NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 30 novembre 2012

Il Partito Nazionale Monarchico - X parte bis


NON MERA INOSSERVANZA DI ORARIO...

Non è che il ritardo nella formulazione della Costituzione sia stata una mera inosservanza di orario, non sanzionata di decadenza nell'affermazione, interessante ma tanto discutibile, che essendo venuto a mancare l'altro alto Contraente la Costituente diveniva sovrana per il suo sopravvivere; il ritardo è stato il risultato di tutti gli equivoci, di tutti i reciproci inganni (dei quali taluno abbiamo identificato in qualche pagina precedente) che si sono collocati alla base del capovolgimento istituzionale. I precedenti diversi (oh, quanto diversi!) nella formazione dell'unità d'Italia; i precedenti diversi (oh, quanto diversi!) anche nei confronti dello stesso Fascismo, i precedenti diversi (oh, quanto diversi!) nei confronti dello stesso modus procedendi lungo la Liberazione; le stesse perplessità contrapposte al «o repubblica o caos» che durarono prima della determinazione politica repubblicana nell'ora estrema per la Democrazia Cristiana; la stessa contraddizione dei voti, nell'ora del referendum, nel chiuso della cabina (onde si vide, contro lo schieramento dei Partiti, la Monarchia dei Savoia voluta ancora dai confessati circa undici milioni di voti): il tutto di premesse peggio che equivoche contraddittorie, peggio che contraddittorie equivoche - sgomente talune adesioni alla Repubblica, le altre spavalde - non poteva che paralizzare prima il corso dell'Assemblea Costituente e rendere contraddittorio ed equivoco poi il dettato stesso della Costituzione. Attraverso il ritardo necessitato si arrivo al necessitato compromesso. All'inflazione delle parole corrispose l'occhiuta parsimonia delle precisazioni. L'ostentazione programmatica ebbe in corrispettivo la sgomenta prudenza e la timidità precettiva sia pure pomposamente paludata nel generico.

E il necessitato compromesso è oggi la crisi costituzionale in atto. E’ crisi di poteri.

Ma prima ancora è crisi di testi.
Persino qualche amico nostro si dispiace, quando si assume, tra gli altri da me, che l'attuale è veramente carenza costituzionale. Lo era prima che si determinassero avvenimenti recenti; lo è, in equivalente di confessione (che si definiva una volta regina delle prove: la variazione della definizione è oggi, pur essa, malagevole nella situazione istituzionale) per le risultanti ammissioni indirette, di uomini politici, non sospettabili di rimpianti monarchici come Luigi Sturzo. Che vuol dire la polemica - alla quale, poi, partecipano altri uomini politici come l'on. Malagodi, evidentemente nostalgico, non del Re e, quindi, della Monarchia, ma di un altro Presidente della Repubblica che, evidentemente la rafforzerebbe attraverso i suoi meriti personali e le sue cautele? Quando si assume che l'attuale esperimento indubbia la natura della Repubblica parlamentare, quando si adombra un tentativo di Repubblica presidenziale, o ci si rivolge ad un chiaro dettato della Costituzione ed allora si colloca la premessa nientemeno che ad una ipotesi dell'art. 90 o, se non si intende arrivare a tanto, si denuncia una equivocità nella Costituzione nientemeno che su di un punto fondamentale nella interpretazione dei poteri, del potere al vertice dello Stato! Ma a denunciare la carenza costituzionale basterebbe riferirsi - e denunciare - la mancata disciplina di istituti fondamentali, il cui modo di disciplina è la loro sostanza, la cui non disciplina significa peggio che inadempimento voragine, peggio che lacuna!


SE FOSSI REPUBBLICANO

lo vado dicendo che, se fossi repubblicano, direi (o perlomeno penserei) le stesse cose (perché si tratta veramente di res) che scrivo essendo monarchico. Diverso indubbiamente lo stato d'animo, forse l'accento, ma la sostanza dei rilievi sarebbe identica. Repubblicano mi dorrei per quanto si è determinato alla culla della Repubblica, impaziente di vederla crescere, desolato di vederla crescere quantomeno diversa da ogni tradizione repubblicana nella Roma papale. Monarchico e cattolico mi vien fatto di pensare senza necrofilia - ad una certezza di fede: stipendium peccati mors.

A dimostrare il fondamento dei rilievi - alcuni dei quali precedono, altri seguiranno - basterebbe, sotto il profilo dialettico, la constatazione delle accuse che i coautori della Costituzione si lanciano e rilanciano. Quando accade di leggere sui giornali di partiti sicuramente repubblicani (non della Repubblica politica ma dell'altra, quella socialista e comunista) che la Costituzione è offesa, non si può non rimanere quantomeno perplessi. Quale la interpretazione autentica? Quella degli otto milioni che sempre si sono contati non per la Repubblica di Mazzini, o quella dei « non milioni » che si decisero per la Repubblica nel Congresso di Roma della Democrazia Cristiana nella notte dal 26 al 27 aprile 1946? Sta, comunque, di fatto che i coautori estremisti accusano formalmente inosservata la Costituzione e rilevano ogni giorno la contraddizione fondamentale tra questa e le mantenute leggi del Ventennio.

Ma al di là del contrasto polemico nella interpretazione della Costituzione stanno i fatti delle mancate determinazioni costituzionali ancor più che dei violati termini per le attuazioni costituzionali. Anche là dove si è provveduto, si è provveduto con un ritardo che ha sapore beffardo nei confronti dell'altra accusa mossa al Sovrano per la sopraggiunta, dopo molti lustri, inosservanza dello Statuto che era del Sovrano anche se alla sua osservanza Egli si era impegnato col suo popolo.


IN RITARDO DI DIECI ANNI

Ci riferiamo alla Corte Costituzionale regolata dall'art. 134. Essa, Istituto fondamentale della Costituzione, è stata costituita col ritardo di dieci anni dall'entrata in vigore della Costituzione, mentre ne avrebbe dovuto essere coeva proprio per i compiti fondamentali che le sono stati assegnati, uno dei quali (quello di giudicare « sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica ed i ministri a norma della Costituzione ») mai avrebbe potuto durante dieci anni considerarsi possibile con riferimento alla VII norma transitoria che disponeva: « Fino a quando non entri in funzione la decisione delle controversie indicate nell'art. 134 ha luogo nelle forme e nei limiti delle norme preesistenti all'entrata in vigore della Costituzione »: tra le quali norme non era certamente quella di giudicare il... Presidente della Repubblica!

E’ vero che presentemente la Corte Costituzionale è costituita, ma le ragioni al ritardo alla sua costituzione possono essere ancora oggi considerate e, sotto il profilo della Costituzione rigida e dell'accusa mossa al non osservato - dopo decenni - Statuto, può essere perlomeno osservato che la ritardata inosservanza dello Statuto ha vista la immediata inosservanza della Costituzione, evidentemente squisitamente elastica!

Né mancò qualche onorevole trepidazione quando si trattò di applicare l'art. 83 della Costituzione per la nomina dei Presidenti della Repubblica e particolarmente dell'ultimo.

