NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 31 dicembre 2018

I nostri auguri per il nuovo anno 2019


Con questa bella immagine della seduta inaugurale della XXIX legislatura del Regno con il Re e tutti i Principi Reali vogliamo augurare a tutti i nostri amici un felicissimo 2019!

Vicoforte: le guardie d'onore del Pantheon al Santuario per l'anniversario della morte di Vittorio Emanuele III


Presenti 16 sezioni dell'istituto nazionale e il professor Aldo Alessandro Mola, presidente della Consulta dei senatori del Regno, che annuncia: "Nell'anno nuovo Maria Gabriella di Savoia e Simeone II di Bulgaria visiteranno le tombe reali"


Erano in tutto sedici le sezioni dell'istituto nazionale per la guardia d'onore alle reali tombe del Pantheon e di Vicoforte presenti nella città del Santuario quest'oggi, sabato 29 dicembre, per assistere alla celebrazione del ricordo di Vittorio Emanuele III nell'anniversario della sua morte.
Numerosi i curiosi che si sono soffermati all'ombra della cupola per osservare da vicino o immortalare con il proprio smartphone le guardie reali: "Un interesse che fa piacere ma non deve stupire - ha commentato il professor Aldo Alessandro Mola, presidente della Consulta dei senatori del Regno -; d'altro canto, queste guardie si recano periodicamente in Francia, ad Hautecombe, dove sono sepolti Umberto II e Maria José, e hanno deciso di comportarsi allo stesso modo nei confronti della basilica vicese".

"VISITE ILLUSTRI NEL 2019" - Una presenza folta e numerosa, che ha fatto passare in secondo piano l'assenza di membri della Real Casa di Savoia: "Una semplice impossibilità da parte loro di intervenire alla cerimonia - ha affermato il professor Mola -. Posso tuttavia anticipare che nell'anno nuovo la principessa Maria Gabriellatornerà a visitare le tombe reali, presso le quali si recherà per la prima volta anche Simeone II di Bulgaria, figura storica dal peso specifico incommensurabile, dato che fu scelto da Umberto II come depositario delle proprie volontà testamentarie".
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Sul sito targatocn ricca galleria fotografica della cerimonia.

mercoledì 26 dicembre 2018

Intervista alla Regina Maria Josè



L'arrivo a Lisbona  della R.N. Duca degli Abruzzi con a bordo la Regina ed i Principi Reali, accolti dall'ambasciatore Rossi longhi che pochi giorni dopo accoglierà all'aeroporto il Re Umberto II.

L'inizio dell'esilio nelle parole della Regina Maria José.

www.reumberto.it

martedì 25 dicembre 2018

La pietra del Re Umberto II

di Emilio Del Bel Belluz

Nella mia vita avevo un sogno nel cuore che non sono riuscito a realizzare, perché le cose non vanno mai come vorremmo e mio padre Elso diceva che i sogni non si realizzano mai. 
Dal momento in cui avevo letto e studiato la storia dei Savoia, mi ero affezionato alla figura dell’ultimo Re d’Italia, Umberto II. A Natale, il mio pensiero andava a lui. Immaginavo il Re che andava alla messa di Mezzanotte assieme alla sua famiglia. 
Nel 1946, il suo primo anno d’esilio, pensai che una tristezza infinita immalinconisse il suo cuore per essere lontano dalla sua patria. Nel 1946, il Re d’Italia aveva quarantadue anni e per 41 anni il Natale lo aveva trascorso in Italia. Nel primo anno d’esilio furono molte le difficoltà che aveva incontrato al suo arrivo in Portogallo, come esule, perché aveva alloggiato in una casa senza alcun comfort. Cascais era un piccolo villaggio di pescatori e le difficoltà del vivere erano molte. 
Il Re d’Italia andò alla Messa di mezzanotte nella piccola chiesa di Cascais. In quel 1946, il sovrano si trovava lontano dai suoi genitori, i quali stavano in Egitto. La sofferenza in questo modo era amplificata. Tanti italiani soffrirono per la lontananza del sovrano. Il parroco di Cascais si sarà preoccupato, perché nella sua chiesa avrebbe ospitato la famiglia Savoia. Immaginavo il sacerdote che avrà dovuto prepararsi una predica impegnativa, sapendo che a quella Messa di mezzanotte sarebbe intervenuta la famiglia reale italiana. 
La voce sarebbe corsa di casa in casa, perché molti conoscevano la generosità di Re Umberto verso i poveri. Alla fine della Santa Messa, la gente lo avrà circondato facendogli gli auguri. Il Re non si sottraeva mai all'accoglienza che la gente gli tributava. Per tanti anni pensai al mio Re e ai suoi Natali. Nella mia famiglia non eravamo ricchi, mio padre tornato dalla guerra distrutto nel fisico si era messo a lavorare, ma le difficoltà non mancavano. Ogni anno nel giorno di Natale pensavo che mi sarebbe piaciuto invitare alla nostra tavola, il Re d’Italia. Una volta avevo letto una poesia di Aldo Fabrizi che avrebbe desiderato invitare il suo Re a tavola, ma ciò era impossibile. Il Re trascorse trentasette anni in terra d’esilio, senza che il Parlamento decidesse per il rientro dei Savoia. 
I Re si dimenticano, le persone buone si trascurano, ma il bene fatto rimane. Il sovrano trascorse il resto della sua vita in un triste esilio, confortato solo dall’amore che certi italiani sentivano ancora per lui, dalla gente che gli scriveva e dalle persone di quel vecchio villaggio di pescatori che si sentivano orgogliosi d’aver come vicino di casa un Re. Un sogno della mia vita era anche quello di poter andare in Portogallo a conoscere il Re, ma non avevo i soldi per intraprendere quel viaggio che tanto desideravo. Una notte avevo sognato d’essere arrivato a Cascais, d’averlo incontrato e gli avevo fatto un regalo.
Dall’Italia gli avevo portato il quadro di un Santo a me tanto caro, San Leopoldo Mandic’, che verosimilmente il Re aveva conosciuto durante la sua permanenza a Padova dove si laureò in Giurisprudenza. Il Re era un cattolico osservante, amava visitare le chiese e magari si sarà soffermato nel convento di San Leopoldo, anche se allora non era stato proclamato Santo. San Leopoldo era il frate degli umili, che conosceva molto bene il dolore che si prova ad allontanarsi dalla propria terra. 
Nel sogno il Re mi accoglieva nella sua dimora e mi mostrava il presepe. Questo sogno l’ho sempre conservato dentro di me, mi donava una certa serenità. Non ebbi mai la possibilità reale di fare quel viaggio, poi il Re morì il 18 marzo 1983. Alcuni anni dopo, alcuni miei amici si recarono in Portogallo e andarono a visitare la casa del Re, i luoghi dove aveva vissuto e la chiesa che aveva frequentato. 
Quando fecero ritorno a casa, mi vennero a trovare e mi mostrarono una pietra che era appartenuta alla casa del Re. Villa Italia, la dimora del Re, dopo la sua morte fu messa in vendita dagli eredi. Quel giorno i miei amici chiesero al guardiano se potessero prendere un pezzettino di pietra e il custode comprendendo l’amore per il sovrano, li lasciò fare. 
Da quel giorno misi quella piccola pietra sulla scrivania del mio studio, vicino alla foto del Re D’Italia e, ogni anno a Natale, prendo quella pietra e la colloco nel presepe per ricordare il martirio di un Re buono. Il buon Dio non mi ha dato dei figli, ma ho un nipote che porta lo stesso nome del Re. Gli ho chiesto che quando non ci sarò più, sia lui a porre quella pietra nella capanna dove nacque il Salvatore del mondo. In questo modo penso che la sua storia possa ancora vivere e il buon Re non sarà mai dimenticato.

