NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 30 aprile 2012

La Monarchia Sabauda ed i problemi sociali

di Vincenzo Pich

da "saggi e documenti d'orientamento politico" del Fronte Monarchico Giovanile 1960

Parte I


Chi ai nostri giorni non ha udito parlare o letto di problemi sociali? Chi non ne ha, a sua volta, parlato o scritto? Pochi però saprebbero definirli brevemente ed in modo soddisfacente. Chi ha qualche informazione economica sa che essi traggono, origine dalla distribuzione del reddito e che presero rilievo sempre più marcato, sino a minacciare ed a sovvertire l'ordine le basi tradizionali e la esistenza stessa degli Stati, con il mutare dei panorami economici e sociali, con il passaggio dall'artigianato cittadino e dalle forme tradizionali di conduzione agricola alla grande, industria e allo sfruttamento capitalistico della terra, con il formarsi di un grande proletariato industriale e agricolo, sempre più consapevole della sua forza.

Meglio di un lungo e non sempre accessibile discorso economico, mi pare chiarire il nostro argomento la felice sintesi di uno storico:

« L'idea essenziale del secolo passato fu la libertà politica, e ad essa si aggiunge nel nostro:  secolo l'idea della socialità, il pubblico interessamento alle condizioni dei meno dotati di qualità personali, e quindi il riconoscimento :del diritto e del dovere al lavoro, onde ognuno consegua la libertà dal bisogno, partecipi alla vita del consorzio civile, e nessuno rimanga privo di mezzi, di assistenza, di simpatia umana » (1).

La socialità fu conseguenza della libertà politica, non essendo coneepibile che i meno fortunati, acquistato il diritto di contribuire -a formare l'indirizzo politico dello Stato, rinunciassero al miglioramento delle loro condizioni morali e materiali,. Non sempre però il processo si svolse in modo pacifico e senza contrasti o arresti violenti o terribili involuzioni: nacque così talvolta lo Stato totalitario, negatore della libertà in nome della nazione o della classe sociale, affermatore di un'illusoria giustizia sociale, esaltatore della violenza e responsabile di incredibili ritorni alla più crudele barbarie.


Se libertà e socialità costituiscono i principi sui quali si reggono le democrazie del nostro secolo, quale forma di governo si dimostra in pratica più atta a garantirne la coesistenza? Quale forma di governo, cioè, meglio assicura « autogoverno di popolo e giustizia sociale », per usare un'espressione cara al nostro Sovrano.

Una propaganda tanto diffusa quanto superficiale e sostanzialmente infondata identifica oggi la repubblica, qualunque essa sia, con il progresso, e la Monarchia con il passato, la conservazione e i privilegi. A tale propaganda si deve se, nonostante il dissolversi di tanti sogni e di tante lusinghe, connessi all'avvento della repubblica, gli italiani, in maggioranza vittime dell'inerzia mentale e del conformismo, non abbiano ancora :saputo ritrovare la via di quella Italia monarchica della quale si dirà nel corso della trattazione, un'Italia che non volle solo perseguire unità, libertà e indipendenza, ma porsi sulla strada gloriosa di un incessante progresso morale e materiale, purtroppo in parte compromesso dall'avventura, fascista.

Questo studio mira, attraverso la citazione di dati obiettivi e di giudizi scientificamente autorevoli, a sradicare qualche luogo comune e a dare qualche fondata speranza, perchè, se la storia dimostra -che la Monarchia sabauda non è stata soltanto puro simbolo o peggio baluardo di conservazione politica e sociale, ma fattore continuo di ordinato progresso, nulla vieta di pensare che il futuro possa essere assai migliore, qualo,ra, vinte le esitazioni che lo trattengono dall'abbandonare l'istituto repubblicano, il popolo italiano ritorni, in una festa di patriottismo, alla sua Monarchia tradizionale.

Comincerò -con qualche accenno all'opera sociale della Monarchia sabauda nei secoli passati, per poi dare un contenuto meno episodico alla trattazione, con il risveglio che caratterizzò il Regno di Carlo Alberto, con Vittorio Emanuele 11, primo Re d'Italia, con Umberto 1, con il grande sventurato Vittorio Emanuele III, fino al nobile esule Umberto 11.

Poichè i problemi sociali sono strettamente legati a quelli economi,ci, non mancheranno brevi descrizioni delle condizioni economiche nelle quali maturarono i progressi sociali; così come non si potrà prescindere da considerazioni sugli avvenimenti politici che aiutarono od ostacolarono quei progressi.


(1) CESARE DEGLI OCCHI, PIERO OPERTI: « Il Partito nazionale Monarchico», parte seconda di Piero Operti, Milano, 1958, pagg. 124, 125.



mercoledì 25 aprile 2012

Partigiano Montezemolo per la Patria e per il Re


Un libro racconta la storia misconosciuta del colonnello che scelse la Resistenza e morì alle Fosse Ardeatine


MICHELE BRAMBILLA
Pomeriggio del 25 gennaio 1944: il colonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo viene fermato ai Parioli dalla polizia. È un bersaglio grosso: il comandante del Fronte Militare Clandestino di Roma. Invano prova a convincere gli agenti che si tratta di un errore: «Sono il professor Martini», dice esibendo un documento falso. Porta baffi finti e occhiali cerchiati d’oro. I poliziotti sanno però che non si stanno sbagliando: hanno avuto la soffiata giusta. Percorrono pochi passi e lo consegnano alle SS. Al carcere di via Tasso, ad attendere il fermato, c’è un signore che si chiama Herbert Kappler.

