NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 7 dicembre 2011

L’ORDINE SUPREMO DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA



FRA TRADIZIONE E PROGRESSO
di Gianluigi Chiaserotti

 

L’origine dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, riconosciuto per il più antico tra i suoi consimili, ci viene tramandato dagli storici sotto il nome della “Collana d’Oro” o “dell’Anello”, con il qual i re insignivano i loro vassalli.
Si parla di questi simboli – collana ed anello – di già dai tempi dei faraoni in Egitto; scrive Giuseppe, storico delle antichità giudaiche: “(…) e Faraone si trasse il suo anello di mano, e lo mise a Giuseppe, e lo fece vestir di vesti di bisso, e gli mise una collana d’oro al collo”.
Ciò dimostra che gli ordini cavallereschi ascendono ad epoca alquanto remota.
Al sorgere dei primi legislatori, furono distribuite insegne di ordini in premio a coloro che avessero compiuto alte azioni morali e materiali.
Con la venuta di Gesù Cristo, e dopo l’era volgare, il primo fondatore di ordini equestri fu l’imperatore Costantino (285-337). Narra la leggenda che, prima della battaglia combattuta con Massenzio, Costantino udisse, nella notte, una voce misteriosa consigliarlo di ornare gli stendardi imperiali con la croce del Redentore. La notte seguente Gesù Cristo apparve agli occhi dell’imperatore stesso, ancora dubbioso sulla scelta di una religione: il Messia lo esortava a marciare con fede sotto il segno celeste della Croce. Svegliatosi, all’alba, Costantino, senza alcun indugio, ordinò che i labari venissero sormontati dal monogramma di Cristo con le tradizionali parole:
In hoc signo vinces
Affrontate, quindi, le milizie nemiche, le respinse vittoriosamente e le disperse, e entrò in Roma, ove, in punto di morte e molti anni dopo, fu battezzato dal Papa San Silvestro (Silvestro, romano, 314-335). Questo episodio storico è brillantemente raffigurato nell’affresco denominato “Leggenda della vera Croce” di Piero della Francesca (Sansepolcro 1415/20-1492), conservato nella Chiesa di San Francesco in Arezzo e recentemente restaurato.
Altri fatti vittoriosi e gloriosi si ebbero in quel tempo, anche perché apparve, quale incitamento, la figura di San Giorgio, il mitico cavaliere della Cappadocia che sconfisse il drago, e in suo onore sorse l’Ordine dei Cavalieri di San Giorgio, composto di cinquanta cavalieri valorosi. L’imperatore Costantino ne fu il Gran Maestro: dignità che trasmise a tutti i di lui discendenti.
Nel Medio-Evo, con il flusso di un gran numero di pellegrini verso Gerusalemme, vennero istituiti ordini religioso-cavallereschi al fine di assistere ed eventualmente proteggere quanti si recavano nei luoghi santi. Alcuni di essi acquisirono grande prestigio e potenza divenendo dei veri e proprii stati sovrani, e sappiamo quali sono: l’Ordine di Malta, l’Ordine di San Lazzaro, che poi si unificò con quello sabaudo di San Maurizio, l’Ordine Teutonico. Ebbero quindi una funzione importantissima specie nel corso delle Crociate in Palestina, nella Penisola Iberica e nell’est Europeo.
Successivamente divenne abbastanza frequente che nel proprio castello un cavaliere, a volte conte o duca sovrano, riunisse amici costituendo una “compagnia” con intenti religiosi, cavallereschi o anche solo galanti. Spesso ne scaturiva l’impegno di recarsi, quali crociati, a combattere gli infedeli. Il più delle volte tutto finiva lì e, tornati alle proprie case, agli impegni di ogni giorno, la “compagnia” si scioglieva senza lasciar traccia di sé.
Passiamo alla contea sabauda.
La corte dei conti di Savoia era una delle più eloquenti quanto a nobiltà e spirito di cavalleria.
