NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 23 febbraio 2024

IL “CANTO NAZIONALE” CATTOLICI E RISORGIMENTO ITALIANO

 

Dopo la “finzione” Rai su Mameli

 

di Aldo A. Mola

 

Più luce sui Padri Scolopi chiede da Carcare il sindaco Mirri

Il “Canto nazionale”, noto anche come “Inno di Mameli”, rientra fra i tabù. Vietato scriverne per non incappare in “scomuniche”. Gradito o meno, esso deve piacere e va cantato perché “è così che si deve fare”. Il suo culto rientra tra i “precetti della Repubblica”. Viene sorbito come i medicinali, senza porsi domande.“Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole / e più non dimandare...” scriveva padre Dante Alighieri, principe di liberi pensatori, esuli, perseguitati e (come lui) condannati al rogo in contumacia. Sulla sua traccia, lo storico scevro da preconcetti ricerca documenti, li contestualizza e li propone al lettore affinché costui possa formare la sua valutazione senza pregiudizi dogmatici, con la “ragione”, che ignora gli “idola tribus”.

   Di quando in quando la genesi del Canto nazionale è stata messa in connessione con il Collegio casalanziano di Carcare (Savona), ove, come inoppugnabilmente documentato, Goffredo Mameli fu ospite nel settembre 1846. Poiché, però, qualcuno ha ipotizzato che i suoi versi siano debitori nei confronti dello scolopio Atanasio Canata, sia le biografie sia le evocazioni filmiche di Mameli hanno ritenuto prudente tacitare ogni curiosità facendo calare il più compatto silenzio sulla sua presenza nel Collegio scolopico di Carcare, il quale è invece giustamente fiero di aver formato nelle sue aule tanti insigni patrioti di metà Ottocento. Esso non fu l'unico, ben inteso. Da secoli le Scuole Pie fondate dallo spagnolo san Giuseppe Casalanzio (1557-1648) svolgevano anche in Italia un ruolo educativo d'avanguardia e di eccellenza. Fra i tanti spiccarono nel collegio San Giovannino di Firenze due docenti di Giosue Carducci, maestro e vate della Terza Italia: Eugenio Barsanti (inventore del motore a scoppio) e Francesco Donati, il “Cecco Frate” reiteratamente visitato dall'“allievo”, massone mai pentito, campione dell'anticlericalismo ma al tempo stesso rispettoso della fede verace, come emerse dal suo muto dialogo con Giuseppe Verdi a Palazzo Doria in Genova. Secondo Annie Vivanti, testimone oculare, dopo lungo silenzio Carducci confidò sommesso: «Io credo in Dio». «E Verdi fece sì, solennemente, con la candida testa.»

    Per evitare il rischio di fare i conti con la verità dei fatti, la “finzione” su Goffredo Mameli recentemente proposta da un canale televisivo della RAI si è attenuta alla regola: “quieta non movere”. Però, come noto, si pecca di pensieri, parole, opere e omissioni. Non si può certo pretendere che uno “sceneggiato” sia un documentario. Ma non può neppure essere troppo o del tutto lontano dalla verità, per non mancare alla sua “missio”: informare, proponendo allo spettatore la complessità degli eventi e dei personaggi evocati e così assolvere, almeno a grandi linee, al proposito “pedagogico”, vanto della televisione italiana dai suoi esordi agli Anni Sessanta. In quella lunga e rimpianta stagione, nella trasposizione di classici della letteratura, di vicende e di protagonisti della storia essa non si prese le licenze poi divenute comuni nei film, quali il famoso “Nell'anno del Signore” di Luigi Magni (1969), che dipinse il cardinale Agostino Rivarola più feroce e iniquo di quanto fu ed erroneamente addebitò a lui la condanna alla ghigliottina dei carbonari Leonida Targhini e Angelo Montanari, accusati senza prove di un “fatto di sangue” (tema di una pièce teatrale di Valeria Magrini, in programma a Ravenna per iniziativa della Fondazione Ravenna Risorgimento, presieduta da Eugenio Fusignani, nel centenario del loro supplizio).

   Veduta la “fiction”, il sindaco di Carcare, Rodolfo Mirri, non l'ha presa bene. Fedele alla sua formazione professionale di arbitro calcistico (con tanto di “Fischietto d'oro”) e fautore del giusto equilibrio, da tempo rivendica al suo Comune il rango di “città del Canto Nazionale” al pari di Genova che, con mezzi di gran lunga più possenti, ne pretende il monopolio. Per cogliere le sue buone ragioni è opportuno ricordare in sintesi chi fu Goffredo Mameli, i suoi rapporti con il Collegio scolopico di Carcare e i riferimenti storici presenti nel “Canto”, fondamentali per fissarne in maniera attendibile la datazione.

 

Goffredo Mameli. Chi era costui? Come nacque un eroe.