Dispone, infatti, l'art. 83 primo capoverso della Costituzione che alla elezione del Presidente della Repubblica partecipino « tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato ».


CI SONO E NON CI SONO...

Ma come potevano partecipare tali delegati per ogni regione, le Regioni essendo ad un tempo costituite e non costituite? La partecipazione dei delegati per le Regioni che, per intenderci, chiameremo in atto (che non osiamo definire costituite perché ciò significherebbe affermare non costituite le altre che invece dovrebbero ritenersi costituite a sensi dell'art. 31 della Costituzione) ha alterato la consistenza del corpo elettorale? Certo la non partecipazione avrebbe creato una condizione abnorme, non rispettosa dell'art. 134! Il quale articolo 134 dice: « Sono costituite le seguenti regioni: Piemonte - Valle d'Aosta - Lombardia - Trentino Alto Adige - Veneto - Friuli Venezia Giulia - Liguria - Emilia Romagna - Toscana Umbria - Marche - Lazio - Abruzzi Molise - Campania Puglia - Basilicata - Calabria - Sicilia - Sardegna ». Quindi la Costituzione non si è proposta di costituire ben diciannove Regioni ma le ha costituite. Sennonché costituite non sono, salvo quattro: il che aggrava, non riduce la paurosa voragine costituzionale. Ad esasperare, inoltre, tanto assurdo dell'essere e non essere occhieggia pur essa beffardamente la undicesima norma transitoria, sempre della Costituzione, la quale dispone alla data naturalmente del 27 dicembre 1947: « Fino a cinque anni dall'entrata in vigore della Costituzione si possono, con leggi costituzionali, formare altre Regioni  a modificazione dell'elenco di cui all'art. 131 anche senza il concorso delle condizioni richieste dal primo comma dell'art. 132, fermo rimanendo tuttavia l'obbligo di sentire le popolazioni interessate ». Dal che si evince che tanto sono costituite le diciannove Regioni, che non sono costituite (il puzzle non è nostro!) e che sino al 1952 se ne sarebbero potute costituire delle altre! Così che, oggi, i trepidanti, i decisi contro l'esperimento, contro la  realtà regionalista si trovano in una drammatica situazione di diritto costituzionale anche in cospetto alla possibilità di una legge costituzionale che dovrebbe abolire ciò che non c'è ma... che c'è!

Come non bastasse, nella Costituzione è previsto - istituto fondamentale pur esso della ostentazione repubblicana democratica - il referendum; ma ecco che proprio in un suo recente articolo il più acuto - ed arguto - dei parlamentari democratici cristiani - l'on. Andreotti - ha dovuto riconoscere, a proposito della « controriforma del Senato » (questo doppione con provvidenze ortopediche per non farlo considerare doppione; oh infinita nostalgia del Senato del Regno!): « Piú rimarchevole è la disputa sulla assoggettabilità a referendum popolare delle modifiche approvate qualora nella seconda lettura in ambo le Camere non abbiano riportato il favore dei due terzi. Non esistendo la legge per le "modalità di attuazione" del referendum richiesta dall'art. 75 della Costituzione, può pensarsi che manchi la possibilità di ricorrere a questo strumento di democrazia diretta » (vedi giornale « Italia » 31 dicembre 1957).

A questo punto appare sinanco... ingeneroso rilevare, in aggiunta, che l'art. 104 dà per esistente «il Consiglio Superiore della Magistratura » che... non esiste! (1)

Se la economia della pubblicazione lo consentisse non solo i rilievi di che sopra offrirebbero miniera di considerazioni amare o gioiose, comunque di portata gravissima, ma si estenderebbero anche alla scarsa materia sicuramente regolata, quale, ad esempio, l'art. 7 che vide nella votazione alla Costituente il più strano degli accordi, nei quali forse venne rappresentato - per una parte di quelli che lo votarono - lo spirito del Cardinale Gasparri, in nessuno lo spirito di Benito Mussolini... Ironia e malinconia della Storia. (Né certamente la Costituzione della Repubblica ha potuto disporsi - come il Trattato e il Concordato tra la Santa Sede e l'Italia - « in nome della Santissima Trinità! »).

giovedì 29 novembre 2012

Elena, una Regina amata dagli italiani


Ricorrono 60 anni dalla morte della Regina Elena. Si spense il 28 novembre 1952 a Montpellier. Figlia di Nicola Petrovic Niegos, Principe del Montenegro, venne presa in sposa da Vittorio Emanuele, Principe di Napoli. Era il 1896.
Divenne Regina d’Italia perché il 29 luglio 1900 Umberto I fu assassinato a Monza in un misterioso “complotto anarchico”.
Madre di cinque figli, tra i quali Umberto II, Elena conquistò l’affetto degli italiani, sia durante la Grande Guerra, quando allestì al Quirinale l’Ospedale Territoriale n.1, sia con opere filantropiche, sia con il contatto diretto con i poveri.
Il suo nome fu (e rimane) tra quelli più diffusi, proprio in suo ricordo.
E’ sepolta a Montpellier, pressoché dimenticata. Vittorio Emanuele III è nella chiesa di Santa Caterina ad Alessandria d’Egitto, dimenticato.
La Consulta dei Senatori del Regno lancia un appello: le Istituzioni sono indifferenti. Ma i cittadini faranno la loro parte per portare in patria le salme della Regina Elena e di Vittorio che lasciò l’Italia col titolo di “Conte di Pollenzo”.
E’ un impegno che non potrà lasciare indifferenti né il Piemonte né la Nazione.

Prof. Aldo Alessandro Mola
Presidente della Consulta dei Senatori del Regno

http://www.lapulceonline.it/2012/11/28/elena-una-regina-amata-dagli-italiani/

mercoledì 28 novembre 2012

I segreti di Re Vittorio Emanuele III...



Il figlio Umberto II ne ha negato l'esistenza, ma secondo molti storici le  memorie di Re Vittorio Emanuele III furono distrutte. Di sicuro, nel 60° anniversario della scomparsa della Regina Elena, i presunti diari segreti fanno (e i misteri che li circondano) fanno ancora discutere. E per l'occasione a Milano si presenta un saggio sull'argomento e si mostra al pubblico un prezioso taccuino...


Nova Charta, presieduta da Vittoria de Buzzaccarini, figlia del generale de Buzzaccarini, ultimo Aiutante di Campo di re Vittorio Emanuele III, in collaborazione con il Centro Documentazione Residenze Reali Lombarde "Lionello Costanza Fattori" e con la consulenza storica di Federico Pizzi, curatore della parte iconografica del volume, hanno realizzato un saggio dedicato alle misteriose memorie di il Re Vittorio Emanuele III ricavate da un inedito taccuino recentemente acquistato dalla famiglia dei Conti Calvi di Bergolo e che sarà reso pubblico in questa circostanza.