Nel  secolo XII dichiarare guerra al proprio vicino era un facile diritto e quindi le terre della nostra Penisola erano continuamente percorse di soldati e di suoni di battaglia.
Durante i periodi di pace quei principi agguerriti non cessavano mai di prepararsi ad affrontare nuove guerre e periodicamente essi trovavano svago in gare cavalleresche o nelle partite di caccia. Erano le c.d. “giostre” o “tornei”. I cavalieri ardenti di sentimento e d’amore verso la dama preferita, si guadagnavano il di lei affetto, non sospirando mollemente a’ suoi piedi, ma affrontando coraggiosamente un’impresa di sangue e di morte.
Ma codeste gare furono messe al bando dalla Santa Sede, perché pericolose.
Quindi, nel secolo XIV, “la giostra, il passo d’armi, la quintana, la corsa all’anello” divennero spettacoli praticamente di galanteria. In Chambéry, in Rumilly, in Bourg-en-Bresse, ed in Portt d’Ain, le gare si succedevano affermando sempre di più il nome dei Savoia e dei conti di Ginevra.
Regnava sulla Contea, Amedeo VI (1334-1383), principe generoso e cavalleresco, più volte vincitore delle compagnie di ventura, famoso per il di lui coraggio e per aver aggiunto ai suoi domini il Fossigny ed acquistato nuovamente il paese di Vaud, il quale, nel 1350, in occasione delle nozze di Bianca di Savoia (1336-1387), sorella del Conte, con Galeazzo II Visconti  (1320-1378), conte di Ginevra, inaugurò una giostra dove i competitori presero il nome di “cavalieri del Cigno Nero”.
Questo torneo originò la credenza di un ordine sabaudo detto della “compagnia del Cigno Nero”, ma in realtà questo non è mai esistito.
Più tardi, Amedeo VI partecipò, unitamente ad altri cavalieri, ad un torneo a Bourg-en-Bresse; essi si dissero “Cavalieri Verdi” - in quanto indossavano costumi in prevalenza verdi – e da ciò ne è scaturito il soprannome, tramandato sino ai giorni nostri, di Amedeo “Il Conte Verde”.
Anche l’impresa del “Collier de Savoie”, trova la sua origine da una giostra celebrata dal Amedeo VI a Chambéry, nell’anno 1361, al fine di festeggiare il ricordo della vittoria riportata contro Federico II, Marchese di Saluzzo. Questo nuovo torneo risulta essenzialmente un’impresa d’amore.
Il Conte sabaudo, nel 1362, dispose quindi che venissero eseguiti, in Avignone, quindici collari d’argento dorati, intrecciati di nodi d’amore e di rose, con inciso il motto “F.E.R.T.”. Il “Conte Verde” distribuì personalmente  le insegne tra i cavalieri che componevano la giostra e si proclamò primo cavaliere del Collare. Amedeo, quel giorno portava i lacci d’amore e dedicava l’impresa ai begli occhi di una dama della sua corte, rivolgendo all’amata le seguenti parole: “io, il vincitore in campo aperto del Marchese di Saluzzo, sono stato vinto dalla vostra beltà e sono pronto a fare quanto volete purchè ciò possa piacervi”.
I lacci d’amore, il collare di nostra dama, la parola “F.E.R.T.” formavano un’unica divisa dei cavalieri partecipanti all’impresa ed ognuno veniva incatenato alla sua dama per mezzo dei nodi d’amore, ed il fedele cavaliere per essa era disposto a sopportare ogni dolore ed ogni pena.
Ma i primi statuti dell’Ordine, lasciati dal “Conte Verde”, andarono smarriti.
Si conobbero, invece, quelli istituiti da Amedeo VIII (1383-1451) nel 1409. Ecco perché, da parte di alcuni storici, sorse la credenza che l’Ordine, creato e fondato da Amedeo VI, avesse avuto un carattere religioso e politico, conforme all’interpretazione data dagli statuti del mistico Amedeo VIII, detto “il Pacifico”.