lunedì 24 dicembre 2018

L'ultimo compleanno da Imperatore


Bagno di folla al palazzo imperiale di Tokyo per celebrare gli 85 anni compiuti da Akihito che ad aprile passerà il testimone al proprio primogenito




TOKYO - Bagno di folla al palazzo imperiale di Tokyo per celebrare gli 85 anni dell'Imperatore Akihito, l'ultimo compleanno in veste di monarca prima dell'uscita di scena, con l'abdicazione di aprile. A salutare la famiglia reale nel giorno che tradizionalmente coincide con la festività nazionale in Giappone, c'erano più di 80mila persone, secondo le stime della Agenzia imperiale, il numero più alto dal 1969 - quando per la prima volta le autorità decisero di aprire il palazzo per celebrare il compleanno del padre Hirohito.

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domenica 23 dicembre 2018

Vicoforte: sabato 29 dicembre la celebrazione del ricordo di Vittorio Emanuele III nell'anniversario della sua morte


L'iniziativa, organizzata dall'"Istituto nazionale per la guardia d'onore alle reali tombe del Pantheon e di Vicoforte", si articolerà in due momenti: la Santa messa mattutina nel Santuario e la conferenza pomeridiana nella sala congressi di "Casa Regina Montis Regalis"

Sabato 29 dicembre a Vicoforte si terrà la celebrazione del ricordo di Vittorio Emanuele III nell'anniversario della sua morte, iniziativa organizzata dall'"Istituto nazionale per la guardia d'onore alle reali tombe del Pantheon e di Vicoforte".
L'appuntamento si articolerà in due momenti distinti e separati; il primo di essi andrà in scena alle 11, con la Santa Messa solenne concelebrata alla presenza di autorità civili, istituzionali e militari, della presidenza nazionale dell'Istituto e delle delegazioni provinciali con i rispettivi labari. All'organo, per l'occasione, sarà presente il docente di musica Bruno Manassero, accompagnato dal mezzosoprano Silvana Silbano, docente di canto lirico al Conservatorio di Torino.



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Inoltre, una mostra sulla Grande Guerra sarà allestita a Vicoforte e resterà aperta dal 29 dicembre 2018 al 2 gennaio 2019.


www.targatocm.it

sabato 22 dicembre 2018

A Torino la mostra sulle Madame Reali, dedicata a due reggenti parigine di casa Savoia


Palazzo Madama accoglie la mostra sulle Madame Reali
Da giovedì 20 dicembre e fino al 6 maggio 2019, Palazzo Madama ospiterà “Madame reali: cultura e potere da Parigi a Torino”, la mostra sulle Madame Reali.
La rassegna è dedicata a Cristina di Francia (1606-1663) e a Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours (1644-1724), reggenti di casa Savoia tra il Seicento e il Settecento.
Saranno più di 120 le opere in mostra nella Sala del Senato di Palazzo Madama allestita secondo il progetto dell’architetto Loredana Iacopino e curato da Clelia Arnaldi di Balme e Maria Paola Ruffino.
Tutte le opere provengono da prestiti di collezionisti privati e di importanti musei italiani e stranieri, tra cui, il Polo Museale del Piemonte, Musei Reali di Torino, Biblioteca Universitaria Nazionale di Torino, Gallerie degli Uffizi, Museo degli Argenti di Firenze, Museo di Belle Arti di Lione, Museo del Rinascimento di Ecouen, Museo del Prado di Madrid e il Museo del Castello di Versailles.
La mostra
Si tratta di dipinti, oggetti d’arte, arredi, tessuti, gioielli, oreficerie, ceramiche, disegni e incisioni che ripercorrono cronologicamente la biografia delle due dame parigine trapiantate a Torino.
Le due Madame Reali protagoniste della mostra sono entrambe nate a Parigi e morte a Torino. Con la loro forte personalità impressero un forte sviluppo alla società e alla cultura artistica dello stato sabaudo tra il Seicento e il Settecento.
Inoltre, le due donne, una volta a Torino,  trasformarono profondamente quello che era un ducato provinciale in una vera e propria realtà capace di dialogare con Madrid, Vienna e Parigi, lottando anche contro l’egemonia del potete maschile.
Il percorso espositivo si concentrerà sulle parentele che collegavano le due madame alle più grandi case reali europee, sulle loro azioni politiche e culturali, sulle scelte artistiche per le loro residenze, sul loro rapporto con la religione fino ad arrivare alla moda e alle feste di palazzo. Infatti, le due madame reali in questione hanno abitato Palazzo Madama e lo hanno reso importante, come tutta la città di Torino.

