NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 26 luglio 2011

Ma Monza non è il regicidio

Interessante premessa ad un interessante articolo. Bello che qualcuno si renda conto dell'abissale differenza nella dignità dello Stato tra ieri ed oggi. Bello che si sappia dire con onestà di mente che Vittorio Emanuele III "combatté militarismo, autoritarismo e miseria." Viva Dio qualcuno lo sa e lo dice. lo staff

 

Il presidente Fini deve aver vissuto la scampagnata dei “ministeri” leghisti a Monza come un nuovo regicidio. Il 29 luglio 1900, si sa, l’anarchico Bresci uccise Umberto I proprio a Monza, e un leader del partito socialista commentò: «Hanno tolto qualche anno di vita a un uomo e ne hanno regalati decenni alla monarchia».

Infatti, morto il re che aveva decorato Bava Beccaris, ne venne uno nuovo che fece il repulisti al Quirinale, un nuovo governo che aprì il quindicennio liberale, una nuova politica che combattè militarismo, autoritarismo e miseria.

Francamente, gettare un arco di 111 anni tra il regicidio e la sagra leghista non è consentito: in primo luogo dall’estetica.

A Monza, affianco a Umberto c’era Margherita , l’eterno femminino cantato da Carducci; il 23 luglio a fianco a Bossi e Calderoli c’era Michela Vittoria Brambilla, una specie di lonza dantesca.

E al posto di ministri veri c’era solo Tremonti, e aveva i pantaloni verdi, non a imitazione di Calderoli ma a ricordare che quattrini non ce ne sono. Mancava Maroni, che a detta dei sondaggi rappresenta i due terzi della Lega: Maroni, reo d’aver mandato in galera Papa, “uno dei miei gioielli” (come dice il cavaliere quando imita Lucrezia).

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lunedì 25 luglio 2011

Quirinale monarchico

di Davide Giacalone
domenica 24 luglio 2011
Il Presidente della Repubblica partecipa, attivamente e pubblicamente, alla vita del governo. Essendo noto che il ministro della giustizia deve abbandonare il suo posto, avendo accettato un incarico di ben altra natura, è necessario sostituirlo. Il presidente del Consiglio ha detto d’essere pronto e di volere fare in fretta, ma Giorgio Napolitano lo ha pubblicamente smentito: quello pronto sono io, mentre al governo mi paiono un po’ indietro. Non si è limitato a questa, originale, affermazione, spingendosi fino a porre degli argini alla scelta spettante a chi guida il governo, pubblicamente preferendo la nomina di chi già non sia ministro. Il tema è delicato, mescolandosi considerazioni istituzionali con problemi politici. La diagnosi non felice: i binari costituzionali sono stati scassati e i vagoni corrono per i fatti loro.


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Monza, monarchici per Umberto I

Monza - La bandiera dei Savoia è tornata a sventolare a Monza. Si è tenuta sabato mattina, per le vie del centro storico, la cerimonia organizzata tutti gli anni dai monarchici italiani in ricordo di Umberto I, il re ucciso a Monza il 29 luglio del 1900 per mano dell'anarchico Gaetano Bresci. A fare gli onori di casa ai nostalgici di casa Savoia l'assessore monzese al Decentramento Lucia Arizzi e quello provinciale all'Urbanistica Antonino Brambilla. Presenti anche rappresentanze della provincia di Milano e di Regione Lombardia. Il corteo ha preso il via da piazza Duomo e, dopo aver transitato davanti alla statua di Vittorio Emanuele II in piazza Citterio, è arrivato alla cappella Espiatoria.
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domenica 24 luglio 2011

Notizie dal webmaster del sito dedicato a Re Umberto II



Carissimi,
a seguito di un guasto del computer sul quale è contenuto tutto l'archivio digitalizzato (con tutti i programmi che si usano per aggiornare il sito) non potrà esserci la consueta aggiunta mensile.

Nella speranza che il grave danno venga riparato al più presto e che quindi si possa recuperare l'aggiornamento ad Agosto auguro a tutti voi una felice estate!

Il martire dimenticato.

Pubblicato da  su 23 luglio 2011

Il 23 luglio del 1920 un giovane caporale del Regio Esercito si trovava nella piazza del suo paesello natio, era tornato da poco per la licenza estiva. Si divertiva ascoltando un concerto, nella sua bella divisa di bersagliere, quando un gruppo di balordi iniziò a prenderlo di mira. Iniziarono da prima le minacce verbali verso il giovane, la sua divisa e soprattutto al Re. Lui decise di ignorarli e lasciare la piazza tenendo ben stretta l’elsa della sua baionetta in caso le minacce dei balordi da verbali, dovessero tramutarsi in fisiche. Fu inseguito e davanti ad un bar venne raggiunto e pugnalato per ben 53 volte. I balordi scapparono, e lui immerso in una pozza di sangue si trascinò con le poche forze che gli rimanevano dentro il locale, e afferrata la bandiera italiana, la prese e ci si avvolse prima di chiudere per sempre gli occhi. Si chiamava Giacomo Schirò, nacque a Piana degli Albanesi il 23 novembre 1901 e lì morì a soli 19 anni. Negli Anni Trenta gli fu conferita la medaglia d’oro al valore militare alla memoria e gli fu intestato un borgo nella provincia di Palermo, vicino a Monreale. Nell’Italia di oggi, i martiri, gli eroi, sarebbero stati quei balordi che assassinarono Schirò. A loro, avrebbero dedicato strade o aule dentro il Parlamento italiano.

