savoia e l'Unità d'Italia

Questo articolo è del 2003. Lo pubblichiamo nelle sue due parti in quanto riteniamo che sia un'ottima agevole sintesi da poter consultare molto velocemente.
I nostri ringraziamenti all'Ingegnere Giglio!

di Domenico Giglio

Prima parte

L’11 luglio 2002 con la prescritta quarta votazione risultata positiva a larghissima maggioranza il Parlamento ha fatto cessare gli effetti dei primi due commi della XIII disposizione "transitoria e finale" della Costituzione, commi che vietavano l'ingresso nel territorio nazionale al re ed ai suoi discendenti maschi. Dopo la morte di Umberto Il nel 1983 l'esilio era rimasto valido per il Principe di Napoli Vittorio Emanuele nato nel 1937 e partito per il Portogallo nel 1946 e per suo figlio il Principe di Venezia, Emanuele Filiberto.

Ci si augurava che questo gesto riparatore, l'abolizione cioè della medievale pena dell'esilio, significasse pacificazione nel riconoscimento dei meriti storici di Casa Savoia conseguiti con la realizzazione dell'unità della nostra Patria, invece da parte di una minoranza fortunatamente esigua di parlamentari, di giornalisti e di storici di regime, anche se verbosi e demagogici, è stata l'occasione per un rigurgito di accuse, di valutazioni faziose ed unilaterali nei confronti della Dinastia. Sarebbe lungo ed inutilmente polemico confutare affermazioni come, la peggiore dinastia" o "Vittorio Emanuele III condannato dalla storia", va invece ricordata la storia di questa famiglia che da Carlo Alberto in poi è stata intimamente e strettamente legata a quella del Risorgimento e dell'unificazione.

Naturalmente la sintesi sarà veloce, ma servirà a far conoscere date e fatti che molti ormai ignorano obnubilati da una propaganda non sempre serena, o da mancanza di informazione storica.
Carlo Alberto di Savoia Carignano, ramo questo cadetto, viene proclamato re nel 183 per la mancanza di eredi diretti in linea maschile.
Carlo Felice, suo predecessore è stato il restauratore dell'Abbazia di Altacomba ove oggi riposano gli ultimi sovrani Umberto Il e Maria José. Carlo Alberto, nonostante i profondi dubbi e le molte incertezze che lo affliggevano concesse l'8 febbraio 1848 la carta costituzionale che prese il nome di Statuto e dopo l'insurrezione del popolo milanese contro gli Austriaci mise con determinazione la sua vita e quella dei suoi figli, i suoi tesori ed il suo esercito ai servizio della causa dell'unità e dell'indipendenza dell'Italia. E quando il 23 marzo 1848 varcò il Ticino per la prima guerra d'indipendenza "per meglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell'unione italiana" volle che l'esercito, allora ancora sardo, portasse lo "scudo di Savoia sovrapposto al tricolore italiano". Data da allora l'insegna tricolore, bandiera a bande verticali rossa, bianca e verde, che è tuttora il vessillo d'Italia. Purtroppo la guerra finì con la sconfitta di Novara e Carlo Alberto, che aveva invano cercato la morte in battaglia abdicò ed andò esule in Portogallo ad Oporto dove nello stesso anno morì. Vittorio Emanuele II, salito al trono in quella triste circostanza non rinnegò né lo Statuto né il tricolore e con l'intelligente collaborazione prima di Massimo D'Azeglio e poi di Camillo Cavour fece del Piemonte il punto di riferimento cui si rivolgevano i patrioti di tutta Italia con in testa lo stesso Giuseppe Garibaldi nella speranza di un rapido riscatto dalla dominazione straniera.
Il sovrano sacrificando la Savoia, regione originaria della sua Casa e dando in sposa la figlia Clotilde al principe Gerolamo Napoleone riuscì a realizzare quell'alleanza con Napoleone III che consentì la rivincita sull'impero austriaco con la vittoriosa seconda guerra d'indipendenza, che lo vide anche fisicamente sempre in prima fila, alla quale seguì in un crescendo vertiginoso di tempo l'unificazione della penisola ad esclusione solo del Veneto e del Lazio.
Fondamentale fu l'apporto di Giuseppe Garibaldi che collaborò fattivamente a tutte le azioni militari e che portò il 27 marzo 1861 alla proclamazione del regno d'Italia.
Nel 1866 con la conquista del Veneto e nel 1870 con la presa di Roma si è completata l'unità geografica della nazione, unità cui mancavano solo Trento e Trieste.
Vittorio Emanuele Il rappresentò in quegli anni il simbolo dell'unità nazionale anche se fu costretto al necessario anche se doloroso trasferimento della capitale del Regno dalla sabauda Torino a Firenze prima ed infine a Roma.
Sovrano costituzionale, rispettoso della volontà del Parlamento, come lo furono rigidamente tutti i suoi successori, assisté nel 1876 al trapasso parlamentare alla Sinistra di Depretis e di Cairoli dalla "Destra storica" altamente benemerita par la creazione dello Stato come pure per l'integrità morale e per l'elevato livello culturale dei suoi esponenti.
Unico dei Re Savoia Carignano a morire in patria e nel suo letto, attorniato dai familiari e dalle alte cariche del Regno, Vittorio Emanuele Il terminava la sua giornata terrena il 9 gennaio 1878.