giovedì 20 dicembre 2018

I Monarchici e il problema dell'Alto Adige - III parte

Una politica nazionale per l’Alto Adige

Dal  quaderno edito nel  1958  dal  Movimento Giovanile del Partito Nazionale  Monarchico

dell’on. Roberto Cantalupo

L’agitazione degli italiani di lingua tedesca nell’Alto Adige diventò d’un colpo violenta e francamente sovversiva subito dopo la firma clamorosa del trattato d’indipendenza dell’Austria: questo segnò il momento culminante della politica sovietica della «distensione». Fissiamo questo punto: indipendenza della repubblica austriaca, proclamazione della sua neutralità nei confronti del conflitto europeo ed inizio vulcanico della propaganda contro lo Stato italiano a Bolzano e Merano, sostenuta strenuamente dal Governo viennese. C’era, o c’è, insomma, un nesso tra quella indipendenza e quella neutralità da una parte, e questa insurrezione antitaliana dall’altra? C'era e c’è ed è un nesso di politica russa.
L’Austria, infatti, vuol rivendicare sul piano irredentistico i territori dell’Alto Adige ed il governo di Mosca è segretamente impegnato ad appoggiare incondizionatamente l’azione austriaca, perché la neutralità permanente austriaca in caso di conflitto europeo verrebbe estesa a tutto l’Alto Adige, ove questo diventasse austriaco: cioè si allargherebbe a sud la zona neutrale europea, che è una concezione puramente sovietica.
Così la pressione russa contro l’Italia, attraverso l’irredentismo altoatesino è la terza grande minaccia slava sull'Italia, intorno all'Italia, per soffocare l’Italia. La prima sale intorno a noi e ci avvolge dal Mediterraneo Orientale per il tramite dei popoli arabi che Mosca tenta di acquisire al suo giuoco; la seconda ci avvolge dai Balcani tramite la Jugoslavia e stringe alla gola dell’Italia la cravatta adriatica che ci strangola; la terza calerà dal Danubio, tramite l’Austria che vi trova la sua palese convenienza nazionalista, se il Governo italiano non reagirà con decisione alle pazzesche pretese dell’imperialismo artigiano e lillipuziano di Vienna.
Le pretese espansionistiche dell’Austria dopo la riacquistata indipendenza, seppure condizionata all'impegno di neutralità, trovano la loro particolareggiata, ma grottesca motivazione, in un memorandum » al governo italiano. In esso il governo austriaco, che minaccia di invocare in merito alle sue rivendicazioni addirittura l’ONU, tentando subdolamente di inserire la questione altoatesina in un meccanismo internazionale che alla lunga potrebbe privare l’Italia della sua libertà di azione, si occupa delle due lingue parlate, in Alto Adige, per lamentare che la parità tra l’italiana e la tedesca non sia di fatto obbligatoria negli atti e rapporti delle amministrazioni in provincia di Bolzano, insistendo nel domandare cioè bilinguismo ufficiale ed amministrativo e conoscenza della lingua tedesca come «condizione indispensabile» per le assunzioni nella pubblica amministrazione alto-atesina!
Se noi accettassimo il bilinguismo amministrativo, l’obbligo ai funzionari di parlare il tedesco, vedremmo presto i nostri municipi della provincia di Bolzano diventare rapidamente «dépendances» del municipio austriaco di Innsbruck, vedremmo funzionari tedeschi rifiutarsi di parlare italiano, e la nostra lingua cadere presto in disuso per il fatto stesso di non essere la sola lingua ufficiale. Slavo a Trieste, francese ad Aosta, tedesco a Bolzano, addio unità linguistica dell’Italia nostra; Il legame che gli austriaci tentano di stabilire tra bilinguismo ufficiale e parlata tedesca dei funzionari, è il disegno di una macchina snazionalizzatrice, che la impudente e tracotante minoranza metterebbe in moto ai danni della maggioranza.
Si badi soprattutto a questo: il concetto di «gruppo etnico tedesco» acquisterebbe cosi un valore di fatto, otterrebbe un riconoscimento di diritto ed equipollenza assurda col «gruppo etnico italiano», e nel complesso determinerebbe la negazione dell’unità nazionale della popolazione alto-atesina nella uguale sudditanza all'Italia. Sarebbe la distruzione di centocinquanta anni di storia vera dell’Alto Adige. Ebbene se la D.C. vuole assumersi questa enorme responsabilità, lo faccia almeno conoscere in modo responsabile sicché gli elettori italiani possano darle adeguata risposta perché la frontiera del Brennero è frontiera anche degli italiani non democristiani!
Inoltre la minoranza tedesca nella regione è prevalentemente agricola, crea poca e fragile ricchezza nelle campagne, vanta una produzione economica solo accessoria in confronto della imponente capacità costruttiva degli alto-atesini italianissimi che popolano i centri urbani e vi creano fonti di lavoro e di denaro continue e generose. Il Governo italiano deve persuadersi che gli accordi De Gasperi-Gruber costituiscono uno strumento per noi pericoloso nelle mani di qualsiasi governo austriaco: sono quegli accordi che limino fatto dell’Alto Adige una provincia diversa da tutte le altre. E’ questo che non deve continuare. La provincia di Bolzano perciò deve ritornare una provincia come tutte le altre ed il Governo italiano può farlo, difendendo così con piena efficacia l’Italianità dell’ Alto Adige, soltanto se oserà operare contro la politica suicida della D. C. trentina.
Purtroppo, invece, alle tesi austriache non si risponde da Roma con la dovuta fermezza, ma si lascia avvalorare l’impressione che il nostro Governo ammette il diritto austriaco ad intervenire nella politica interna italiana, permettendo all'Austria di innovare il concetto di un territorio alto-atesino, non più sottoposto alla sovranità Italiana, ma ad una vera e propria potestà e giurisdizione internazionale, attraverso la istituzione di una commissione mista italo-austriaca competente a vigilare sull'applicazione degli accordi De Gasperi-Gruber; con l’intuibile funzione di  mostrarne l’insufficienza protettiva e farne cosi non un limite d’arrivo, ma una linea di partenza per l’ulteriore offensiva.
La morale di questa brutta favola anti-italiana è che siamo ora in presenza delle conseguenze fatali di una politica regionalistica, autonomistica, ignara o addirittura spregiatrice del concetto dello Stato Unitario al quale ha opposto larvate forme di separatismo psicologico ed economico: ne è derivato da ciò la rapida decadenza dell’autorità centrale e gli stranieri ne hanno tratto per sé tutti i vantaggi, come l’Austria con l’Alto Adige. Intorno ad un regime che «largheggia» in materia di sovranità statale ed ha quasi il complesso di una generica «colpa nazionale», scoppiano appetiti, ambizioni e cupidigie dei popoli confinanti.
Ora noi avevamo previsto tutto ciò da tempo ed alla Camera chiedemmo più volte al Governo di definire e fissare una buona volta la nostra condotta nei riguardi degli italiani di lingua tedesca, imprimendole una linea costante, una finalità precisa e positiva, una libertà completa interna ed esterna escludendo ogni ingerenza straniera, ma tutto ciò che è proposto da destra è respinto a priori dai democristiani ed alleati, quasi si trattasse di inclusioni illecite.
Oggi stiamo constatando dove ci conduce appunto una politica regionalistica male intesa e paggio attuata. Il rimedio, però, c’è, esiste ed è una politica energica e leale, giusta e serena, ferma e sovrana, capace di attirare gradualmente allo Stato, i cittadini di lingua tedesca e, certo, una politica che riuscisse a tanto avrebbe raggiunto una finalità della più grande importanza e darebbe al nostro Stato prestigio larghissimo in Europa.
Ma finché Interessi elettorali regionali, la concorrenza incredibili fra i partiti con le loro passioni segrete e con le loro impostazioni unilaterali anche rispetto agli interessi vitali della nazione, la posizione faticosa e bivalente dei liberali che non possono attuare entro II governo la politica che certo rivendicherebbero se fossero alla opposizione; fino a che vi saranno governi tanto deboli da dover chiedere in Parlamento l’ossigeno dei tre voterelli dei tedeschi di Bolzano; fino a quando insomma il complesso extra unitario che domina la politica dei nostri governi impedirà per mille ragioni che gli alloglotti si ricongiungano a Vienna, invece che  Roma», non c’è che attuare la legge.
«Legge » in sede internazionale significa denunziare gli accordi De Gasperi-Gruber, visto che sono semplici atti tra governi non vincolanti; in politica interna significa procedere con il massimo rigore contro gli attentatori all'unità dello Stato italiano.
La legge e il codice, nient’altro; il diritto internazionale e niente altro, e legge e diritto siano!

