Emilio Del Bel Belluz
da Libero di giovedì 06
dicembre 2018
La vita
di ogni persona è fatta da un susseguirsi di attimi che poi scompaiano.
Ci sono
però dei momenti che vorremmo non finissero mai, perché ci hanno fatto provare
delle intense emozioni.
Quasi
quarant’anni fa mio padre mi donò un libro di Giovannino Guareschi.
Una
domenica di novembre, dopo la Santa Messa, mi misi a leggerlo. Era affascinato
dalle storie che vi trovavo e mi commossi alla lettura del racconto in cui si
parlava della vecchia maestra elementare di Brescello che, vicina alla morte, espresse con
umiltà al parroco Don Camillo e al sindaco Peppone il suo ultimo desiderio. La
maestra aveva trascorso tutta la vita a insegnare in paese e conosceva tutti, a
ognuno aveva insegnato a leggere e a scrivere. Si poteva considerarla una vera
e propria istituzione, la donna poi viveva in modo umile, in una casa che le
aveva messo a disposizione il Comune. Raccontò al parroco e al sindaco, che
voleva essere sepolta con la bandiera del Re.
La sua
richiesta era legittima, perché la donna aveva sempre amato la famiglia
Savoia.In quegli anni non conoscevo molto bene la storia, mi commosse però la
frase che la maestra disse rivolta al sindaco: «I Re non si mandano mai via».
Poi nel libro si racconta il suo funerale con la bandiera sabauda. «E così il
giorno dopo la signora Cristina andò al cimitero nella bara portata a spalla da
Peppone, dal Brusco, dal Bigio e dal Fulmine. E i quattro avevano al collo i
loro fazzoletti rossi come il fuoco, ma sulla bara c’era la bandiera della
signora maestra. Cose che succedono là, in quel paese strampalato, dove il sole
picchia martellate in testa alla gente e la gente ragiona più con la stanga che
con il cervello, ma dove, almeno, si rispettano i morti».
Dopo la
lettura del libro, sentii il desiderio di conoscere bene la storia dei Savoia.
Mi rivolsi a mio padre che aveva combattuto nella Seconda Guerra Mondiale ed
era stato fatto prigioniero dai tedeschi.
Mi parlò con
tanta tristezza del Re Umberto II che fu costretto a vivere in esilio in
Portogallo, ma mio padre disse che il suo cuore era rimasto in Italia e il
nostro Paese dopo la sua partenza era diventato più povero. Il Re aveva
lasciato l’Italia per evitare spargimento di sangue, ma mai avrebbe pensato di
non farci più ritorno. Quella sera andai a letto, intristito, avvilito, pensavo
al sovrano in esilio, a quanta malinconia dovesse avere nel suo cuore. Un mese.
Mancava un mese al Santo Natale e addormentandomi, lo immaginavo mentre
passeggiava a Cascais e osservava il mare, sognando l’Italia. Non dormii bene
la notte, avevo dentro di me le parole di Guareschi, della maestra Cristina e
quelle di mio padre. L’indomani andai in biblioteca per fare una ricerca su
casa Savoia. Recuperai l’indirizzo del Re e gli scrissi. Le parole mi uscivano
spontanee, mi sentivo vicino a lui e chiesi se potevo ricevere una sua foto con
dedica. Nella lettera gli dissi che provavo molto affetto nei suoi confronti e
che mi sarebbe piaciuto che tornasse in Italia con la sua famiglia. Con molta
passione scrissi questa lettera, non la rilessi, l’avevo scritta con il cuore.
Da quel momento incominciai a leggere tutto quello che trovavo sui
Savoia.Sempre più vicino. Il Natale si avvicinava velocemente, ogni giorno che
passava, la mia gioia cresceva, perché il Santo Natale era per me la festa
delle feste. In casa avevamo preparato il presepe. Era stato collocato come
ogni anno in cucina, che era la stanza più bella. La sera mi fermavo a
osservare le belle statuine e la Santa Famiglia di Nazareth. Prima di
addormentarmi pensavo a quella lettera che era partita per Cascais e con la
fantasia correvo a cosa avrebbe provato il Re in quei giorni. Avevo ripreso a
leggere la storia dei Savoia e in un quaderno raccoglievo tutte le notizie.
Le
settimane passarono, il parroco cui avevo confidato d’aver scritto una lettera
al Re, era fiducioso che mi avrebbe risposto. Vivevo in un paese di qualche
centinaio di abitanti, composto di una chiesa, la canonica, l’abitazione del
sacrestano, un grappolo di case, oltre all'osteria di mio padre. Il fiume
scorreva vicino al paese e d’inverno mi piaceva sentire il suo profumo,
osservare le sue acque, che correvano verso il mare. Il Comune aveva illuminato
il borgo con delle luci scintillanti che creavano un’aria di festa. La mia non
era una famiglia ricca, ma il duro lavoro di mio padre non ci aveva mai fatto
mancare l’essenziale.
Intero
paese.
La notte
di Natale andai alla messa di mezzanotte, cui partecipava l’intero paese. Erano
passate alcune settimane, da quando avevo spedito la lettera al Re, ma non
avevo ricevuto risposta. Pensai che il Re fosse molto indaffarato a rispondere
alla tanta corrispondenza che riceveva. La notte di Natale, sotto l’albero
trovai alcuni doni. A Natale, i miei genitori mi regalavano di solito dei libri
e quell’anno avevo chiesto di ricevere altri libri di Guareschi.
Tra i
doni m’incuriosiva un pacchetto che non era stato confezionato come gli altri;
lo scartai e rimasi sorpreso. Al suo interno trovai un libro, una foto con
dedica del Re d’Italia e una lettera. La mia felicità non aveva confini, presi
tra le mani la foto del Re, che aveva scritto: “A Emilio Del Bel Belluz,
Umberto”. Il libro era: La storia del Re dall’esilio. Mio padre aveva ricevuto
nei giorni precedenti il plico da Cascais, malo nascose, perché voleva che
fosse una sorpresa per la notte di Natale. Mi misi subito a leggere il libro e
mi addormentai solo all’alba. Felice come non mai, mi venivano in mente le
parole della maestra Cristina: “I Re non si mandano mai via”. L’indomani andai
dal sacerdote e gli mostrai quei doni. Sono passati oltre quarant’anni da quel
Natale, ma non ne ho vissuti mai di così emozionanti.
Da allora
non ho mai dimenticato il Re e la sua famiglia.
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