NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 25 dicembre 2018

La pietra del Re Umberto II

di Emilio Del Bel Belluz

Nella mia vita avevo un sogno nel cuore che non sono riuscito a realizzare, perché le cose non vanno mai come vorremmo e mio padre Elso diceva che i sogni non si realizzano mai. 
Dal momento in cui avevo letto e studiato la storia dei Savoia, mi ero affezionato alla figura dell’ultimo Re d’Italia, Umberto II. A Natale, il mio pensiero andava a lui. Immaginavo il Re che andava alla messa di Mezzanotte assieme alla sua famiglia. 
Nel 1946, il suo primo anno d’esilio, pensai che una tristezza infinita immalinconisse il suo cuore per essere lontano dalla sua patria. Nel 1946, il Re d’Italia aveva quarantadue anni e per 41 anni il Natale lo aveva trascorso in Italia. Nel primo anno d’esilio furono molte le difficoltà che aveva incontrato al suo arrivo in Portogallo, come esule, perché aveva alloggiato in una casa senza alcun comfort. Cascais era un piccolo villaggio di pescatori e le difficoltà del vivere erano molte. 
Il Re d’Italia andò alla Messa di mezzanotte nella piccola chiesa di Cascais. In quel 1946, il sovrano si trovava lontano dai suoi genitori, i quali stavano in Egitto. La sofferenza in questo modo era amplificata. Tanti italiani soffrirono per la lontananza del sovrano. Il parroco di Cascais si sarà preoccupato, perché nella sua chiesa avrebbe ospitato la famiglia Savoia. Immaginavo il sacerdote che avrà dovuto prepararsi una predica impegnativa, sapendo che a quella Messa di mezzanotte sarebbe intervenuta la famiglia reale italiana. 
La voce sarebbe corsa di casa in casa, perché molti conoscevano la generosità di Re Umberto verso i poveri. Alla fine della Santa Messa, la gente lo avrà circondato facendogli gli auguri. Il Re non si sottraeva mai all'accoglienza che la gente gli tributava. Per tanti anni pensai al mio Re e ai suoi Natali. Nella mia famiglia non eravamo ricchi, mio padre tornato dalla guerra distrutto nel fisico si era messo a lavorare, ma le difficoltà non mancavano. Ogni anno nel giorno di Natale pensavo che mi sarebbe piaciuto invitare alla nostra tavola, il Re d’Italia. Una volta avevo letto una poesia di Aldo Fabrizi che avrebbe desiderato invitare il suo Re a tavola, ma ciò era impossibile. Il Re trascorse trentasette anni in terra d’esilio, senza che il Parlamento decidesse per il rientro dei Savoia. 
I Re si dimenticano, le persone buone si trascurano, ma il bene fatto rimane. Il sovrano trascorse il resto della sua vita in un triste esilio, confortato solo dall’amore che certi italiani sentivano ancora per lui, dalla gente che gli scriveva e dalle persone di quel vecchio villaggio di pescatori che si sentivano orgogliosi d’aver come vicino di casa un Re. Un sogno della mia vita era anche quello di poter andare in Portogallo a conoscere il Re, ma non avevo i soldi per intraprendere quel viaggio che tanto desideravo. Una notte avevo sognato d’essere arrivato a Cascais, d’averlo incontrato e gli avevo fatto un regalo.
Dall’Italia gli avevo portato il quadro di un Santo a me tanto caro, San Leopoldo Mandic’, che verosimilmente il Re aveva conosciuto durante la sua permanenza a Padova dove si laureò in Giurisprudenza. Il Re era un cattolico osservante, amava visitare le chiese e magari si sarà soffermato nel convento di San Leopoldo, anche se allora non era stato proclamato Santo. San Leopoldo era il frate degli umili, che conosceva molto bene il dolore che si prova ad allontanarsi dalla propria terra. 
Nel sogno il Re mi accoglieva nella sua dimora e mi mostrava il presepe. Questo sogno l’ho sempre conservato dentro di me, mi donava una certa serenità. Non ebbi mai la possibilità reale di fare quel viaggio, poi il Re morì il 18 marzo 1983. Alcuni anni dopo, alcuni miei amici si recarono in Portogallo e andarono a visitare la casa del Re, i luoghi dove aveva vissuto e la chiesa che aveva frequentato. 
Quando fecero ritorno a casa, mi vennero a trovare e mi mostrarono una pietra che era appartenuta alla casa del Re. Villa Italia, la dimora del Re, dopo la sua morte fu messa in vendita dagli eredi. Quel giorno i miei amici chiesero al guardiano se potessero prendere un pezzettino di pietra e il custode comprendendo l’amore per il sovrano, li lasciò fare. 
Da quel giorno misi quella piccola pietra sulla scrivania del mio studio, vicino alla foto del Re D’Italia e, ogni anno a Natale, prendo quella pietra e la colloco nel presepe per ricordare il martirio di un Re buono. Il buon Dio non mi ha dato dei figli, ma ho un nipote che porta lo stesso nome del Re. Gli ho chiesto che quando non ci sarò più, sia lui a porre quella pietra nella capanna dove nacque il Salvatore del mondo. In questo modo penso che la sua storia possa ancora vivere e il buon Re non sarà mai dimenticato.

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