mercoledì 19 dicembre 2018

LA SINDONE DA PALAZZO MADAMA AI MUSEI REALI


Sabato 29 dicembre ore 15.30

Palazzo Madama – visita guidata alla mostra La Sindone e la sua immagine e alla Cappella della Sindone (riservata Abbonati Musei)



La Corte Medievale di Palazzo Madama custodisce da secoli una delle immagini che testimoniano la devozione della città di Torino nei confronti della Sindone. In dialogo con essa prende avvio il percorso alla mostra La Sindone e la sua immagine in cui sono esposte circa ottanta opere: quelle raccolte dal Re Umberto II e provenienti dal castello di Racconigi, dalla Fondazione Umberto II e Maria José di Ginevra, dal Museo della Sindone e dalle stesse collezioni di palazzo Madama. 


Esse offrono una campionatura eccezionale dell’iconografia del sacro lino a partire dal XVI secolo ponendo l’accento sulle ostensioni ad esso legate, prima con cadenza regolare ogni 4 maggio per la Festa liturgica della Sindone, successivamente in occasione di eventi di risonanza, tra cui matrimoni ducali e regali. 
Dipinti, incisioni su carta o seta, quadri a tempera, ricami e insegne processionali permettono, attraverso la loro lettura iconografica, di raccontare la storia del lenzuolo ritenuto il sudario di Cristo. 
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Costo: biglietto di ingresso alla mostra + biglietto di ingresso ai Musei Reali - gratuito per i possessori di Abbonamento Musei. € 8 per visita guidata alla mostra e alla cappella di Guarino Guarini.

Prenotazione obbligatoria: Numero verde 800329329



http://www.torinoggi.it/2018/12/17/leggi-notizia/argomenti/cultura-4/articolo/gli-appuntamenti-nel-periodo-delle-feste-alla-fondazione-torino-musei.html

domenica 16 dicembre 2018

Principessa Maria Gabriella: tornerò presto a Vicoforte





"Tornerò presto a Vicoforte": lo afferma Gabriella di Savoia in una lettera scritta a un anno dall'arrivo in Italia delle spoglie dei nonni, Vittorio Emanuele III e la moglie Elena, ora sepolti nella Cappella di San Bernardo all'interno della Basilica di Vicoforte, nel cuneese. Della missiva è stata data lettura durante una cerimonia con la deposizione di una corona d'alloro nella Cappella dove riposano gli ex sovrani. La commemorazione è stata tenuta da Aldo Mola, storico e presidente Consulta dei senatori del regno. "La sera di un anno fa - scrive l'esponente di Casa Savoia - venni informata in via riservata che l'istanza mesi prima rivolta da mio fratello e da me a nome delle nostre sorelle al presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché le salme dei nonni venissero trasferite e congiunte in Italia, era stata accolta. Espressi subito la mia gratitudine al presidente della Repubblica perché così veniva soddisfatto il desiderio degli italiani, rinnovato e sempre più acuto nel tempo, che le salme venissero composte nella Patria da loro tanto amata e sempre tanto rimpianta. Due giorni dopo, il 17 dicembre, giunse da Alessandria d'Egitto il feretro di mio nonno". "Un anno dopo la traslazione - aggiunge - desidero ricordare che la Casa di Savoia è sempre stata tutt'uno con gli italiani e fu sempre particolarmente vicina al Vecchio Piemonte e al Cuneese, che ho visitato con mia figlia Elisabetta e dove tornerò presto per raccogliermi davanti alle arche dei nonni".


http://www.lospiffero.com/ls_article.php?id=43169

http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2018/12/15/savoia-gabriella-presto-a-vicoforte_21817fbc-aa3d-4fae-a712-58778bae70ce.html

https://www.giornalelavoce.it/torino-savoia-gabriella-tornero-presto-a-vicoforte-331979

venerdì 14 dicembre 2018

Monarchia oggi, quale il senso?