Ripreso dal blog del nostro amico Antonello Leone www.liberal.blog.eu

Medaglia d'Oro al Valor Militare alla Memoria
«Ispirato da alto sentimento di patriottismo e civismo, tenne testa risolutamente ad una turba di sovversivi, che vilmente lo avevano aggredito, profferendo parole di vilipendio al Re e alla Patria. Dopo essersi difeso accanitamente con la baionetta, colpendo anche gli avversari, sopraffatto dal numero e respinto entro la sala gioco, cadde con 53 ferite. Abbandonato a terra , morente, con sforzo supremo si trascinò per la sala e raccolta una bandiera strappata a terra, si avvolgeva in essa.»
da wikipedia



Il Castello di Agliè

Il Castello Ducale di Agliè è una meta ideale per immergersi in un’atmosfera d’altri tempi. Costruzione grandiosa ed austera, è ingentilita da lunghe teorie di finestre e vetrate e da motivi decorativi barocchi.
Dista circa 35 km da Torino una ventina da Ivrea. Per raggiungerlo, chi proviene dall’autostrada Milano-Torino può imboccare a Santhià quella per Aosta, tornando verso Torino e uscendo al casello di  S. Giorgio Canavese: da qui il castello dista solo pochi chilometri. Esiste anche un servizio di autobus in partenza dalla stazione di Porta Susa a Torino. Un’altra possibilità è offerta dal treno della linea canavesana, da Porta Susa sino a Rivarolo oppure a Orzegna, ove  si può approfittare di un taxi.

Per sottrarlo all’incuria e a un progressivo e fatale abbandono, oltre che per venire incontro  alle sempre più frequenti richieste avanzate da turisti ed appassionati di  antichità, la Sovraintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte decise di aprirlo alle visite dei turisti.
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venerdì 22 luglio 2011

Comunicato stampa di Alleanza Monarchica

20 luglio 2011 -Il Segretario Nazionale di Alleanza Monarchica – Stella e Corona

Rende noto che :
A seguito del comunicato stampa dell'UMI, con il quale si intende mobilitare il movimento ed i monarchici per una raccolta di firme, volta alla abrogazione delle province, Il Segretario Nazionale di Alleanza Monarchica Avv.Massimo Mallucci rileva come tale iniziativa sia in contrasto con la politica tradizionale dei monarchici di Stella e Corona che hanno, da sempre, osteggiato l'istituzione delle regioni e, al contrario, sostenuto il potenziamento delle province. E' triste dover osservare come un movimento monarchico, come l'UMI, perda un'occasione importante per evidenziare un fallimento clamoroso del sistema repubblicano, come è quello della istituzione delle regioni. Queste hanno diviso l'Italia, sono il frutto di compromessi politici tra DC e PCI, al momento della loro istituzione. Hanno moltiplicato i costi ed i difetti di un apparato centrale e di un sistema asfittico. Hanno moltiplicato i privilegi di una oligarchia politica che,proprio attraverso le regioni, si è instaurata anche in periferia. Tutto ciò era stato previsto dall'On. Covelli e la battaglia parlamentare Sua e del PDIUM, contro l'istituzione delle regioni appare di una attualità incredibile. I monarchici avevano ragione. Spiace quindi dover prendere atto di una posizione dell'UMI che non potrà essere seguita dai monarchici consapevoli e non immemori. La rifondazione dello Stato ed il ripensamento della società non passa certo attraverso il mantenimento di carrozzoni costosi e inutili come le regioni. Meglio sarebbe proporre di ridisegnare le province,con eventuali accorpamenti,ed abolire le prefetture, organi obsoleti di inutili controlli centralisti. Solo così si potrà realizzare il tradizionale binomio, Autorità in alto e libertà in basso, proprio della struttura Monarchica dello Stato.

Massimo Mallucci

giovedì 21 luglio 2011

LUCCA. Al festival del libro “Leggere Gustando” omaggio a Guareschi


Il festival del libro della Garfagnana “Leggere Gustando”, diretto da Andrea Giannasi e organizzato da Prospettiva editrice e Garfagnana editrice, ricorda Giovannino Guareschi con una mostra di copie originali del “Candido” la nota rivista diretta dal giornalista emiliano.




L’evento che aprirà i battenti giovedì 21 luglio si terrà all’ombra dell’antica Rocca Ariostesca.
Dopo la guerra Guareschi, che era stato imprigionato in un campo tedesco, fece ritorno in Italia e fondò la rivista indipendente con simpatie monarchiche. Era un settimanale e usciva il sabato presentando molte vignette di feroce ironia. Nella rivista, insieme ad altre famose penne della satira italiana, lo stesso Guareschi seguiva numerose rubriche tra cui quella a firma “Il Forbiciastro”, che spigolava nella cronaca spicciola italiana.
Guareschi era rimasto un irriducibile monarchico e non lo nascondeva.
Non perse occasione per denunciare le truffe consumate ai danni della monarchia italiana. In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 sostenne apertamente la monarchia e denunciò i brogli che avevano ribaltato l’esito del voto popolare.
Insieme alle copie del 1948 verranno esposte anche i fumetti del disegnatore Nazareno Giusti. Si tratta di un progetto, composto da oltre 200 tavole che prende in esame tutta la vita di Guareschi.
Il libro uscirà probabilmente in autunno stampato dalla casa editrice Hazard Edizioni di Milano con il titolo “Non muoio neanche se mi ammazzano. Vita di Giovannino Guareschi”
«Nazareno Giusti – scrivono Alberto e Carlotta Guareschi – ci racconta, come fosse una bellissima favola a fumetti, la storia di Giovannino Guareschi, nostro padre. Una di quelle «storie buffe e malinconiche che», scrive nostro padre, il fiume «placido e indifferente» raccoglie e «porta via verso il gran mare della storia del mondo». Siamo entusiasti per le illustrazioni, per la tecnica e per la scelta dei testi inseriti nelle tavole e nei baloon che rivelano una notevole sensibilità e un grande dono di sintesi, specie nei “capitoli” dei due “internamenti” e della sua scomparsa. Una storia che sembra veramente una favola, illustrata con colori surreali che donano profonde emozioni e trasformano la realtà in leggenda alla fine della quale si è dispiaciuti perché il fumetto è finito».


