Lasciò o non lasciò Vittorio Emanuele III scritti che per
forma, contenuto, dimensione e destinazione è lecito classificare come diari e
memorie? La questione è rimasta a lungo controversa. Nella seconda metà di
agosto del 1946 Le Fìgaro annunciò con grande evidenza la pubblicazione di
stralci tratti dalle memorie di Vittorio Emanuele, allora in esilio da quattro mesi
ad Alessandria d'Egitto. Dall'Italia il generale Paolo Puntoni si affrettò a
informare della cosa il re, di cui era stato aiutante di campo fino
all'abdicazione, e ne ebbe a stretto giro di posta la seguente risposta: « Non
ho scritto né dettato memorie. Non ho dato ad alcuno notizie di fatti passati.
Fino ad oggi non sapevo dell'esistenza del giornale "Il Figaro"
(sic!). Tanto ella può dire a chi vuole. Mi stupisco che qualcuno abbia potuto
credere che le cosiddette memorie siano opera mia». Una smentita, dunque; ma
una smentita chiaramente limitata alle memorie apocrife, tanto che lo stesso
Puntoni, commentando l'episodio nel suo libro «Parla Vittorio Emanuele III»,
poté scrivere: «E' esatto che Vittorio Emanuele III, come ha ripetuto più
volte, non tenne diari e non scrisse nulla fino al 1943. Le note che passano
sotto il nome di "Memorie" e che sono un quadro panoramico della sua
vita, il sovrano cominciò a raccoglierle a Brindisi e continuò a redigerle a
Ravello, a Raito e a Posillipo. Quando partì per l'Egitto erano pressoché
ultimate e infatti ad Alessandria si limitò a correggerle e ad aggiungervi
qualche ritocco». Puntoni, in sostanza, ammette l'esistenza di documenti a
carattere memorialistico mentre esclude, parrebbe su confidenze avute dal re,
quella dei diari.
In netto contrasto con la sua tesi è quella di Umberto II che
due anni dopo, nel 1948, dichiarò a Nino Bolla quanto segue: « Smentisco che
esistano, come invece si è scritto, memorie vere e proprie di Vittorio Emanuele
III. Esiste un diario degli avvenimenti, scrupolosissimo come date e persone,
ma senza note particolari e commenti
speciali. Esistono documenti , lettere private. Con queste ultime, e con il
diario, si potrebbe preparare un volume di grande interesse, ma è prematuro parlarne
». Nei quasi vent'anni che sono trascorsi da allora, dal « re di maggio » non sono
venute che altre e più categoriche smentite. Ma è significativo che nel suo recente
libro su Umberto, che è frutto anche di incontri diretti con l'erede di Vittorio
Emanuele III, Silvio Bertoldi abbia trovato modo di scrivere di lui che «conserva
gli appunti del diario paterno e probabilmente li riordina, anche se indulge al
vezzo di negarne l'esistenza ».
Memoriale o diario, dunque? Come il lettore apprenderà dalle
testimonianze raccolte in questa inchiesta, si deve credere che esistano sia le
memorie che i diari di Vittorio Emanuele. Nel primo caso si tratta di qualcosa
di più del vago «quadro panoramico» di cui parlava il generale Puntoni; nel
secondo di qualcosa di meno di quanto sia giusto attendersi, pur sotto forma
diaristica, da un sovrano che regnò nel secolo più tragico della sua millenaria
dinastia e che tenne un regno segnato da cinque guerre, due delle quali mondiali.
Nel primo caso Vittorio Emanuele III scrisse per la storia, per autodifendersi
di fronte ad essa; nel secondo soltanto per sé, per uso di quotidiano
promemoria. In realtà, non basta la destinazione contingente riservata da
Vittorio Emanuele ai suoi appunti di ogni giorno a diminuire l'interesse
storico dei diari rispetto a quello delle memorie. Un re, anche un re «
borghese » come il penultimo Savoia non si serve della sua agenda per i conti
della mensa reale. E se mai lo fa, lo fa sempre da re e anche questo serve alla
storia, non foss'altro che per disporre di un ulteriore elemento di giudizio su
di lui.
La prima testimonianza scritta sull'esistenza delle memorie
dì Vittorio Emanuele risale al 1948 ed appartiene al barone Tito Torella di
Romagnano, che condivise come ultimo aiutante di campo l'esilio egiziano dei vecchio
re. Per venti mesi, tanti quanti ne trascorsero dall'abdicazione alla morte del
sovrano, il gentiluomo gli fu quotidianamente vicino a Villa Iela, la residenza
acquistata dagli ex reali in Alessandria d'Egitto dopo la prima provvisoria
sistemazione offerta a Palazzo Antoniadis da re Faruk. Per il ruolo svolto a
fianco di Vittorio Emanuele III e la frequenza dei contatti, semplificati e
favoriti dall'assenza di etichette, ormai anacronistiche nella malinconica
atmosfera di Villa Iela, Torella di Romagnano viene così ad offrirci una
preziosa inoppugnabile testimonianza. Nel suo libro di ricordi «Villa Iela»,
ormai introvabile, i passi relativi alle memorie del re sono frequenti.