In Europa sono presenti varie monarchie, ma potrebbero essere di più. Qual è lo stato dei movimenti monarchici oggi?

di Gianmarco Cenci 

L’8 dicembre ha avuto luogo in Serbia una grande protesta contro il Presidente della Repubblica di Serbia Aleksandar Vučić e il suo movimento, il Partito Progressista Serbo (Srpska Napredna Stranka, SNS). Le opposizioni sono scese in piazza per protestare contro una presunta deriva autoritaria della Presidenza, che, negli ultimi anni, avrebbe ridotto la libertà di stampa, in un contesto di aumentata corruzione e violenza: il pestaggio ai danni di Borko Stefanović, leader del piccolo partito Sinistra Serba (Levica Srbije, LS). La protesta ha coinvolto varie anime dell’opposizione a Vučić e a SNS, che in Parlamento può contare sulla maggioranza dei seggi – ben 160 su 250 – e sul sostegno al proprio leader che, anche se in continuo calo di popolarità da quando ha assunto la carica di Presidente nel 2016, rimane una delle figure politiche più popolari dello Stato ex-jugoslavo. Fra i vari partecipanti alla manifestazione, spicca per particolarità la presenza di nostalgici della monarchia che dal 1945 non ha più un ruolo nel quadro istituzionale serbo.
Il Principe ereditario Aleksandar II Karađorđević è l’attuale pretendente al trono di Serbia. È figlio dell’ultimo re di Serbia e Jugoslavia, Peter II, prima che quest’ultimo fosse allontanato nel 1945 dal trono a seguito della presa di potere da parte di Tito. Come ogni buon membro di una casa regnante europea, è imparentato con buona parte della nobiltà del continente. Ha vissuto per lungo tempo in Gran Bretagna, con la cui Corona ha ottimi rapporti: la Regina Elisabetta II è la sua madrina. Avendo trascorso lì gran parte della sua gioventù, parla inglese meglio del serbo, ma, nonostante ciò, gode di una buona popolarità in Serbia. Il sentimento monarchico serbo è piuttosto forte e si è fatto via via più concreto man mano che le ultime vestigia della Federazione Jugoslava sono venute meno – è del 2006 la fine della Confederazione di Serbia e Montenegro, ultimo relitto del progetto panslavista.
A sostegno del ritorno della monarchia in Serbia c’è la ‘Associazione Regno di Serbia,che si propone il compito di sensibilizzare l’opinione pubblica su come la figura del monarca possa meglio rispettare le esigenze del popolo serbo e soddisfare i suoi bisogni e interessi. In passato ha promosso una raccolta firme, patrocinata da Aleksandar II in persona, da sottoporre al Parlamento serbo. La richiesta, sottoscritta da oltre 120mila persone, richiedeva il ritorno dell’istituzione monarchica al posto dell’esistente repubblica. Il Re – che, come tiene a sottolineare, non ha mai abdicato – tornerebbe quindi sul suo trono a Belgrado, sebbene con poteri ridotti rispetto a quelli del 1945. Dall’associazione sono molto chiari su questo punto: il sovrano non avrà poteri assoluti, ma agirà nel rispetto della Costituzione. La sua figura sarà molto simile a quella di un Presidente della Repubblica unita a quella di un difensore civico: non interferirà nel potere legislativo, esecutivo e giudiziario, ma si limiterà a indirizzare, con le sue lodi e le sue critiche, la vita del Paese.
La nostalgia per le istituzioni monarchiche è molto sentita in quelle aree d’Europa che sono state parte del Patto di Varsavia.

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Il libro azzurro sul referendum - XIII cap - 3


S. M. il Re a colloquio coll’On. De Gasperi subito dopo l'adunanza alla Corte di Cassazione del 10 giugno (1)


De Gasperi: «Maestà, le porto il verbale della riunione della Suprema Corte, testé conclusa ». Gli consegnò la busta gialla.
Re Umberto: «La ringrazio. Già lo conosco per averlo ascoltato alla radio»... prese il testo, lo lesse adagio, senza dimostrare speciale emozione.
De Gasperi: «Si tratta del documento previsto dalla procedura conte stabilita alla legge».
Re Umberto alzando lentamente gli occhi su di lui, con tono significativo: «Le pare? Ho motivi di perplessità di fronte a questo documento. E’ una comunicazione provvisoria».
De Gasperi: «La suprema Corte si è attenuta alla forma ed ai limiti stabiliti dalla legge all’art. 17».
Re Umberto: «Non si tratta di questo. La comunicazione della Corte non è quella elle la legge prevede per il passaggio dei poteri. La maggioranza repubblicana non è stata proclamata. La Corte ha fatto esplicito riferimento ad una seconda adunanza, in cui darà il risultato definitivo. Ci troviamo in una fase di passaggio. Del resto sarà cosa di una settimana al più».
De Gasperi cedendo terreno, di fronte all'atteggiamento fermo del Re: «Ma dunque, quale decisione, Maestà, ritiene di prendere?».
Re Umberto: «Mi riservo di pensarci e di decidere. Devo continuare le mie consultazioni. Comunque desidero dire che non intendo aggravare la tensione, che tutti avvertiamo con una intransigenza che potrebbe essere travisata. Animato da spirito di conciliazione, sono disposto a cedere l’esercizio dei miei poteri. In tal modo, restando formalmente immutata la mia posizione di Capo dello Stato, sostanzialmente si apre la porta ad un accordo delle parti, si elimina l’ ostacolo alla collaborazione per l’ultimo periodo. Potrei fare a Lei stessa questa cessione. Sono disposto a lasciare Roma, ritirandomi in altre località, penso a Castel Porziano, si che risulti evidente il mio proposito di non intralciare, nemmeno con la presenza tisica, il normale sviluppo degli eventi. Per il resto, sia la Corona che il Governo si rimettono alla Suprema Corte ».
De Gasperi lo ascoltò pensoso; restò in silenzio, poi rispose con aria sottomessa : « Maestà, Lei mi conosce troppo bene per non rendersi conto che io personalmente accetterei senz’altro questa sua proposta. Ma devo tener conto del Governo. Esso mentre noi parliamo è riunito al Viminale. I suoi principali esponenti mi hanno già espresso la loro intransigenza. Come potrò fare accettare la proposta che Ella mi comunica a un Governo che conta di proclamare la repubblica in serata? Ella sa quali sono i limiti entro cui posso manovrare l’eterogenea formazione governativa, lo mi sforzerò di raggiungere questo compromesso, di esercitare, sia pure con le mie modeste forze, una provvidenziale azione di freno, ma non posso astenermi dall’esprimere profonda preoccupazione per quanto Ella mi dice, anche valutando il turbamento che ne subirà il Paese ».
Come si seppe poi, De Gasperi fu stupito (egli, che aveva bene  interpretato l’atto della Cassazione come una legittima e tardiva ribellione ai soprusi del Governo) della tenacia con cui il Re tendesse ad evitare una rottura, anche a costo di spogliarsi da sé della propria autorità. A uno dei suoi più fedeli collaboratori confidenzialmente disse: «Certo è un galantuomo; d’altri tempi purtroppo... ».