Secondo codesto Duca, “Notre Dame”, non fu la dama prescelta dal cavaliere, ma bensì la Santa Vergine ed i quindici cavalieri, i quindici misteri del Santo Rosario (o allegrezze di Maria). Fu quindi un lavoro di adattamento per spogliare, oseremo dire, l’Ordine della primitiva profanità.
Nel testamento del  “Conte Verde”, si disse di edificare la Certosa di Pierre-Chatel, destinata ad essere la chiesa dell’Ordine. Codesta la si ultimò il 23 settembre 1393, e fu retta da quindici frati certosini, i quali celebravano quindici messe al giorno in onore dei quindici cavalieri, delle allegrezze della Madonna e per onorare la pace dei cavalieri defunti. Questo fu un fatto fondamentale per l’attribuzione delle origini dell’Ordine, e su ciò si basò Amedeo VIII per darne gli statuti, “dati” in Chatillon en Dombes il 30 maggio 1409. Essi erano composti di quindici capitoli, nei quali il Duca Sabaudo elenca i doveri, le finalità, lo spirito religioso dell’Ordine. E’ lo storico piemontese, Luigi Cibrario (1802-1870), che riesce a dare una data notarile, cioè certa, a codesti Statuti.
Sin d’ora abbiamo visto le origini storiche dell’Ordine, il quale, quanto ad importanza, è pari all’Ordine della Giarrettiera inglese, fondato (1355) da Edoardo III (1312-1377), ed all’Ordine austro-spagnolo del Toson d’Oro, fondato (1431) dal Duca di Borgogna Filippo il Buono (1396-1467).
Vediamo le sostanziali riforme fino ai nostri giorni.
Lo stesso Amedeo VIII, con gli statuti concessi il 13 gennaio 1434, aggiunse altri cinque nuovi capitoli.
Il Duca Carlo III detto “Il Buono” (1486-1553), nel 1518, fece varie modifiche: aumentò di cinque il numero dei cavalieri, in memoria, sembra, delle cinque piaghe di Gesù Cristo. Poi, nel vuoto pendente formato dai nodi d’amore, vi fece introdurre l’immagine dell’Annunciazione, e quindi l’Ordine fu definitivamente chiamato “Ordine Supremo della Santissima Annunziata”.
Fu stabilito anche il cerimoniale dell’Ordine, e ciò ad imitazione di quello della corte di Borgogna per quello del Toson d’Oro.
Fu altresì istituito un Cancelliere, un Segretario, un Cerimoniere ed un Tesoriere.
Si deputò all’Ordine un Araldo il quale prese l’appellativo di “Bonnes Nouvelles”.
Fu quindi prescritto per i cavalieri un manto di velluto chermisino.
Il Duca Emanuele Filiberto (1528-1580), figlio del precedente, comprendendo l’importanza dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, si prodigò al fine di promulgare nuove riforme, anche perché riconobbe l’utilità di quella compagnia cavalleresca (riforme promulgate tra il 1570 ed il 1577).
Innanzitutto il Duca di Savoia cambiò il colore del mantello da chermisino in azzurro, colore, tra l’altro, del sacro vessillo che il “Conte Verde” portava in battaglia, bandiera della devozione che recava l’immagine di Maria disegnata su un campo disseminato di stelle. Colore, come sappiamo, il quale divenne dei Savoia e quindi dell’Italia. E’ il colore anche della sciarpa che portano tuttora a tracolla gli ufficiali in alta uniforme. Sciarpa che, anni or sono, han cercato di far abolire poiché “poteva” ricordare il regno, la monarchia sabauda, ma senza minimamente pensare alle sue origini, cioè al colore, e da sempre della Madonna!
