NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

giovedì 17 febbraio 2022

La Monarchia dal 22 a domani - IV parte



Ma purtroppo quella che non doveva essere che un'affermazione di principio, d'altronde più formale che altro, sia nei riguardi del Re, sia di Mussolini, diventò un'arma terribile nelle mani di quest'ultimo al momento decisivo. Dal fatto che egli - aveva avuto affidato il Comando delle truppe sulle fronti, è logico dedurre che chi diede l'ordine di attaccare la Francia sia stato Mussolini.

Lo seppe preventivamente il Re e vi diede il suo assenso? Finora, che io sappia, nessuna precisazione venne fuori: da persone che erano al caso di vedere il Re in quei giorni sarebbe risultato «che Sua Maestà era nerissimo»; e che - un giorno-, fu sentito esclamare: «Sono stato mistificato!». Indubbiamente indizi molto limitati per negare che il Re ne fosse al corrente; ma se si ha mente che Mussolini aveva il comando effettivo delle truppe operanti sulle fronti, anche la riportata «mistificazione» dovrebbe pur valere per dar corso all'ipotesi che egli fosse ben lontano dall'essere al corrente dell'ordine dato da Mussolini.

Con questa interpretazione parrebbe collimare con quanto Grandi ha scritto nel suo memoriale: «Il Maresciallo Badoglio il quale aveva ricevuto l'ordine di attaccare la Francia, disse immediatamente: quell’ uomo è pazzo; non ha un piano di guerra e non ne ha mai chiesto uno, benché io gli avessi detto che  il nostro schieramento sulla frontiera francese fosse difensivo; non ha voluto ascoltarmi; ha gridato: Ma non lo capisce che mi occorrono immediatamente poche migliaia di morti, altrimenti Hitler non mi lascerà sedere alla Conferenza della pace?».


Senza, soffermarci sulla cinica apostrofa di Mus­solini, rilevo, per il nostro asserto, che l'ordine di attaccare la Francia dato a Badoglio, è confermato da quanto scrive Ciano il 20 giugno nel suo Memoriale: «Mussolini ieri ha deciso di attaccare i francesi sulle Alpi; Badoglio si è recisamente opposto; ma egli, ha insistito...». Può pertanto dirsi del tutto azzardato l'argomentare che il Re fosse affatto allo scuro dell'ordine dato da Mussolini quale comandante delle truppe di passare il confine, e perciò rassegnato alla dichiarazione di guerra si affermasse mistificato per l'attacco effettivo?

Ho creduto non inutile esporre, queste precisazioni per lumeggiare, come meglio lo consentono i pochi documenti a disposizione, il pensiero e l'azione del Re nei riguardi della guerra, ma un sol documento sarebbe più che sufficiente: la lettera che Ciano scrisse al Sovrano dal carcere di Verona il 20 di­cembre 1943, cioè pochi giorni prima di essere fuci­lato e consegnata al Re dal Conte Magistrati. Di essa, scrive il Malacoda, sono state pubblicate due versioni, del resto praticamente identiche; i brani qui riportati sono quelli pubblicati da P. «Monelli in Roma 1943». Scrive Ciano: «V. M. conosce da tempo le mie idee e la mia fede, così come posso testimoniare davanti a Dio e agli uomini. l'eroica lotta da Lei sostenuta per impedire quell'errore e quel crimine che è stata la nostra guerra a fianco dei tedeschi; né sulla Monarchia,  né sul popolo né sullo stesso Governo può andare la minima colpa del dolore che attenaglia oggi la Patria. Un uomo, un uomo solo, Mussolini, per torbide ambizioni personali, per sete di gloria militare, usando le sue autentiche parole, hanno premeditatamente condotto il Paese nel baratro. Maestà lo mi preparo al. Giudizio supremo con lo spirito sereno e la coscienza pura... e non si mentisce, quando si sta per entrare nel­l'ombra.». Si può essere più chiari di così?