 

Nato a Genova nel 1827 da Giorgio Mameli, nobile cagliaritano, capitano di vascello, valoroso combattente contro i pirati nordafricani e fedelissimo dei sovrani sabaudi, e da Adele Zoagli, di cui si dice fosse invaghito Giuseppe Mazzini, sui dieci anni Goffredo fu iscritto alle Scuole Pie di Genova. Il 29 giugno 1843, all’Università, il giovane Mameli ebbe un alterco col diciottenne Giuseppe Lullin e venne punito con un anno di allontanamento dai corsi. Nell'agosto 1846, diciannovenne, fu ammesso al primo anno di legge. In settembre lo scolopio Raffaele Ameri lo condusse con sé in “vacanza di riflessione” da Genova al Collegio di Carcare, ove era già stato allievo un suo fratello. Del viaggio Goffredo dette conto in lettere assai sgrammaticate. A Carcare conobbe il focoso padre Atanasio Canata (Lerici, 1811 - Carcare, 1867), drammaturgo e poeta apprezzato da Alessandro Manzoni, ispiratore di prestigiosi discepoli, quali Pietro Sbarbaro, deputato, massone, autore di libelli famosi, Anton Giulio Barrili e il celebre Giuseppe Cesare Abba, garibaldino e futuro senatore del Regno, che lo ricorda con affetto nelle celebri “Noterelle di uno dei Mille”.

   A Carcare Goffredo si ambientò bene, come padre Ameri scrisse al confratello Agostino  Muraglia. Goffredo stesso il 9 settembre 1846 lo confermò a Giuseppe Canale. Arrivato stanco morto, “dopo cena mi posi a letto, che sogno che avevo non potea più tener gli occhi aperti. Del resto faccio di tutto per passare il tempo senza anoiarmi, mi provo a giocar al pallone alla palla, così comincio così finisco il giorno... qui ogni momento si prega, cosa buonissima ma che guasta le ginochia”. Forse per la stanchezza, forse per la fretta, all’epoca scriveva così.

   Com’è, come non è, il 10 novembre 1847, tramite l'amico Ulisse Borzino, Goffredo mandò un Canto al musicista Michele Novaro, che in quel momento, a Torino, era  in casa di Lorenzo Valerio, capofila della Sinistra democratica. Quando glielo consegnò, Borzino disse: “Te lo manda Mameli”, senza riferimenti al suo autore. “Col cuore in tumulto”, narrò molti anni dopo, Novaro corse a casa e, cappello in testa, scrisse freneticamente le note di quello che dovrebbe quindi esser detto l’“Inno di Novaro”, poiché di solito i canti sono ricordati dal nome del compositore e non da quello del paroliere, per quanto prestigioso. È il caso, tra i molti, dell'Inno alla gioia, che tutti ricordano dal nome di Ludwig van Beethoven mentre rimane in ombra quello, pur famoso, di Schiller, autore del testo. Nella concitazione Novaro rovesciò la lucerna sul foglio mandatogli da Mameli, sicché il  manoscritto originale andò irrimediabilmente perduto.

   Del Canto abbiamo un paio di copie. La prima, conservata al Museo del Risorgimento di Genova, inizia: “Evviva l’Italia / l’Italia s’è desta...”. Nella seconda (Museo del Risorgimento di Torino) si legge invece “Fratelli d’Italia...”, ma anche “Evviva l’Italia / dal sonno s’è desta...”. Fra le copie a stampa pubblicate nel 1848, quella della tipografia Andrea Rossi di Modena precisa: “Parole di Mammelli, musica del Maestro Novella (Piemontesi)”.

   In attesa della visita di leva, da Novi Ligure il 15 ottobre 1847, cioè proprio pochi mesi prima di inviare il Canto a Novaro, Goffredo espose il suo ideale di vita in una lettera alla madre: “Io qui me la passo benissimo, mangio per quattro, dormo molto, non faccio nulla, penso meno e questo è l'ideale del mio Paradiso, credo che voialtri farete altrettanto”. Rifiutò l’arruolamento nelle file dell'esercito sardo e, contro l'esborso concordato, si fece surrogare. All'epoca era consentito. Il benestante pagava e si liberava dalla noia del “servizio” e dal rischio della mobilitazione. Il meno abbiente si accollava l'una e l'altro, ma controvoglia. Perciò, come documentano Piero Pieri nella storia militare del Risorgimento e il generale Oreste Bovio in quella dell'esercito italiano i “dispersi in battaglia” erano quasi sempre più numerosi di morti e feriti. Semplicemente, prendevano il largo.