La presentazione del progetto, con la proiezione di alcune fotografie inedite dei Sovrani provenienti dagli Archivi Privati di Casa Savoia si tiene nel 60° Anniversario della Scomparsa della Regina Elena.
L'APPUNTAMENTO
MERCOLEDI' 28 NOVEMBRE 2012
"IL DIARIO DEL RE"
Galleria d'Arte Moderna - Sala da Ballo
Villa Reale di Milano
(Via Palestro, 16 - MM1 Porta Venezia)
ore 18.00
Con i contributi di Francesco Perfetti, di Antonio D’Orrico di Federico Pizzi e di Marina Rosa.


http://affaritaliani.libero.it/culturaspettacoli/i-segreti-di-re-vittorio-emanuele-iii.html?refresh_ce

La Regina Elena nel ricordo di Re Umberto II


Nel 60° anniversario della scomparsa  della Regina Elena, Regina d'Italia e degli Italiani, lasciamo che a commemorarla siano le parole commosse di suo figlio, il Re Umberto II, intervistato nel 1959 a Montpellier. 

Nessuna commemorazione ci è sembrata migliore in un anniversario così importante. 


Più che mai, in un momento come questo in cui i destini d'Italia sono affidati totalmente ad una classe politica di parassiti che taglia e tassa di tutto fuorché se stessa, è il caso di proporre gli esempi di chi all'Italia ha dato tutto invece che prendere.


http://www.reumberto.it/umberto59.htm





lunedì 26 novembre 2012

PRESENTAZIONE DEL LIBRO “DAL RISORGIMENTO AL FASCISMO 1861 – 1922” CAROCCI EDITORE, SFERE (2012)



GIOVEDI’ 6 DICEMBRE 2012, ORE 17

TORINO, LA LIMONAIA FOOD AS CULTURE
Via Mario Ponzio, 10 (zona Pozzo Strada)
  
PRESENTAZIONE DEL LIBRO
“DAL RISORGIMENTO AL FASCISMO 1861 – 1922” CAROCCI EDITORE, SFERE (2012)

CON LA PARTECIPAZIONE DELL’AUTORE SEN. PROF. DOMENICO FISICHELLA
                       Moderatore                                                                           Introduce
Prof. Stefano Emanuele Monti Bragadin                                     Cav. Fabrizio Marabello
  
BIO-BIBLIOGRAFIA
DOMENICO FISICHELLA Senatore per quattro legislature, è stato Ministro per i Beni Culturali e Ambientali, Vice Presidente del Senato per dieci anni, membro della Commissione Bicamerale per la Riforma costituzionale. Professore ordinario di Dottrina dello Stato e di Scienza della Politica nelle Università di Firenze e di Roma “La Sapienza”, editorialista per circa un trentennio di importanti quotidiani, Medaglia d’Oro ai Benemeriti della Cultura, della Scuola  e dell’Arte, fa parte del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani,  sue opere sono tradotte in inglese, francese, spagnolo, portoghese, ungherese e rumeno. E’ autore di numerosi volumi,   tra i quali, nelle edizioni più recenti, Epistemologia e scienza politica (1994), Elogio della Monarchia (1999), Istituzioni politiche. Struttura e pensiero (1999), Totalitarismo. Un regime del nostro tempo (2002),  Politica e mutamento sociale (2002), Sfide alla libertà (2005), Denaro e democrazia. Dall’antica Grecia all’economia globale (2005), Joseph de Maistre pensatore europeo (2005), La democrazia contro la realtà. Il pensiero politico di Charles Maurras (2006), Crisi della politica e governo dei produttori (2007), Elezioni e democrazia. 
Un’analisi comparata (2008),  La questione nazionale. Per una critica del federalismo (2008), Alla ricerca della sovranità. Sicurezza e libertà  in Thomas Hobbes (2008), Montesquieu e il governo moderato (2009), Il miracolo del Risorgimento. La formazione dell’Italia unita (2011), Il caso Rosmini. Cattolicesimo, nazione, federalismo (2011), Lineamenti di scienza politica.  Concetti, problemi, teorie (2012), Autorità e libertà. Momenti di storia delle idee (2012),   Dal Risorgimento al Fascismo, 1861-1922 (2012). Domenico Fisichella ha conseguito tra l’altro i seguenti premi: Premio Carlo Casalegno  per il Giornalismo 1985; Premio della Cultura della Presidenza del Consiglio 1987; Premio Fiuggi per la Saggistica 1988; Premio Città di Benevento 1989; Premio Capo Circeo 1989; Premio La Penna d’Oro 1990; Premio Taormina per le Arti e le Scienze 1999; Premio Cimitile 2002; Premio Roberto e Guido Cortese 2003; Premio Basilicata 2006; Premio École Instrument de Paix Italia 2010; Premio BattìLibro Città di Massa 2011; Premio Roma per la Saggistica 2011.

ALLA PRESENZA DEL CAP. V. (A R.) DOTT. UGO D’ATRI
PRESIDENTE DELL’ISTITUTO NAZIONALE PER LA GUARDIA D’ONORE
ALLE REALI TOMBE DEL PANTHEON


*****


ORE 20, C E N A
€ 35 (bevande incluse)
prenotazione entro martedì 4 dicembre
tel. 011.7041887
mail info@la-limonaia.com
                                                                                    


Per l’occasione l’Editore applicherà uno sconto del 30% sul prezzo del volume 

Giugno 1946. La strage dimenticata dei giovani monarchici partenopei


Orazio Ferrara. Quei ragazzi tricolori


da Il Fondo di Miro Renzaglia

(di Marco Petrelli) Orazio Ferrara è un autore che abbiamo già conosciuto con Memorie di un II capo della Regia Marina(Aviani&Aviani, Udine 2011), volume nel quale ha voluto raccontare ed ingiusta resa della piazzaforte italiana di Pantelleria. Dal 2010 Ferrara si è dedicato alla ricostruzione di eventi ed episodi poco noti della storia: dalle vicende di briganti e sanfedisti del Mezzogiorno, ai soldati di ventura in Africa nel secondo dopoguerra.
Ultima fatica editoriale  Quei ragazzi tricolori – I movimenti di destra e dintorni da Giovane Italia ad Avanguardia Nazionale (Aviani&Aviani, Udine 2011), biografia di un ambiente dalla fine della seconda guerra mondiale ai primi anni Settanta. Monarchici, Giovane Italia, Fuan, Giovane Europa, Ordine Nuovo, Avanguardia Nazionale: tante le sigle presentate e snocciolate dall'autore, al fine di comprenderne dinamiche di nascita e sviluppo, strategie, azioni e fine.
Quei ragazzi tricolori non vuol essere una ennesima cronistoria della destra italiana, quanto un’analisi dettagliata ed ‘interna’ di meccanismi che spinsero uomini e donne di età diverse a cercare alternative alla politica del MSI, considerata da alcuni, già a metà degli anni Cinquanta, troppo istituzionale e poco rivoluzionaria; nel contempo l’opera recupera esperienze e vicende umane talvolta sconosciute al grande pubblico, come i fatti di via Medina, cui il primo capitolo è dedicato.
Singolare che in Quei ragazzi tricolori trovino spazio i martiri napoletani del giugno ’46, adolescenti, studenti, impiegati, marinai caduti sventolando il vessillo sabaudo.
Singolare ma non del tutto inappropriato. Come accadrà in seguito a diversi militanti missini, le giornate di sangue del Giugno 1946 cadranno nell'oblio  pagine nere di una repubblica ancora agli albori, incapace di trovare una pacificazione anche tra le forze antifasciste.
Già, perché molti degli scugnizzi caduti in via Medina tre anni prima assaltavano i blindati ed i panzer tedeschi nelle strade bombardate del capoluogo campano.
Erano gli eroi delle Quattro giornate che, all'arrivo degli alleati, salutavano inneggiando a Vittorio Emanuele. Un embrione di resistenza civile, non frazionata dalla politica, fedelissima ai regnanti piemontesi.
Lealtà che pagò un alto tributo in vite umane, con gli ex partigiani inquadrati nei reparti Celere che aprono il fuoco contro inermi.
Una strage, non diversa da Portella delle Ginestre che, un anno dopo, insanguinò una piana della Sicilia e che non vedrà mai punti i suoi esecutori.
Tragedia nella tragedia, gli esecutori dei crimini a Napoli erano sotto gli occhi di tutti: giornalisti, carabinieri, Polizia Militare americana. Eppure quelle crudeltà sparirono dalla storia recente del nostro Paese, esattamente come succederà anni dopo per le vittime di un fervore antifascista che lasciò decine di ragazzi di destra nelle camere degli obitori o, i sopravvissuti, segnati a vita. Ecco allora il perché della presenza monarchica nel libro di Ferrara: di fronte all'ingiustizia l’indifferenza della storia, delle istituzioni e il silenzio dei cittadini.