(1) Da Storia segreta..., pug. 158, 159.

giovedì 13 dicembre 2018

Conferenza a Livorno del Movimento Monarchici





Grandissimo successo di pubblico, tanto numeroso quanto qualificato, alla Conferenza organizzata dal Presidente Nazionale della Associazione Culturale Movimento Monarchici, Mauro Mazzoni, presso Palazzo Orlando, con il Coordinatore Editoriale di Banca Finanza, Avv. Alberto Rizzo, e l'intervento del Prof. Alessandro Giovannini, Ordinario presso la Facoltà di Scienze Bancarie a Siena, per la presentazione di Banchieri alla Città di Livorno, scritto da Beppe Ghisolfi, Vice Presidente del Gruppo Europeo delle Casse di Risparmio e Consigliere dell'Istituto Mondiale delle Casse di Risparmio.

mercoledì 12 dicembre 2018

Io difendo la Monarchia - Cap VI - 3


Ma l'esarchia che ci governa non può tanto, per fortuna: essa deve procedere d’accordo nelle sue parti e non può uscire dalla legalità dello Stato che pure concordemente le sei parti finiscono col distruggere. Ed ecco i più spinti cercare di forzare la mano ai più cauti per raggiungere non la salvezza d'Italia, né assicurare
le sue frontiere, né garantire la vita e il lavoro del popolo italiano nei prossimi anni o mesi, né salvare un patrimonio coloniale acquistato prima del fascismo e costato molto lavoro e molto sangue, ma la vittoria della loro fazione. E per giungere a tanto essi pestano nel mortaio della loro morta dottrina, l’amaro seme della sconfitta e della vergogna. Procedono su questa strada, a sfruttare i loro vecchi rancori e a coltivare l'odio civile e l’odio di classe.

Si compie negli anni tra il 1926 e il 1932 (si potrebbe dire 1939 ove si consideri l’inaugurazione della Camera dei fasci e delle Corporazioni) quella che pomposamente i fascisti chiamavano la rivoluzione corporativa. Ora è divenuto chiaro per tutti che non si trattava di una rivoluzione, ma di un mezzo di propaganda e di un espediente temporaneo della dittatura per prolungare la sua durata. Non si può però dire che non fosse una esperienza a cui molti in Italia e fuori presero vivo interesse, e che parve sostituire con vantaggio il precedente sistema politico ed economico. Come rivoluzione essa fu presentata in Italia e fuori d’Italia, fu imitata in Austria, in Portogallo, in Spagna, in Jugoslavia, in Ungheria e in Germania. Ebbe larghi riconoscimenti ed elogi da parte dell'Ufficio Internazionale del Lavoro presso la Società delle Nazioni ove i suoi rappresentanti operai, i Rossoni e i Razza, andarono per più anni di seguito e furono bene accolti a rappresentare il lavoro italiano.
Rimaneva pur sempre il fatto che sindacati e corporazioni non traevano la loro vita che dalla forza politica dello stato fascista. Come osservava il Salvatorelli le corporazioni «funzionavano come oggetto, non come soggetto ». E questo toglieva vitalità a tutto il sistema e ne impediva un autonomo e vigoroso sviluppo. Insomma il corporativismo doveva servire la dittatura, non sostituirsi ad essa. Fu una dura battaglia, nell’intimo delle coscienze di molti giovani studiosi e di molti organizzatori i quali ritennero, con il corporativismo, di avere riacquistato l’indipendenza di pensiero e di parola se non di azione; sperarono di avere spezzato o di poter spezzare le maglie della dittatura e invece si accorsero, a un dato momento, che nelle intenzioni di Mussolini c’era ben altro. Egli aveva concesso quel pascolo attentamente controllato alle forze vive e alle intelligenze più acute della nazione perché vi si abbandonasse alquanto in vivaci polemiche e in innocui progetti, ma nulla doveva toccare la ferrea struttura politica del partito e  della polizia su cui il dittatore poggiava le basi della sua tirannide. Il romagnolo era un uomo del quattrocento e il corporativismo aveva preso il posto degli innocenti tornei poetici del tempo.
Sarebbe vano però negare la vastità e l'interesse degli studi corporativi e le illusioni che si produssero. Abbiamo dinanzi i tre grossi volumi degli Atti del secondo Convegno di studi sindacali e corporativi tenuto in Ferrara nella prima decade di maggio del 1932. Il numero degli studiosi che intervennero in quel convegno e imponente: le adesioni dall’estero notevoli. Notiamo il professore Andreades dell’Università di Atene; il prof. Maurice Ansiaux dell’Università di Bruxelles; il prof. Ohlin dell’Università di Stoccolma; E. Berthelemy della Sorbona, Cedi Pigou dell’Università di Cambridge, Virgilu Magdearu di Bucarest; Carlo Balas di Budapest; Beckamann Birger di Stoccolma; Beckerath von Erwin della Università di Colonia; Stefano Ereki della Università di Szeged (Ungheria), Jotopoulus Panajos dell'Università di Atene; W. Ouaìid dell'Università di Parigi; Francesco Ruska delFAccademia d'Ungheria; Werner Sombart dell’Università di Berlino (1).

