NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 9 aprile 2022

La Monarchia dal 22 a domani - X parte

 


Quanto a Badoglio si deve aver presente che non aveva alcun comando Militare né effettivo né nominale; era il Capo. del Governo, perciò i suoi doveri preminenti erano quelli inerenti alla sua carica, cioè assicurare la continuità del Governo. E come tale, prima di dipartirsi, non mancò di dare le sue direttive "In la nota comunicazione dell'8 sera": Ogni atto di contro le Forze anglo americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo; esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza. Non era evidentemente competenza né del Sovrano né del Capo del Governo dirigere la difesa di Roma.

Prima dì proseguire non è superfluo fare il punto; le dolorose vicende dal 25 luglio all'8 settembre furono certo disastrose per l'Italia; a parte la composizione di un Ministero di tecnici che non fu, e che non poteva essere, di ausilio al Sovrano in un momento in cui il criterio politico internazionale doveva occupare il primissimo posto, con l'aggravante della lontananza nei primi giorni del Ministro degli Esteri Guariglia, fu di gravissimo nocumento il non essersi dato carico immediatamente dell'assoluta necessità di far sapere agli Alleati che la nuova Italia, appena svincolatasi dal giogo), fascista, intendeva abbandonare la Germania ed unirsi a Loro.

Questa l'origine dei guai successivi, avendo dato appiglio, e quanto meno pretesto, a ritenerci, se non proprio nemici, tuttavia titubanti al cambiamento di fronte. In seguito l'intervento esclusivamente militare are, le varie cause di diffidenza enumerate, la incomprensione degli Alleati, nonché gli errori nella condotta della guerra in Italia da parte degli Alleati, confessati, analizzati discussi dalla critica franca e sincera» di Lord Strabolgi, (1) e in fine il gesto inconsulto di Eisenhower hanno talmente aggravato la nostra situazione, che l'8 settembre, che, avrebbe potuto segnare veramente la fine dell'incubo fascista anche nei riguardi bellici fu invece il principio di un disastroso intermezzo prima della ripresa della nostra vita normale di costituzionalità.

 

IL GOVERNO A BARI


Il Capo dello stato e il Governo che, insediatisi a Bari, potevano sperare. di trovare almeno quell'angolo di regno concorde in un'azione dì risollevamento furono invece subito travagliati dalla più viva opposizione dei Partiti. I cinque Partiti che subito si erano fatti vivi al 26 luglio, come abbiamo detto, non mancarono di rivolgere lo stesso 8 settembre un altro Appello a tutti gli Italiani «per difendere l'armistizio contro ogni offesa, decisi di tutelare fino all'ultimo i loro ideali di libertà». E il 10 settembre successivo usciva altro Manifesto a firma degli stessi cinque partiti - sempre     senza nomi personali, - che annunziava che aveva inizio «la vera lotta della libertà che sarà difesa contro i fascisti, di dentro e di fuori». Notiamo questo cenno a fascisti redivivi, per l'occasione, che sarà l'accusa che sentiremo ripetere all'infinito per denigrare chiunque a loro contrario sebben convintissimi che di fascismo — almeno nel puro senso della parola, se a carico dei partiti costituzionali non fosse davvero più il caso di parlare, specie allora che non era ancora neppure apparsa quella tragicomica repubblichetta sociale che fu in seguito istaurata nel territorio occupato. dai Tedeschi.

L'attacco dei cinque partiti era evidentemente contro la Monarchia in ambi i manifesti; anziché unirsi e almeno non contrastare fin dal primo giorno l'azione del Governo in quei terribili momenti, in cui gli eserciti del mondo si contendevano questa povera Italia, i cinque Partiti per opera di innominati che si erano autoeletti. e proclamati difensori del popolo italiano cominciarono l'opera loro diretta ad interessi di partito.

E se ne videro ben presto i perniciosi effetti: Sforza tornato dall'estero; si fa capo dell'opposizione monarchica chiedendo l'abdicazione del Re insieme colla rinunzia alla successione al trono del Principe Umberto, colla conseguente sostituzione di un Consiglio di Reggenza per il seienne Principe di Napoli, ciò che vorrebbe dire una repubblica larvata, con tutti í malanni di questa, senza i vantaggi di una Monarchia con un Capo veramente efficiente. È assai rilevante quanto scrive a questo riguardo Camillo Lanciani nella sua «lettera aperta al Cavaliere della SS. Annunziata Carlo Sforza (2).

Si voleva tenere alla fine di dicembre una riunione a Napoli dei gruppi regionali antimonarchici del Comitato di Liberazione (spuntavano già fin da allora Comitati di Liberazione che impadronitisi poi del potere, come diremo, più non lo vollero lasciare!)  ma fu proibito dalle Autorità Alleate.

Fu deciso allora per la fine di gennaio un Congresso a Bari; i suoi postulati furono annunziati per radio il 27 da Sforza ed Omodeo per l’abdicazione del Re; il congresso si inaugurava, il 28 con un discorso di Croce sulle stesse direttive e chiudeva, con un ordine del giorno, conforme ai postulati sopraindicati.

Di fronte a tali conclusioni insorgono gli ex combattenti che tengono, ai primissimi di febbraio altro Congresso a Taranto, nel quale rinnovavano la loro fiducia dal Re e chiedono che Egli rifiuti di abdicare.

Contemporaneamente la Radio-Bari fa notare che anche solo dei territori allora liberati e quindi nella possibilità di prendere parte al Congresso, erano assenti la Sardegna, la Sicilia, la Basilicata, e parte delle Calabrie, nonché i partiti liberali delle classi medie che avevano avuto a capo Giolitti, Nitti, De Nicola ed altri, per cui i convenuti ai Congresso erano ben lontani dal rappresentare il pensiero e la volontà anche solo di quelle regioni. Il 12 marzo comizio a Napoli - assenti i democristiani in cui si insiste per l'abdicazione.

In questo tumultuoso agitarsi dei partiti il Sovrano pensa ad un atto di pacificazione e il 12 aprile Radio Bari fa sapere che il Re delegherà i poteri regi al figlio col grado di Luogotenente immediatamente dopo la presa di Roma e che allora sarà subito formato un Gabinetto comprendente i capi di tutti i partiti antifascisti: si sarebbero fatte le elezioni e si sarebbe deciso sul problema istituzionale. La decisione del Re quale è riportata di questi giorni integralmente nei giornali precisa: «Che S. M. ha deciso di ritirarsi dalla vita pubblica... E che tale decisione, che faciliterà l'unità nazionale, è definitiva ed irrevocabile».

Intanto il 20 aprile aveva luogo la nuova incarnazione del Ministero Badoglio su più larga base: Sforza, Croce, Rodinò democratico cristiano, Togliatti comunista e Mancini socialista, vi entrano come Ministri senza portafoglio. Questo Ministero vive vita travagliata sino a quando, liberata Roma il 4 giugno 1944, dopo le disastrose vicende belliche che hanno portato tanta rovina, in quelle desolate regioni, il Re, in conformità al proclama del 12 aprile, cede le sue funzioni al figlio e si ritira a vita privata.

Egli si è sacrificato «con un atto spontaneo allo scopo di eliminare qualunque, ostacolo che impedisse di raggiungere una vera unità nazionale». Messaggio di Badoglio del 18 aprile.

 

(1) Ruggero Guerra : La conquista dell'Italia, in « La Gazzetta d’Italia» del 22 Marzo 1946.

(2) Camillo Lanciani: Vittorio Emanuele III fu complice del fascismo? Edizione: Avvenire d'Italia 1946.     

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