Questo articolo, firmato da "un affezionato lettore", comparve su "Il borghese" del 1 Aprile del 1950 in risposta all'articolo di Giovanni Spadolini "Monarchici e non monarchici". Secondo il Nostro Amico, ingegner Giglio, l'estensore potrebbe essere Giovanni Ansaldo.
Ho letto con grande interesse l'articolo di Spadolini pubblicato nel primo numero del Borghese articolo acuto e che ha chiarito molti degli equivoci creati in Italia dalla rettorica repubblicana. Non c'è dubbio che la funzione della monarchia, come già fu detto da Mario Missiroli, sia quella di difendere i principi dell'unità dalla minaccia del potere politico della Chiesa; e non v'è dubbio che, tutto sommato, la monarchia, almeno sulla carta, sia qualcosa di più serio della repubblica; ma lo Spadolini ha trascurato certi aspetti della nostra situazione politica.
La monarchia va raccogliendo nel paese un numero di simpatie sempre maggiore, e molti, fino a ieri favorevoli alla repubblica oggi rimpiangono sinceramente il re; poco per volta, per vie opposte, si scopre che casa Savoia era proprietaria, oltre che di una grossa sostanza, anche delle libertà liberali. Tutto ciò è vero, ma si tratta di verità teoriche, storiche, di verità arretrate che non trovano più rispondenza nella realtà italiana. La monarchia ha perduto la sua autorità tradizionale e resta soltanto un partito, un vecchio partito, battuto due volte: prima dal fascismo, poi dall'antifascismo del C.L.N. Ora essa è passata nel numero dei piacevoli ricordi, delle care e vecchie cose di un tempo. In Italia, non si è più monarchici, si ha soltanto nostalgia della monarchia; cosa ben '" diversa, perchè la nostalgia non è una forza attiva, ma soltanto un sentimento, se così si può dire, inerte.
Ho detto che la monarchia fu battuta dal fascismo perchè quest'ultimo riuscì a toglierle di pugno l'eredità del Risorgimento, ed attuò una politica estera ed una politica sociale proprie, sostituendo il fascio alla corona. Non soltanto, ma riuscì a conciliarsi con la Chiesa, pur rafforzando l'autorità dello Stato come la monarchia non vi era mai riuscita prima.
Ho detto ch'essa fu battuta dal C.L.N., perchè la monarchia, staccando le sue responsabilità dal fascismo, non riuscì ad imporre la propria autorità al paese, e si piegò alla volontà di partiti provvisori, accettando un plebiscito non molto chiaro, dal quale poteva uscire vittoriosa se lo avesse soltanto posposto di un anno. Ma quella seconda sconfitta subita dal C.L.N. era pur sempre la logica conclusione della sconfitta precedente subita dal fascismo il quale, in punto di morte, proclamando la repubblica di Salò, metteva fine a una tradizione e apriva la via al definitivo tramonto della Corona. La repubblica di Einaudi è stata fondata da Mussolini sul lago di Garda; ed ancora viviamo in una situazione politica dominata dall'ombra del defunto dittatore. Prima di chiudere gli occhi, egli volle regolare per sempre i suoi rapporti con casa Savoia e porre gli italiani nella condizione di dover ancora fare i conti con lui. Nulla di nuovo, infatti, dalla fine di Mussolini ad oggi, è stato fatto o concepito che il fascismo, bene o male, non avesse già affrontato. E quando parliamo di un ritorno alla monarchia, dobbiamo bene intenderci a quale: chè se si tratta di quella aulica, risorgimentale, passata dalle braccia di Crispi a quelle di Giolitti, dobbiamo pur dire ch'essa è tramontata, e che nessuno saprà più darle vita. Se, altrimenti, si tratta di una diversa monarchia, dobbiamo allora riallacciarci a quella mussolinìana. Ma come ho detto, essa è già stata assassinata dal defunto dittatore, il quale prima disarmò la Corona, poi la riformò, e infine la seppellì a Salò.