lunedì 27 gennaio 2014

Maria Cristina di Savoia in duemila per la beatificazione


La cerimonia si è svolta nella basilica di Santa Chiara alla presenza di diversi rami della famiglia Borbone spesso contrapposti. Bagno di folla per Carlo di Borbone accolto al grido di "Viva il re"

Maria Cristina di Savoia in duemila per la beatificazioneDuemila persone hanno affollato la basilica di Santa Chiara per assistere alla beatificazione di Maria Cristina di Savoia, regina del regno delle due Sicilie. Alla cerimonia celebrata dall'arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe e dal prefetto per la Congregazione dei Santi Angelo Amato, hanno partecipato numerosi esponenti della nobiltà europea. Carlo di Borbone e la moglie Camilla cone le due figlie, il cugino Don Pedro di Borbone, Amedeo D'Aosta, Maria Gabriella di Savoia - figlia dell'ultimo re d'Italia Umberto II - e Clotilde Courau, moglie di Emanuele Filiberto di Savoia.
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La cerimonia di beatificazione, svolta nella basilica che conserva le spoglie della regina, è durata circa due ore. All'uscita dalla chiesa, bagno di folla per Carlo di Borbone, accolto da attivisti neoborbonici al grido di "Viva il re". Gli stessi attivisti hanno invece contestato la presenza dei Savoia con striscioni e bandiere.  

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2014/01/25/news/beatificazione-76925904/

domenica 26 gennaio 2014

I Savoia e i Borbone si incontrano a Santa Chiara per la beatificazione della regina Maria Cristina

Messa celebrata dall'arcivescovo Crescenzio Sepe e dal cardinale Angelo Amato. Venerdì la visita di Carlo e Camilla alla fondazione Sanità che opera presso l'istituto Ozanam

I Savoia e i Borbone si incontrano a Santa Chiara per la beatificazione della regina Maria Cristina
I Savoia sul lato sinistro della navata, i Borbone su quello destro. Intorno, la splendida arte e architettura angioina. Tre corone, unite in un unico ambiente. Nella basilica di Santa Chiara, costruita nel Trecento sotto re Roberto d'Angiò, due famiglie reali, una piemontese, l'altra spagnola, un tempo nemiche per il dominio sul Regno delle Due Sicilie, s'incontrano per un giorno.

Ad unirle c'è un vincolo di sangue, rappresentato da una tomba ancora oggi conservata nella stessa basilica del decumano inferiore. 
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Presente l'intera famiglia reale borbonica con il principe Carlo e la principessa Camilla (duchi di Castro), assieme alle principessine loro figlie Maria Carolina e Maria Chiara (rispettivamente duchessa di Palermo e di Capri). Presenti anche la principessa Maria Gabriella di Savoia, il duca e la duchessa di Aosta e gran parte dei discendenti delle più antiche casate del sud Italia, dagli Acton ai Caracciolo, fino ai d'Avalos e ai conti di Santo Janni. 
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http://napoli.repubblica.it/cronaca/2014/01/25/news/beatificazione_maria_cristina_di_savoia-76891243/

sabato 25 gennaio 2014

Napoli, i Borbone a cena con i Savoia prima della beatificazione di Maria Cristina

Napoli sembra essere di nuovo la grande capitale dell’antico Regno, almeno per quanto riguarda la presenza in città di tanti rampolli delle più antiche e illustri dinastie reali d’Europa, riunitisi per la beatificazione della Regina Maria Cristina di Borbone, prima moglie di Ferdinando II. Per questa occasione, ieri sera Carlo e Camilla di Borbone hanno voluto invitare autorità, parenti ed amici in un prestigioso circolo napoletano, di cui il Principe è socio d’onore.
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Tra gli ospiti i Principi Casimiro di Borbone con la moglie Crista di Savoia Aosta, i Duchi di Noto Don Pedro e Donna Sofia di Borbone, Donna Ana de Orleans Bragança, S.E. il Cardinale Renato Raffaele Martino, l’Arciduca Martino d’Austria-Este, Maria Gabriella di Savoia, Serge di Yougoslavie, Don Jaime di Borbone e le Principesse Anna e Beatrice, sorelle di Carlo.