mercoledì 20 luglio 2011

Suggerimenti per una biblioteca monarchica

Qualche tempo fa abbiamo ricevuto una bella mail, della quale non ringrazieremo mai abbastanza il Nostro Amico che ce l'ha inviata, per il suggerimento prezioso e, forse soprattutto, per l'affetto che ha voluto dimostrarci.
Iniziamo a pubblicare questo elenco ma aggiungiamo sin da subito che altri titoli meritano di esservi ricordati e, tempo permettendo, li aggiungeremo man mano creando un link a parte come abbiamo fatto per gli articoli " storici".






1.     Pietro Silva : "Io difendo la Monarchia", 1946
2.     Agostino degli Espinosa "Il regno del Sud",  1946
3.     Alberto Consiglio "Vittorio Emanuele III, vita di un Re", 1950
4.     Mario Viana : "La Monarchia e il Fascismo".1951
5.     Francesco Cognasso: "I Savoia" 1971
6.     Cesare degli Occhi Piero Operti : "Il partito Nazionale Monarchico"
7.     Giovanni Artieri:  "Cronaca del Regno d'Italia" 1977
8.     Giovanni Artieri:  "Umberto II e la crisi della Monarchia" 1983
9.     Giovanni Artieri : "Elena e Vittorio", 1999
10.  Antonio Spinosa: "L'astuzia di un Re", 1990
11.Benedetto Croce. "Storia d'Italia" 1928
12.  Benedetto Croce: "Uomini e cose della vecchia Italia" 1927
13. Benedetto Croce: "Storia del regno di Napoli" 1931
14.  Michele Ruggiero: “L'eredità di Carlo Alberto”, Rusconi 1995
15. Paolo Pinto Carlo Alberto : “Il Savoia Amletico”, Camunia 1986
16.Paolo Pinto: “Vittorio Emanuele II, “Il Re avventuriero”, Mondadori 1994
17. Giovanni Mosca: “Il Re In un angolo”, Rizzoli 1950
18.Nino Bolla: “Colloqui con Umberto II”, Fantera 1949
19.Nino Bolla: “Il segreto di due Re”, Rizzoli 1951
20.  Nino Bolla: “10 mesi di Governo Badoglio”, La nuova epoca 1944
21.Gioachino Volpe, “L'Italia Moderna 3 volumi”, Sansoni 1973
22.  Gioacchino Volpe: “L'Italia che fu”, ed. Il Borghese 1961
23. Gioacchino Volpe: “Vittorio Emanuele III”, ed. Marco 2000
24.  Domenico Fisichella: “Elogio della Monarchia” ed Marzo 1999
25.  Edgardo Sogno: “Guerra senza bandiera Rizzoli” 1951
26. Antonio Ricchezza: “La Resistenza dietro le quinte” De vecchi 1967
27. Antonio Ricchezza: “L'esercito del Sud” Mursia 1973
28. Domenico De Napoli: “Il Movimento Monarchico in Italia dal 1946 al 1952” Loffredo 1980
29. Nicolò Rodolico Vittorio “Libro azzurro sul referendum 1946” Ed Superga 1953

Interessanti commenti su "Il Tempo"

Ci sono due pesi e due misure: da una parte la gente comune e dall'altra la casta


Quando verranno eliminati i benefici e i privilegi dei politici? È mai possibile che si fanno continue misure per contenere la spesa delle pensioni dei comuni cittadini e non si elimina il vitalizio dei parlamentari? La politica invece di esserre un servizio è percepita come un "lavoro".