   Nel dicembre 1848, dopo rapida maturazione politica, Mameli accorse volontario a Roma per difendere la Repubblica proclamata il 9 febbraio 1849 su proposta di Giuseppe Garibaldi e di Carlo Luciano Bonaparte, principe di Canino, già promotore dei Congressi degli scienziati Italiani che tra il 1838 e il 1847 furono il volano dell'idea di Italia e gettarono le basi dell'unione culturale partendo dalle “scienze esatte”, meno compromettenti, per arrivare passo dopo passo a questioni scolastiche, pedagogiche e politiche. Il 3 giugno 1849, durante una sortita, un commilitone inferse un colpo di baionetta nella gamba sinistra di Mameli. Tra cure troppo sommarie e la calura estiva, la ferita  suppurò e andò in cancrena. Mazzini, triumviro della Repubblica con Carlo Armellini e Aurelio Saffi, gli scrisse che doveva rassegnarsi all'amputazione per salvare la vita e continuare la sua missione. Confortato da padre Ameri e dal barnabita Alessandro Giavazzi, Goffredo affrontò la terribile prova. Il 2 luglio Garibaldi decise di uscire da Roma alla volta di Venezia alla testa di duemila volontari, cui promise lacrime e sangue. Il 3 l'Assemblea suggellò la Costituzione della Repubblica Romana: un testo limpido ed esemplare, solennemente letto in Piazza del Campidoglio quale eredità della lunga resistenza dei volontari accorsi in aiuto della Repubblica contro i 30.000 uomini inviati da Luigi Napoleone, principe-presidente della repubblica francese, a restaurare Pio IX, di concerto con gli austriaci e i borbonici del Regno delle Due Sicilie. Il 4 luglio i francesi entrarono in Roma. Goffredo morì il 6. Padre Ameri gl’impartì il viatico e ne curò la sepoltura. Il Risorgimento era e rimaneva cristiano.

   In Inferno, Purgatorio e Paradiso d’Italia  scitto negli anni seguenti padre Canata lamentò un duplice disinganno: la rottura dell’unità d’azione di cattolici e patrioti e il furto di una poesia. Parlando di sé egli scrisse: “A destar quell’alme imbelli / meditò robusto un canto;/ ma venali menestrelli/ si rapian dell’arpe il vanto: / sulla sorte dei fratelli / non profuse allor che pianto, / e aspettando nel suo cuore/ si rinchiuse il pio cantore”. Secondo una tradizione mai spenta a Carcare si riferiva al Canto nazionale da lui dato o dettato a Mameli. Ma perché né lui né altri docenti lo indicarono nominativamente? Come spiegato dallo scolopio Luciano Giacobbe, lo fecero per pietà cristiana nei confronti di un giovane che aveva pagato con la vita i suoi generosi ideali e che, contro la verità dei fatti, veniva dipinto come mangiapreti. Da una parte vi era e vi è la matrice cattolica del Risorgimento, dall’altra la deformazione della storia, che ne fece un’impresa genericamente anticlericale, a tutto vantaggio di chi lo dipinge come complotto massonico.

   Del resto, chiunque ne sia l'autore, la genesi e il contenuto del Canto parlano da sé. Esprimono un pensiero adulto e profondamente  religioso: “Uniamoci, amiamoci;/ l’unione e l’amore/ rivelano ai popoli/ le vie del Signore”. Parole di un Maestro. Nella versione dell'inno conservata alla Società economica di Chiavari, il canto inizia “Oh Figli d’Italia...”. Non è la voce di un ventenne, ma di un docente che dalla cattedra si rivolge ai discepoli, di un sacerdote che parla da un pulpito ideale ai “fratelli”: un termine, codesto, tipico delle congregazioni religiose e in specie dei francescani in tutte le loro articolazioni, molto prima che fosse assunto dagli iniziati a logge massoniche e a vendite carbonare.

 

Storia e poesia nel Canto degli Italiani

 

Per datare la genesi del Canto, particolare attenzione meritano i suoi cenni a fatti storici: pochi, ma tutti molto allusivi. Alcuni si riferiscono alla storia antica e moderna. Il primo è quell'“elmo di Scipio” che suscitò il commento sarcastico di Giosue Carducci e che, tuttavia, è meno banale e retorico di quanto paia. Rinvia, infatti, alla riscossa di Roma contro il cartaginese Annibale, vittorioso al Ticino, alla Trebbia, al lago Trasimeno e a Canne, la sconfitta più cocente subita dalla Roma dei consoli. Per reagire alla sequenza di rovesci i Romani si spinsero a invocare gli Spiriti Ctoni praticando sacrifici umani. Seppellirono vivi due Greci e due Galli. La Roma evocata dall'inno è quella dei condottieri, cantata da Virgilio nell'Eneide: “parcere subiectis” e “debellare superbos”, monda dall'addebito (che le venne mosso nell'Agrippa da Publio Cornelio Tacito) di vantarsi portatrice di pace dove faceva il deserto: uno scambio di ruoli possibile solo elevando la storia a missione universale, divina, come nella visione apocalittica dei Quattro Imperi. In secondo luogo il Canto invoca la fusione dell'“italia gente da le molte vite” (Carducci) in un unico popolo, ridestato dal torpore e dalla servitù. Con parole pressoché identiche lo aveva già spiegato il criptogiansenista Alessandro Manzoni nel famoso coro dell'“Adelchi”. L'ispirazione è manifestamente ecclesiastica. È il pensiero di Vincenzo Gioberti (Torino, 1801 - Parigi, 1852), presbitero e cospiratore nei Cavalieri della Libertà, poi autore del “Primato morale e civile degli italiani” (1843), un'opera scritta di getto, caotica, alimentata dalla passione più che dalla ragione e nondimeno fondamentale per la diffusione dell'idea di Italia. Su suo impulso uscirono decine di migliaia di poesie, canti, manifesti, fogli volanti e opuscoli inneggianti agli italiani, non più “volgo disperso che nome non ha” (parole di Manzoni) ma avviati a una “unione”, confederazione o “lega” (almeno doganale, come proponeva il principe di Canino) presieduta dal papa.