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http://www.ilmattino.it/NAPOLI/CRONACA/borbone-cena-savoia-beatificazione-maria-cristina/notizie/472486.shtml

venerdì 24 gennaio 2014

«I nostri 11 anni passati a Cascais con Umberto II»

Intervista esclusiva a Elena Falini, di Collelungo di San Venanzo,che ha vissuto a Corte con il marito, autista del Re      da: www.giornaledellumbria.it

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Lui è Carlo Maurini, lei è sua moglie, Elena Falini in Maurini. Entrambi umbri. Carlo è morto da qualche anno, portando nella tomba alcuni “segreti” (come i contenuti del lungo colloquio che ebbe, nel 1981, con Umberto II di Savoia a Cascais). La signora Elena vive a Collelungo, frazione di San Venanzo, nella casa che dal 1960 ha condiviso con il marito e con i figli (Maria Cristina e Maria Luisa, nate a Cascais, e Giovanni e Gabriella, venuti alla luce dopo il ritorno in Italia dei genitori).
Per anni, dopo che avevano lasciato il servizio a Casa Reale, lungo 11 anni per Carlo e 8 per Elena, quotidiani, settimanali e televisioni hanno cercato invano di intervistarli. La signora Elena ha deciso di parlare solo ora, in esclusiva con il Giornale dell’Umbria.
La incontriamo nella sua bella casa di Collelungo, a pochi metri dal castello e dalle cantine degli eredi del conte Zeffirino Faina, insieme alle figlie Maria Cristina e Gabriella e al nipote Fabiano. Sul tavolo, una valanga di foto, documenti e lettere di Umberto II. In quelle foto e in quei documenti un pezzo importante e lungo della loro vita, quello passato in Portogallo con la Casa Reale.
Un legame forte, quello della famiglia Maurini con i Savoia. Anche perché Umberto II e le principesse hanno fatto da padrino e madrine alle due figlie dei coniugi Maurini nate a Cascais, Maria Cristina e Maria Luisa (quest’ultima è poi diventata un’importante calciatrice negli anni Settanta e Ottanta, giocando nella nazionale).
Signora Elena, innanzitutto grazie per deciso, dopo lunghi anni di silenzio, di parlare in esclusiva con il Giornale dell’Umbria.
«Mio nipote Fabiano mi ha parlato molto bene di voi e così mi sono decisa. Per anni, dopo che siamo tornati dal servizio a Umberto II in Portogallo, quotidiani, settimanali e tv hanno chiesto di intervistarci. Ma abbiamo sempre rifiutato».
Tutto è iniziato quando a suo marito Carlo è arrivata la proposta di recarsi in Portogallo per fare l’autista di Umberto II di Savoia.
«Sì, subito dopo la guerra mio marito era diventato autista di un generale di stanza al Quirinale, dove risiedeva il re. In quelle occasioni diventò amico dell’autista di Vittorio Emanuele III e, successivamente, di Re Umberto II. Quando quest’ultimo partì per il Portogallo l’autista preferì restare in Italia, proponendo a mio marito di prendere il suo posto.  Fu così che Carlo prese servizio come autista di Umberto II nel 1949, partendo con lui per Cascais».
E lei?
«Io arrivai nel 1952. Si era liberato un posto tra il personale di servizio e così mi fu offerta questa possibilità».
Suo marito era sempre con Umberto II.
«Doveva essere sempre a disposizione, per qualsiasi esigenza di spostamento che il Re avesse. Ha accompagnato il Re in moltissimi Paesi d’Europa. Umberto II si fidava molto di lui e, anche dopo che siamo tornati in Italia, i rapporti sono stati mantenuti sia con Umberto II che con il principe Vittorio Emanuele e le principesse Maria Beatrice (chiamata “Titti”, ndr), Maria Gabriella e Maria Pia, attraverso lettere e cartoline». (Ci mostra e ci fa consultare una gran quantità di queste lettere e cartoline).
Quando lei arriva a Cascais, nel 1952, cosa trova?
«Quando arrivai, il Re non c’era e neppure le principesse, assenti per qualche giorno. Villa Italia, la residenza della famiglia, era una struttura vecchia, sul lungomare di Cascais, adiacente un ampio bosco. Lì vivevano il Re con le figlie femmine, mentre Vittorio Emanuele abitava in Svizzera, con la madre. Noi abitavamo in alcune stanze del complesso della villa. Poi, con la nascita delle nostre figlie, trovammo un’altra sistemazione, più comoda, sempre e Cascais. Successivamente, il Re acquistò un’area e vi costruì un’altra abitazione, più moderna, chiamata sempre Villa Italia».
Che tipo era Umberto II?
«Austero, riservato e gentile. Aveva modi molto cortesi con tutti. Quando passava ci si doveva inchinare e spesso ero imbarazzata, perché magari mi trovavo con una scopa in mano e facevo l’inchino mantenendo in mano la scopa. Trovavo la cosa buffa. Lo divertiva molto quando gli faceva l’inchino mia figlia Maria Cristina. Lo faceva perfettamente, glielo avevo insegnato a puntino, e il Re vedendo una bimba farlo in modo perfetto rideva di gusto». («Mia madre - interviene Maria Cristina - non solo mi ha insegnato perfettamente l’inchino, ma anche il portamento, facendomi camminare con il classico libro in testa, che non doveva cadere»).
[...]