Sono indignato e vorrei poter fare qualcosa per il mio Paese» Mario Cepparulo
Cittadini e istituzioni «Un altro passo importante sarebbe la drastica riduzione del numero dei parlamentari e l'adeguamento dei loro emolumenti complessivi (ora esorbitanti e scandalosi) alla media europea. Sono convinto che tutto ciò che verrà fatto per ridurre i costi, ormai insostenibili, che la casta dei politici impone al nostro Paese avrebbe, aldilà della valenza economica, un importante significato etico e contribuirebbe a riavvicinare i cittadini alle istituzioni» Gianfranco Chizzoli
Basta clientele «Sono d'accordo con l'iniziativa purché non sia l'ennesimo raggiro con lo spostamento delle competenze ed i costi da un ente all'altro. Bisogna metter mano ad una seria riforma rivedendo tutte le competenze sul territorio partendo dai quartieri e passando dai Comuni alle Regioni in chiave di massima efficienza nei servizi con il minimo dei costi e smantellando la gestione clientelare» Aldo Ursino
Lontani dalla gente «Aderisco alla richiesta di abolizione non solo delle Province d'Italia, ma anche delle Comunità Montane. È indispensabile anche dimezzare il numero dei parlamentari sia al Senato che alla Camera. Non posso seguitare a mantenere una classe politica sempre più lontana dalle problematiche dei cittadini (i pendolari che viaggiano si treni "interforno" con 57° gradi all'interno delle carrozze). Ma loro i parlamentari viaggiano con le auto blu ben condizionate!» Giorgio Alessandro Pacetti
Sette forze dell'ordine «Sarebbe opportuno eliminare le Province, in quanto è una ripetizione inutile dei comuni e regioni. Assorbono un immenso patrimonio pubblico. Addirittura con le Province ci sono 7 e dico (sette) Forze dell'ordine: quanto ci costano? E a cosa servono, forse solo per rimpinguare le loro tasche? Sempre a spese dei cittadini» Fabrizio
Dove tagliare «Concordo, via le Province: subito. Via anche i PRA (pubblici registri automobilistici). Ce n'è uno per ogni Provincia e non servono a nulla» Ezio
[...]
Voglia di monarchia «Mi associo al coro ed aggiungo che in sessant'anni di vita ne ho viste e sentite di finanziarie che avrebbero dovuto "raddrizzare" il timone del Titanic. Tutti, ma proprio tutti, ci hanno preso per i fondelli. Non nego che prima ho avuto fiducia in Craxi, poi in Berlusconi, e non ho mai creduto alle mani pulite della Sinistra. Non rinnego nulla ma non darò più credito a nessuno. Quasi quasi mi verrebbe voglia di tornare alla monarchia, almeno la famiglia dei reali aveva un limite nei legami di sangue ed il numero degli adepti alla casta era strettamente limitato dalla stessa» Gianfranco Buccella
Chi votare? «Plaudo ed aderisco alla vostra iniziativa: ma che si può fare per convincere i nostri amministratori pubblici? Forse non dovremmo voltarli alle prossime tornate elettorali? Ma per chi votare? Lista Grillo tanto per dare un segnale come fu ai tempi dell'ascesa della Lega?» Carlo Gioacchini

Omaggio alla Regina che battezzò la pizza

Una mostra celebra Margherita
di Savoia, la moglie di Umberto I

MAURIZIO LUPO
TORINO
Non ha dato solo il suo nome alla pizza più famosa. Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia, dal 1868 moglie di suo cugino, il futuro Re Umberto I, dedicò all’Italia tutta se stessa. Le diede una Regina. Fu di fatto la prima Regina d’Italia, dal momento che Re Vittorio Emanuele II, suo zio e suocero, il «Padre della Patria», perse la propria consorte, Maria Adelaide d’Asburgo-Lorena, nel 1855, prima di diventare Re d’Italia. Compì l’impresa risorgimentale da vedovo, accompagnato da Rosa Vercellana, la «Bèla Rosin», che divenne sua moglie nel 1869, senza poter assumere il titolo regale, date le sue origini popolari. Il ruolo pubblico d’incarnare la regale femminilità italiana, d’impersonare la neonata Italia, toccò pertanto a Margherita, nata nel 1851 a Torino da Elisabetta di Sassonia e da Ferdinando di Savoia, duca di Genova, fratello di Vittorio Emanuele II. 

Bionda e alta, era considerata una bella donna. Le gambe non erano slanciate, ma il decolté era prosperoso. E lei lo esaltava con le lunghe collane di perle che la resero famosa. Ma soprattutto seppe farsi amare. Per quanto educata con severità rigorosa, sviluppò una personalità sensibile e misericordiosa. Fu orgogliosa ma mai dura, religiosissima, ma non bigotta, conservatrice in politica, ma attenta alle condizioni del suo popolo. Seppe impersonare bene il suo ruolo, al quale diede immagine. Ne vuole parlare la Reggia di Agliè, che fino al 30 ottobre le dedica la mostra «Margherita di Savoia, una Regina per l’Italia unita». Curata da Daniela Biancolini, Enrico Barbero e Francesca Sassu, racconta la vita, le passioni e l’impegno della sovrana, negli appartamenti regali che la ospitarono. In quello sopra le Serre visse le vacanze estive dell’infanzia, con il fratello Tomaso. Quello dinastico del primo piano e quello «del Re» la videro ospite durante i suoi soggiorni piemontesi.E’ un racconto che sottolinea come Margherita abbia saputo essere «testimone del proprio Paese». Vestiva solo italiano, sceglieva i gioielli a Torino, ma a Roma riusciva a riavvicinare al tricolore l’aristocrazia papalina, che gli aveva chiuso le porte quando Casa Savoia aveva invaso lo Stato Pontificio. Sa parlare anche a Napoli, ex capitale borbonica. Non a caso vuole che il suo unico figlio, oltre che Vittorio Emanuele, si chiami anche Gennaro. Sa essere madre e buona moglie, tanto da tollerare la doppia vita affettiva del marito. Quando sarà assassinato a Monza, il 29 luglio del 1900, non rifiuterà alla sua salma la visita di Eugenia Litta, l’altra donna amata da Umberto.Ad Agliè il benvenuto alla Reggia lo dà la Regina in persona, nel salone d’ingresso, ritratta in uno stupendo abito azzurro da Michele Gordigiani. Qui è narrata la sua vita, dall’infanzia. Nella sala successiva, detta dei Paggi, sono esposti i suoi abiti e soprattutto gli splendidi disegni dei suoi gioielli, realizzati da Musy. Quindi nella sala della musica ecco libri, poesie, spartiti musicali a lei dedicati, più oggetti di virtù che la raffigurano: camei, argenti, ritratti, foto, anche il bastone da passeggio di Umberto I, con il pomo in lapislazzulo, che si apre per mostrare il volto della moglie. Quindi due livree nella «sala d’aspetto» introducono agli appartamenti. Quello «sopra le Serre» ha ritrovato gli arredi dell’infanzia di Margherita. Ci sono la camera dei suoi giochi e quella della severa istitutrice. Seguono le sale che la conobbero Regina, in visita al fratello. Fu un periodo d’oro per Aglié, animata da feste, ufficiali e ricevimenti. Li evoca il grande quadro di Cesare Tallone, che raffigura Margherita come affascinante «Dama in nero».La mostra ad Agliè, in piazza Castello, è aperta, salvo il lunedì, dalle ore 9 alle 18.30. Ingresso: 4 euro, gratuito per i minorenni e per chi ha più di 65 anni. Per informazioni telefonare al numero 0124/330102.