   In una lettera scritta all'autore di questa “noterella” vent'anni addietro da Cornigliano (Genova), padre Luciano Giacobbo sintetizzò così il percorso dei padri di Carcare e più in generale della provincia religiosa scolopica della Liguria: «Esso affondava le sue origini nella seconda metà del Settecento, quando buona parte dei padri italiani avevano abbracciata la teologia giansenista. Agli inizi dell'Ottocento questa era sfociata in un atteggiamento morale rigoristico e in una posizione concreta antigesuitica, antitemporale e democratica, che nel corso del secolo poi si andò strutturando in ideologia patriottica caratterizzata dall'adesione sincera al giobertismo.» Quello, appunto, espresso da padre Canata nelle sue opere e che prorompe dal Canto degli italiani. La cui penultima strofa, densa di richiami storici, è la più suggestiva. Promette la vittoria dei “vinti” sull'Aquila imperiale dell'Austria, che nel tempo, in combutta con i russi (“cosacchi”), aveva bevuto il sangue degli italiani come quello dei polacchi. Quando? Nel 1799-1800, allorché gli austro-russi irruppero nell'Italia settentrionale e vi abbatterono le precarie repubbliche instaurate su impulso di Napoleone e del Direttorio di Parigi, e ancora nel 1830, con la repressione dell'insorgenza polacca. Nel febbraio-marzo 1846 la Galizia polacca visse un'altra stagione di disordini, oscura e contraddittoria, sostanziata nel massacro di circa duemila “nobili” da parte dei contadini polacchi, rapidamente schiacciati dagli asburgici, che occuparono Cracovia con il consenso di tutta l'Europa liberal-moderata. L'ultima strofa del Canto, infine, mescola i “liberi comuni” in lotta contro Federico Barbarossa (Legnano: un mito rinfrescato da Luigi Tosti, abate di Montecassino), il fiorentino Francesco Ferrucci, celebrato da Massimo d'Azeglio, e il genovese Giovanni Battista Perasso, detto  “Balilla”, il “ragazzo di Portoria” che, secondo la tradizione, il 5 dicembre 1746 scatenò la rivolta della Superba contro gli austriaci scagliando il sasso contro la testa di un armigero arrogante, in quel momento alleato di Carlo Emanuele III di Savoia (ma il testo si guarda bene dal dirlo).

   I quattro assenti dal Canto sono Carlo Alberto di Savoia, l'“italo Amleto” il cui orientamento “italiano” nel 1846 era ancora tutto da decifrare, mentre divenne trasparente nel 1847; Pio IX, che fu eletto papa il 16 giugno 1846; Mazzini, con buona pace di quanti ritengono che il cosiddetto Inno di Mameli sia pregno del suo magistero; e la “repubblica”, di cui invano vi si cercherebbe l'eco. Quanto ai Vespri siciliani, va ricordato che nel 1282 essi quelli furono un'insorgenza contro i Francesi, ma non per la fondazione di un regno indipendente, bensì a favore degli Aragonesi (“padrone lontano, briglia sciolta”).

   Una domanda attende risposta: perché nel Canto si parla di “fatti” del 1846 ma non v'è traccia alcuna del 1847? Questo fu un anno denso di eventi drammatici e di cambiamenti: l'occupazione austriaca di Ferrara, la sanguinosa guerra in Svizzera tra i cantoni cattolici e quelli protestanti, conclusa con la vittoria dei secondi e la trasformazione, a nome immutato, della confederazione elvetica in federazione, il varo di riforme da parte di Pio IX e la svolta di Carlo Alberto a sostegno della causa italica. Se davvero l'Inno fu scritto alla vigilia del pellegrinaggio a Oregina del dicembre 1847 (come ripetuto dalla “finzione” televisiva) com'è che di quei “fatti” così numerosi e importanti nulla si dice , mentre il mitico “ Balilla” venne evocato nel 1846, in coincidenza con il Congresso degli scienziati italiani celebrato in Genova?