La marchesa Amalia di Montezemolo detta Juccia, moglie del colonnello, ricorda nel suo diario: «26 gennaio 1944. Andai tutta felice, più presto del solito, in casa Scammacca, temendo che Beppo, come la volta passata, fosse già ad attendermi e si potesse fermare poco, non lo trovai... Vidi nei volti dei miei ospiti lo smarrimento... Capii che per lui e per me era finita». Suo marito verrà fucilato nel pomeriggio del 24 marzo successivo, un venerdì, alle Fosse Ardeatine. Cadrà gridando: «Viva l’Italia! Viva il Re!». Ma chi era quest’uomo il cui nome è stato cancellato dalla stragrande maggioranza dei libri sulla Resistenza? La sua storia è ora raccontata in un volume di Mario Avagliano, Il partigiano Montezemolo, edito da Dalai (pp. 401, € 22). Discendente di un’antica famiglia dell’aristocrazia piemontese, Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo nasce il 26 maggio 1901 a Roma, dove suo padre Demetrio, ufficiale dell’Esercito, ha un incarico presso lo Stato Maggiore. A 17 anni si arruola volontario e nell’estate del 1918 entra nelle linee fra il lago di Garda e l’Adige. Come tanti italiani della sua generazione cresce con il culto della Patria, dell’obbedienza, dell’autorità. È anche per seguire questi valori che nell’estate del 1937 il maggiore Giuseppe Montezemolo si arruola nel Corpo truppe volontarie che Mussolini invia in Spagna a sostegno di Franco: in gioco c’è la difesa della cristianità dal pericolo bolscevico. E Montezemolo è cattolico, monarchico e anticomunista. L’adesione alla seconda guerra mondiale è meno convinta. Durante i primi tre anni Montezemolo segue gli eventi dall’Ufficio operazioni del Comando supremo. Nel maggio del 1943 diventa il più giovane colonnello del Regio esercito. Ma sono ormai i tempi dei dubbi, delle riflessioni.

Il 19 luglio 1943 Montezemolo fa parte della delegazione che accompagna Mussolini all’incontro di Feltre, nel Bellunese, con Hitler. Il Duce è partito da Roma con l’intenzione di illustrare al Führer le reali condizioni dell’Italia e di persuaderlo della necessita di un armistizio. Ma di fronte a un Hitler invasato più che mai, non ne ha il coraggio. Al ritorno Montezemolo accompagna il capo di stato maggiore delle Forze Armate, generale Vittorio Ambrosio, in una visita segreta a Villa Savoia. Il re viene informato dell’esito negativo dell’incontro di Feltre e decide di passare all’azione. Il 25 luglio Mussolini viene arrestato. Il maresciallo Pietro Badoglio è nominato capo del governo e il colonnello Montezemolo suo segretario particolare. Comincia così la Resistenza di Giuseppe Montezemolo. Spesso misconosciuta, come dicevamo, ma certamente ben più nobile delle scelte di tanti rappresentanti di quell’istituzione cui il giovane colonnello aveva giurato fedeltà. All’ingloriosa fuga dei ministri militari e dei Savoia si contrappone infatti la scelta di questo ufficiale che resta nella capitale e nella seconda metà di settembre del 1943 passa alla clandestinità per assumere la guida del Fmcr, Fronte militare clandestino di Roma. Che cosa è stato il Fmcr? Molti storici lo hanno liquidato come espressione dell’attendismo badogliano, o come «una destra militarista» (così scrisse Giorgio Bocca). Secondo Roberto Battaglia, lo scopo del Fmcr fu quello di ostacolare un’insurrezione popolare per favorire poi il passaggio di Roma dai tedeschi agli Alleati e infine al Governo legittimo del Sud. Il libro di Avagliano, che pure è tutt’altro che un’agiografia, riconosce invece il ruolo fondamentale svolto dal Fmcr nell’evitare che uomini e mezzi dell’esercito italiano in rotta finissero requisiti dai tedeschi; nello svolgere un’enorme attività di intelligence a favore degli anglo-americani; nel fornire armi ed esplosivi al Cln.

Certo la Resistenza del partigiano Montezemolo («patriota», diceva lui) aveva anche un preciso obiettivo politico: rafforzare la monarchia e garantirne la sopravvivenza alla fine della guerra. Ma forse è proprio per questo che non è stata riconosciuta per i meriti che ebbe: «La verità - scrive Avagliano - è che nei primi cinquant’anni di storia della Repubblica la storiografia ha identificato la Resistenza italiana quasi esclusivamente con la guerriglia in montagna delle formazioni partigiane contro i reparti tedeschi e della Rsi, oppure con le azioni e i sabotaggi compiuti in città dai Gap e dalle Sap. Solo nell’ultimo decennio è stata avviata una seria riflessione sulle altre forme di partecipazione alla guerra di liberazione». Storie, comunque, soprattutto di uomini. Uomini diversi tra loro per le idee politiche, ma pronti a donare la vita. «Se tutto andasse male - scrive Montezemolo in un biglietto clandestino dal carcere - Juccia sappia che non sapevo di amarla tanto: rimpiango solo lei ed i figli. Confido in Dio. Però occorre aiutarsi».

domenica 22 aprile 2012

LO STATO COME IMPRESA: IL CASO DEL LIECHTENSTEIN

di LUIGI PIRRI*
L’odierna crisi degli Stati Sociali occidentali, impossibilitati a mantenere i costi di un generoso welfare ed alle prese con una serissima crisi fiscale e monetaria sovranazionale [1] che ne mina le fondamenta, impone una riflessione approfondita sul ruolo che, nel futuro, lo Stato dovrà occupare nell’economia e, più in generale, nella sfera privata dell’individuo.
A questo proposito, vi è una parte crescente della dottrina giuridica [2] ed economica, nonché dell’opinione pubblica [3], che propone il superamento della stessa concezione moderna della “sovranità” [4] e quindi un ripensamento (dapprima) e superamento (poi) dell’intero diritto pubblico, attraverso una trasformazione in senso “privatistico” ed autenticamente federale dell’odierno Stato nazione, al fine di approdare alla Private Law Society [5], per dirla con Hans-Hermann Hoppe, nella quale anche le funzioni classicamente statuali (difesa, protezione, giustizia e produzione normativa) saranno svolte da agenzie private in competizione tra loro [6].
Vediamo come il principato del Liechtenstein (a seguito della riforma costituzionale del 2003) e l’intero pensiero politico-giuridico del Principe Hans Adam II, si prestano, in buona misura, a fungere da paradigma di realizzazione concreta di una simile prospettiva.