http://www.giornaledellumbria.it/article/article149899.html


martedì 21 gennaio 2014

Difficoltà tecniche

Carissimi amici,
è da una settimana che abbiamo notevoli difficoltà di aggiornamento del blog per l'inopinata interruzione della linea telefonica, e quindi adsl, del webmaster.
Vi chiediamo scusa nell'attesa che quelle capre (dopo una settimana ne abbiamo ben diritto!) della compagnia telefonica ripristino la linea.
Abbiate pazienza.

sabato 18 gennaio 2014

DITTATURA E MONARCHIA

DOMENICO FISICHELLA

L'ITALIA TRA LE DUE GUERRE
Nel disordine che colpisce l'Europa con la Grande Guerra, la crisi del sistema parlamentare apre in Italia la strada al fascismo. Sul piano internazionale esso si muove tra Francia e Gran Bretagna da una parte, Germania dall'altra. Le sfide si susseguono su diversi terreni: delitto Matteotti, Patti Lateranensi, depressione del 1929, imprese coloniali, guerra civile spagnola, legislazione razziale, Seconda guerra mondiale. All'iniziale non belligeranza segue l'allineamento alla Germania, fino al crollo del regime di Mussolini. E’ in questo ampio scenario che si colloca il problema delle relazioni tra dittatura e monarchia. Qual è il significato della "diarchia"? Come si configura il dualismo di Stato e partito? V'è stata la "fascistizzazione" dello Stato e della società civile? Quale ruolo ha svolto la Corona, e perché, nella fine del regime e nel capovolgimento dell'alleanza bellica? Perché e come il Re ha lasciato Roma? Quale lettura dare della Resistenza, e come si giunge alla Repubblica? Infine, quali sono oggi le condizioni della democrazia repubblicana?
Domenico Fisichella, professore di Scienza della Politici, Dottrina dello Stato e Stona delle Dottrine Politiche nelle Università di Firenze, Roma -Sapienza" e LUISS, ha unito a una lunga carriera accademica un’ampia esperienza politica e istituzionale come ministro per i Beni culturali e ambientali, vicepresidente del Senato per dieci anni, membro della Commissione bicamerale per la riforma costituzionale. Medaglia d'oro ai Benemeriti della Cultura, della Scuola e dell'Arte, fa parte del Consiglio scientifico dell'Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani. Editorialista per quasi un trentennio di importanti quotidiani, autore di numerosi volumi suoi lavori sono tradotti in sei lingue.

In libreria dal 23 gennaio 2014 Sfere

pp. 415 22,00

Carocci Editore, Corso Vittorio Emanuele Il, 229, 00186 Roma


tel. 06 42 8184 17/fax 06 42 74 79 31 - www.carocci.it

domenica 12 gennaio 2014

CIRCOLO DI CULTURA E DI EDUCAZIONE POLITICA “REX” LXVI CICLO DI CONFERENZE 2013-2104


SALA UNO
nel cortile della Casa Salesiana
San Giovanni Bosco
con ingresso in Via Marsala 42
(vicino Stazione Termini)


PROGRAMMA DELLE RIUNIONI 2013-2014

ORA INIZIO CONFERENZE: 10,45

 SECONDA PARTE

26 gennaio 2014
Prof. Domenico FISICHELLA
Dittatura e Monarchia: l’Italia fra le due Guerre


9 febbraio 2014
Avv. Riccardo SCARPA
Gli ultimi soldati del Re


23 febbraio 2014
Ing. Domenico GIGLIO
Il Regno d’Italia da Brindisi a Salerno


9 marzo 2014
Gen. Enrico BOSCARDI
Settembre 1943, distruzione o salvezza di Roma


16 marzo 2014
Dr. Roberto TOMAO
Il viaggio del Re Umberto II negli Stati Uniti d’America


30 marzo 2014
Prof. Michele d’ELIA

Vittorio Emanuele III di fronte alla Storia


venerdì 10 gennaio 2014

Bergamo: "I prigionieri dei Savoia"

Lunedì 13 gennaio, dalle 9.30 lo storico Alessandro Barbero sarà presente all'Archivio di Stato di Bergamo, in via Fratelli Bronzetti, dove terrà una lezione "I prigionieri dei Savoia". 