Sotto il regno di Carlo Emanuele II (1634-1675), il manto dei cavalieri cambiò colore: divenne amaranto. Esso era orlato intorno con ricami aurei e fiamme, portava i soliti simbolici nodi ed il motto “F.E.R.T.”. I cavalieri della Santissima Annunziata erano quasi sempre insigniti dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, per cui fu introdotta la consuetudine di vestire la clamide color sangue di detto Ordine, e su quella veste veniva posto il collare dell’Annunziata.
E’ di regola tutt’oggi che quando un candidato non ha nessuna decorazione di un ordine cavalleresco, il Sovrano Gran Maestro, prima di conferirgli il supremo Collare, lo crea cavaliere toccandolo con la spada di San Maurizio, e fa seguire all’atto le parole: “Io vi creo Cavaliere in nome di San Maurizio”. Infatti i cavalieri dell’Annunziata sono anche “de jure” cavalieri di gran croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.
Tutte le volte che il Re convocava i cavalieri dell’Annunziata, essi si adunavano in consiglio, che prendeva il nome di capitolo. Si dicevano riuniti in Cappella in occasione di Sante Messe, e delle ricorrenze del Santo Sudario, di San Maurizio, dei Santi Martiri e dell’Annunciazione.
In occasione del battesimo dei Principi Reali, si riunivano in Cappella straordinaria.
Chiesa dell’ordine non era più la Certosa di Pierre-Chatel. Divenne, quindi, l’eremo dei Camaldolesi sulle colline torinesi. Ma la Rivoluzione Francese soppresse quest’Ordine.
Con Carta Reale del 15 marzo 1840, il Re Carlo Alberto (1798-1849) dichiarò cappella dell’Ordine la Certosa di Collegno, sepolcreto anche dei cavalieri. Quando, poscia, la detta Certosa divenne un manicomio, l’Ordine ebbe quale sua cappella la Palatina di Torino.
Per cinque secoli codesta suprema onorificenza venne conferita esclusivamente ad uomini di provata nobiltà e veniva attribuito loro il titolo di “Cugino del Re”.
Fu il medesimo Re Carlo Alberto a spezzare le rigide tradizioni dell’Ordine, concedendo la collana anche a coloro che avessero prestato dei particolari servigi allo Stato, senza tener conto della loro discendenza.
Disse il Re: “In verità, non sarà colpa mia se il collare dell’Annunziata e le altre cariche saranno date ai borghesi, poiché al merito e non all’ambizione è dovuta la ricompensa”. Notate, il Re scrive “al merito”!!
 Il primo, senza ascendenze nobiliari a meritarsi il Collare dell’Annunziata fu Luigi Carlo Farini (1812-1866), dittatore dell’Emilia Romagna ed insignito, unitamente a Bettino Ricasoli (1809-1880), il 22 marzo 1860 quale nomina n. 513. Questo fatto dimostra chiaramente il profondo distacco delle nuove idee dalle vecchie: erano mutate le condizioni dei tempi ed il Re Vittorio Emanuele II (1820-1878), dopo l’avvenuta costituzione del Regno d’Italia, riconobbe come degni della suprema onorificenza i titolari delle alte cariche militari e civili ed introdusse la riforma degli statuti con Carta Reale 3 giugno 1869.
Con questo decreto, gli Ufficiali dell’Ordine furono ridotti a due: Segretario e Maestro delle Cerimonie; l’uno per il Ministro degli Esteri e l’altro per il Primo Elemosiniere del Re.
Ma con Decreto 7 aprile 1889 n. 6050, il Re Umberto I (1844-1900) conferì al Presidente del Consiglio dei Ministri la carica di Segretario dell’Ordine, fermo restando che esso rimaneva e rimane ordine dinastico.
Il Re Vittorio Emanuele III (1869-1947), con Regio Decreto 14 marzo 1924, modificava l’articolo 1 della Carta Reale 3 giugno 1869, disponendo che, nel novero dei venti cavalieri, non si contassero: oltre al Capo e Sovrano, il Principe Ereditario, i principi parenti del Re in linea paterna fino al quarto grado incluso, e come prima, gli ecclesiastici e gli stranieri.
