Non è che il ritardo nella formulazione della Costituzione
sia stata una mera inosservanza di orario, non sanzionata di decadenza
nell'affermazione, interessante ma tanto discutibile, che essendo venuto a
mancare l'altro alto Contraente la Costituente diveniva sovrana per il suo
sopravvivere; il ritardo è stato il risultato di tutti gli equivoci, di tutti i
reciproci inganni (dei quali taluno abbiamo identificato in qualche pagina
precedente) che si sono collocati alla base del capovolgimento istituzionale. I
precedenti diversi (oh, quanto diversi!) nella formazione dell'unità d'Italia;
i precedenti diversi (oh, quanto diversi!) anche nei confronti dello stesso
Fascismo, i precedenti diversi (oh, quanto diversi!) nei confronti dello stesso
modus procedendi lungo la Liberazione; le stesse perplessità contrapposte al «o
repubblica o caos» che durarono prima della determinazione politica
repubblicana nell'ora estrema per la Democrazia Cristiana; la stessa
contraddizione dei voti, nell'ora del referendum, nel chiuso della cabina (onde
si vide, contro lo schieramento dei Partiti, la Monarchia dei Savoia voluta
ancora dai confessati circa undici milioni di voti): il tutto di premesse
peggio che equivoche contraddittorie, peggio che contraddittorie equivoche -
sgomente talune adesioni alla Repubblica, le altre spavalde - non poteva che
paralizzare prima il corso dell'Assemblea Costituente e rendere contraddittorio
ed equivoco poi il dettato stesso della Costituzione. Attraverso il ritardo
necessitato si arrivo al necessitato compromesso. All'inflazione delle parole
corrispose l'occhiuta parsimonia delle precisazioni. L'ostentazione
programmatica ebbe in corrispettivo la sgomenta prudenza e la timidità
precettiva sia pure pomposamente paludata nel generico.
E il necessitato compromesso è oggi la crisi costituzionale
in atto. E’ crisi di poteri.
Ma prima ancora è crisi di testi.
Persino qualche amico nostro si dispiace, quando si assume,
tra gli altri da me, che l'attuale è veramente carenza costituzionale. Lo era prima
che si determinassero avvenimenti recenti; lo è, in equivalente di confessione
(che si definiva una volta regina delle prove: la variazione della definizione
è oggi, pur essa, malagevole nella situazione istituzionale) per le risultanti
ammissioni indirette, di uomini politici, non sospettabili di rimpianti
monarchici come Luigi Sturzo. Che vuol dire la polemica - alla quale, poi,
partecipano altri uomini politici come l'on. Malagodi, evidentemente
nostalgico, non del Re e, quindi, della Monarchia, ma di un altro Presidente
della Repubblica che, evidentemente la rafforzerebbe attraverso i suoi meriti
personali e le sue cautele? Quando si assume che l'attuale esperimento indubbia
la natura della Repubblica parlamentare, quando si adombra un tentativo di
Repubblica presidenziale, o ci si rivolge ad un chiaro dettato della
Costituzione ed allora si colloca la premessa nientemeno che ad una ipotesi
dell'art. 90 o, se non si intende arrivare a tanto, si denuncia una equivocità
nella Costituzione nientemeno che su di un punto fondamentale nella
interpretazione dei poteri, del potere al vertice dello Stato! Ma a denunciare
la carenza costituzionale basterebbe riferirsi - e denunciare - la mancata
disciplina di istituti fondamentali, il cui modo di disciplina è la loro
sostanza, la cui non disciplina significa peggio che inadempimento voragine,
peggio che lacuna!
SE FOSSI REPUBBLICANO
lo vado dicendo che, se fossi repubblicano, direi (o
perlomeno penserei) le stesse cose (perché si tratta veramente di res) che
scrivo essendo monarchico. Diverso indubbiamente lo stato d'animo, forse
l'accento, ma la sostanza dei rilievi sarebbe identica. Repubblicano mi dorrei
per quanto si è determinato alla culla della Repubblica, impaziente di vederla
crescere, desolato di vederla crescere quantomeno diversa da ogni tradizione
repubblicana nella Roma papale. Monarchico e cattolico mi vien fatto di pensare
senza necrofilia - ad una certezza di fede: stipendium peccati mors.
A dimostrare il fondamento dei rilievi - alcuni dei quali
precedono, altri seguiranno - basterebbe, sotto il profilo dialettico, la
constatazione delle accuse che i coautori della Costituzione si lanciano e rilanciano.
Quando accade di leggere sui giornali di partiti sicuramente repubblicani (non
della Repubblica politica ma dell'altra, quella socialista e comunista) che la
Costituzione è offesa, non si può non rimanere quantomeno perplessi. Quale la
interpretazione autentica? Quella degli otto milioni che sempre si sono contati
non per la Repubblica di Mazzini, o quella dei « non milioni » che si decisero
per la Repubblica nel Congresso di Roma della Democrazia Cristiana nella notte
dal 26 al 27 aprile 1946? Sta, comunque, di fatto che i coautori estremisti
accusano formalmente inosservata la Costituzione e rilevano ogni giorno la
contraddizione fondamentale tra questa e le mantenute leggi del Ventennio.
Ma al di là del contrasto polemico nella interpretazione
della Costituzione stanno i fatti delle mancate determinazioni costituzionali
ancor più che dei violati termini per le attuazioni costituzionali. Anche là
dove si è provveduto, si è provveduto con un ritardo che ha sapore beffardo nei
confronti dell'altra accusa mossa al Sovrano per la sopraggiunta, dopo molti
lustri, inosservanza dello Statuto che era del Sovrano anche se alla sua
osservanza Egli si era impegnato col suo popolo.