   Ha dunque ragione il sindaco di Carcare Rodolfo Mirri a volerci vedere più chiaro. Allo scopo, dopo aver esposto le ragioni del suo Comune al Presidente Sergio Mattarella, per la mattina del 13 aprile l'Arbitro ha in progetto un convegno di studi per approfondire i legami tra Mameli e Carcare, che vuol anche dire tra il giovane patriota e gli Scolopi, da padre Ameri ad Atanasio Canata. Sono previsti interventi del Comune di Lerici e della saggista Bruna Magi: non per togliere a Mameli e all'Inno la meritata gloria, ma per dare “unicuique suum”, in nome della verità dei fatti.

 

Aldo A. Mola

 

 

DIDASCALIA: Il Collegio di Carcare, ove Goffredo Mameli fu ospite dei padri Scolopi e conobbe il poeta e drammaturgo Atanasio Canata.

  Per un sintetico profilo di Mameli v. Marco Albera e Manlio Collino,  Saecularia sexta Album. Studenti e Università a Torino.  Sei secoli di storia, Torino, Elede, 2005. 

sabato 10 febbraio 2024

La scomparsa di S.A.R. il Principe Vittorio Emanuele

di Emilio del Bel Belluz




La notizia della morte di S.A.R. Vittorio Emanuele IV, Principe di Napoli mi colse all’improvviso, mi trovavo in un ufficio postale a chiedere se il libro che gli avevo spedito fosse arrivato. Improvvisamente squillò il telefono, e il mio amico Ado mi comunicava la scomparsa di S.A.R. Vittorio Emanuele di Savoia. Pensai subito alla strana coincidenza. Il libro è un romanzo che ho scritto e che riguarda la fedeltà di un giovane italiano verso i valori di riferimento di un tempo. Il volume è stato dedicato al Principe. Da qualche giorno avevo saputo che era ricoverato in ospedale a Ginevra. Nel mio cuore avevo deciso di fargli una sorpresa per il suo Genetliaco e quello della moglie, la principessa Marina di Savoia. La mia speranza era quella che il libro potesse arrivare a destinazione per questo evento. All’interno vi avevo posto degli articoli scritti sul “ Piave “, e dedicati a Casa Savoia. Alcuni mesi fa gli avevo mandato un santino che un caro amico aveva stampato: era dedicato a San Leopoldo Mandic’ e alla Regina Elena. Avevo saputo che lo aveva ricevuto, e mi sembrava d’aver fatto una cosa bella. Nella parte dedicata a San Leopoldo vi avevo riportato delle parole a lui tanto care: “ Fede abbiate fede. Dio è medico e medicina.”. Speravo che leggendole, la malattia che stava affrontando, venisse alleviata. Nel mio cuore nutrivo il pensiero che il santino di San Leopoldo e della Regina Elena gli fosse di compagnia e che lo avesse collocato sul comodino. Con la tristezza nel cuore volli recitare una preghiera, come di solito si fa per le persone care che ci vengono a mancare. Seppi che aveva vicino a sé la moglie e il figlio S.A.R. Principe Emanuele Filiberto di Savoia. La morte è più dolce per le persone che hanno la fortuna d’avere vicino la famiglia. Quarantuno anni fa moriva sempre a Ginevra, il Re d’Italia suo padre, e il dolore che provai, lo ricordo come se fosse oggi. Il destino volle che il cielo sotto cui morirono, fosse svizzero.  La notizia della morte del figlio di Re Umberto II fu data alla televisione e mi aspettavo dei commenti consoni ad una persona la cui famiglia fece l’unità d’Italia, e la cui storia fu millenaria. Quello che vidi invece mi fece male, da italiano e da monarchico: il Principe fu fatto vedere con le manette ai polsi, nonostante fosse stata dimostrata la sua innocenza per i reati a lui imputati e per cui lo Stato italiano aveva pagato migliaia d’euro di risarcimento. Tale somma fu poi devoluta in beneficenza, a dimostrazione del suo cuore buono. Un’ altra cosa che mi rattristò è che non si facesse cenno al suo titolo di Principe. Constatai che la parola rispetto non apparteneva più a questo Paese. Il mancato riconoscimento del suo titolo l’ho considerato una grande offesa fatta a quelli che hanno mantenuto la fedeltà a Casa Savoia negli anni. Uno dei più grandi maestri del Diritto, l’avvocato e giurista Francesco Carnelutti diceva che: “ L’Italia è la culla del diritto, e la tomba delle giustizia”. Dai media, invece, risultò che l’Italia fosse diventata la culla dell’odio e del fango. La morte di un Savoia non poteva essere trattata in questo modo ignominioso. Anche i giornali che si considerano conservatori, quali il Giornale diede a un suo articolo il titolo: “ L’ultimo “non Re d’Italia” e il quotidiano Libero s’è espresso così: “ La nuova erede al trono che non c’è” . Quello che mi fece più male è essere stati feriti dal fuoco che si intendeva amico. Il mio pensiero andò ai grandi giornalisti di una volta e a cosa avrebbero scritto. Credo che il grande Indro Montanelli non avrebbe mai permesso una cosa simile, come pure i compianti scrittori