Poco dopo, con Regio Decreto 4 maggio 1924 n. 899, veniva istituito ed autorizzato l’uso di uno speciale nastrino di riconoscimento per i cavalieri della Santissima Annunziata, quando essi non facevano uso delle collane.
La legge 30 marzo 1951, n. 178, della Repubblica Italiana, all’articolo 9 ha dichiarato: “L’Ordine della SS. Annunziata e le relative onorificenze sono soppressi”. In precedenza, numerosi ed illustri giuristi ed esperti di materie cavalleresche avevano fatto pervenire alla Commissione Affari della Presidenza del Consiglio (che studiava il disegno di legge) esaurienti memoriali storico-giuridici, dimostranti in modo limpido ed inequivocabile che l’Ordine Supremo della Santissima Annunziata era “dinastico” e non “statuale” (anche se, come abbiamo visto, dal 1860 al 1946 la dignità di Gran Maestro era stata concentrata nella persona del Re) e quindi non poteva essere oggetto di decisione da parte della Repubblica Italiana, per difetto di giurisdizione.
Ma la Commissione non diede alcun peso ai memoriali, né alle documentate pubblicazioni di eminenti professori universitari (Cansacchi, Nasalli Rocca ed altri). E portò al Parlamento la proposta di legge, che fu approvata. Il Gorino Causa, professore incaricato di Diritto Canonico nella Università di Torino, scrisse che la Repubblica Italiana “non poteva sopprimere né modificare gli Ordini della SS. Annunziata e Mauriziano per carenza di poteri sovrani nella materia”. D’altronde il parere dei più illustri esperti, non mai contestato, è che le case già sovrane (Hohenzollern, Romanoff, Absburgo, Borbone di Francia e Borbone delle Due Sicilie) conservino il magistero dei loro Ordini dinastici anche in esilio.
Nel merito infine, l’”Enciclopedia Forense” diretta da  Gaetano Azzariti, Ernesto Battaglini e Francesco Santoro Passatelli, scrive che l’Ordine “fu soppresso dalla Repubblica (…) con errore storico, non essendo mai stato abrogato l’art. 1 dello Statuto del 1570 che ne fa Ordine di famiglia e gentilizio della Casa di Savoia”. 
Vittorio Emanuele di Savoia (1937- ), attuale Gran Maestro dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata, con Decreto Magistrale “Motu Proprio” in data 11 giugno 1985, ha rivisto gli statuti relativamente art. 3.
Gli statuti Li ha poi ulteriormente rivisti in data 10 ottobre 1997, relativamente all’art. 1 inserendo quali categorie da escludere nel novero dei venti cavalieri anche i Capi di Stato, i membri delle Case Regnanti o già regnanti, e nuovamente all’art. 3.
Le collane sono così distribuite: quelle storiche, cioè le venti (precisamente sono diciannove) dei cavalieri italiani, sono grandi e devono essere restituite al Gran Maestro, che ne è solo il depositario. Agli eredi resta una collana piccola che ciascun insignito puo’ farsi creare per proprio conto. Alle altre categorie di insigniti, viene consegnata una collana piccola che resta di loro proprietà e dei loro eredi.
E’ interessante rilevare che l’insignito italiano puo’ scegliere la collana tra quelle disponibili, che sono numerate. La n. 1 la scelse il conte Dino Grandi (1895-1988), che a sua volta fu di Luigi Carlo Farini e di Giovanni Giolitti (1842-1928); Ivanoe Bonomi (1873-1951) scelse la n. 12, che fu di Agostino Depretis (1813-1887); Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952) scelse la n. 14, che fu di Antonio Starabba, marchese di Rudinì (1839-1908)  e che poi sarebbe stata di Falcone Lucifero (1898-1997).