martedì 19 luglio 2011

Dal Corriere della Sera


La monarchia

Caro Romano,
ritiene possibile un ritorno della monarchia in Italia? La carica di capo dello Stato sarebbe esercitata da un monarca giusto e illuminato che si impegna attivamente per il bene dei suoi sudditi e si ridurrebbero le spese dei parlamentari. In Inghilterra rimane forte l’attaccamento alla monarchia.
PierAngelo Paleari , 

Siamo certi che il monarca sarebbe giusto e illuminato? Quanto alla riduzione delle spese, le ricordo che nelle monarchie costituzionali esistono pur sempre parlamenti, più o meno costosi, e che le famiglie reali possono generalmente contare su una «lista civile» che ammonta, nel caso della Gran Bretagna, ogni anno, a poco meno di 80 milioni di sterline, a cui si aggiungono contributi per i viaggi e la conservazione dei palazzi reali.

sabato 16 luglio 2011

L'"aula sorda e grigia" (della repubblica) continua ad ascoltare solo se stessa

da www.ilsole24ore.com

Sei parole per salvare 12mila euro all'anno

L'aggancio all'area euro non dava sufficienti garanzie e allora meglio fare un mezzo passo indietro. Così con la conversione della manovra deputati e senatori hanno deciso di restringere un po' più il campo e di garantirsi 12mila euro in più all'anno. Sono bastate appena sei parole: «ponderata rispetto al Pil» e «sei principali». Già perché il primo testo della manovra prometteva di ridurre il trattamento economico comprensivo (indennità più rimborsi) dei parlamentari al livello della media dell'area euro. Conti alla mano (come ha dimostrato «Il Sole 24 Ore» di lunedì scorso) avrebbe significato un taglio alla busta paga mensile del 54 per cento: da 11.704 a 5.339 euro. Il tutto con la massima calma, perché il taglio riguarda solo chi siederà sui banchi di Camera e Senato dalla prossima legislatura.
Comunque decisamente troppo. Perché non prendere la palla al balzo della conversione per cercare di strappare qualcosa in più? Mettere nel calderone della media Paesi come Malta, Estonia o la Slovacchia era un rischio troppo alto, perché lì gli stipendi dei parlamentari sono davvero troppo bassi rispetto ai nostri. Anche perché l'aggancio alla media va comunque aggiornato e metti mai che i «piccoli» della moneta unica scelgano ulteriormente la linea dell'austherity. Così la scelta è stata di agganciare le buste paga all'area euro (17 Stati) ma non proprio a tutta.
Sei Paesi possono bastare, soprattutto se sono i principali. E tanto per stare tranquilli (proprio perché non si sa mai) di ponderare la media rispetto al Pil. Ora, è vero che anche il presidente dell'Istat, Enrico Giovannini, in audizione aveva suggerito di limitare il confronto alle altre maggiori economie (Francia, Germania e Spagna) ma la richiesta era finalizzata alla loro maggiore omogeneità con l'Italia per dimensione e struttura economica. Però, guarda caso il nuovo sistema consente di risparmiare 12mila euro all'anno sul sacrificio economico imposto ai futuri parlamentari. Salvo pensare che deputati e senatori non siano improvvisamente diventati sensibili al fascino della statistica... (G. Par. - G. Tr.)



venerdì 15 luglio 2011

COMUNICATO STAMPA DELL'UMI

La crisi economica internazionale e le difficoltà finanziarie in cui l'Italia si trova, impongono modifiche strutturali e manovre ingenti per contenere la spesa pubblica e ridurre al minimo indispensabile i costi della politica. Ci troviamo di fronte ad un Parlamento repubblicano che, in tutte le sue diverse componenti, respinge qualsiasi innovazione che, volta all'interesse del popolo e del Paese, comporti dei sacrifici alla politica. A dimostrazione di ciò, persino la proposta di abolizione di enti ormai inutili e costosissimi, come le province, è stata bocciata.Pertanto l'Unione Monarchica Italiana (U.M.I.), la più antica e numerosa associazione monarchica del nostro Paese, aderisce alle iniziative dirette a promuovere una raccolta di firme per una proposta di legge costituzionale per la soppressione delle Province. L'U.M.I. invita tutti i responsabili territoriali ad aderire ai comitati in via di costituzione e a sollecitare i monarchici ad ogni utile forma di collaborazione per ridurre gli inutili sprechi di questo sistema.