Parlando delle abitudini quotidiane di Vittorio Emanuele III scrive: «Abituato
ad alzarsi per tempo al mattino, il re si ritirava nel suo studio, sbrigava
l'eventuale corrispondenza dava una scorsa ai giornali locali o a quelli che
gli giungevano dall'Italia e attendeva al completamento delle sue memorie». A
pagina 85 del libro citato l'argomento è trattato direttamente e vale la pena
riportarne i passi che l'autore gli dedica.
«Sulle cosiddette "Memorie" di Vittorio Emanuele
convergono oggi l'attenzione e l'aspettativa non solo degli Italiani, ma degli
studiosi di politica e storia di ogni nazione. Generale è, infatti, l'interesse
attribuito al loro contenuto, sia per l'importanza degli avvenimenti e per la
statura degli uomini che ne sono stati protagonisti, sia, soprattutto, sapendo
da quale penna sono state scritte, e, cioè, con quanta fedeltà ed esattezza
storica. Esse, per quanto ho potuto capire, consistono in un quadro panoramico
della sua vita in cui non trovano posto né accuse, né recriminazioni, né
giustificazioni e discolpe del suo operato, le une e le altre piuttosto
emergenti da un'esposizione circostanziata e documentata dei fatti... Le
scriveva di suo pugno, su carta protocollo rigata, a foglio intero, e mai le
lasciava sul tavolo quando usciva dal suo studio, tanto ne era geloso. Chiesi
un giorno al sovrano perché non le pubblicasse, prospettandogli quanto
interesse avrebbero suscitato in Italia ed i vantaggi che avrebbero potuto
derivare alla causa monarchica quando fossero stati chiariti quei punti rimasti
ancora oscuri ad una parte del popolo italiano su alcuni atti del suo regno. «Non
è ancora il momento - mi rispose testualmente - e poi, solleverebbero una
quantità di polemiche, poiché, senza volerlo, finirei per urtare troppa gente.
Si saprà quando non ci sarò più.
Vittorio Emanuele aveva anche l'abitudine di tenere un diario
giornaliero. Quello del 1947 comincia così: Viva l'Italia!! Ora più che mai ».
(Ne pubblichiamo la riproduzione autografa: n.d.r.).
Ma non meno importante è la testimonianza fornita da Alberto
Bergamini, senatore del regno e insigne. giornalista, pubblicata nel 1950 in
una minuscola ma succosa monografia dedicata a Vittorio Emanuele III.
Ricordando una visita fatta al re a Posillipo nell'autunno 1945, l'autore
scrive: « Con difficoltà non poca, anzi molta, ebbi e, per alcune ore, potei
leggere questo diario che il re tolse da una cassaforte ove era custodito,
salvo due fogli freschi riempiti al mattino, che erano sul tavolo. Il re mi lasciò
solo nel suo studio a leggere... Quando si avvicinò l'ora della mia partenza
egli tornò: diede uno sguardo ai fogli del diario che io avevo accumulato da
una parte.
- Maestà, è un diario molto importante per la storia:
chiarisce, rettifica, illumina; mette a posto varie cose male conosciute o
sconosciute.
- Vedo che ha letto buona parte.
- No, appena un terzo. Ogni pagina fa meditare, si legge
avidamente: spesso si rilegge. Maestà, sono come la lupa di Dante, ho "più
fame che prìa".
- Ritorni e leggerà il resto ».
Bergamini, come si vede, parla esclusivamente e sempre di
diario ma è ormai chiaro che i manoscritti che egli potè consultare a Posillipo
per alcune ore si riferivano alle memorie vere e proprie, sia pure ancora
incomplete. Dobbiamo questa certezza a Giorgio Pillon che nel 1960 riuscì ad
avvicinare a più riprese il novantenne senatore e ad avere da lui confidenze
sufficienti a corroborare queste tesi e anche a chiarire il genere di «
difficoltà » incontrate da Bergamini per accedere alla lettura delle memorie.
In più, Pillon poté apprendere dalla viva voce del senatore che anche Umberto
di Savoia parlò delle memorie paterne con il senatore e fu, anzi, proprio
l'allora Luogotenente del regno a suggerire a Bergamini di chiederne la lettura
al re.