Mario Cervi e Giorgio Torelli. Pensai allo scrittore Giovannino Guareschi che avrebbe preso la sua penna e si sarebbe scagliato contro quello che è accaduto. La vita di Giovannino Guareschi fu sempre fedele e leale a Casa di Casa Savoia. Di sicuro si sarebbe battuto a spada tratta. I tempi cambiano in peggio, e tutti siamo diventati dei giudici irriverenti ed irrispettosi. Successivamente pensai al periodo storico che cambiò la vita di Sua Maestà Vittorio Emanuele IV. L’Italia aveva appena ultimato il referendum che doveva scegliere tra la repubblica e la Monarchia. Vinse la repubblica con uno scarto minimo, ma come si venne a conoscenza ci furono dei brogli elettorali. Il Re Umberto II decise che non si spargesse del sangue per Casa Savoia, si pensi che a Napoli ci furono ben 9 morti tra i monarchici. Pertanto il Principe, da bambino, dovette imbarcasi da Napoli con la sua mamma e le sue sorelle, nel 1946. Quel bambino che fin poco prima aveva giocato con i suoi amici, ignaro di quello che stava accadendo, se ne andava in esilio. Una parola che il suo vocabolario non contemplava, ma che era come un sigillo che lo avrebbe segnato per sempre. Da quel giorno rimase in esilio per 57 anni, un periodo che segnò tutta la sua esistenza. L’esilio fu una delle pene più terribili imposta dalla repubblica democratica italiana a tutti i discendenti maschi di Casa Savoia che cessò solo nel 2003. Ma i mezzi di comunicazione non hanno mai sottolineato questo aspetto della sua vita. La Chiesa non ha mosso un dito per omaggiare il Re Umberto II che donò la Sacra Sindone al Papa. Il Principe Emanuele Filiberto, dopo la morte del padre, è stato intervistato alla televisione e ha pronunciato delle parole molto commoventi sulla figura del genitore che lasciavano trasparire il grande affetto che lo univa a Lui. Lo considerava come la persona più importante, come un maestro, come un confidente al quale rivolgersi nei momenti difficili della sua vita. Era una quercia alla quale ci si aggrappa nelle tante tempeste dell’esistenza. Ma ora sarebbe rimasto solo, senza un timone che indirizzasse il suo percorso umano. La vita di S.A.R. Vittorio Emanuele Filiberto è stata come quella del padre, vissuta nell’impossibilità di poter andare nella terra dei propri avi. Il cielo dove era nato non aveva gli stessi colori della patria, dove la sua famiglia era nata e vissuta. Ricordo che lo vidi in Francia durante una commemorazione della morte del nonno Re Umberto II. Era vicino al padre e salutava dando la mano a tutte le persone che erano venute. Un’ immagine che mi fece capire l’amore e la pazienza che aveva per il suo Paese. Quella volta mi sarebbe piaciuto dirgli di salire con noi in pullman e venire in Italia. Quel suo volto così sereno non l’ho mai dimenticato. La morte di S.A.R. Vittorio Emanuele di Savoia mi ha fatto veramente male. Dal terrazzo della mia casa ho esposto la bandiera dei Savoia a mezz’asta: volevo ricordare la mia immutata fedeltà verso Casa Savoia. Garriva al vento: un saluto a chi se n’é andato. L’altra sera mi venne in mente un quadro che ho nella mia casa. Ritrae dei filari di meravigliosi pioppi che costeggiano il fiume, donando ombra al viandante. In questa terra così bella è raffigurato anche un vecchio pescatore che aveva adagiato la lenza nel corso d’acqua, speranzoso di catturare qualche preda. La scena è molto emozionante e mi fece pensare alla passione per la pesca che aveva la regina Elena. Da cattolico pensai che il Principe avrà raggiunto la sua famiglia, abbracciato suo padre e sua mamma, ma si sarà visto anche con la Regina Elena che gli avrà proposto di accompagnarla a pescare tra la quiete dei pioppi e il mormorio del fluire delle acque. Con la morte di S.A.R. Vittorio Emanuele IV si chiude un capitolo importante della storia italiana e grande ed impegnativa è l’eredità spirituale che rimarrà a suo figlio S.A.R. il Principe Emanuele Filiberto Duca di Savoia e Principe di Venezia.

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domenica 4 febbraio 2024

Addio a S.A.R Vittorio Emanuele IV di Savoia, figlio di Re Umberto II


di Emilio Del Bel Belluz


Ieri, 3 febbraio 2024, è venuto a mancare S.A.R Vittorio Emanuele IV di Savoia, figlio di Re Umberto II.

In tutti questi anni ho sempre nutrito nei Suoi confronti una grande devozione e fedeltà. Il figlio del Re d’Italia Umberto II, dovette lasciare il Paese con la famiglia dopo il referendum. Vide per l’ultima volta l’Italia, al tramonto, quando la nave costeggiò la Sardegna. Rimase in coperta ad osservarla, assieme alla madre ed ai fratelli, quando la lontananza che aumentava sempre di più, fece scomparire il profilo della costa. 