Roma, 14 Luglio 2011 
Alessandro Sacchi Presidente Nazionale 

Sergio Boschiero Segretario Nazionale

giovedì 14 luglio 2011

111° ANNIVERSARIO DEL REGICIDIO DI S.M. IL RE UMBERTO I

CERIMONIA DI MONZA - SABATO 23 LUGLIO 2011
     
A Monza il 29 Luglio 1900, si spezzò in modo violento una vita, quella di S.M. il Re Umberto I, il Re Buono. Il cordoglio fu unanime: tutta la Nazione si fermò per salutare il secondo Re d’Italia, Medaglia d’Oro al Valor Militare per i gloriosi fatti d’arme del Quadrato di Villafranca, che passava alla Storia.
Un secolo dopo quei dolorosi fatti, ricorderemo la figura ed il sacrificio del Re con una solenne cerimonia che si svolgerà a Monza Sabato 23 Luglio 2011:



PROGRAMMA DELLA CERIMONIA MONZA
 SABATO 23 LUGLIO 2011

Ore 09.45 - Ritrovo in Piazza del Duomo.

Ore 10.00 - Formazione del corteo che da Piazza del Duomo si porterà alla Cappella Espiatoria (Via Matteo da Campione). Accompagnerà il corteo la Banda Comunale di Valbrona. 

Ore 10.30 - Deposizione delle corone nel Sacello Monumentale della Cappella Espiatoria alla presenza delle Autorità Civili e Militari. Esecuzione della Marcia Reale, dell’Inno Sardo e del Silenzio. 
Trasferimento alla Villa Reale.

Ore 11.30 - Santa Messa in suffragio di S.M. il Re Umberto I presso la Cappella della Villa Reale. 
Celebrerà la Sacra Funzione Don Simone Rolandi, Cappellano della Delegazione e Priore per la Lombardia degli Ordini Dinastici di Casa Savoia.                                   
Per informazioni sulla cerimonia, Cerimoniere (Isp. Naz. Di Maria) 392.95.98.193. 

Ore13.00 Colazione presso il Salone Reale dell’Hotel de la Ville (di fronte alla Villa Reale). Quota: € 70,00.

Per prenotazioni: gdomilano@hotmail.it; opp. telefonare ai nn. 345.32.17.614 (Isp. Reg. Mastroianni); 02.84.62.013 (Isp. Naz. Pierato); 392.86.97.486 (Isp.Naz. Pizzi). 

La cerimonia è aperta alla partecipazione di tutte le Associazioni monarchiche e
patriottiche.
Partecipiamo dunque numerosi!

mercoledì 13 luglio 2011

Il livore di Giordano Bruno Guerri e la risposta di Alberto Casirati

Ma i Savoia sono un’altra storia (purtroppo)





Gli Asburgo non fanno una grande figura nei nostri ricordi scolastici, farciti di patriottici inni contro il «barbaro invasor». Invasori lo furono, eccome. La casata regnante più antica d’Europa - parliamo di quasi otto secoli - sono stati re o imperatori di quasi tutto, tranne la Francia e la Gran Bretagna: re di Portogallo, re di Spagna (quando erano grandissime potenze), imperatori del Sacro Romano Impero per molti secoli fino a concludere la carriera dinastica alla guida dell’immenso impero Austro-Ungarico. Sconfitti nella Prima guerra mondiale, il loro dominio si disfece in tanti stati (Austria, Ungheria, Jugoslavia ecc.) e l’ultimo imperatore Carlo I venne costretto all’esilio. Era talmente una brava persona che Giovanni Paolo II l’ha beatificato il 3 ottobre 2004. Carlo era anche un padre e sposo esemplare, tanto che dette otto figli all’imperatrice Zita. Il primogenito, Otto, è morto ieri - quasi centenario - dopo essere stato per ben 85 anni aspirante al trono, imperatore di un impero che non c’era più. I suoi mancati sudditi austriaci oggi lo piangono in coro, con segni palesi di vero lutto. E non certo per quella sua faccia buona da Geppetto colto e internazionale. Piangono la morte di un Asburgo, il rappresentante di una casata che per noi è quella del «Barbaro invasor», mentre per loro è stata una grande dinastia che li ha resi un grande popolo. Viene da chiedersi perché niente di simile accade o accadrà, da noi, con i Savoia. Eppure riuscirono finalmente a unificare l’Italia, eppure anche i piccoli Savoia hanno sofferto l’esilio. Ma la differenza di trattamento non dipende da fatti storici: non c’entra che nel Lombardo-Veneto si ricordi ancora la buona amministrazione di Francesco Giuseppe; non c’entra che Otto si sia opposto all’Anschluss nazista che voleva conquistare l’Austria, nel 1938, proprio nell’anno in cui i Savoia firmavano le leggi razziali fasciste. 
Credo che la differenza stia nel fatto che gli Asburgo amavano il loro popolo, i Savoia no: «L’Italia è un carciofo che si mangia a foglia a foglia», era il loro motto nella prima metà dell’Ottocento. Se la mangiarono in un solo boccone dopo che Garibaldi e Cavour gliel’avevano conquistata, e la insanguinarono subito con una guerra civile (la cosiddetta lotta al brigantaggio) che aggravò, invece di risolvere, i problemi meridionali.I guasti più dannosi all’immagine della loro casata, però, li hanno fatti gli ex piccoli esiliati, Vittorio Emanuele e Emanuele Filiberto. Il primo ha brillato con un colpo di fucile sparato da uno yacht e il suo senso degli affari; il secondo con la leggiadria danzerina e la compiaciuta ignoranza. Riammessi in Italia, hanno chiesto risarcimenti e seggi parlamentari. Invece Otto il seggio se lo conquistò per vent’anni filati, nel parlamento europeo, lavorando sul serio. Perché era un Asburgo. I Savoia, oltre a essere Savoia, non si sono minimamente interessati a apparire - non dico essere - migliori di quel che sono, non si sono presi cura dell’immagine propria e di quella dinastica. Perché non hanno alcun interesse a ciò che gli italiani pensano di loro. Li si ricambia, evviva, con la stessa moneta.www.giordanobrunoguerri.it
http://www.ilgiornale.it/esteri/ma_savoia_sono_unaltra_storia_purtroppo/07-07-2011/articolo-id=533579-page=0-comments=1