Nell'ottobre del 1945, racconta Giorgio Pillon (che premette
di aver avuto dall'interessato l'autorizzazione a pubblicare il resoconto del
colloquio) Alberto Bergamini dovette incontrarsi con Vittorio Emanuele III.
Convocandolo, il Luogotenente gli aveva detto: « Mi spiace darle questo incomodo
e mandarla fino a Napoli. Ma per lei non sarà una gita priva d'interesse. Si
faccia mostrare da Sua Maestà le "memorie". Giunto a Napoli il
senatore chiese al re: «So che Vostra Maestà ha un diario o un memoriale Potrei
vederlo?». Il re fu sorpreso dalla domanda: «Diario? Memoriale?», esclamò. « Ma
io non ho mai scritto nulla di simile ». Bergamini, vale la pena di notare, era
allora direttore del Giornale d'Italia e re Vittorio aveva avuto più volte
occasione di rimproverargli l'«eccessiva» curiosità professionale di alcuni
suoi redattori per i personaggi di casa reale. A parte questo, la diffidenza
era un'attitudine mentale caratteristica del re prima ancora che la vecchiaia e
i rovesci della fortuna l'avessero esasperata al punto da indurlo a non fidarsi
ormai più che di se stesso. La conversazione tra il senatore e Vittorio Emanuele
proseguì toccando temi e personaggi diversi. Quando il discorso arrivò a
Giolitti e all'interventismo e il re espresse dei giudizi precisi su quegli
anni lontani, il vecchio giornalista tornò alla carica. «Giudizi come questi», commentò
ad alta voce «sarebbero consacrati definitivamente alla storia il giorno che il
re decidesse di rendere di pubblica ragione il diario». «Le assicuro, caro
senatore», lo interruppe Vittorio Emanuele «che io non ho mai scritto diari».
«Andammo avanti così», narra Bergamini, «poi io sparai l'ultima cartuccia: «Vostra
Maestà mi perdoni, ma la notizia del diario io l'ho avuta dal Luogotenente».
Questa volta il re non credette opportuno smentire. Si alzò, prese da una tasca
posteriore un mazzo di chiavi, aprì il cassetto centrale della scrivania, tirò fuori
un malloppo di carte e me lo porse dicendo: «Legga pure».
«Il re», conclude Bergamini «mi disse testualmente: «Desidero
che questi miei scritti vengano pubblicati dieci anni dopo la mia morte ».
Si trattava di 180 fogli protocollo, scritti a mano, vergati
con calligrafia nitida, grande, uguale, pieni di aggiunte. Qualche pagina era
stata tagliata ora sopra ora sotto e unita a un'altra, e recava segni in rosso,
blu e nero. Da quell'ottobre del 1945 al 28 dicembre 1947, data della sua
morte, Vittorio Emanuele III ebbe a disposizione più di due anni per completare
le sue memorie riordinarle, riempire con quella sua caratteristica grafia altri
fogli protocollo (un migliaio circa, assicura Gaetano Scalici, che dovette
trascriverli a macchina). E che si trattasse delle memorie e non dei diari è
indubitabile anche se Alberto Bergamini (probabilmente indottovi dal criterio
cronologico seguito dall'autore per dare organicità al suo scritto) ne parla
nel suo libro come «diario». «Un diario», precisò tuttavia lui stesso a Pillon
«che a poco a poco si trasforma in un memoriale».
In ogni caso, a fugare ogni possibile confusione sulla
terminologia da usare per gli scritti lasciati da Vittorio Emanuele soccorre la
testimonianza, fondamentale al riguardo, del succitato Gaetano Scalici,
l'economo di Villa Iela che i sovrani vollero con sé in Egitto dopo che per
oltre un quarantennio aveva svolto mansioni analoghe a Villa Savoia e nelle
altre residenze reali in Italia. Scalici, insieme a Torella di Romagnano e a Bergamini,
lesse i manoscritti reali ma meglio di loro, potè averli lungamente a
disposizione e consultarli a suo piacimento. «Esistono le memorie ed esistono i
diari del re», dichiarò nel 1959. «Le memorie autografe le ho battute io stesso
a macchina su incarico di Vittorio Emanuele III in sei copie, che ora sono
probabilmente custodite insieme all'originale presso banche straniere. Quanto
ai diari, ne esiste un numero, che non saprei precisare, che copre un arco di
tempo di 47 anni, dal 1900 al 1947». Sul contenuto delle memorie Gaetano
Scalici si espresse affermando che «esse contengono l'autodifesa di Vittorio
Emanuele III di fronte alla storia e la confutazione delle accuse che la stampa
e gli storici gli hanno rivolto». Sui motivi della loro mancata pubblicazione
ammise, invece, di avere soltanto «opinioni personali ma non dei fatti» e non
ci autorizzò, comunque, a render note quelle che ci aveva confidato.