Il Principe di Piemonte e di Venezia, Emanuele Filiberto di Savoia (1972- ) ha la collana che fu di un suo grande omonimo, il Duca Emanuele Filiberto di Savoia “Testa di Ferro”.
Più volte si è accennato al motto dell’Ordine Supremo della Santissima Annunziata e della Real Casa di Savoia, cioè “F.E.R.T.”.
Vediamo alcune delle sue svariate interpretazioni. Per nostra comodità abbiamo operato una scelta, tra le centinaia, e precisamente quella più consona all’araldica ed alla storiografia del Casato, ma, indubbiamente, l’interpretazione del motto resta un vero e proprio enigma insoluto.
La prima è quella più tradizionale, e cioè: “Fortitudo eius Rhodum tenuit”, “il suo valore conservò Rodi”. Con essa si fa riferimento all’impresa del conte Amedeo V di Savoia (1249-1323), recatosi nell’isola di Rodi in aiuto dei cavalieri gerosolimitani contro i Turchi. Abbiamo visto che Amedeo VI, suo nipote, creò l’Ordine e non è da sottovalutare che lo creò anche per l’ispirazione mariana che illuminò le Crociate. La presente interpretazione del motto “F.E.R.T.” la ritroviamo anche nello stendardo delle c.d. “Guardie del corpo” (gli antenati dei corazzieri) del re Carlo Felice (1765-1831) e cioè al centro vi era ricamata l’Annunciazione entro il Collare dell’Annunziata e sopra la fascia svolazzante la scritta  “Fortitudo eius Rhodum tenuit”, il tutto in campo azzurro.
L’interpretazione “Foedere et religione tenemur”, “siamo vincolati da un patto e da una fede” è dovuta al ritrovamento di codesta frase su di un doppione aureo coniato sotto il regno di Vittorio Amedeo I (1557-1637), e potrebbe significare l’unione (vincolo) vigente tra i cavalieri dell’Annunziata, i quali giuravano (ecco il patto e la fede) all’atto in cui ne venivano creati.
Filibertus Emmanuel Rex Taurinorum”, anche questo trovato su di una moneta relativo al regno del  “Testa di Ferro”.
Si pensa anche a “Foemina erit ruina Tua”, “la donna sarà la tua rovina”, riferendosi all’ammonimento con il quale il beato Sebastiano Valfrè (1629-1710), confessore del Re Vittorio Amedeo II (1666-1632), richiamava il suo real penitente, noto amatore.
Finora abbiam visto delle interpretazioni che considerano il motto quale un acronimo, vediamo quelle che lo considerano nel suo complesso lessicale.
Innanzitutto come abbreviazione di “ferté” o “ferto”: la prima come voce lessicale dell’antico francese per “fermezza”; la seconda dal latino mediovale “ferto- onis” o “fertum”, od anche “ferdonum”.
Il “ferto” sarebbe quell’unità ponderale che corrispondeva alla quarta parte del marco, o moneta di conto del valore medesimo; interpretazioni, però, che non si rifanno alle origini cavalleresche dell’Ordine del Collare. E’ quindi più attendibile, ma ancora non dimostrabile, invece, che “F.E.R.T.” sia l’imperativo presente del verbo latino “fero”, inteso come “sopporta”. Infatti, essendo il Collare adornato di nodi, ciò puo’ significare l’impegno, per il carattere cavalleresco-amoroso che ebbe l’Ordine, del cavaliere che deve “sopportare” sia i nodi d’amore per la di lui dama, sia, quando assume carattere religioso-militare,  “sopportare” ogni cosa per devozione ed in onore della Madonna (“fert crucem”). Infine citiamo il Cibrario, il quale scrive: “(…) è l’abbreviazione dialettica di “fortitudo”, “saint fert”, la “Fertè”, nomi di luoghi voltatisi in latino per “fortitudo”.
Dunque “F.E.R.T.” del Collare dell’Annunziata ad interpretarlo da solo, potrebbe significare “fortitudo”, cioè “valore”.

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