Come si vede era grande l’interesse degli studiosi e degli uomini politici d’Europa verso il movimento corporativo. E a parte quella che era la prassi politica del fascismo, il Congresso di Ferrara dimostra, per le molte e pregevoli sue relazioni e il fervore delle discussioni, quale sia stato lo sviluppo del pensiero sindacale e corporativo in quegli anni (2). L’esperienza corporativa attirava i giovani desiderosi di veder realizzato un ordine nuovo che giustificasse l’avvenuta frattura tra il mondo politico di ieri e quello odierno. Se più tardi Mussolini tradì l'aspettativa, se il corporativismo non si rivelò null’altro che un aspetto della totale supremazia dello Stato
su tutte le energie vitali della nazione; null'altro che paternalismo e controllo poliziesco sui sindacati, i primi a soffrire furono i giovani che avevano creduto alle promesse della vigilia e ai risultati delle prime esperienze.

In quel torno di tempo il fascismo aveva assunto nella politica internazionale un atteggiamento tranquillo e pacifico, incline alla collaborazione. Si volevano bonificare le terre, compiere grandi opere pubbliche, edificare le città, mutare come si diceva, il volto della Patria, trasformare l'ordine sociale, essere un centro di universale attrazione. Le dittature trovano facile la via del successo e della fortuna nei primi anni perché cercano di rendersi popolari facendo tutto quanto non fu possibile per molti motivi fare precedentemente. Esse non hanno controlli, non soffrono di diversità di concezioni e di pareri, non tutelano le pubbliche finanze, non temono l’inflazione, non rendono conto alla pubblica opinione. Perciò agiscono e in ciò fare creano interessi nuovi che difenderanno strenuamente il nuovo ordine. Consumano le energie e le riserve esistenti, scelgono come vogliono tra l'antica classe dirigente; vivono insomma sul patrimonio morale, intellettuale, economico accumulato dalle generazioni. Poi, come esse sono sterili, e hanno sempre bisogno di maggiori opere, di più mirifiche imprese, necessariamente si guastano e corrompono e rapidamente decadono e fatalmente rompono in qualche assurda e disperata impresa che segna la loro fine. L’Italia tra il 1926 e il 1933 era nella fase favorevole delle dittature,
non in quella della decadenza e tanto meno della rovina. Pensare in quegli anni di rimuovere Mussolini dal potere sarebbe stato assurdo. Egli incontrava allora il favore internazionale. Conferma lo stesso Matthews a pag. 240 del suo volume I frutti del fascismo (Laterza, 1945) ; «Riguardando a quegli anni, i più tra noi debbono ammettere che parvero anni buoni . E a pag. 252, dopo avere riassunto i termini della «questione romana » portata a conclusione l’n febbraio 1929, con la firma dei Patti lateranensi : « Egli - Mussolini - volava in alto in quei giorni poiché il fascismo stava toccando il suo apice di adulazione e imitazione mondiale.
Il colmo della sua grandezza in Italia si ebbe nel 1932 con la celebrazione del decennale del regime fascista...
Fu difatti uno dei punti più alti della sua carriera. Egli stava per aprire a Roma la via dell’Impero così giustificando il suo orgoglioso vanto che « Roma apparirà una meraviglia ai popoli del mondo ». In un giro per le città d’Italia fu acclamato con schietto entusiasmo. Inaugurò l’acquedotto del Monferrato e la nuova autostrada Milano-Torino». E a pag. 254: «L’anno dopo, Hitler giunse al potere: in Ispagna si inizio il  biennio nero e in tutto "l’oscuro e tormentato mondo le anime malate e scoraggiate realmente pensa vano che la salvezza si trovasse nella strada che conduceva al fascismo » (1).
Matthews dice inoltre che il decennio successivo 1932- 1942 fu assai peggiore del primo (1922-1932). Nessuno ne è più convinto di noi che non abbiamo mai condiviso 1 entusiasmo dei paesi lontani per un Mussolini che essi non conoscevano, e di cui non potevano vedere l’istrionismo. È però bene, in un momento in cui si è perduta ogni serenità di giudizio e ogni memoria del passato, annotare ciò che questo americano antifascista, vissuto tra noi per molti anni prima della guerra e tornato nella Penisola nel 1943, con il corpo di occupazione degli alleati, scrive a conclusione del suo esame sul primo decennio fascista: «Il "duce” ebbe in quegli anni realmente un enorme consenso popolare; tributo che veniva pagato più a lui personalmente che non al regime, sebbene per quel che si ha modo di giudicare, la maggior parte della gente fosse anche indubbiamente favorevole al fascismo. Gli italiani sono un popolo pratico e realistico che doveva sostenere o avversare il fascismo in proporzione al suo successo o fallimento materiale... ». (2).
I due plebisciti del 1929 e del 1934 danno a Mussolini e al regime circa 10 milioni di voti contro poche decine di migliaia di schede negative. Il dittatore orgogliosamente osserva che «un plebiscito può confermare una rivoluzione al potere, non rovesciarla » ma intanto egli si serve di quei risultati favorevoli per rafforzare il suo
credito all'estero. Sono quelli gli anni del consenso popolare che accompagnava la forza e dell'ammirazione dei paesi esteri che rafforzava il prestigio formale del capo. Il settimanale Domenica pubblicò nell'autunno 1944 il riassunto di un libro britannico in cui si finge di fare il processo a Mussolini per portare alla sbarra il partito
conservatore per il lungo appoggio dato al fascismo. Si immagina lo svolgimento di un regolare processo a Mussolini in un giorno dell’anno 1944 1945 dinnanzi a un tribunale britannico. Dopo batto di accusa rivolto all’imputato vengono chiamati i testimoni a discarico. Il primo è l'ex ministro degli esteri d'Inghilterra sir Austin
Chamberlain. Questi venne a Roma a dare autorità al pericolante governo fascista proprio nel momento più acuto della crisi del fascismo, durante la citata discussione al Senato tra il sei e il dodici dicembre del 1924. In un’intervista sul giornale La Tribuna sir Austin Chamberlain disse : « Il sig. Mussolini è un uomo meraviglioso e un lavoratore formidabile. Non posso addentrarmi nella politica interna di paesi stranieri, ma devo dire che il sig. Mussolini lavora per la grandezza della sua Patria e regge sulle spalle un peso enorme ».
Quando sir Austin pronunciava queste parole, la crisi politica provocata dal delitto Matteotti non era ancora conclusa. L’assassinio del deputato socialista, che fu un orribile delitto di Stato, fu fatto apparire come un atto di violenza di una banda di delinquenti estremisti. Dopo sir Austin Chamberlain, neirimmaginario processo, compare al banco dei testimoni Lord Rothermere editore del  Daily Mail. Anch'egli visitò Mussolini dopo il delitto Matteotti e scrisse: « La calma forzata e la fiducia in sè di cui Mussolini dette prova allora, la sua incrollabile decisione di estirpare la mala pianta manifestatasi nell’organizzazione fascista che egli aveva creato, furono espressione inconfondibile della sua grande forza di carattere » (!?)• E non basta, non basta. Otto  mesi dopo il giudizio di Lord Rothermere è anche più apologetico. Leggete e stupite : « Egli, Mussolini, è la più grande figura della nostra epoca. Mussolini dominerà probabilmente la storia del secolo ventesimo come Napoleone dominò quella del primo Ottocento ». Nientemeno. Pare di sognare. Un simile abbaglio del Lord inglese, una simile apologia che dall’estero, da un grande paese come l’Inghilterra rimbalzava qui, dovevano avere ed ebbero fra noi una grande ripercussione: in alto non meno che in basso. E concorsero a creare il clima che spiega molti atteggiamenti: anche quello del Re.