http://fomentonews.wordpress.com/2012/06/02/giugno-1946-la-strage-dimenticata-dei-giovani-monarchici-partenopei/

giovedì 22 novembre 2012

Il Partito Nazionale Monarchico - X parte


LA CRISI COSTITUZIONALE IN ATTO

Incredibile ma vero. Gli improvvisi zelatori delle più inverosimili confusioni - attraverso i loro tentativi accompagnati dal dimenare tristissimo delle teste - e profeti di sciagure nei fatti di cronaca distraggono il Partito Nazionale Monarchico dal grande compito che gli è affidato e che mai come in questo momento potrebbe assolvere. (E assolverà).

E' proprio la situazione politico-costituzionale attuale che richiama l'attenzione di tutti i galantuomini del pensiero e anima le speranze di quanti sono in Italia sinceramente monarchici.
In Italia la crisi costituzionale è in atto. Non tanto la crisi costituzionale per la restaurazione monarchica, quanto per la legittimazione costituzionale repubblicana.

Basterebbe, per consentire a ciò - o con furore sino alla disperazione o con sottile soddisfazione per la speranza sfogliare la Costituzione: non fogli, volume.
Ma prima di sfogliarla assieme sarà bene ricordare l'atto di accusa contro la Monarchia -  recte contro Vittorio Emanuele III: dal 28 ottobre 1922 sino a data non precisata - sino a date che gli uguali per il sacrificio della Monarchia, assai piú che di un Re, oppostamente interpretano: gli uni ignorandole, gli altri aggredendole; perché anche questo di singolare si verificò in Italia: che si sommarono contro la Monarchia gli argomenti della radio della Repubblica sociale italiana con quelli dei Comitati di Liberazione: beffe della storia!

E' bene tener presente l'argomento dello Statuto tradito alla data della sua mancata difesa, cosi come sarà bene riferirsi alla natura dell'Istituto Monarchico e alla elargizione dello Statuto, divenuto poi impegno da Re a popolo.

Perché la crisi costituzionale attuale si riferisce proprio anche a due dati temporali: a quello donde dalla Costituente si determinò la Costituzione; a quello della Costituzione che non ha dato... se stessa.

IL PECCATO DI ORIGINE

Coloro i quali sottovalutano l'impegno luogotenenziale al referendum che avrebbe dovuto seguire a suffragio universale diretto nel territorio nazionale hanno osservato che se anche non ci fu il suffragio universale mancando la definizione del territorio nazionale e, quindi, del corpo elettorale, la eccezione non venne tempestivamente sollevata. Ma se anche fosse possibile - e soprattutto giusto - dimenticare che nel proclama di Re Umberto del 31 maggio 1946 si leggeva: « Italiani, vi dico solennemente che, in caso di riaffermazione dell'Istituto Monarchico accetterò le responsabilità che ho assunte secondo la legge all'atto della successione, ma per quanto mi riguarda e mi compete, mi impegno ad ammettere che appena la Costituente avrà assolto il suo compito possa essere ancora una volta sottoposta agli Italiani nella forma che la rappresentanza popolare volesse proporre la domanda cui siete chiamati a rispondere il 2 giugno »; se anche fosse possibile dimenticare che nello stesso proclama Re Umberto aggiungeva: « Allora molte passioni si saranno placate; molti che oggi sono perplessi avranno avuto il tempo per fare una scelta ponderata. Allora potranno partecipare alla consultazione - come ognuno di noi fervidamente desidera - tutti i cittadini italiani, anche quelli dei territori di frontiera, oggi esclusi dal diritto di voto, anche i prigionieri' di guerra che ancora attendono di ritornare alla loro casa »; se tutto potesse andare dimenticato intorno al referendum a quella data, non potrà dimenticarsi quanto è avvenuto alle date successive: quella che doveva essere la data della Costituzione riferita alla Costituente e quella che fu la data della Costituzione.

Si potrà dissimulare cosi come si è dissimulato ed oramai si osserva il distaccato silenzio - il fatto che è all'origine - e fu impegno - della Costituente. Disponeva, infatti, l'art. 4 del D.L.L. 16 marzo 1946 che «l'Assemblea Costituente terrà la sua prima riunione in Roma nel palazzo di Montecitorio il ventiduesimo giorno successivo a quello in cui si saranno svolte le elezioni»; il che, di fatto seguì con cronometrica puntualità; ma l'art. 4 dello stesso Decreto disponeva: «L'Assemblea è sciolta di diritto il giorno dell'entrata in vigore della nuova Costituzione e comunque non oltre l'ottavo mese dalla sua prima riunione. Essa può prorogare questo termine per non più di quattro mesi ».

L'art. 4 è stato osservato sul punto della convocazione dell'Assemblea Costituente ed è stato osservato con squisita esattezza con le conseguenze beffarde per la Venezia Giulia e per la provincia di Bolzano, pure il D. luogotenenziale 16 marzo 1946 n. 99 disponendo: « I comizi elettorali sono convocati per il 2 giugno 1946 per deliberare mediante referendum sulla forma istituzionale dello Stato e per eleggere i deputati alla Assemblea Costituente. E' fatta eccezione per il Collegio elettorale della Venezia Giulia e della Provincia di Bolzano per i quali la convocazione dei comizi elettorali sarà disposta con successivi provvedimenti». La disposizione è divenuta puzzle nel senso della sua inapplicabilità e per il fatto della sua mancata applicazione; ma pure l'impegno era chiaro. Non è che la disposizione su riferita riguardante i comizi elettorali, da convocarsi successivamente, non si riferisse al referendum sulla forma istituzionale dello Stato ma soltanto alle elezioni (quali? quelle alla Costituente... già funzionante il ventiduesimo giorno successivo al 2 giugno?): infatti regge il tutto la espressione: « I comizi elettorali sono convocati... per deliberare mediante referendum sulla forma istituzionale dello Stato e per eleggere i deputati alla Assemblea Costituente »; né la eccezione riferita al Collegio elettorale della Venezia Giulia e della provincia di Bolzano è in alcun modo limitativa.