Barbero docente dell'Università di Torino, storico di fama, conosciuto dal grande pubblico perché collabora con Piero Angela per "Superquark".
L'incontro è rivolto principalmente agli studenti delle scuole superiori ma sarà aperto a chiunque voglia ascoltare la sua lezione.
 [...]
Il libro di Barbero è dedicato a una vicenda risorgimentale poco nota alla cronaca storica, quella dei circa 600.000 soldati borbonici fatti prigionieri dall’esercito piemontese e arruolati nell’esercito italiano. In particolare il saggio ricostruisce, con documenti conservati presso l’Archivio di Stato di Torino e l’Archivio dello Stato Maggiore dell’Esercito di Roma, la vicenda dei soldati che rifiutarono di arruolarsi nelle truppe sabaude; il 9 novembre del 1860 furono rinchiusi presso la fortezza di Fenestrelle in Val Chisone. Il forte fu teatro di un complotto organizzato da una decina di renitenti decisi a occupare il forte e marciare su Torino. Lo scritto di Barbero documenta le fasi dell’inchiesta condotta dal Tribunale di Pinerolo che, il 7 gennaio 1862, assolse gli imputati e li rinviò presso i loro corpi militari.

lunedì 6 gennaio 2014

Un dono per la Chiesa di Napoli: la beatificazione di Maria Cristina di Savoia - Borbone


Napoli avrà presto una nuova beata. Si tratta della Venerabile Serva di Dio Maria Cristina di Savoia, regina del Regno delle Due Sicilie, il cui rito di beatificazione si celebrerà sabato 25 gennaio 2014 alle ore 11.00 nella basilica di S. Chiara in Napoli. Qui infatti, nella cappella di San Tommaso, si custodisce il suo venerato sepolcro. 

Maria Cristina di Savoia giunse a Napoli il 30 novembre 1832, sposa di Ferdinando II di Borbone, come giovane sovrana destinata a scrivere una pagina di singolare santità nella sua nuova patria. Breve fu la sua permanenza a Napoli, gli ultimi tre anni della sua vita, sufficienti per essere acclamata dalla corte e dal popolo come la "Reginella santa". Dopo un lungo e documentato processo canonico, la Chiesa proclama beata questa giovane e nobile donna, a testimonianza che la "vita buona del vangelo" è possibile in ogni ambiente sociale e che la universale chiamata alla santità è vocazione di ogni battezzato. Napoli, che l'accolse come un dono regale al suo arrivo, la riscopre oggi come dono di santità suscitato dallo Spirito. 

Maria Cristina nacque a Cagliari il 14 novembre 1812, ultima delle figlie di Vittorio Emanuele I di Savoia e di Maria Teresa d'Asburgo. Educata dalla madre e guidata spiritualmente dall'olivetano padre Giovanni Battista Terzi, visse l'infanzia e la giovinezza alla corte di Torino e, dopo la morte del padre, a palazzo Tursi in Genova. La sua avvenenza,
la sua cultura e le sue doti morali e spirituali fecero di lei la sposa più ambita dai sovrani dell'epoca. Il 21 novembre 1832 nel santuario di Nostra Signora dell'Acquasanta in Voltri (Genova), dopo lunghe trattative ed approfondito discernimento spirituale, Maria Cristina si unì in matrimonio con Ferdinando II di Borbone. Accanto al giovane sovrano, mantenne le sue religiose abitudini, espressione di una fede convinta e matura. Seppe illuminare con il consiglio e sostenere con la preghiera le decisioni importanti del re, appellandosi alla legge di Dio oltre che alla giustizia degli uomini. In seno alla famiglia reale e alla corte attuò una missione silenziosa ed efficace di testimonianza cristiana, volta a comporre le divergenze, moderare gli animi, morigerare i costumi. Conquistò il popolo di Napoli con la sua sollecita e straordinaria carità. Attingendo al suo personale patrimonio, soccorse con prodigalità i poveri, secondo le richieste che le giungevano dalla città e dal regno. 
[...]

domenica 5 gennaio 2014

Margherita di Savoia e Monza

L’anniversario scivola via dimenticato tra i fasti della Monza che fu. Il 4 gennaio 1926 moriva Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia, consorte di Umberto di Savoia, fu la prima regina d’Italia. Soggiornò spesso a Monza in Villa Reale.