[...]

LA RIFORMA COSTITUZIONALE DEL 2003
La legittimazione democratica della monarchia
Insieme al pieno riconoscimento del diritto di autodeterminazione locale, rappresenta la novità più importante a seguito della riforma.
L’art. 13 ter, infatti, recita:
“A non meno di 1.500 cittadini del Principato spetta il diritto di presentare una mozione di sfiducia motivata nei confronti del Principe Regnante. Su questa mozione la Dieta deve esprimere un parere nella seduta immediatamente successiva e indire un referendum popolare (Art 66, comma 6). Se la mozione di sfiducia viene approvata nel referendum popolare, allora deve essere notificata al Principe Regnante affinché venga presa in considerazione secondo le disposizioni della legge del Casato. La decisione presa in conformità con la legge del Casato è resa nota alla Dieta dal Principe Regnante entro sei mesi.”
Si tratta di una vera e propria “sfiducia popolare”: 1.500 cittadini, cioè poco meno di 1/20 della popolazione locale (il Principato del Liechtenstein ha una popolazione di 35.446 cittadini), hanno il diritto di presentare una mozione di sfiducia nei confronti del Principe Regnante, sfiducia che sarà poi sottoposta all’esame della democrazia diretta.
In caso di esito positivo, la sfiducia è notificata al Principe e al Casato, che decide conformemente alla nuova legge del 1993, la quale prevede una procedura di destituzione a seguito di abuso di potere o perdita di fiducia da parte dei membri della famiglia regnante.
Ma ancora più rivoluzionario è il nuovo testo dell’art. 113:
“ 1) A non meno di 1.500 cittadini del Principato spetta il diritto di presentare un’iniziativa per l’abolizione della Monarchia. In caso di accoglimento dell’iniziativa da parte del popolo, la Dieta è tenuta a elaborare una nuova Costituzione su base repubblicana e a sottoporla, al più presto dopo un anno e al più tardi dopo due anni, a un referendum popolare. Al Principe Regnante spetta il diritto di presentare una nuova Costituzione da sottoporre al medesimo referendum popolare. Il procedimento, così com’è di seguito regolato, sostituisce in questo caso il procedimento di revisione costituzionale di cui all’art. 112 comma 2.
2) Nel caso in cui vi sia un solo progetto, è sufficiente per la sua approvazione la maggioranza assoluta (art. 66 comma 4). Nel caso in cui vi siano due progetti, il cittadino del Principato avente diritto di voto ha la possibilità di scegliere tra la Costituzione vigente e i due progetti. In questo caso il cittadino del Principato avente diritto di voto dispone, nella prima votazione, di due voti. Egli attribuisce questi voti a quelle due varianti della Costituzione che desidera giungano alla seconda votazione. Quelle due varianti della Costituzione, che raccolgono la maggior parte dei primi e dei secondi voti, giungono alla seconda votazione. Nella seconda votazione, che deve effettuarsi 14 giorni dopo la prima votazione, il cittadino del Principato avente diritto di voto dispone di un voto solo. Si considera approvata quella Costituzione che ottiene la maggioranza assoluta (art. 66 comma 4).”
Ci troviamo di fronte ad un istituto giuridico che non ha precedenti nella storia del Costituzionalismo: il diritto di abolizione popolare della monarchia; il Casato sentiva fortemente la necessità di una autentica legittimazione popolare della monarchia, al fine di rispondere positivamente e fattivamente alle critiche antimonarchiche che, anche in un Paese di tradizioni costituzional – monarchiche, non mancavano.
[...]