Ma assai piú grave è la inosservanza della disposizione dell'art. 4 che disponeva sciolta di diritto la Costituente ove non avesse data la Costituzione entro l'anno dalla prima convocazione: dal 25 giugno 1946. Viceversa la Costituzione fu approvata con votazione complessiva e finale nella seduta pomeridiana del 22 dicembre, fu promulgata il 27 dicembre e, per la XVIII disposizione finale, entrò in vigore il 1 gennaio 1948! In ritardo, quindi, sul termine ultimo fissato alla validità della Costituente di sei mesi!

Col calendario le sofisticazioni non sono facili: ci furono alti scrupoli costituzionali (cosi si è affermato) in Taluno che, per essi - se veramente ci furono - merita alto rispetto. Molti non ebbero scrupoli, anzi moltissimi. Moltissimi, anzi, dei censori dello Statuto... violato risero (e ridono con smorfie) su di una Costituzione morta nel ventre di una Costituente sciolta di diritto. A votarla furono in 463; i contrari furono 62. Non ritorna la proporzione tra il 52% che si calcolò per la Repubblica e il 48% che si attribui alla Monarchia e anche questo pesa e peserà a dimostrazione che abbinato il referendum all'elezione dei Costituenti si realizzò il miracolo o l'inganno - di votanti per la Monarchia che eleggevano Repubblicani. E in questa operazione grandeggiò la Democrazia Cristiana i cui elettori monarchici vennero lasciati... liberi di votare per la Monarchia pure essendosi preventivamente disposto lo Stato Maggiore e la palude repubblicani.

Non pensi alcuno che tanta esattezza di amari rilievi, amarissimi soprattutto per quelli che vorrebbero serena e sicura la nascita della Repubblica e della Costituzione (che gli altri, tra i quali noi siamo, possono anche sorriderne sia pure amaramente) nessuno pensi che tanta esattezza di rilievi sia soltanto rimpianto. Da tanta esattezza di rilievi discendono, infatti, una dimostrazione e un dovere. La dimostrazione può essere non gradita, ma il dovere deve osserv'arsi anche quando non gradito.

Quale la dimostrazione?

La dimostrazione si riferisce al coacervo e al vuoto parallelo delle norme costituzionali, delle quali si può dire che sono troppe e troppo poche, comunque tutte confuse e, quasi tutte, indeterminate.

Prima: un rilievo che può sembrare polemico mentre è di sostanza e di fondo.

A differenza dello Statuto Albertino che era, come si è scritto, una costituzione "ottriata" (dal francese "octroyer") cioè concessa al popolo dal Monarca, l'attuale Costituzione è "votata", approvata cioè dal Popolo.

Si è anche detto - e giustamente - che proprio per la differente natura dello Statuto - concessione e della Costituzione - votazione, la Costituzione repubblicana deve considerarsi rigida.

Ma qui si avverte la prima evasione. La rigidità - dagli ex-poeti, ora prosatori della Costituzione, già in condizione di dover essere « modificata » viene considerata nel suo divenire, ed appunto per questo si afferma che essa è rigida in quanto non può essere modificata se non con leggi costituzionali, « le quali debbono essere approvate con una speciale procedura e con una determinata maggioranza in seno al Parlamento ».

Ma è evidente - almeno si pensava evidente che la Costituzione rigida, proprio perché sottoposta a rigide norme per la sua modificazione, doveva essere rigidamente determinata!

Ed è proprio sotto questo profilo che la Costituzione non può non apparire quella che è: estremamente labile, confusa, alla quale si potrebbero attribuire due motti: « pericolo! svolta pericolosa! » e « vedi mano! ».

venerdì 16 novembre 2012

Il Partito Nazionale Monarchico - IX parte


IL « 2 GIUGNO 1954 »

Ma a questo punto qualcuno potrà domandarci se ignoriamo o fingiamo di ignorare che l'unità monarchica, che noi abbiamo realizzato dopo il 2 giugno 1946 e che noi affermiamo idealmente viva tuttora, non lo è più politicamente per quanto è accaduto in un altro 2 giugno: il 2 giugno del 1954.

Vorremmo vincere le intime ribellioni. Vorremmo soltanto ripetere quello che abbiamo scritto all'inizio di queste pagine.

In Repubblica più che lusso è... lussuria un doppione di partito monarchico. Soltanto si sarebbe potuto e si potrebbe concepire un secondo partito monarchico in un Paese dove invece che un Re in esilio ci fossero due pretendenti. Ancor più e ancor meglio si potrebbe concepire un secondo partito monarchico che si proponesse non di restaurare una Monarchia costituzionale come quella dei Savoia - nata dai plebisciti ma una Monarchia, magari borbonica, assoluta.

Non pare, malgrado la suggestione... napoletana e per costituzionale difetto di preparazione filosofico - politica (non vogliamo riferirci alla intellettuale-culturale di cui ha certamente dovizia chi ha molto navigato vivendo a suo tempo tra il mare e Dio), che la secessione del 2 giugno abbia impostato una diversa battaglia monarchica: nulla evidentemente di caratteristica monarchica avendo la partecipazione agli utili o la quattordicesima mensilità!

Che se la secessione familiare prima - con le successive conquiste a stillicidio con impostazione di cifre elettorali (non trascurate talune personali) e per piccoli cabotaggi deputatizi o senatoriali - è stata ribellione morale contro un ritenuto non scardinabile Segretario Generale, il dramma per il perduto Regno diverrebbe la farsa, anzi le farse, dell'imprendibile Segretariato e delle compromesse medagliette.

Basterebbe a tranquillare ogni coscienza monarchica osservare: chi non è stato capace di mandare via un Segretario Generale di Partito; chi malgrado la spavalda convinzione dello strapotere dei miliardi non si è sentito di rimanere nella propria formazione per «mandarlo via», come può pensarsi capace di far ritornare il... Re?

Gli è che i romantici della concordia tra i monarchici sono anche i romantici della più vasta confusione. Una specie di santa alleanza che non si sa bene se volta contro i comunisti o contro i democratici cristiani o contro entrambi. Se volta contro entrambi è chiaro che non sarebbe più contro il solo comunismo. Segno sarebbe, per questo fatto stesso, che il comunismo-babau diventa gioco di ragazzi se ci si permette il lusso di prescindere, nella lotta contro di esso, da quel po' po' di milioni che sono i democratici - cristiani, recte quelli che votano per la democrazia cristiana. Che se invece il pericolo comunista essendo alle porte, si pensasse alla grande armata per disperderlo, si dovrebbe pensare ad un 18 aprile rinforzato.