Negli anni in cui fu al fianco di Umberto I come principessa ereditaria e, dal 1878 come regina d’Italia, esercitò una notevole influenza sulle scelte del marito e un grande fascino presso la popolazione, facendo sapiente uso delle proprie apparizioni pubbliche, concepite per attrarre il popolo con un abbigliamento ricercato e una costante affabilità.
[...]

sabato 4 gennaio 2014

Nuovo articolo sul sito di Re Umberto II

Il sito dedicato a Re Umberto II è stato aggiornato con un servizio sulle Sue vacanze a Madera nel Febbraio del 1965, subito dopo la convalescenza per i problemi di salute avuti nel 1964 per i quali fu ricoverato nella Londo Clinic.

http://www.reumberto.it/Madera65.htm

venerdì 3 gennaio 2014

ARISTOCRAZIA DEL PENSIERO E FORMA ISTITUZIONALE

Convegno Unione Monarchica Italiana, Napoli, 16/11/2013  
Giovanni Vittorio Pallottino
Il periodo che stiamo vivendo appare segnato dalla mancanza di prospettive, in breve dal vuoto della speranza, quello che induce tanti nostri giovani qualificati, molte diecine di migliaia ogni anno, a cercare una strada all’estero. Sono impietose al riguardo le recenti analisi di Luca Ricolfi (La Stampa, 14 ottobre 2013), che parla una Italia dove nulla cambia ormai da tempo, e di Ernesto Galli della Loggia (Corsera, 20 ottobre 2013), che spiega come il nostro Paese sia stia perdendo, disfacendosi lentamente. Il quadro complessivo è dunque ben diverso, diciamo anzi opposto, a quello vissuto nei primi decenni del Regno d’Italia, dove le speranze di costruire una nazione trovavano rispondenza nei fatti, con progressi straordinari in tutti i campi come ha magistralmente illustrato Domenico Fisichella nel suo libro Dal Risorgimento al Fascismo (Carocci, 2012).
 Uno dei dati di fatto più preoccupanti è che, mentre la ricerca scientifica continua ad essere sottofinanziata, il nostro sistema industriale perde un pezzo dopo l’altro, procedendo sulla strada della deindustrializzazione, come ha documentato anni fa Luciano Gallino nel saggio La scomparsa dell’Italia industriale (Einaudi, 2003), anche in settori dove l’Italia emergeva. Prima l’informatica, dopo la scomparsa di Adriano Olivetti, poi la chimica, l’acciaio (Terni e ora ILVA), gli elettrodomestici, l’alluminio (Alcoa), Ansaldo, Telecom, Alitalia. E tutto il resto del settore manifatturiero in crisi anche per l’avanzata della globalizzazione e del made in China.
Ma dove stanno, dove erano, le elite culturali che avevano piena nozione della pericolosissima strada seguita dai governi per molti decenni di seguito? Cioè coloro che si rendevano conto dell’improvvisazione alla base di politiche non meditate, oscillanti fra abbandoni di posizioni di preminenza e spreco di risorse per improbabili salvataggi  o costruzione di cattedrali nel deserto. Arrivando, nella sostanza, ad affidare la politica industriale del Paese agli interventi estemporanei dei sindacati, della magistratura o peggio ancora alle sollevazioni popolari alla base del Nimby.
Dove erano dunque queste elite culturali? Sostanzialmente in silenzio forzato, dato che nelle vicende politiche della nostra sfortunata repubblica le esigenze del momento, per motivi elettorali, hanno sempre dominato sugli interessi nazionali a più lungo termine, In buona sostanza perché si considera inutile fare favori alle generazioni future, quelle che oggi non votano.
Del resto le elite culturali della scienza, della tecnologia e dell’impresa non sono rappresentate neppure laddove la costituzione repubblicana, mantenendo, sia pure assai limitatamente, una norma dello Statuto Albertino, prevedeva appunto la presenza di questi personaggi nel senato. E a questo proposito possiamo fare un piccolo esercizio di analisi applicata alla storia politica del nostro Paese.
Ricordiamo allora che il Senato del Regno era vitalizio e di nomina regia, e che in base all’art. 33 dello Statuto, i senatori potevano essere scelti fra gli appartenenti a determinate categorie, una delle quali riguardante i membri dell’Accademia reale delle scienze, poi Accademia dei Lincei, un’altra Coloro che con servizii e meriti eminenti avranno illustrata la Patria.
Scorrendo l’elenco dei membri del Senato del Regno, nel secolo che va dal 1848 alla sua soppressione a seguito del mutamento istituzionale, si rimane impressionati dal numero e dalla qualità dei personaggi. Accanto ai molti esponenti delle lettere e delle arti, da Manzoni a Verdi (che si autoqualificò scherzosamente come “Suonatore del Regno”), e delle scienze umane, da Maffeo Pantaleoni a Benedetto Croce, Giovanni Gentile e Luigi Einaudi, sono particolarmente numerosi i rappresentanti delle scienze matematiche, fisiche e naturali e delle scienze mediche.