Disgraziatamente le previsioni circa la prossima fine della guerra fallirono: la Germania, forse S­ventando fin d'allora di essere assalita alle spalle dalla Russia o per effettive difficoltà tecniche, o per altre ragioni come anche si prospetta, non effettuò lo sbarco in Inghilterra facendo invece sugli altri fronti ogni suo sforzo; e per due anni la vittoria fu sua anche contro i nuovi nemici. Ma il tempo lavorava contro di lei: la Russia sotto il ferreo giogo di Stalin mise a profitto le infinite sue possibilità di uomini e materiali, l'Inghilterra moltiplicò i suoi armamenti fornendone anche alla Russia, ed avvi­luppò la nemica in una cintura di navi, che le resero ben presto difficilissima ogni comunicazione a mezzo dei mari, tanto che, con l'entrata in guerra anche dell'America, la sconfitta della Germania fin dal maggio 1943 si profilò nettamente, andando poi sempre peggiorando la sua condizione bellica.

E l'Italia che Mussolini aveva fatto entrare in guerra solo «per avere il migliaio di morti» che gli permettesse di sedere al tavolo della pace vittoriosa, si trovò invece impegnata in una guerra per la quale non era assolutamente preparata, mancando di armi, attrezzature industriali e di qualsiasi piano militare con capi che i più avevano basi nel fascismo e per il fascismo!

Non è compito di questa esposizione seguire le varie fasi della guerra, del resto purtroppo note a tutti: dopo i brillanti successi della C.S.I.R. in Russia, vi fu la disastrosa ritirata dell'Armir, sacrificata dai tedeschi per effettuare il loro sganciamento dai Russi; vi fu la disgraziata campagna d'Etiopia e quella non meno disastrosa della Libia.

P. Monelli dice che «Da qualche tempo lo Stato Maggiore e il Ministro degli Esteri stavano addosso a Mussolini perché studiasse il modo d'uscire dal conflitto» (1); e il Gen. Castellano nel suo «Come firmai l'armistizio di Cassibile» ne precisa i termini sia nei riguardi di Badoglio sia del Gen. Ambrosio, dal 1° febbraio 1943 Capo di Stato Maggiore Generale. Questi, «oltre che rappresentare a Mussolini la grave situazione militare, non mancò di prospettarla anche al Re a voce e con memoriali» (2), richiedendo essenzialmente di «persuadere la parte germanica ad un maggior interesse per il problema mediterraneo ottenendo gli aiuti indispensabili per continuare la lotta nonché a riportare in Patria parecchie divisionidistaccate oltre confine» (3). Aggiunge ancora che «Ambrosio ebbe contatto con numerose personalità del mondo politico, industriale, economico e che egli stesso - si interessò di sapere cosa pensassero tali uomini politici avversi al regime» (4). Ebbe colloqui col Ministro della Real Casa Duca Acquarone, senza però aver potuto coordinare l'opera dello Stato Maggiore con quella del Sovrano «dato il suo atteggiamento più che di riserbo, diffidenza sì che il SUO atteggiamento sibillino   non agevolò per nulla la soluzione degli avvenimenti che avrebbero avuto altro corso se lo Stato Maggiore fosse stato orientato a tempo col pensiero e sulle decisioni del Re» (5). Con visione più larga, e perciò più aderente alla complessa verità; scrive P. Silva: «Nei pochi mesi tra il gennaio e luglio 1943 si venne precisando il proposito italiano di uscire dalla guerra; questo proposito maturò anzitutto nel Re, dal Re passò all'Alto Comando e più precisamente ad Ambrosio... Tra il Re e lo Stato Maggiore, tra il Re ed alcuni esponenti dell'antifascismo e negli ul­timi tempi tra il Re ed i fascisti dissidenti fu sem­pre tramite intelligente attivo e discreto il Ministro della Real Casa Duca Acquarone, il quale coltivò e rafforzò la decisione che già era nel pensiero del Re    di liquidare Mussolini e il Fascismo... l’antifascismo fu quasi assente...» (6). Nell’iniziativa monarchica si raccoglievano anzi tutte le speranze del popolo italiano.