LA « TERZA FORZA »

Ma qualche tecnico dell'imbroglio confusionario sembrerebbe riferirsi alla terza forza. Ora è bene anche a questo proposito essere chiari. Prima occorrerebbe stabilire se la terza forza la si possa considerare ai fini del « potere » della... terza forza o come condizionante una condotta politica di altro Partito nella specie la Democrazia cristiana - contro le suggestioni abdicatarie e demagogiche. E poiché è chiaro anche ai ciechi che mai si potrebbe pensare ad una terza forza capace di assumere il potere in... esclusiva, appare manifesto che la forza condizionante può anche essere debolezza numerica, proprio cosi come fu la debolezza numerica dei partitini a condizionare per anni la Democrazia cristiana.

Il che mentre deve indurre alla più serena fiducia a respingere le suggestioni - idiote e malvagie del disfattismo e le suggestioni ingenue nei confronti di disonoranti confusioni pseudo - monarchiche, deve mettere in guardia da più vaste confusioni che ogni caratteristica potrebbero assumere salvo la caratteristica monarchica!


LA « GRANDE DESTRA »

E qui cade il discorso sulla cosiddetta «grande destra». Anche a questo proposito torna il rilievo. Possibile una destra indefinita?  E’ possibile una «grande destra» ? A rispondere al secondo interrogativo basterebbe il rilievo che, mancando alla coalizione il Partito Liberale, manca indubbiamente una delle forze che possono ritenersi, se non altro alla luce delle valutazioni storiche, forze di destra.
A rispondere al primo interrogativo, è possibile una destra indefinita, basta l'aggettivo: per negarla più che per indubbiarla.
«La destra» ha avuto, nella Storia, il noto significato di destra politica per la libertà, per la indipendenza, per la unità, per il Regno dell'Italia. Fu una destra politicamente progressiva e sinanco sotto certi profili rivoluzionaria.

«La destra» ha oggi, oltre che un nobilissimo significato di rivendicazione di tradizioni, il significato di destra economica? E allora il discorso diventa diverso e non del tutto facile vuoi perché qualche componente di detta destra non è affatto nel solco della tradizione, vuoi perché essa non divide affatto le valutazioni della cosiddetta destra economica, la quale, poi, prevalentemente se non esclusivamente gravita nell'attuale Partito Liberale.

Ciò è tanto vero che il Partito Nazionale Monarchico, nel suo nobile tentativo mediatore e unitario, non ha parlato della Destra economica ma della Destra nazionale, richiamandosi per quanto lo riguardava alla Destra risorgimentale ma con cautela in aggettivazione, proprio perché non era affatto certo che altro elemento convergente nella Destra Nazionale convenisse nei principi della Destra risorgimentale che fu tutta essenzialmente Monarchica!

Tutto questo sembra chiarissimo. Ma al sollecitatori di grandi confusioni, sia pure nobilmente ispirate (dove sembrerebbe elemento sufficiente un acceso nazionalismo che si illuderebbe di risolvere tutti i problemi con l'invocazione: Italia! Italia! Patria! Patria!), occorre sottoporre un altro interrogativo: Che cosa accadrebbe della impostazione monarchica, fondamentale per il Partito Nazionale Monarchico, se alla grande confusione si arrivasse: si badi nel partire (immaginiamoci quello che accadrebbe prima di arrivare!) ?

E’ strano ma vero che gli illiberali, gli antiliberali (oh, non soltanto nei confronti del Partito Liberale che non è la Libertà, ma nei confronti della Libertà) quando sono chiamati a precisare la loro visione nei confronti del problema istituzionale o si dichiarano repubblicani o rimettono alle imprevedibili vie della Storia la risoluzione! Per il che questi ultimi, che si rimettono alle imprevedibili vie della Storia, finiscono coll'aderire alla impostazione del Partito Liberale se non dell'ormai rassegnato, del vedremo poi, che è una specie di « ci han promesso la dimane - la dimane si aspetta ancora » con la variazione che non si promette nemmeno la dimane, ma se mai si accenna confusamente a possibili cataclismi - guerre o rivoluzioni che non sono certamente nell'auspicio del Partito Nazionale Monarchico.
E’ bene, quindi, che il Partito Nazionale Monarchico ricordi a tutti che, osservata la disciplina nazionale, non dimenticata la sua origine e la sua destinazione, non intende rendersi complice di inutili confusioni, non vantaggiose ad alcuno nell'immediato, perniciose per il suo decoro intellettuale, per la lealtà politica nei confronti di tutte le parti politiche, per la dignità della sua impostazione storica.