http://www.lindipendenza.com/liechtenstein-stato-impresa/

sabato 21 aprile 2012

La pazza primavera dei reali d’Europa

Tu quoque. È caduto l’ultimo baluardo non soltanto dei pochi monarchici duri e puri ancora rimasti ma anche di chi, disgustato dall’andazzo generale dei politici, guardava con una certa nostalgica, affettuosa simpatia alle case reali d’Europa. Il re di Spagna che ha resistito più a lungo di tutti, per la semplicità, per la simpatia, per quel certo fiuto che l’ha quasi sempre assistito nella scelta dei consiglieri e delle frasi da pronunciare, ora è nudo a sua volta. Delle tante amanti si è sempre saputo e sussurrato ma, probabilmente, in un Paese machista un po’ come l’Italia, si è sempre perdonato. E la regina, «la Señora», come la chiamano coloro che la frequentano, peraltro grandissima (e solitaria) professionista del suo mestiere, ne ha sempre dato l’esempio, acconsentendo a chiudere gli occhi a patto che—questo era l’accordo tra lei e «el Señor»—le scappatelle fossero discrete e non le recassero pubblica offesa. Ma il safari in Africa (in compagnia di una dama tedesca più giovane di trent’anni) a caccia di elefanti, al tempo della terrificante crisi economica spagnola, non è stato perdonato. Né si sa se avranno effetto le scuse pronunciate ieri dal re. È vero che il bonus che Juan Carlos aveva acquisito presso il suo popolo lasciando che tutti e tre i figli sposassero chi volevano era stato recentemente intaccato dalla scoperta che uno dei due generi, il più amato, per l’appunto, intascava tangenti, e che l’altro, già separato, faceva esercitare con la pistola il figlio undicenne, con il risultato che il ragazzino si era sparato in un piede, ciononostante il carisma del vecchio re era comunque riuscito a sopravvivere fino al recentissimo safari. La Royal Family inglese, malgrado la forte iniezione di bellezza e giovinezza—oltre che di sangue nuovo— dovuta al matrimonio tra William e Kate, già da anni è in gravissima sofferenza di immagine e da un pezzo non fa più sognare nessuno. Sono, infatti, pesanti controindicazioni al sogno, per esempio, il principe Andrea che, così pare, si è fatto pagare per creare contatti, miranti al business, tra uomini d’affari di sua conoscenza; oppure la coppia, in stile estremamente basico, formata da Zara, figlia della principessa Anna, e dal marito rugbista, con fama di violento e bevitore; oppure, ancora, le due figlie di Sara, ex moglie del principe Andrea, perennemente fotografate a qualche festa, ballo, matrimonio, all’entrata o all’uscita di un nightclub — e pazienza per questo: sono giovani e si devono divertire—ma, quel che è forse ancora meno gradito, vestite e acconciate sempre come le due sorelle cattive di Cenerentola. Cui si aggiunge ora l’inquietante figura di Pippa, la seguitissima e già mitica cognata dell’eventuale futuro re, della quale, tuttavia, più che la professione pare nota la curva dell’anca. È di questi giorni la notizia che, all’uscita di una festa (anche lei) sia salita con degli amici su una macchina decapottabile il cui guidatore ha estratto dalla tasca una pistola (giocattolo, è stato assicurato) e l’ha mostrata al nugolo di fotografi che seguivano, ventre a terra, la scelta compagnia. Dalle monarchie nordiche, a parte nozze tra principesse e personal trainer, fidanzamenti di principi con soubrettine e sarabande notturne di sovrani in locali particolarmente elettrizzanti, non filtrano molte notizie: tutto regolare insomma, nessuna vera novità da segnalare. Mentre dalla monarchia più piccola e forse più fotografata d’Europa, il principato di Monaco, arrivano istantanee che immortalano la piccola di casa, la venticinquenne incantevole Charlotte, in fuga d’amore a New York assieme a un quarantenne non conosciutissimo attore comico di origine marocchina. Benché, in fatto di fuitine, la zia ci abbia già fatto vedere qualsiasi cosa, che tempi, avrebbero commentato i nostri genitori. Una volta i sovrani abdicavano e le monarchie crollavano per una guerra persa, per un colpo di Stato, per una congiura di corte, per una malattia che si portava via l’erede. Oggi è più probabile che succeda a causa di un servizio fotografico, dell’impossibilità, cioè, di nascondere checchessia. Impossibilità, soprattutto, di nascondere la totalemancanza di preparazione al difficile mestiere della maggior parte dei membri delle Royal Family. Se da un lato, infatti, il popolo vuole e applaude i regnanti che in qualche modo al popolo somigliano, dall’altro non perdona passi falsi emalcostumi: comprensibilmente, visto che i reali sono pagati, e non così poco, per il mestiere che fanno, per cui si pretende che lo facciano bene. Ma l’educazione, grande assente nelle famiglie normali, evidentemente latita anche in quelle speciali. E il ragionamento che segue, inevitabilmente, non può essere che di tipo repubblicano: ha senso pagare — profumatamente— un gruppo di persone dal bel nome, è vero, e dalla lunga storia spesso anche gloriosa, ma che si comportano esattamente come qualsiasi altro riccastro screanzato?
http://www.blogncc.com/6940/la-pazza-primavera-dei-reali-d%E2%80%99europa.html

giovedì 19 aprile 2012

Il giornalista Riccardo Forte nel 1950 rintracciò l’atto di abdicazione di re Carlo Alberto nell’Archivio di Tolosa

di Lucio Causo

Re Carlo Alberto di Savoia
Il 12 marzo del 1849 Carlo Alberto, affidato il comando dell’esercitopiemontese al generale polacco Chrzanowsky, denuncia l’armistizio di Salasco e riprende la guerra contro l’Austria, progettando di marciare per Milano. 
Il 18 marzo, Radetzky lo previene ed esce dal capoluogo lombardo con 75 mila soldati e artiglieri deciso a portare la guerra in territorio nemico.
Mentre i piemontesi si preparano ad entrare in Lombardia passando il Ticino sul ponte della Buffalora, gli austriaci sorprendono la linea di difesapiemontese nella zona di Pavia. In questo settore la copertura dell’esercito di Carlo Alberto era affidata alla 5a Divisione, composta di 6.000 lombardi e comandata dal generale Girolamo Ramorino (che nel 1834 aveva guidato la spedizione mazziniana nella Savoia). Per la negligenza di questo generale, che viene processato e fucilato (tra vivaci polemiche), ma anche per la grande confusione che regna al comando superiore piemontese, gli austriaci riescono a passare il fiume senza difficoltà e piombano alle spalle delle migliori forze piemontesi.
La sorpresa dell’attacco austriaco sconvolge i piani del generaleChrzanowsky che, preso dal panico, ordina alle truppe di tornare indietro e di raccogliersi entro i confini del Piemonte.
Il 21 marzo giunge al Quartier Generale piemontese la notizia che ilgenerale Bes ha fermato a S. Siro e alla Sforzesca, sulla strada di Vigevano, l’avanzata degli avversari, ma nella notte della stessa giornata, Radetzky arriva a Mortara col grosso del suo esercito e dopo un accanito combattimento presso questa città, sconfigge le truppe del generale Durando.
Carlo Alberto si dirige a Novara per approntare una forte resistenza e successivamente attaccare in forze gli austriaci. Fra l’altro, il Re, convinto assertore della guerra dinastica, mal sopportava le insurrezioni popolari e l’impiego isolato di forze irregolari, che, a suo parere, non agevolavano l’azione dell’esercito costituito da 90 mila uomini ben addestrati.
Il 22 marzo, data delle incertezze e degli errori fatali del comando piemontese, Radetzky si prepara per la battaglia decisiva di Novara.
[...]