LETTERA APERTA A GIORDANO BRUNO GUERRI  DALL’ISTITUTO DELLA REALE CASA DI SAVOIA: “AFFERMAZIONI FUORVIANTI"

Egr. Sig. Guerri,
ci sia consentita una replica al suo articolo pubblicato il 7 luglio da “Il Giornale”, nel quale lei attacca pesantemente Casa Savoia. Il pezzo è stato pubblicato nella pagina dedicata alla bella figura di Otto d’Asburgo. Del tutto fuori tema, dunque, ed allo scopo evidente di attaccare la dinastia vivente più antica del mondo, dopo quella giapponese. Si fanno affermazioni fuorvianti, soprattutto per il modo in cui sono proposte al lettore. Ecco qualche esempio. Sottolineare il fatto che, nell’anno in cui Otto d’Asburgo (da dove si trovava) si opponeva all’annessione nazista dell’Austria, in Italia venivano sanzionate le leggi razziali è proporre, di fatto, un paragone illogico ed insostenibile, perché ben diverse erano le situazioni. La famosa frase “del carciofo”, che lei strumentalizza senza pudore, non aveva nulla a che fare con il reale amore della Dinastia per l’Italia e gli italiani, bensì con la situazione geopolitica italiana del momento, caratterizzata dalla presenza di tanti stati divisi. Parimenti, far riferimento ai fatti del 1978 sull’isola di Cavallo, quando sono ormai 20 anni che la Corte d’Assise di Parigi ha sancito la completa innocenza del Principe di Napoli, è scelta furbesca per screditare un innocente. E si potrebbe continuare. Il fatto è che la storia dimostra una cosa che a lei evidentemente non va giù: Casa Savoia può vantare luci che vanno molto al di là delle ombre. Ombre che, ben meno scure di quello che vorrebbero i detrattori, sono inevitabili per ogni storia umana millenaria. Non occorre andare molto lontano per dimostrare quanto affermiamo. Basta pensare a figure come i tanti Beati e Venerabili (che lei “dimentica”nel suo articolo, ricordando però la beatificazione di Carlo I d’Asburgo…), come la Regina Elena e la Regina Maria Josè, come i Conti Amedeo VI e VII, come i Duchi Amedeo VIII ed Emanuele Filiberto “Testa di Ferro”, come Re Vittorio Amedeo II e tutti i Sovrani che, pur fra incertezze e pericoli, seppero realizzare, mettendo completamente e coraggiosamente in gioco lo stesso futuro della Dinastia, il plurisecolare sogno dell’unità italiana. Lei avrà senza dubbio avuto le sue personali ragioni nello scrivere quel pezzo. Ma un corretto approccio storico necessita di meno ideologia e più desiderio di verità.
Dr. Alberto Casirati
Presidente Istituto della Reale Casa di Savoia


martedì 12 luglio 2011

La tragedia di essere il figlio di Togliatti

Roma: All'età di 85 anni, dopo un lunghissimo ricovero a Modena nella struttura psichiatrica di Villa Igea, sabato scorso (ma la famiglia ha diffuso la notizia soltanto ieri a funerali avvenuti) è morto Aldo Togliatti, il figlio negEra nato a Roma nel 1925, ma l'anno dopo si trovò sballottato a Mosca, dove il padre s'incaricò di spegnere per sempre le ragioni di Antonio Gramsci, che denunciò per primo i metodi stalinisti. Antonio, recluso nel carcere di Turi, da allora fu bollato di trockijsmo, mentre Palmiro si fece complice delle carneficine di Stalin.
letto di Palmiro e Rita Montagnana.

Il piccolo Aldo, ragazzino studioso, diligente e acuto, ma timido e introverso, tutt'altro che violento, subisce le angherie del figlio di Tito e degli altri protagonisti del bullismo regnante a Ivanovo. Là, a Ivanovo, c'era la scuola della nomenklatura comunista, dove si educavano i figli dei dirigenti a diventare perfetti stalinisti. Togliatti, mentre il figlio subisce Ivanovo, s'incarica di far eliminare oltre mille comunisti italiani, migliaia di comunisti polacchi, qualche centinaia di compagni tedeschi, infine, migliaia di anarchici spagnoli massacrati non da Franco, bensì dai commissari politici al servizio dell'Nkvd.