Intanto gli avvenimenti militari peggioravano rioccupata la Tunisia, gli alleati minacciavano il territorio nazionale donde la necessità di accelerare i tempi. Ambrosio insisté presso Mussolini perché avesse a sganciare l'Italia dalla Germania rimettendogli nu­merosi pro memoria redatti in termini inequivocabili, le cui copie venivano da Ambrosio comunicate anche al Re. facendo presente essere chiaro che «l’alleato non voleva impegnarsi a fondo per difendere l'Italia, ma non voleva nemmeno abbandonarla di colpo per ritardare così più, a lungo possibile l'attacco contro il proprio suolo metropolitano» (7). Ai primi di luglio, quando lo sbarco in Italia era imminente, Ambrosio insisté più energicamente con Mussolini e Castellano ripeté i suoi colloqui con Acquarone, «il quale finalmente si lasciò sfuggire qualche mezza parola» (8)

Fu allora preparato - il progetto completo di cattura di Mussolini e dei suoi seguaci, che vien comunicato ad Acquarone il quale risponde che «al momento opportuno sarebbe stato dato l'ordine esecutivo» (9), facendo comprendere che la decisione del Re non sarebbe tardata molto (10).

Il 19 avviene l'incontro di Feltre; il Comando tedesco aveva improvvisamente deciso il Convegno; Ambrosio vi interviene fiducioso che finalmente Mussolini avrebbe sganciato l'Italia dalla Germania; ma purtroppo quel Convegno fu talmente vergognoso da parte di Mussolini che anziché ottenere lo sganciamento, l'Italia fu avvilita nel peggior modo senza che egli aprisse bocca. Il Convegno è minutamente descritto nel libro di Fulvia Ripa di Meana: «Roma clandestina», la quale ne aveva avuto relazione dall'eroico Colonnello Montezemolo      Medaglia d'Oro, assassinato poi a Roma alle Fosse Ardeatine – il quale vi era presente. Disse tra l'altro Hitler: «L'Italia non ha voglia di combattere.. l'Italia non sa fare la guerra.. il Popolo d'Italia non collabora sufficientemente con quello germanico non ristancandosi di imprecare contro il nostro Paese, demolendone i sacrifici immensi; Mussolini non rispose verbo» (11). Dice Grandi nel suo Memoriale «Hitler non Parlava l'italiano e Mussolini capiva il tedesco molto meno di quanto non volesse lasciar credere il risultato tragico fu un nuovo monologo di Hitler che    l'altro faceva finta di seguire con intelligente interesse». Fosse questa o altra la ragione sta, che non aprì bocca tanto che Ambrosio, cogli altri che componevano il seguito, finito il convegno del mat­tino, avevano implorato che nel pomeriggio egli chie­desse alla Germania tutti gli aiuti indispensabili per continuare a combattere ancora o «riconoscesse all'Italia il diritto di uscire dal conflitto..; ditegli che l'Italia è entrata in guerra per vostro ordine e che avete il  dovere di fronte al Paese di chie­dere che la Germania dia tutti gli aiuti indispensa­bili per combattere ancora, oppure riconoscergli il dritto di uscire dal conflitto. Mussolini ascolta e tace assorto: ma «in fondo, in fondo, esclama dopo un certo momento, in questo modo ne andrebbe di mezzo la mia pellaccia! Di fronte all'interesse del Paese e la pelle ha nessuna importanza, replica fred­do e severo Ambrosio, mentre un senso di nausea invade i presenti..» (12) Senonché nel pomeriggio egli i sentì male - secondo riporta Spectator in «Mondo latino» - e quando rimessosi chiede di vedere il Fuhrer, «lo agghiaccia la più inattesa delle risposte: Hitler non e, più a Feltre; è ripartito bruscamente per la Germania senza prendere congedo, senza nemmeno uva parola di saluto: ormai ha gettato nella spazzatura il limone spremuto».

 

 

(1) P. Monelli: op. cit.

(2) Generale Giuseppe Castellano: Come firmai l'Armistizio di Cassibile pag. 33

(3,4) Giuseppe Castellano: op. cit. pagg. 35 38 43 48 51 52.

(5) Giuseppe Castellano op. cit. pag. 35

(6) P Silva op. cit. pag. 149

(7) (8) (9) (10) G. Castellano: op. cit. pag. 38, 43, 51, 52.

(11) (12) F. Ripa di Meana: Roma Clandestina pagg. 44, 45 44

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