Il principe di Casa Savoia aveva solo pochi anni, essendo nato nel 1937, e credo che mai avesse pensato di non tornare nel Paese dove era nato, il cui ricordo rimane per sempre. Il destino del Principe lo si conosce bene, dovette star lontano per 57 anni, poté rientrare in Italia nel 2003, assieme a S.A.R Emanuele Filiberto. Questa decisione fu davvero molto dura verso Casa Savoia. Nulla riuscirono a fare i tanti governi che si succedettero, come nessun rispetto fu riservato al Re Umberto II, morto in esilio e esiliato anche dopo la morte. Nella mia famiglia avevamo sempre avuto molto rispetto per Casa Savoia, per generazioni. Il bisnonno, il nonno e mio padre servirono con fedeltà questo casato. Nella mia infanzia ricordo che mia nonna per anni apparecchiava la tavola, lasciando un posto per mio padre che era partito in guerra e, poi, fu fatto prigioniero dai tedeschi e deportato in Prussia. Al paese era giunta la notizia che era morto e il prete del paese fece suonare le campane per annunciare la sua scomparsa. Ma a quasi due anni dalla fine della guerra tornò, stanco ma felice. Quel posto a tavola fu occupato. 

Fin da ragazzo avevo saputo che il mio Paese aveva riservato l’esilio per Casa Savoia, e non riuscivo a farmene una ragione: non capivo cosa avesse fatto di tanto male il Re Umberto II. Ho sofferto molto per non poter vedere i discendenti di Casa Savoia, un casato che ha contribuito a scrivere un secolo della storia italiana. Mi sarebbe piaciuto porgergli gli auguri per il suo 87° genetliaco, ma il Buon Dio ha voluto diversamente. Solo pochi giorni fa gli avevo inviato l’ultimo mio romanzo che avevo a Lui dedicato.

Emilio Del Bel Belluz

La scomparsa di SAR il Principe di Napoli , rassegna stampa III parte







È morto Vittorio Emanuele di Savoia - Notizie - Ansa.it

ANSA

È morto Vittorio Emanuele di Savoia, figlio di Umberto II, l'ultimo re d'Italia, e di Maria José. Avrebbe compiuto 87 anni il 12 febbraio.

Agenzia ANSA on X: "FLASH | È morto Vittorio Emanuele di Savoia" / X - twitter.com


Morto Vittorio Emanuele di Savoia: il figlio dell'ultimo re d'Italia aveva 86 anni

Il Fatto Quotidiano

... Savoia': “Alle ore 7.05 di questa mattina, 3 febbraio 2024, Sua Altezza Reale Vittorio Emanuele, Duca di Savoia e Principe di Napoli, circondato ...




È morto Vittorio Emanuele di Savoia - ilGiornale.it

ilGiornale.it

È morto Vittorio Emanuele di Savoia, l'ultimo erede al trono. 3 Febbraio 2024 - 11:17. L'esilio, un matrimonio inizialmente contestato dal padre e una ...




Morto Vittorio Emanuele di Savoia: dall'esilio agli scandali fino all'accusa di omicidio, la ...

Il Fatto Quotidiano

... Savoia fu rigorosamente vietato l'ingresso e il soggiorno in Italia. Personaggio controverso e autoritario, Vittorio Emanuele fu in perenne ...




Morto Vittorio Emanuele di Savoia: il figlio dell'ultimo re d'Italia aveva 86 anni. L'annuncio ...

Virgilio Notizie

Vittorio Emanuele di Savoia è morto a Ginevra nella mattinata del 3 febbraio 2024: l'annuncio del decesso del figlio dell'ultimo re d'Italia.




Vittoria di Savoia, chi è l'erede al trono (che non c'è) nominata da Vittorio Emanuele - Il Messaggero

Il Messaggero

Vittoria di Savoia, 20 anni, è la primogenita di Emanuele Filiberto di Savoia e pronipote dell'ultimo re d'Italia Umberto II.




Addio a Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell'ultimo re d'Italia - Open

Open

Vittorio Emanuele di Savoia è morto all'età di 86 anni. Figlio dell'ultimo re d'Italia Umberto II e di Maria José, era sposato con Marina Doria, da ...




È morto Vittorio Emanuele di Savoia, aveva 86 anni - La Stampa

La Stampa

Il principe Vittorio Emanuele di Savoia, nato a Napoli il 12 febbraio 1937, era figlio dell'ultimo re d'Italia Umberto II e di Maria José. Era sposato ...




È morto Vittorio Emanuele di Savoia - Il Post

Il Post

Vittorio Emanuele Alberto Carlo Teodoro Umberto Bonifacio Amedeo Damiano Bernardino Gennaro Maria di Savoia era nato a Napoli il 12 febbraio 1937.