NELL'INFERNO DI IVANOVO
Aldo rimane solo nell'inferno dei bulli di Ivanovo e una testimone d'eccezione, Vinca, la figlia di Giuseppe Berti, donna di grandissimo spessore, lo ricorda sofferente, vulnerabile, ipersensibile, ombroso, portato, anzi costretto, a isolarsi. Avrebbe bisogno di affetto e di attenzioni, ma il babbo è preso dai lavori in corso per far nascere l'homo novus, ammazzando preventivamente gli uomini esistenti. Una volta, papà Palmiro e mamma Rita lo vanno a trovare e gli promettono: «Aldino, staremo via due settimane, fai il bravo, a presto». Passeranno non giorni, settimane, mesi, ma anni.

Aldo non è gratificato dall'essere «figlio del partito», non si sente soldatino di Stalin, desiderando solo un po' d'amore. Intanto, i compagni di scuola lo picchiano, lo scherniscono, perché non si comporta da comunista combattente, sentendo dentro di sé tutto il male di vivere del presunto Eden sovietico. Scrive lettere in francese, affettuose e rassicuranti, ai genitori, senza ricevere risposta; allora chiede alla zia Elena Montagnana, la moglie del delatore Robotti: «Perché la mamma non torna, dov'è papà?». Non mostra i tratti del rivoluzionario di professione, bensì lo spleen di chi soffre e, allora, viene etichettato come «malato mentale».

Invece, è figlio di Togliatti e dal padre ha ripreso alcuni tratti nascosti e sottaciuti, come quando Palmiro, nel 1922-1923, nel momento in cui i fascisti picchiano duro, sceglie di sparire dal mondo, lasciando a Bordiga e agli altri compagni il destino del manganello e dell'olio di ricino. In quel Palmiro, spaventato, anzi terrorizzato dalle azioni muscolari dei fascisti, c'è in nuce il crespuscolare, dimesso, delicato Aldo. Nel Dna di Togliatti c'era, dunque, l'eventualità dell'inerme Aldo, ma quella potenzialità esplode anche perché quel bambino fu abbandonato in nome di Stalin.

LA SEPARAZIONE DEI GENITORI
Nel 1945, Aldo torna in Italia, giusto in tempo per patire il sisma passionale di suo padre per Nilde Iotti e la conseguente dolorosa separazione di mamma Rita da babbo Palmiro. Nel 1951, figlio scomodo e non più presentabile, ebreo e malato, viene rispedito a Mosca, mentre Togliatti, insieme al partito nuovo, fonda anche la famiglia nuova con la Iotti e l'adozione di una bambina. Rita, per anni obbligata a stare a Mosca, per non disturbare la famiglia togliattiana di tipo nuovo, adesso si dedica al figlio sempre più traumatizzato e sofferente. Hanno problemi per mille motivi, anche perché entrambi ebrei, in una fase in cui esplode l'antisemitismo comunista, con tanto di cacce alle streghe contro i medici e l'omicidio di Rudolf Slansky, segretario del partito comunista cecoslavacco, colpevole di essere israelita. Togliatti li ha cancellati tutti e due questi scomodi ebrei, moglie e figlio, tant'è che nel 1956, partecipando all'epocale XX congresso del Pcus, non ritiene opportuno vederli e salutarli. Rita, disperata, si rivolge all'altro stalinista Vittorio Vidali, comunque più umano di Palmiro, per chiedere aiuto. E l'aiuto consiste nella possibilità, lei prigioniera in Unione sovietica, di poter riavere il passaporto per rientrare col figlio in Italia.

Vidali e, credo, Krusciov, che di Togliatti ha un'opinione pessima, fanno sì che i confinati Rita e Aldo possano finalmente tornare a Torino. Là Rita, che è ormai tutto il mondo di Aldo, si dedica al figliuolo sino al 1979, quando un ictus la porta via dalla valle di lacrime. Aldo torna così ad essere forzatamente «figlio del partito». Dopo un breve periodo in cui è ospite alle Frattocchie, il Pci modenese, nel 1981, lo fa internare in una locale casa di cura, stanza 227, quindi 429, incaricando il compagno Onelio Pini di fargli visita e di portargli la "Settimana Enigmistica" e le sigarette Stop senza filtro, uniche gioie, insieme agli scacchi giocati da solo, del povero Aldo. A parte Onelio e le cure amorevoli del dottor Nino Costa, saranno i parenti ebrei gli unici a fargli sentire di essere ancora un uomo e non una cosa di cui vergognarsi. Non risultano da parte di Nilde Iotti e neppure della sorellastra, Marisa Malagoli, che pure mi pare sia specializzata in psichiatria, particolari attenzioni per la condizione di Aldo.

BLOCCATO DUE VOLTE DAI POLIZIOTTI
Aldo ebbe un solo sogno, comunque non comunista, quello dell'ebreo errante, anarco-individualista, di navigare sulla rotta delle caravelle di Cristoforo Colombo, verso un mondo diverso, nuovo, verso la Statua della libertà. Ci provò due volte a imbarcarsi per New York e per due volte i poliziotti di Togliatti gli tarparono le ali, bloccandolo. Solo ora, quell'uomo intelligente e delicato, prigioniero di Stalin, è davvero libero.

di Giancarlo Lehner
http://www.libero-news.it/news/781772/Una-tragedia--quella-di-essere-il-figlio-di-Palmiro-Togliatti.html