(1)          Sombart prendeva la parola e diceva tra l'altro, a nome di tutti gli stranieri: «Quando ci domandiamo a qual punto siamo arrivati (mi permettano di spiegarmi come scienziato, non come politico ma come scienziato che ha il solo dovere di osservare i fatti e di constatare quello che c'è) possiamo dire che, se non sbaglio ci troviamo adesso In un'epoca di rivoluzione, in un'epoca che si chiama In tedesco Zeitwendeit, in un tempo ove tutte le grandi Idee sono in movimento, sono in cambiamento. E il senso di questo cambiamento, secondo me, è questo: slamo arrivati alla fine di un'epoca che si può chiamare l'epoca economica. Il secolo scorso è stato un secolo puramente economico... Io credo che slamo arrivati ad un punto in cui gli uomini non vogliono più sopportare la dominazione dell’economia... Questo è il movimento di tutti i paesi del mondo civilizzato. Anche in Russia, secondo me. si manifesta la stessa tendenza. Da noi, in Germania, abbiamo il nazionalsocialismo che ha la stessa tendenza, ma l’Italia è stato il primo paese che ha fatto il primo passo nella nuova strada: questo é il merito dell’Italia. Per questo l’Italia è adesso il paese dove gli sguardi di tutte le nazioni sono diretti. Una volta, sei o sette secoli fa, i popoli nordici venivano a Bologna per imparare il diritto romano: allora dicevasi: Bononia docet. Adesso gli stessi popoli vengono in Italia per imparare il diritto corporativo ».

(2)          Vedi anche Perticone: op. cit., pag. 301.

(3)       Non riportiamo per amore di brevità tutti gli altri riconoscimenti del Matthews. Uno solo vogliamo sottolinearne.  A pag. 255 egli scrive : « Le linee di navigazione italiane sono in realtà, le migliori del mondo ». Appunto per questo molto probabilmente non ci sarà più restituita la nostra marina mercantile.
(4)          Lo stesso Matthews ricorda i risultati delle elezioni o plebiscito del 25 marzo 1934: «10 milioni e 60 mila elettori votarono per il fascismo con una percentuale del 99,84 per cento sugli iscritti. Presso a poco gli stessi risultati si erano avuti nel 1929».

lunedì 10 dicembre 2018

Il ricordo dei Sovrani sepolti nel Santuario di Vicoforte

A un anno dal trasferimento delle salme. Cerimonie in memoria di Elena e Vittorio Emanuele III




Santuario di Vicoforte, 15 dicembre 2017. Nella massima riservatezza, alle 19 giunge il feretro di Elena di Savoia, accolto dal conte Federico Radicati di Primeglio, delegato della Casa sabauda. L’ultima Regina d’Italia, che riposava dal 1952 a Montpellier, viene deposta in una tomba con la lapide «Elena di Savoia, regina d’Italia, 1873-1952», alla sinistra dell’altare della cappella di San Bernardo. Monumento funebre ornato di marmi bardiglio, nero Belgio, verde Levanto e giallo Provenza. Alle 17,45 la principessa Maria Gabriella, nipote di Elena, annuncia l’avvenuta traslazione, con una nota ripresa dall’Ansa di Parigi. Lì accanto, la mattina del 17 dicembre, viene tumulata (in arrivo da Alessandria d’Egitto dove si trovava da fine dicembre 1947) anche la salma di Vittorio Emanuele III.
Un anno fa, per completare un iter iniziato il 19 marzo 2011. Lo ricorderanno la Consulta dei senatori del Regno, guidata da Aldo Alessandro Mola, e l’Associazione di studi storici «Giolitti», presieduta da Alessandro Mella. Avverrà sabato, alle 11, nel Santuario. Alla sobria cerimonia potrebbe essere presente anche la principessa Maria Gabriella, che già visitò le tombe e ieri mattina ha confermato dalla Svizzera: «Sto valutando se sarà possibile partecipare, compatibilmente con le esigenze familiari e organizzative».
Le sepolture dei sovrani sono videosorvegliate e meta di curiosi e nostalgici. «Per essere lieti della traslazione di un anno fa - sottolinea il professor Mola - non occorre affatto essere monarchici: basta essere italiani».
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