IN RITARDO DI DIECI ANNI
Ci riferiamo alla Corte Costituzionale regolata dall'art.
134. Essa, Istituto fondamentale della Costituzione, è stata costituita col
ritardo di dieci anni dall'entrata in vigore della Costituzione, mentre ne
avrebbe dovuto essere coeva proprio per i compiti fondamentali che le sono
stati assegnati, uno dei quali (quello di giudicare « sulle accuse promosse
contro il Presidente della Repubblica ed i ministri a norma della Costituzione
») mai avrebbe potuto durante dieci anni considerarsi possibile con riferimento
alla VII norma transitoria che disponeva: « Fino a quando non entri in funzione
la decisione delle controversie indicate nell'art. 134 ha luogo nelle forme e
nei limiti delle norme preesistenti all'entrata in vigore della Costituzione »:
tra le quali norme non era certamente quella di giudicare il... Presidente
della Repubblica!
E’ vero che presentemente la Corte Costituzionale è costituita,
ma le ragioni al ritardo alla sua costituzione possono essere ancora oggi
considerate e, sotto il profilo della Costituzione rigida e dell'accusa mossa
al non osservato - dopo decenni - Statuto, può essere perlomeno osservato che
la ritardata inosservanza dello Statuto ha vista la immediata inosservanza
della Costituzione, evidentemente squisitamente elastica!
Né mancò qualche onorevole trepidazione quando si trattò di
applicare l'art. 83 della Costituzione per la nomina dei Presidenti della
Repubblica e particolarmente dell'ultimo.
Dispone, infatti, l'art. 83 primo capoverso della
Costituzione che alla elezione del Presidente della Repubblica partecipino «
tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia
assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo
delegato ».
CI SONO E NON CI SONO...
Ma come potevano partecipare tali delegati per ogni regione,
le Regioni essendo ad un tempo costituite e non costituite? La partecipazione
dei delegati per le Regioni che, per intenderci, chiameremo in atto (che non
osiamo definire costituite perché ciò significherebbe affermare non costituite
le altre che invece dovrebbero ritenersi costituite a sensi dell'art. 31 della
Costituzione) ha alterato la consistenza del corpo elettorale? Certo la non
partecipazione avrebbe creato una condizione abnorme, non rispettosa dell'art.
134! Il quale articolo 134 dice: « Sono costituite le seguenti regioni:
Piemonte - Valle d'Aosta - Lombardia - Trentino Alto Adige - Veneto - Friuli Venezia
Giulia - Liguria - Emilia Romagna - Toscana Umbria - Marche - Lazio - Abruzzi
Molise - Campania Puglia - Basilicata - Calabria - Sicilia - Sardegna ». Quindi
la Costituzione non si è proposta di costituire ben diciannove Regioni ma le ha
costituite. Sennonché costituite non sono, salvo quattro: il che aggrava, non
riduce la paurosa voragine costituzionale. Ad esasperare, inoltre, tanto
assurdo dell'essere e non essere occhieggia pur essa beffardamente la undicesima
norma transitoria, sempre della Costituzione, la quale dispone alla data
naturalmente del 27 dicembre 1947: « Fino a cinque anni dall'entrata in vigore
della Costituzione si possono, con leggi costituzionali, formare altre Regioni a modificazione dell'elenco di cui all'art.
131 anche senza il concorso delle condizioni richieste dal primo comma
dell'art. 132, fermo rimanendo tuttavia l'obbligo di sentire le popolazioni interessate
». Dal che si evince che tanto sono costituite le diciannove Regioni, che non
sono costituite (il puzzle non è nostro!) e che sino al 1952 se ne sarebbero
potute costituire delle altre! Così che, oggi, i trepidanti, i decisi contro
l'esperimento, contro la realtà
regionalista si trovano in una drammatica situazione di diritto costituzionale
anche in cospetto alla possibilità di una legge costituzionale che dovrebbe
abolire ciò che non c'è ma... che c'è!
Come non bastasse, nella Costituzione è previsto - istituto
fondamentale pur esso della ostentazione repubblicana democratica - il
referendum; ma ecco che proprio in un suo recente articolo il più acuto - ed
arguto - dei parlamentari democratici cristiani - l'on. Andreotti - ha dovuto
riconoscere, a proposito della « controriforma del Senato » (questo doppione
con provvidenze ortopediche per non farlo considerare doppione; oh infinita
nostalgia del Senato del Regno!): « Piú rimarchevole è la disputa sulla assoggettabilità
a referendum popolare delle modifiche approvate qualora nella seconda lettura
in ambo le Camere non abbiano riportato il favore dei due terzi. Non esistendo
la legge per le "modalità di attuazione" del referendum richiesta
dall'art. 75 della Costituzione, può pensarsi che manchi la possibilità di
ricorrere a questo strumento di democrazia diretta » (vedi giornale « Italia »
31 dicembre 1957).
A questo punto appare sinanco... ingeneroso rilevare, in
aggiunta, che l'art. 104 dà per esistente «il Consiglio Superiore della
Magistratura » che... non esiste! (1)
Se la economia della pubblicazione lo consentisse non solo i
rilievi di che sopra offrirebbero miniera di considerazioni amare o gioiose,
comunque di portata gravissima, ma si estenderebbero anche alla scarsa materia
sicuramente regolata, quale, ad esempio, l'art. 7 che vide nella votazione alla
Costituente il più strano degli accordi, nei quali forse venne rappresentato -
per una parte di quelli che lo votarono - lo spirito del Cardinale Gasparri, in
nessuno lo spirito di Benito Mussolini... Ironia e malinconia della Storia. (Né
certamente la Costituzione della Repubblica ha potuto disporsi - come il
Trattato e il Concordato tra la Santa Sede e l'Italia - « in nome della
Santissima Trinità! »).
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