L'ultima e più recente testimonianza sugli scritti lasciati
da Vittorio Emanuele III viene da Stefan Boideff, un ex-ufficiale della guardia
di re Boris di Bulgaria che visse lungamente a contatto con i vari membri delle
famiglie reali italiana, albanese, e bulgara negli anni dell'immediato
dopoguerra in cui queste si ritrovarono contemporaneamente esuli in Egitto. Nel
corso della minuziosa rievocazione di quel periodo fatta nel 1965 su Gente,
Boideff tocca frequentemente l'argomento non solo confermando l'esistenza delle
memorie ma mostrando soprattutto di conoscere le risposte mancanti ai due interrogativi
cui nessuno dei personaggi sinora citati ha potuto o voluto rispondere: cioè
chi custodisce ed ha la proprietà delle memorie del re, e perché queste sono
ancora inedite. Riguardo al primo punto, Stefan Boìdeff è categorico. «In
aggiunta», scrive «a quelle da me raccolte in Egitto durante l'esilio dei Savoia,
altre testimonianze avute successivamente in Italia mi consentono di non avere
dubbi sul nome della persona che custodisce il memoriale di Vittorio Emanuele
III. Si tratta della figlia primogenita del re, Jolanda Calvi di Bergolo. Sul
suo nome le mie informazioni hanno sempre coinciso. Discordano soltanto sulle
circostanze di tempo e di luogo in cui la principessa Jolanda entrò in possesso
del prezioso documento». Dopodiché egli rivela che a consegnare a Jolanda gli
scritti paterni fu la regina, Elena di Montenegro, che avrebbe assolto a una
specie di «legato orale» disposto in tal senso da Vittorio Emanuele III, il
quale affidava alla primogenita, dice testualmente Boideff, «anche il compito
di riordinare le memorie e di curarne la pubblicazione secondo le disposizioni
contenute come premessa nel manoscritto stesso».
Sulle ragioni della sorprendente esclusione di Umberto II da
questo «legato orale» Boideff adduce la versione «ufficiosa» dei Savoia e la
sua personale opinione. Secondo i Savoia il motivo per cui Vittorio Emanuele
III intese affidare le memorie alla figlia andrebbe ricercato nell'intenzione
di scindere le sue responsabilità da quelle di Umberto di fronte all'opinione
pubblica italiana. Nelle previsioni del re questo scopo sarebbe stato
raggiungibile con la mediazione della figlia Jolanda, rimasta sempre estranea
alle vicende del Paese, mentre sarebbe fallito rendendo noto il proprio
pensiero politico in un memoriale affidato al successore legittimo e pubblicato
a sua cura. In questo caso, la presenza del memoriale nelle mani di Umberto
avrebbe accreditato il sospetto di una sostanziale identità dì vedute tra padre
e figlio. «La spiegazione», commenta Boideff « è abile e ingenua al tempo
stesso. Abile perché evita ogni allusione a quello che fu il vero motivo della
scelta, vale a dire i cattivi rapporti che correvano tra Vittorio Emanuele III
e Umberto II; ingenua perché, per sviare da questo argomento indubbiamente
sgradevole, finisce per avallare un incauto ritratto del penultimo re d'Italia
che vi s'intravede compromesso rassegnato e quasi reo confesso di fronte alle
colpe attribuitegli dall'opinione pubblica».
Stefan Boideff ammette infine di ignorare le ragioni per cui,
nonostante tutto, Jolanda Calvi di Bergolo non si è ancora decisa a dare alle stampe
i manoscritti paterni. «Le disposizioni lasciate dal re circa la data di
pubblicazione delle memorie» scrive, «non sono tassative ma lasciano un ampio
margine alla loro interpretazione. torio Emanuele III ha infatti premesso nel
manoscritto che è mio desiderio che esso veda la luce soltanto quando gli animi
saranno pacificati e le passioni sopite. «Una formula», commenta l'ex-ufficiale
della guardia reale bulgara, «che autorizza qualsiasi opinione sul maturarsi
della condizione posta dal re come scadenza».
A chiusura di questa indagine possiamo e che l'opinione
corrente nell'ambiente monarchico italiano induce a pensare che la
pubblicazione delle famose memorie sia più prossima di quanto l'atteggiamento
degli eredi Savoia non abbia lasciato modo di supporre finora. Gli entourages monarchici
credono infatti di sapere che la pubblicazione, dello storico documento possa
avvenire in coincidenza con il trasferimento delle spoglie mortali di Vittorio
Emanuele III nel Pantheon di Roma. Una concessione, questa, che la Repubblica
Italiana potrebbe fare senza correre, ormai, eccessivi rischi istituzionali.
RENATO BARNESCHI
Historia 1966
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