 

Quando gli italiani voltarono le spalle alla monarchia - ilGiornale.it

ilGiornale.it

Con il referendum del 2 e 3 giugno 1946 gli italiani voltarono le spalle alla monarchia e abbracciarono la repubblica.




 

In lutto il mondo monarchico - Valledaostaglocal.it

Valledaostaglocal.it

Vittorio Emanuele di Savoia è intimamente legato alla storia della monarchia italiana. Figlio di Umberto II, l'ultimo re d'Italia, e di Maria José ...

 

 

Vittorio Emanuele, l'ultimo messaggio prima della morte: "Cosa deve fare la Monarchia"

Libero Quotidiano

Vittorio Emanuele è morto a 86 anni. E dopo la scomparsa dell'erede al trono di Casa Savoia c'è chi ricorda il suo ultimo mes...

 

 

Vittoria di Savoia, chi è l'erede al trono (che non c'è) nominata da Vittorio Emanuele - Il Gazzettino

Il Gazzettino

Il suo bisnonno, il re Umberto II, fu l'ultimo re d'Italia prima che la monarchia fosse abolita con un referendum del 1946 . La sua bisnonna era ...

 

 

Morto Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell'ultimo re d'Italia: fotostoria dall'esilio ai guai giudiziari

Virgilio Notizie

Il passaggio da monarchia a Repubblica e l'esilio. 3 di 7. Fonte: ANSA. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il passaggio dalla monarchia alla ...

 

 

Addio a Vittorio Emanuele, ultimo erede al trono d'Italia - Avvenire

Avvenire

Suo padre, Umberto II era stato re nel maggio 1946 prima che il referendum del 2 giugno spazzasse via la monarchia che, con il nonno, Vittorio ...



 

 

È morto Vittorio Emanuele di Savoia, l'ultimo erede al trono - ilGiornale.it

ilGiornale.it

Una breve parentesi a fronte di quasi 60 anni d'esilio trascorsi in Svizzera dove i Savoia trovano rifugio dopo la sconfitta della monarchia al ...


 

 

È morto Vittorio Emanuele di Savoia, il figlio dell'ultimo re d'Italia - MonzaToday

MonzaToday

La storia della monarchia è legata a quella della città di Monza: qui fu assassinato. Avrebbe compiuto 87 anni il 12 febbraio.


 

 

Vittorio Emanuele di Savoia età, cause morte, moglie, figli, patrimonio, figlio Emanuele

GalleriaBorghese.it

Vittorio Emanuele di Savoia è morto all'età di 87 anni, lasciando un vuoto nella storia della monarchia italiana. Ecco chi era.


 

 

 


La scomparsa di SAR il Principe di Napoli, rassegna stampa II parte


 


La Guardia d'onore del Pantheon: «Vittorio Emanuele di Savoia massacrato per tutta la vita
L'Unione monarchica italiana. E sempre da Roma giunge anche il «pensiero affettuoso» dell'Unione Monarchica ... monarchici italiani, e quanti hanno nel ...
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È morto Vittorio Emanuele di Savoia, il ricordo del royal watcher monzese - Il Cittadino MB
Thomas Luigi Mastroianni Monarchici Monza. Lo spiega il suo governor Thomas Luigi Mastroianni, già vicario (fino al 2020) ...
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Vittorio Emanuele di Savoia, ricordo di Jonghi - Il Quotidiano d'Italia
A 14 anni mi sono iscritto al Fronte Monarchico Giovanile della storica sede milanese dell'UMI (Unione Monarchica ... monarchici, i cavalieri e i nobili ...
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E' morto Vittorio Emanuele di Savoia - La Provincia Di Varese
Tags. #emanuele filiberto di savoia #monarchia #monarchici #principe ereditario #real casa di savoia #vittorio emanuele #vittorio emanuele di savoia ...
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Quando Vittorio Emanuele di Savoia da bambino era pronto a diventare re d'Italia
Una ipotesi temuta dal Furher, e per lo stesso motivo caldeggiata, nei mesi successivi, da alcuni più illuminati monarchici italiani, come Concetto ...
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È morto Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell'ultimo re di Italia - Euronews.com
Alcuni esponenti dell'aristocrazia italiana, gruppi monarchici e appassionati sostengono che il matrimonio di Vittorio Emanuele con Marina Ricolfi ...
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È morto Vittorio Emanuele di Savoia. Quando diceva: «Io re? Rimpiango solo di non essere ...
Quando ebbe la consapevolezza del destino che gravava sul suo capo principe? «Avevo 5-6 anni, vennero a Ginevra dei monarchici e quando presero il ...
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È morto Vittorio Emanuele di Savoia- Corriere.it
È morto Vittorio Emanuele di Savoia, figlio di Umberto II, l'ultimo re d'Italia, e di Maria José: l'ultimo erede al trono d'Italia aveva 86 anni.
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