martedì 13 novembre 2012

Un Principe nella bufera



 con Roberto Coaloa


Nell’estate 1943, il gerarca Giuseppe Bottai annotava sul suo diario l’operato del «Marchese di Caporetto», salvato da Mussolini e diventato - dopo il 25 luglio – il nuovo protagonista della politica italiana. Un conte intimo di Casa Savoia, invece, non giudicava le gesta del Maresciallo Badoglio, ma osservava lucidamente: «Questo “25 luglio” era forse, ormai, una necessità scontata. Ma non in questa maniera! E poi avrei voluto che, contemporaneamente Sua Maestà abdicasse seguendo la sorte dell’Uomo cui “la piena volontà del popolo italiano” lo aveva legato per vent’anni. Umberto II, assumendo la Corona, non essendo compromesso in alcun modo con la politica di tutti questi anni, sarebbe forse stato il solo a poter dettare una onorevole via d’uscita dal conflitto. Ed in caso di reazione tedesca, Lui sarebbe il solo Capo che potrebbe fare, abbastanza decentemente, impugnare le armi contro l’ex alleato».
Era il conte Francesco di Campello (1905-1983), amico d’infanzia del Principe Umberto di Savoia, il suo ufficiale d’ordinanza dal 15 gennaio 1943 al 20 giugno 1944. Il diario del conte è un documento eccezionale, una fonte di primaria importanza fino ad ora inedita, che svela in maniera definitiva gli avvenimenti del dopo 8 settembre 1943. Le pagine di Campello sul trasferimento del Re Vittorio Emanuele III, del Principe Umberto e del governo Badoglio nel Sud, sono la fonte storica più attendibile, puntuale e minuziosa, di quelle caotiche giornate. Esse mettono in luce, tra l’altro, il ruolo che il principe Umberto avrebbe potuto assumere restando a Roma. Inoltre racconta una vicenda che tuttora era sconosciuta agli storici: Francesco di Campello, membro della Regia Aeronautica, aveva persino predisposto un piano per il rientro in aereo di Umberto a Roma. Intervenne Badoglio sul debole Re e il piano non fu portato a termine.
Il conte scrisse il 9 settembre 1943: «Alle 16 partiamo tutti per il campo di Pescara. Incontro lì Picci Ruspoli. Anche lui è disperato e piange come un ragazzo. Appena giunti all’aeroporto di Pescara, si riuniscono in una stanza del comando aeroporto, L.L.M.M., il Principe, Badoglio, Acquarone. Ci sono anche Sandalli, Ambrosio e De Courten. Ruspoli che era andato col suo caccia fino a Grottaglie, assicura che quel campo è sgombro dai tedeschi. Si discute a lungo la partenza in aereo e intanto il tempo passa. De Courten insiste per partire con una corvetta che ha fatto arrivare a Ortona. E questa tesi prevale. Non so se è stato a questo momento che S.A.R. ha detto la sua decisione di tornare a Roma. Pare che Sua Maestà abbia taciuto, in principio, e solo dopo la violenta opposizione di Badoglio, Acquarone e, pare, della regina (questa comprensibilissima per una madre), abbia messo il suo veto assoluto a questa decisione di S.A.R. – La storia dirà se sarebbe stato meglio o peggio. Una cosa è certa. Che la decisione di partire per mare anziché con l’aereo, è stata determinante; perché in questo caso, l’aereo di S.A.R. avrebbe atterrato a Roma la stessa sera del giorno 9 settembre 1943».
Chi era il conte? Era pressoché coetaneo del Principe di Piemonte: Francesco di Campello era nato a Roma il 9 maggio 1905 e Umberto di Savoia nel Castello di Racconigi il 15 settembre 1904. La famiglia Campello era stata protagonista nel Risorgimento accanto a Casa Savoia. Pompeo Campello, per esempio, fu un giobertiano, un cattolico liberale che si era riconosciuto nell’Italia di Re Vittorio Emanuele II, assumendo il ministero degli Esteri durante il governo di Urbano Rattazzi, mentre il figlio di Pompeo, Paolo, fu marito di Maria Bonaparte e un politico di primissimo piano nell’Italia umbertina. Francesco era il terzo di cinque figli – tutti ufficiali di cavalleria – che lasciarono una impronta nella storia italiana e nella tormenta della Seconda guerra mondiale. Lanfranco, considerato uno dei migliori ufficiali del SIM, addestrò in Africa settentrionale uno speciale reparto di commandos formato da familiari residenti in Tunisia, conoscitori della lingua araba, dei costumi e dei luoghi. Ranieri, olimpionico di equitazione a Berlino, combatté in Russia con il Savoia Cavalleria e comandò un leggendario squadrone sul fronte del Don. Giovanni fu, invece, esploratore in Africa e prigioniero per sei anni in India.
Il Nostro, che ebbe un ruolo delicatissimo nel 1943 accanto al Principe del Piemonte, era sposato a Fanny dei marchesi Dusmet, dalla quale ebbe quattro figli: Pompeo, Donatella, Flavia ed Emanuela. La fedeltà dinastica di Campello non venne mai meno e i rapporti con Umberto, che lo nominò poi aiutante di campo, proseguirono anche quando il Sovrano si ritirò in esilio a Cascais. Del suo diario fece pervenire una copia a Umberto, che aveva espresso il desiderio di leggerlo, ma non pensò mai, pur consapevole del grande valore che esso aveva e ha come fonte storiografica, di renderlo pubblico, probabilmente per i tanti riferimenti privati e giudizi dati a caldo su personaggi ancora vivi, come il Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio, che intanto dettava le sue memorie tra il buen retiro di Grazzano, in Monferrato, e Roma. Nel 1946, all’avvento della Repubblica, rifiutò di prestare giuramento, fu collocato nella riserva di complemento e si occupò della Federazione Pugilistica Italiana, ricoprendone a più riprese la carica di presidente, proprio nel periodo più glorioso della boxe italiana. Infine fu anche presidente, come il fratello Lanfranco, del Circolo della Caccia, fondato nel 1869, una delle istituzioni più antiche e simboliche della Capitale.
È questo di Campello un diario da leggere e da meditare. L’asprezza verbale del conte non risparmia nessuno, neanche i collaboratori del Re, ma va ricondotta al clima del tempo e alla delusione di fronte alle dure accuse rivolte contro i Savoia e in particolare al Principe Umberto, accusato da Mussolini nei suoi radio-discorso del settembre 1943 di non essere mai stato sul fronte. Per il conte, un uomo nutrito di ideali conservatori e liberali, le accuse rivolte alla Dinastia assumevano il significato di un tradimento.
Per questo motivo, il 3 novembre 1943, al termine di una giornata che aveva visto il Sovrano applaudito dalla folla nelle strade di Napoli, Campello denunciava, quasi come contrappunto alle manifestazioni di simpatia, le manovre messe in atto per eliminare dalla scena non soltanto Vittorio Emanuele ma anche Umberto: «Badoglio è stato a Napoli in questi giorni dove si è incontrato con Croce e con Sforza; e ieri sera la Radio Londra ha comunicato che in questa riunione i tre gentiluomini avrebbero constatato e deciso che l’unica via era quella della rimozione di S.M. il Re e di S.A. e la creazione di una reggenza del piccolo Principe di Napoli, con particolare esclusione come reggenti, di S.A. e del duca d’Aosta. Mi sembra dopo questo, che non sia più discutibile quello che ho sempre pensato di Badoglio. Del resto chi ha tradito una volta, tradirà sempre». Povero Maresciallo d’Italia: dileggiato e incompreso. Ma forse aveva ragione Bottai quando scrisse che, dopo il 25 luglio, «Badoglio reagì secondo la sua natura silenziosa, rancorosa, chiusa, limitata, da piemontese militare: il che significa due volte militare e due volte piemontese».


UMBERTO II, UN PRINCIPE NELLA BUFERA


Giovedì 15 novembre presso l'Associazione Immagine per il Piemonte (a Torino, in via Legnano2/b) si apre la stagione degli Aperitivi culturali con la presentazione di un inedito diario di un amico d'infanzia di re Umberto II. Ne parlano il giornalista Roberto Coaloa, Edoardo Pesce e il Gen. C.A. Franco Cravarezza, moderati dal sottoscritto. Un appuntamento con la Storia per approfondire un periodo ancora tutto da chiarire, specialmente per i non addetti ai lavori.
Di cosa si tratta? Ufficiale di ordinanza del principe Umberto di Savoia dal 15 gennaio 1943 al 20 giugno 1944, il conte Francesco di Campello, amico d’infanzia del Principe, gli fu sempre vicino raccogliendone le confidenze e sollecitandolo a recitare una parte attiva. Il diario è un documento eccezionale su Umberto, uomo e principe, ma anche una testimonianza suggestiva su tutto un mondo, monarchico e conservatore, cresciuto nel culto degli ideali risorgimentali e della tradizione liberal-nazionale.
Le pagine dedicate all’8 settembre '43 e ai gironi successivi costituiscono una fonte attendibile, puntuale e minuziosa, ricca di particolari inediti, forse quella definitiva, sugli avvenimenti che portarono al trasferimento del Re e del governo nel Sud. Esse, allo stesso tempo, offrono una drammatica e colorita rappresentazione del clima caotico, della confusione, del senso di smarrimento, delle paure che regnavano in quelle ore, a tutti i livelli, nelle alte sfere governative, nelle gerarchie militari, negli ambienti della Corte. Viene messa in luce, anche, l’emarginazione di Umberto da ogni scelta decisionale e viene sottolineato il dramma interiore del Principe di fronte alla partenza precipitosa da Roma decisa da Badoglio. Campello rivela come fosse stato perfino predisposto un piano per il rientro in aereo di Umberto a Roma, che non fu possibile portare a termine per l’opposizione dei Sovrani e di Badoglio.
Illuminanti sono anche le pagine che rivelano i giochi politici durante il Regno del Sud e svelano le trame per cercare di imporre al re la reggenza: un progetto, questo, poi superato con la Luogotenenza. Non meno suggestive le annotazioni, fitte di giudizi in qualche caso impietosi, sui comandamenti e sulle autorità alleati oltre che su uomini politici italiani di tutti gli schieramenti.