martedì 17 aprile 2012

La Monarchia di Casa Savoia imposta la questione sociale nell'Italia Unita




La seconda parte dell'intervista al Sovrano in esilio, di Mario Viana, del 1953. 
Le puntuali parole di Re Umberto II sull'atteggiamento della Monarchia Italiana rispetto ai grandi cambiamenti sociali della fine dell'800.


http://www.reumberto.it/viana.htm

lunedì 16 aprile 2012

Abbasso la repubblica, lunga vita alla monarchia e ai reali


Pubblicato da onorato


"In DANIMARCA non si paga la tassa sulla prima casa. In DANIMARCA non esiste il sostituto di imposta, i lavoratori dipendenti percepiscono la paga lorda e compilano una dichiarazione dei redditi di 2 paginette senza commercialista, CAF e menate varie. In DANIMARCA ci sono - 20 gradi d'inverno, ma nelle case ci sono 25 gradi perchè il riscaldamento delle abitazioni si fa con le acque reflue delle fogne depurate, inviate nelle abitazioni sfruttando come fonte energetica il gas prodotto. La spesa di una famiglia di 3 persone per scaldare un ambiente di 100 mq. per un anno è di 150 euro. In DANIMARCA i ministri girano in bicicletta, così come la gran parte della popolazione, indipendentemente dalle condizioni climatiche.
[...]


http://cervelliamo.blogspot.it/2012/04/abbasso-la-repubblicalunga-vita-alla.html

domenica 15 aprile 2012

PER UN PASSATO NAZIONALE OCCORRE ANCHE LA MONARCHIA

LETTERE AL CORRIERE RISPONDE


Perché la Repubblica in Italia ha mantenuto i corazzieri, il Quirinale, ed espone in questo palazzo - che già fu sede dei papi e dei re - una mostra meravigliosa sulla regina Margherita? Non dimentichiamoci le notevoli cifre profuse per la rivalorizzazione delle regge sabaude di Venaria, di Racconigi e di Stupinigi. Qualcosa avrà ben lasciato la nostra tanto vituperata monarchia! 

Sergio Boschiero

info@monarchia.it 


Caro Boschiero, Quando divenne monarchico, Francesco Crispi disse alla Camera, rispondendo indirettamente a Mazzini, che «la monarchia ci unisce, la repubblica ci dividerebbe». Oggi una improbabile restaurazione monarchica avrebbe l' effetto opposto: spaccherebbe il Paese. Ma questo non esclude che lei abbia almeno in parte ragione. La monarchia ci appartiene, fa parte della nostra storia nazionale, è indissolubilmente legata alla vicenda risorgimentale. Non è giusto identificare la dinastia con le sue pagine peggiori e permettere che alcuni avvenimenti proiettino una luce negativa anche sulle fasi storiche nelle quali i Savoia hanno rappresentato, persino per chi avrebbe preferito uno Stato repubblicano, l' unità nazionale. Vittorio Emanuele III non fu soltanto il re che firmò le leggi razziali nel 1938. Fu anche il sovrano che assecondò la politica riformatrice di Giovanni Giolitti nel 1900, rimase al fronte per tutta la durata della Grande guerra, ispirò la rinascita morale del Paese dopo Caporetto.

[...]

sabato 14 aprile 2012

Al via la settimana della Cultura

di MAURIZIO LUPO

Per Vittorio Emanuele II era il «caro fratellino». Ma passerà alla storia come Ferdinando di Savoia, Duca di Genova, generale valoroso, padre di Margherita, la principessa che sposerà suo cugino Umberto I e diventerà Regina d’Italia.

Ferdinando, nato a Firenze il 15 novembre 1822, era il secondogenito di re Carlo Alberto, il suo cocco, ubbidiente, meticoloso, studioso: tutto il contrario del primogenito Vittorio Emanuele, principe di Piemonte, erede al trono, ma da ragazzino birbante, indisciplinato e studioso quanto basta e non di più.

Ma per quanto diversi i due principini si adoravano. Nel parco del Castello di Moncalieri, dove passarono l’infanzia, si rotolavano insieme nei prati, incuranti dell’etichetta. Erano molto uniti. Nel 1848 la Sicilia, ribellatasi ai Borboni, elesse Ferdinando suo re. Ma lui rinunciò al trono, per stare vicino al fratello nella prima guerra d’indipendenza. Alla battaglia della Bicocca, il 23 marzo 1849, una pallottola gli colpì a morte il cavallo. Così lo ricorda Torino, con il monumento che lo ritrae in piazza Solferino. Lo volle Vittorio Emanuele II, quando Ferdinando fu ucciso, ma di malattia, il 10 febbraio 1855.