Fra i matematici  troviamo Ulisse Dini, Giuseppe Colombo, Vito Volterra, fra gli astronomi Giovanni Schiaparelli. Fra i fisici: Antonio Pacinotti, inventore della dinamo, Carlo Matteucci, Augusto Righi, il geofisico Luigi Palmieri, Pietro Blaserna (predecessore di Corbino nella direzione dell’Istituto di fisica dell’Università di Roma), Orso Mario Corbino e Antonio Garbasso.  Fra i chimici: Stanislao Cannizzaro, e Giacomo Ciamician. Fra i medici: il premio Nobel Camillo Golgi, il tisiologo Eugenio Morelli, l’inventore dello pneumotorace Carlo Forlanini, Antonio Cardarelli, Giuseppe Bastianelli e numerosi altri.
Ma vanno ricordati anche i senatori prescelti fra i personaggi operanti nell’ambito delle scienze applicate e delle tecnologie, come Guglielmo Marconi, l’elettrotecnico Galileo Ferraris, padre del moderno motore elettrico, l’agronomo genetista Nazzareno Strampelli, il fisico Guglielmo Mengarini che realizzò la prima trasmissione a distanza dell’elettricità in corrente alternata, e l’ingegnere Piero Puricelli a cui si deve la concezione delle moderne autostrade e la loro prima realizzazione in Italia.
Tutto ciò significa che la camera alta del Regno poteva  avvalersi della presenza e del consiglio di personalità dotate di altissima qualificazione nelle più diverse discipline scientifiche e tecnologiche. E  il punto veramente essenziale è che queste personalità erano pienamente libere di operare secondo i loro intendimenti, non essendo legate a mandati elettorali.
La carica di senatore non era certamente un titolo di facciata, puramente onorifico.  Gran parte di questi personaggi svolsero infatti ruoli attivi, assumendo incarichi importanti, anche a livello di governo, esercitando potere decisionale soprattutto nei settori dell’istruzione pubblica, della medicina e in generale della scienza; determinando le direzioni di sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica e creando nuove istituzioni. A tal proposito, va ricordato il grande matematico e fisico Vito Volterra, padre della moderna ecologia matematica. Perché ebbe un ruolo  essenziale nella costituzione nel 1923 del Consiglio Nazionale delle Ricerche, del quale fu il primo presidente. E anche l’opera dell’agronomo Nazzareno Strampelli per la creazione dell’Istituto Nazionale di Genetica per la Cerealicoltura, che portò a migliorare grandemente la resa delle coltivazioni del grano.
Più nota, anche grazie agli sceneggiati trasmessi in Tv negli anni scorsi, è la vicenda del direttore dell’Istituto di Fisica dell’università di Roma Orso Mario Corbino (1876-1937). Senatore del Regno nel 1920, ministro della Pubblica Istruzione e poi dell’Economia Nazionale nei primi anni Venti, Corbino ha il grande merito di aver chiamato Enrico Fermi all’università di Roma, istituendo per lui la prima cattedra di Fisica teorica in Italia, e di aver contribuito in modo decisivo alla creazione della “scuola di via Panisperna”. Le scoperte di questo gruppo di giovanissimi aprirono la porta a sviluppi determinanti della fisica nucleare e condussero successivamente, per opera di Fermi, alla prima dimostrazione dello sfruttamento pratico dell’energia nucleare, attuata a Chicago nel dicembre 1942. Ma qui è opportuno ricordare come Corbino, egli stesso fisico di indubbio valore, non disdegnasse, come del resto vari altri studiosi del tempo, di occuparsi di questioni applicative, fra le quali rammentiamo l’impegno per favorire lo sviluppo della produzione idroelettrica: quel “carbone bianco” che per decenni, come già ricordato, avrebbe garantito all’Italia piena autonomia nell’approvvigionamento dell’energia elettrica. Tuttavia il ricordo dei meriti di Corbino non evitò, nei primi anni ’80, che la nostra proposta di intitolargli un liceo scientifico, l’attuale liceo Talete di Roma, venisse respinta dagli insegnanti, evidentemente influenzati dallo spirito del “sessantotto”.
La creazione di una scuola scientifica di grande rilievo come quella dei fisici di Roma, grazie al ruolo istituzionale del promotore, non fu certamente una eccezione. La vicenda del fisico Antonio Garbasso (1871-1933), per esempio, è per molti versi parallela a quella di Corbino. Sindaco di Firenze e anch’egli senatore, negli stessi anni ‘20 del secolo scorso Garbasso chiamò Enrico Persico a insegnare fisica teorica a Firenze e creò la meno conosciuta, ma assai importante, “scuola fiorentina di fisica” con personaggi quali Bruno Rossi e Giuseppe “Beppo” Occhialini.  Studiosi che diedero contributi essenziali agli studi sui raggi cosmici, nel settore di ricerca che va oggi sotto il nome di “astroparticelle”, sfiorando entrambi il Nobel, che avrebbero pienamente meritato.