Francesco di Campello (1905-1983) appartenente a una illustre famiglia legata alla Casa Reale seguì la carriera militare dapprima in Cavalleria e poi nella Regia Aeronautica. Al fianco di Umberto nel periodo del Sud, si rifiutò di prestare giuramento alla Repubblica nel 1916. Nel dopoguerra si occupò della Federazione Pugilistica Italiana e fu presidente del Circolo della Caccia, una delle istituzioni più antiche e simboliche della Capitale.


Ecco il titolo del volume: “Un Principe nella bufera. Diario dell’ufficiale di ordinanza di Umberto 1943-1944 ” di Francesco di Campello (pp.125, euro 15,00).

http://vgccultura.blogspot.it/2012/11/un-principe-nella-bufera-presentazione.html

Il Bucintoro del Re di Sardegna dal 16 novembre alla Reggia di Venaria



Torino - Da venerdì 16 novembre, il più incredibile e fiabesco dei manufatti di Casa Savoia - il "Bucintoro del Re di Sardegna", ultima imbarcazione veneziana originale del Settecento esistente al mondo - sarà per la prima volta esposto nella monumentale Scuderia Grande della Reggia di Venaria. L'evento, reso possibile dopo complessi restauri, avrà termine il 13 gennaio 2013.

I visitatori potranno così ammirare la Peota Reale, un tempo simbolo del potere, destinata al loisir della corte, in un allestimento spettacolare che permetterà di vedere da vicino lo scafo e le sontuose decorazioni scultoree e pittoriche. Con uno spettacolo multimediale di Davide Livermore su musiche di Antonio Vivaldi.

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http://torino.ogginotizie.it/187954-il-bucintoro-del-re-di-sardegna-dal-16-novembre-alla-reggia-di-venaria/#.UKH3quTWgdA

venerdì 9 novembre 2012

Il Partito Nazionale Monarchico - Parte VIII


PER PIU' LARGO RAGGIO



Ma se l'azione parlamentare del Partito Nazionale Monarchico alla luce di queste pacate ed irrefutabili considerazioni e documentazioni appare chiara, coerente, costante, l'azione politica del Partito si è svolta per piú largo raggio.

Molto si è disputato dalla stampa così detta indipendente, che è certamente indipendente dalle notizie: il silenzio è l'arma... polemica preferita in questi tempi di cosiddetta e quanto conclamata! libertà di stampa. Cosi intorno al Partito Nazionale Monarchico si alternano i vasti silenzi ai canards quando non sono le menzogne. I monarchici sono ad un tempo inesistenti o vitandi; sono ad un tempo consorterie privilegiate e sottoproletariato. Sono il tutto per il sospetto, il nulla per la consistenza ideale e intellettuale. L'Italia che, per l'avvento della Unità e dopo la sua unità, fu i Savoia e il Regno, sembrerebbe non aver mai conosciuto il Regno o, per la denigrazione, sembrerebbe essere stata Monarchia dal 28 ottobre 1922 a data non meglio identificata; preferibilmente dai suoi "becchini" non identificata nel 25 luglio 1943 che nessun Presidente di Repubblica avrebbe saputo determinare: cosi come nessun Presidente di Repubblica in Italia avrebbe saputo impedire il 28 ottobre, senza l'avvento in proprio e in toto di Benito Mussolini.

La verità è questa: che anche nei confronti dei partiti politici del Paese, il Partito Monarchico assunse un coraggioso, chiarissimo comportamento, sempre consapevole della natura dell'Istituto e osservante del precetto del Sovrano. Consapevole della natura dell'Istituto unitario, mediatore, moderatore. Osservante del precetto del Sovrano che antepose la Patria al Trono.

Parve a molti, che avevano da farsi perdonare abdicazioni - che resero vantaggi - nel ventennio, che fosse mostruosa la convergenza del Partito Nazionale Monarchico col Movimento Sociale. A molti - perlomeno a parecchi di costoro - ai quali, se la economia del lavoro lo consentisse, potrebbe essere servita tavola sinottica delle loro sempre calcolate (per loro sperate o verificatesi utilità) "variazioni", che furono anche capovolgimenti (e se scelsero nell'ultimo periodo determinazioni estreme fu per suggerimento di petali di... margherite); parve a molti della Italia della omertà o dei malati nella memoria che fosse scandalosa la convergenza - oh, non quella che molti di essi attuarono col Fascismo in fortuna e protervo, insultante il Parlamento, ma con una formazione politica entrata in Parlamento e, se non rinnegante il passato del ventennio, certo consenziente nel ritenere superato un esperimento che solo dal perpetuo successo avrebbe, potuto trarre giustificazione. Chiaro è infatti che il Dittatore - persona difficilmente sostituibile con altro Dittatore - o ha la forza di vincere sempre o se si riduce a mendicare giustificazione al suo fallimento dalle colpe (o anche dai delitti) di quanti gli sì sono contrapposti, diventa un uomo comune che non può giustificare la eccezionalità dei suo potere con la pretesa della sua personale eccezionalità.

E' accaduto cosi che i monarchici, proprio perché tali, vistasi negata la possibilità di positive influenze su altre parti politiche convinti da sempre degli errori della politica ciellenistica persecutrice e confusionaria anche nelle determinazioni attenuatrici di un diritto... rivoluzionario rivoluzione contro il diritto (dalle Corti di Assise speciali a tacere dei Tribunali del popolo - alle leggi penali retroattive e a quelle epurative attuate contro gli "stracci" o prevalentemente contro gli "stracci"), si assumessero il compito di superare furori e rancori e, cogliendo attualità di concordi valutazioni, elevassero il tono la linea della loro condotta ideale alle altezze di una operosa pacificazione per positive influenze politiche nel Parlamento e nel Paese.

Si aggiunga che il documento - che precisava le ragioni e i limiti dell'accordo - dava al Partito Nazionale Monarchico leale atto di una condizione costituzionale non definita. Il che da tutti pensato non è da alcuna parte politica riconosciuto per quella che non chiameremo viltà civile (non superata il 25 aprile) ma timidità: per le preoccupazioni che la verità suscita sempre quando non giovi nell'immediato.

Quali siano stati i vantaggi concreti di un tentativo nobilmente ispirato non è il caso qui di stabilire. Per lisi, non per crisi, si risolvono i conflitti tra,le speranze che arrisero e le realtà che deludono.

Basti qui affermare che la convergenza non volle mai rinnegare i dissensi - se si voglia, gli abissi della valutazione storica, ma rifiutò di considerare la storia immobile e gli odi eterni o le asprezze insuperabili.

Si possono e si debbono conquistare le coscienze: questa è la dialettica della libertà e della democrazia. E soltanto la partitocrazia che monta la guardia alla fazione per esaltarla, per esasperarla.