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http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cultura/articolo/lstp/449995/

venerdì 13 aprile 2012

UNA DINASTIA EUROPEA MILLENARIA: CASA SAVOIA

XIV SETTIMANA DELLA CULTURA - Mostra "UNA DINASTIA EUROPEA MILLENARIA: CASA SAVOIA"
dal 13 al 18 aprile 2012

In occasione della XIV Settimana della Cultura indetta dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e nell'ambito del Piano di Valorizzazione Culturale "Cammini di Libertà fra Arte e Cultura" la Città di Giaveno, l'Assessorato alla Cultura propone ed ospita la mostra "Una dinastia europea millenaria: Casa Savoia" a cura dell'Associazione Internazionale Regina Elena - Delegazione Italiana Onlus.

Attraverso oltre 30 pannelli verranno presentati i Personaggi della Reale Casa di Savoia, protagonisti della storia del nostro territorio. Nel corso dei secoli XVII e XVIII la dinastia e lo Stato sabaudi divennero soggetti importanti della storia
europea: attività diplomatica, organizzazione militare, struttura amministrativa,alleanze sociali, vita di corte e cultura scientifica li resero protagonisti della vita continentale. Nell'arco di quegli anni, conquistarono la dignità regale, orientarono la propria politica verso l'Italia e predisposero la struttura istituzionale che sarebbe divenuta il motore dell'unificazione italiana.

La mostra sarà inaugurata venerdì 13 aprile alle ore 18.30 con l'intervento del Sindaco Daniela Ruffino e del Consigliere delegato all'Assessorato alla Cultura
Flavio Polledro , dai curatori e con l’intervento dello storico Mauro Minola.

L'allestimento verrà ospitato nella Sala Consigliare di Palazzo Asteggiano e sarà visitabile nei seguenti giorni ed orari: sabato e domenica dalle 16 alle 19, lunedì, martedì e mercoledì dalle 9.30 alle 12.30. Nei giorni feriali saranno accolte le visite delle scuole.

Dott.ssa Alessandra Maritano
Città di Giaveno
Capo Area Ufficio di Staff del Sindaco, Segreteria e Ufficio Stampa
Tel. 011.9326413 – Fax 011.9364039
Palazzo Marchini

http://www.manifestazionipiemonte.it/evento_dett.php?id_evento_s=2471

venerdì 6 aprile 2012

La Monarchia necessaria



Articolo di Julius Evola comparso su "Il Borghese"  del 24 Ottobre 1968
E' un articolo "forte" come "forti" erano le posizioni di Evola. 
Sicuramente ha una notevole importanza  anche laddove vi sono passaggi non completamente condivisibili.




JULIUS EVOLA

NELL'INTENTO di individuare i contributi che, dottrinalmente, i principali partiti oggi considerati in Italia come di Destra potrebbero eventualmente dare alla definizione e alla costruzione di un vero Stato di Destra, dopo aver esaminato, nel precedente articolo, il liberalismo, analizzeremo ora il partito monarchico. In un terzo ed ultimo scritto ci occuperemo del MSI.

Circa il partito monarchico, vi è da rilevare una incongruenza fra il suo peso numerico, contando esso oggi, rispetto agli altri qui considerati, il minor numero di membri e il peso che potrebbe invece avere la corrispondente idea. E' abbastanza enigmatico il declino numerico dei fautori della monarchia in Italia. Infatti si sa che nel referendum istituzionale la repubblica ebbe il sopravvento di stretta misura, sembra perfino con manipolazione dei risultati e non aspettando, a ragion veduta, il ritorno di un gran numero di prigionieri di guerra che avrebbero votato quasi tutti per la monarchia. Dove è dunque andata a finire quella minoranza considerevole, di molti milioni, che anche in regime repubblicano avrebbe potuto fornire una fortissima base ad un partito monarchico unitario? Alcuni vorrebbero che la dispersione sia dovuta ad un supino assuefarsi al clima sfaldato e materialistico generale, venuto subito a prevalere nell'Italia « libera ». Altri vedono la causa nell'incapacità e nella divisione dei partiti monarchici, il che, peraltro, farebbe ricadere buona parte della responsabilità sul sovrano in esilio, il quale avrebbe avuto il dovere di rimettere risolutamente le cose a posto e di affidare la sua causa a uomini qualificati e coraggiosi. In fatto di mancanza di coraggio, è caratteristico che si era perfino giunti a sopprimere la denominazione di «monarchico » al partito, mentre, in un servile omaggio al nuovo idolo, il « democratico » è stato sottolineato.

Ma quel che forse è ancor peggio, non vi è stato nessuno, in Italia, che si sia presa la pena di formulare una dottrina precisa della monarchia e dello Stato monarchico. Come eccezione, abbiamo ascoltato alcuni discorsi di propaganda di dirigenti monarchici nelle ultime elezioni politiche. Ebbene, se sono state avanzate critiche contro il regime di centrosinistra al governo (analoghe più o meno a quelle dei liberali e del MSI) della monarchia non si è affatto parlato, non è stato detto, cioè, in che termini l'esistenza di un regime monarchico porterebbe ad una modificazione essenziale dello Stato attuale, in che modo la monarchia dovrebbe essere concepita, quali dovrebbero essere la stia forma e la sua funzione, il resto essendo, in fondo, secondario, consequenziale e contingente.

Non vi è dubbio che una nazione passata da un regime monarchico ad un regime repubblicano sia una nazione « declassata », e ciò non può non essere avvertito da chiunque abbia una sensibilità per valori i quali, per essere sottili e immateriali non per questo sono meno reali. Il contributo ideologico di un vero partito monarchico sarebbe d'importanza essenziale perché, a nostro parere un vero Stato della Destra non potrebbe essere che monarchico come è stato prevalentemente nel passato. Solo che secondo quanto abbiamo detto, la forma e le funzioni della monarchia dovrrebbero essere ben definite.