Osserviamo ora che tutto ciò avveniva in epoca assai lontana, fra un secolo e mezzo e un secolo addietro, quando l’importanza della scienza e della tecnologia nella società era incomparabilmente inferiore a quella di oggi. Pensiamo soltanto ai problemi dell’energia, dell’ambiente e del clima, all’innovazione tecnologica per lo sviluppo del sistema industriale e alle delicate questioni sollevate dai progressi delle scienze biologiche e mediche, che si pongono attualmente e a cui è arduo trovare soluzioni efficaci. Eppure a quel tempo, come abbiamo appena visto, il ruolo degli uomini di cultura, e in particolare degli scienziati, era, anche a livello istituzionale, decisamente assai più rilevante dell’attuale. Con ricadute preziose per l’Italia.
E oggi? Sappiamo che il senato repubblicano è sostanzialmente elettivo e che fra i senatori eletti annovera, e ha annoverato, valenti studiosi, sebbene estremamente pochi.  Nella costituzione del 1947 resta tuttavia una traccia delle norme del precedente Statuto Albertino, rappresentata nell’art. 59, che recita: Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. E che pone dunque un limite, peraltro variamente interpretato negli anni, al numero dei senatori a vita che possono essere nominati per meriti speciali.
Esaminando le informazioni raccolte sul sito del Senato troviamo che dal 1948 al 2012, a fronte di 31 nomine, vi è stato spazio soltanto per due scienziati - il matematico Guido Castelnuovo nel 1949 e, ben 52 anni dopo, il premio Nobel Rita Levi Montalcini nel 2001, che ha visto riconosciuti i suoi meriti solo alla veneranda età di  82 anni – e per un tecnologo, Sergio Pininfarina nel 2005. Qualche maggiore considerazione si riscontra per gli esponenti delle scienze umane, delle lettere, delle arti e dell’industria. Ma lo spazio maggiore è stato trovato per la categoria dei politici, che sono ben 16 sul totale di 36, a cui vanno aggiunte le 10 nomine di diritto riguardanti gli ex presidenti della repubblica, che rientrano in una diversa norma costituzionale.
E’ molto significativo osservare però che, nei decenni dell’epoca repubblicana, le scelte presidenziali hanno subito una evidente deriva, in quanto via via sempre più orientate a vantaggio dei politici rispetto agli esponenti della cultura e in generale della società civile. Fra i primi a ricevere la nomina a senatore, nel periodo1949-1950, troviamo infatti il già ricordato matematico Castelnuovo, il musicista Toscanini, lo scultore Canonica, lo storico Gaetano De Sanctis, l’economista Jannaccone e il poeta Salustri (Trilussa), cioè nessun politico. Nel 1991, invece, vennero nominati quattro politici (Spadolini, Andreotti, De Martino e Taviani) e un esponente dell’industria (Gianni Agnelli). In realtà una inversione di tendenza si registra con le recentissime nomine (2013) da parte del presidente Napolitano di due scienziati, il fisico Carlo Rubbia e la neurobiologa Elena Cattaneo, e dell’architetto Renzo Piano. 
Merita comunque ricordare una esperienza che risale all’epoca della presidenza Cossiga (non ancora “picconatore”). Quando incontrò un muro di gomma e si risolse in nulla il nostro suggerimento al segretario generale del Quirinale Sergio Berlinguer di proporre al Presidente la nomina a senatore del fisico Edoardo Amaldi, scienziato di primissimo ordine e persona di straordinario e disinteressato impegno civile oltre che di grande umanità e saggezza.
La perdita di status della scienza a livello istituzionale si riflette inevitabilmente nella società. E i risultati li ritroviamo nella deriva antiscientifica in atto ormai da tempo, quella che ci allontana sempre più dal mondo moderno. Che impedisce di fare ricerca sugli OGM, castrando il sistema agroalimentare, che si oppone al nucleare rinunciando ad affidarci all’industria nazionale per ricorrere invece all’industria straniera per il fotovoltaico e l’eolico, provocando tra l’altro costi abnormi per le forniture di elettricità, che si oppone alla TAV pur proclamando di lottare contro il trasporto su gomma, che combatte la ricerca medica su pretesti animalisti arrivando alla violenza nei confronti degli studiosi come nel caso Garattini, che impedisce la valorizzazione dei rifiuti urbani imponendone l’invio all’estero con una perdita valutata in 4 miliardi l’anno.

E voglio ricordare, per concludere, altri due elementi che segnano la crisi di prospettive che si accompagna alla perdita del senso dello stato e alla decostruzione della Nazione. Da un lato il crollo demografico, per cui siamo incamminati sulla strada dell’estinzione, e dall’altro la continua crescita, negli anni, della parte di territorio nazionale controllato effettivamente dalla malavita organizzata- Che è resa palese, per fare un esempio recentissimo, dall’episodio riguardante la partita di calcio Nocerina-Salernitana.