Oggi, nessuna forma monarchica può vivere in Italia senza l'appoggio di un grande partito. Da sè sola, la Corona, con la sua lunga coda di monarchici, non può reggersi. Quale è infatti il grande partito nazionale che ha interesse a sostenere la causa del re? Non certo la Democrazia cristiana, non certo i neofascisti, non certo i repubblicani. Restano soltanto i socialisti democratici ed i comunisti. Ma i primi, anche associati ai liberali e a quella massa vaga dei sentimentali della monarchia, non riusciranno mai a costituire un blocco saldo e valido. Toccherebbe allora al partito comunista la sorte di associarsi a Sua Maestà. E in questo caso si ripeterebbe la formula della monarchia fascista, con la stella rossa sulla corona al posto del littorio. Vedremmo una monarchia italiana protetta dalla Russia e appoggiata dal partito di Togliatti, ma costretta, nello stesso tempo, a difendersi dai suoi protettori con l'aiuto della borghesia e della Chiesa. Situazione incerta e difficile, che pone appunto la monarchia fra le istituzioni tramontate.
La nostra nostalgia del re è viva, certo, ma chi di noi ne desidera il ritorno? Chi di noi si augura una alleanza della Corona coi partiti di estrema sinistra? Se ciò accadesse, assisteremmo alla restaurazione di una monarchia stile 1935, una monarchia di tipo fascista, guidata da un Gran Consiglio progressista. E ne vedremmo delle belle! Ma, ripeto, Mussolini ha avvelenato i pozzi, e ogni ritorno è impossibile.
Oggi, la Corona ha soltanto una forza sentimentale, estetica, dottrinaria: tutte cose di scarsa efficacia politica. Inoltre, le vere forze monarchiche si sono consumate nel ventennio nero. L'ultima guerra vinta dal re è quella del '15, e i reduci del '15 oggi sono vecchi. I reduci delle altre guerre, cioè i giovani, sono legati al fascismo, e la sola epica ancora viva è quella mussoliniana: lo spirito della rivincita, benchè i nostri storici non lo sappiano, è la sola leva valida del paese. L'Italia come potenza, come Stato, come nazione, come patria non trova nella monarchia nessun mito. Nemmeno il mito più modesto, neppure quello dell'ordine e dei « treni in orario ». La futura battaglia che vedremo combattere in Italia, avverrà fra le forze democristiane e quelle neofasciste, le sole due forze nazionali vitali: la repubblica di Salò contro la repubblica del Papa. Posta la lotta entro questi termini, la monarchia, il liberalismo e quel che c'è d'altro passano in archivio.
E se ciò non bastasse, Umberto II non ha,mostrato tempra di gran sovrano. Dei quattro re d'Italia, egli è il più timido, il più incerto, il più modesto; più modesto di Carlo d'Asburgo, il quale, almeno, tentò un putsch. A paragone del padre, Umberto di Savoia è un signorino bene educato che scopre «un'anima sensibile e una coscienza» nell'onorevole Togliatti (vedi intervista del Mosca sulla Gazzetta del Popolo): è il re dell'Europeo e dei giornali a rotocalco, il re che, nella fantasia popolare, sta accanto alla Bellentani e a Ingrid Bergman.
Un ritorno della monarchia non significherebbe il trionfo delle virtù laiche, ma la definitiva liquidazione dello Stato, di quella ombra di Stato che ancora si regge per virtù delle defunte tradizioni piemontesi e del fascismo. Assisteremmo a un carnevale di alleanze fra contesse savojarde e proletari, fra generali repubblicani e partigiani, a un « badoglismo » più scadente, plebeo, sanfedista e progressista, illuminato da un esercito di consiglieri della Corona ottantenni, reduci da cento tradimenti, e pronti a preparare il ritorno della repubblica.
Scusi, signor direttore, questa lettera troppo vaga e riceva i sensi della mia stima.
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