In un noto studio sulla monarchia nello Stato moderno Karl Loewenstein è giunto alla conclusione che. se oggi una monarchia deve essere ancora possibile essa dovrebbe essere «democratica» e del tipo presentato dai piccoli Stati dell'Europa settentrionale, dal Belgio e dall'Olanda. Se così stessero veramente le cose, tanto varrebbe chiudere la partita, con la monarchia. In tempi come gli attuali, la monarchia come una specie di sovrammobile decorativo e inoperante sovrapposto al « sistema », sarebbe qualcosa di frivolo e di privo di una vera ragion d'essere. Bisognerebbe invece difendere una concezione coraggiosa e rivoluzionaria della monarchia.

Con l'avvento del Terzo Stato l'idea monarchica è stata completamente depotenziata e svuotata. La nota formula, che il re «regna ma non governa», esprime in modo caratteristico questa menomazione. Il significato e la funzione fondamentale della monarchia tradizionale è di assicurare la « trascendenza », la stabilità e la continuità dell'autorità politica, tanto da creare un immutabile e supremo punto di riferimento e di gravitazione per tutto l'organismo politico, di là da ogni interesse particolare. In tempi normali, a ciò poteva bastare l'aspetto puramente simbolico della monarchia; esisteva una atmosfera di lealismo per via del quale la funzione come tale sovrastava, in un certo modo, la persona che l'incarnava tanto da non essere pregiudicata dalla eventuale insufficiente qualificazione umana di quest'ultima.

Ci si deve ben guardare, però, dal confondere questo carattere distaccato e quasi diremmo « olimpico » della vera monarchia con la limitazione imposta all'istituzione secondo l'accennata formula del regnare senza però governare, la quale fu introdotta proprio in un periodo in cui sarebbe stato richiesto l'opposto, ossia una attività della Corona che valesse a ordinare forze divergenti, a rettificare le carenze degli istituti. Peraltro, a ragione Benjamin Constant volle già attribuire alla monarchia un quarto potere, sovraordinato ai tre noti nella dottrina costituzionalistica (potere legislativo, giudiziario ed esecutivo), potere a carattere arbitrale e moderatore. In una difesa dell'idea monarchica questo punto dovrebbe stare in prima linea.

Poi si dovrebbero considerare i limiti del costituzionalismo. Non è certo il caso di fare macchina indietro fino a voler difendere il tipo della monarchia assoluta (peraltro, di solito presentata unilateralmente, mettendone in risalto solamente i lati negativi). Ma vi è costituzionalismo e costituzionalismo. Anzitutto noti si deve fare della costituzione un feticcio e un tabù, come si è detto esaminando il liberalismo. I1 costituzionalismo mantiene un valore soltanto finché le acque del mondo politico non sono agitate. Supremo potere, la Corona dovrebbe avere il diritto e il dovere di intervenire, in casi di emergenza, ed è proprio con ciò che può venire prevenuto ogni rivolgimento sia dittatoriale, sia rivoluzionario. In secondo luogo si deve distinguere il costituzionalismo quale sussistette fino alla prima guerra mondiale nell'Europa centrale e quello che ha prevalso negli Stati occidentali democratizzati ad oltranza, e posto sotto il segno della cosiddetta « volontà popolare » e della sovranità parlamentare. Nel primo caso le rappresentanze politiche della nazione potevano bensì essere elette col sistema democratico, ma nelle loro funzioni esse erano responsabili, in prima linea di fronte al sovrano, non al parlamento. Così al sovrano restava il diritto di appoggiare e confermare una certa linea politica anche quando essa non aveva l'approvazione e la cosiddetta « fiducia » della maggioranza parlamentare. Per citare un noto esempio, è quel che avvenne nel caso di Bismarck. Egli ebbe l'appoggio del sovrano e svolse per anni un programma di stanziamenti militari malgrado la maggioranza parlamentare avversa. Dopo le sue guerre vittoriose e la creazione del secondo Reich, Bismarck fu esaltato come un simbolo nazionale e una nuova costituzione, per la quale non si mancò di tener presente l'esperienza attraversata, sostituì la precedente.

Affinché il principio monarchico abbia un senso, bisognerebbe dunque ripristinare una situazione analoga. Il re dovrebbe avere una parte attiva nel governo e coi poteri a lui propri dovrebbe far da remora al sistema della democrazia assoluta parlamentare, alle sue deviazioni e ai suoi eccessi. Oltre al suo significato come simbolo e come custode dell'idea astratta di una suprema autorità, egli dovrebbe, nell'epoca moderna, essere così qualificato da poter controllare il sistema delle forze politiche della sua nazione e contribuire alla determinazione della linea politica. E in questa sua funzione, da esercitare in vario grado a seconda delle circostanze, egli non dovrebbe mai dimenticare l'antica massima: Rex est qui nihil metuit (è re chi di nulla ha paura). Che in casi estremi scorra perfino il sangue (il che verosimilmente non potrà essere evitato nel caso del rialzarsi di una nazione in cui la cancrena marxista e comunista abbia già avuto una forte presa), ciò non dovrebbe angosciarlo, nella sua coscienza di rappresentare e difendere sempre una idea superiore e impersonale.

Dopo di ciò va messo in evidenza quel che si riferisce alla dignità intrinseca della monarchia e al clima generale spirituale che deve esserne la necessaria controparte. Quando esiste una vera monarchia, vengono in risalto valori che in qualsiasi altro regime possono essere soltanto parodiati. « Servire il proprio sovrano » combattere per lui, essere il rappresentante o ministro di un re, ecc., tutto ciò diviene grigio e impoverito quando si tratta invece dì un presidente di repubblica. Un presidente di repubblica è, come il tribuno del popolo, « uno di noi », non esiste una « distanza », quindi nemmeno quella maestà che è condizionata appunto dalla distanza, non dalla popolarità democratica. Il giuramento al sovrano è assai diverso dal giuramento ad una astrazione, come la costituzione. Appunto l'etica del «servizio » riveste, in regime monarchico, una particolare dignità: vedere nel servire lo Stato e il sovrano un onore e un privilegio, non un dato impiego retribuito. Non occorre dire lo speciale risalto che tutto ciò ha nell'esercito e nel corpo degli ufficiali. Il senso della responsabilità, la libera
 dedizione, l'impersonalità attiva, la fedeltà e l'onore trovano nel clima monarchico il suolo naturale pel loro sviluppo.

In effetti, il declino della monarchia è andato essenzialmente di pari passo col materialismo e l'apatia della società moderna di massa, col venir meno, nei più, di forme superiori di riconoscimento e di sensibilità. Una vera monarchia potrebbe avere, pertanto, una influenza rettificatrice sul clima politico nazionale, ma d'altra parte si ha quasi un circolo vizioso perché per ogni ritorno ad essa una condizione essenziale sarebbe un mutamento di clima; e ciò forse si verificherà solamente se crescendo il disordine attuale, venendo ben percepito il carattere disanimato e assurdo di ciò che oggi viene chiamato il « sistema », si verrà ad un punto di crisi e di rottura e al superamento positivo di esso. Allora forse una idea superiore potrà attrarre, potrà far presa. Una restaurazione positivamente rivoluzionaria (rivoluzionaria rispetto alla condizione attuale di sovvertimento), non può essere realizzata che in questo presupposto, non per astratte vie giuridiche procedurali.

Ebbene, se le idee qui sommariamente accennate sono essenziali per la causa monarchica, chi, fra i monarchici italiani, se ne prende cura e ne fa la controparte dichiarata dell'azione politica opposizionale corrente? Purtroppo, anche nel caso dei monarchici, si può parlare di «nostalgici»; essi mantengono un rispettabile lealismo generico, spesso a fondo sentimentale, da vecchia generazione, senza disporre di una forza d'urto, né di miti animatori. D'altra parte, se si riconosce l'alternativa in precedenza indicata, ossia che si deve accantonare definitivamente la causa monarchica, ovvero si deve restituire alla monarchia una buona parte del suo significato, della sua dignità e della sua funzione originaria, quand'anche i tempi, grazie ad una congiuntura come quella poco sopra ipotizzata, offrissero una situazione favorevole, dove trovare mani capaci di reggere veramente uno scettro? Qualcuno scrisse che « occorre avere una grande fede per credere nella monarchia malgrado i re dei nostri giorni ». Ma questo è un diverso discorso, che esula dal quadro delle presenti considerazioni, nelle quali doveva essere considerato soltanto l'aspetto dottrinale dei problema.

  

domenica 1 aprile 2012

Margherita di Savoia e la sua collezione di libri

di Maria Laudiero


Il grande patrimonio personale di libri posseduto da Margherita Maria Teresa Giovanna di Savoia (1851-1926)è la parte preponderante della mostra allestita nella Sala delle Bandiere del Quirinale, residenza romana della prima sovrana d'Italia. L'esposizione è infatti inserita nell'ambito delle celebrazioni ufficiali che il palazzo del Quirinale ha organizzato per il 150esimo anniversario dell'Unità d'Italia. L'attenta analisi dei volumi del fondo libraio (molto più che semplici oggetti posseduti)della regina, meglio aiutano a far comprendere le sfaccettature delle personalità di coloro che li custodiscono fornendo, anche in questo caso, la chiave di accesso per conoscere ed approfondire una delle figure più illuminate del tempo.
"Il Catalogo della libreria particolare di S.M. la Regina" come si evince dal titolo, è un manoscritto vero e proprio inventario, degli oltre duemilacinquecento volumi che la regina possedeva già nel 1882, di cui una cospicua parte fu, in seguito alla morte della regnante donata. Un sostanziale numero di questa preziosa collezione che sottolinea quanti fossero i molteplici interessi di Margherita, venne distribuita in molte biblioteche minori, di cui una parte fu inviata all'Accademia Nazionale di Santa Cecilia dove per volontà della stessa regina, è conservato il suo intero patrimonio privato di strumenti musicali composto da venticinque pezzi di liuteria.

Ed è proprio dallo studio della sezione del frammento di questo catalogo in possesso della Biblioteca del Quirinale, come è sottolineato dalla curatrice dell'evento Lucrezia Ruggi d'Aragona, Capo del Servizio Biblioteca, che si muove la mostra snodata in tre aree principali;la prima concerne la figura di Margherita inserita nel suo contesto storico, il nucleo della seconda è relativo alle arti applicate-quali l'artigianato- di cui la sovrana fu attenta promotrice e, l'ultima riguardante la musica ed i libri(la regina suonava molti strumenti)in possesso ancora oggi della biblioteca del palazzo presidenziale. Come si evidenzia proprio dall'inventario,i volumi sono divisi in dieci macro gruppi che riguardano (nell'ordine in cui sono stati raggruppati e come riportati dai ricercatori):"la Letteratura; la Storia; la Geografia; le Scienze Naturali; le Belle Arti; la Musica; la Filosofia e Scienze affini; le Scienze sociali; le Scienze religiose ed in ultimo i Dizionari e le enciclopedie".

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Margherita di Savoia e la Biblioteca del Quirinale
Roma, Palazzo del Quirinale



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