Il 9 Maggio del 46, dopo l'abdicazione in favore di Re Umberto, Re Vittorio Emanuele III e la Regina Elena iniziano il loro esilio, terminato solo da pochi mesi.
Ricordiamo l'evento con la testimonianza di Don Arcangelo Mosconi, Cappellano della R.N. "Duca degli Abruzzi"
dal settimanale Candido n.38, 1958
“Arrivati ad Alessandria il Re passò in rivista per l’ultima volta l’equipaggio: il suo volto era teso nello sforzo di trattenere le lacrime, la Regina piangeva e molti uomini dell’equipaggio avevano gli occhi lucidi”
Re Vittorio Emanuele con il comandante della Nave |
II 9 maggio 1946, l’allora Capitano di
Vascello Aldo Rossi, Comandante dell'incrociatore «Duca degli Abruzzi», sul
quale ero imbarcato in qualità di cappellano militare, chiamò a rapporto tutti
gli ufficiali e ci comunicò che si sarebbero salpate le ancore per una missione
molto importante. Con la nostra unità le Loro Maestà il Re e la Regina
avrebbero raggiunto Alessandria d’Egitto. Alle 19,11, infatti, la nave si fermò
al largo, di fronte a Villa Maria Pia, e quasi subito dal piccolo molo si
staccò un motoscafo a bordo del quale erano il Re, la Regina, il Conte Calvi di
Bergolo e la contessa Jaccarino Rochefort.
Sull’imbarcadero rimase un piccolo gruppo
di persone, tra cui Re Umberto, che a tratti alzavano la mano in segno di
addio. Ben presto il motoscafo raggiunse l’incrociatore e il Re salì a bordo.
Tutto l’equipaggio era schierato sulla tolda, il silenzio era solenne.
Il Re era in borghese e non appena mise
piede sulla nave si tolse il cappello e rimase per un attimo fermo a guardare
la bandiera che sventolava sul pennone. Poi passò in rivista i marinai, e agli
ufficiali strinse uno per uno la mano, senza dire parola. Quando fu avanti q me
vidi che i suoi occhi erano velati e che certo faceva sforzi per non dare sfogo
a tutta la sua commozione.
Non era quella la prima volta che avevo
l’onore di vedere Sua Maestà Vittorio Emanuele. Per lui e per la Sua Augusta
consorte avevo infatti già celebrato due volte, nella piccola cappella di Villa
Maria Pia, la Santa
Messa. A quel tempo io ero ricoverato nell’ospedale Fatebenefratelli di Napoli, nel braccio che era stato concesso alla Marina. Mi ero ammalato di malaria e restai degente per alcuni mesi. Fu quando cominciai la convalescenza che un giorno, dai padri Vocazionisti, mi venne offerto d’andare a celebrare la Santa Messa nella Villa dove risiedevano le loro Maestà. Accettai con grande entusiasmo. Per due volte quindi mi incontrai, nel salotto antistante la cappella e dove io mi preparavo al mio uffizio, con la Regina Elena la quale aveva la bontà di intrattenersi con me.
Messa. A quel tempo io ero ricoverato nell’ospedale Fatebenefratelli di Napoli, nel braccio che era stato concesso alla Marina. Mi ero ammalato di malaria e restai degente per alcuni mesi. Fu quando cominciai la convalescenza che un giorno, dai padri Vocazionisti, mi venne offerto d’andare a celebrare la Santa Messa nella Villa dove risiedevano le loro Maestà. Accettai con grande entusiasmo. Per due volte quindi mi incontrai, nel salotto antistante la cappella e dove io mi preparavo al mio uffizio, con la Regina Elena la quale aveva la bontà di intrattenersi con me.
Una volta vennero con Lei anche i figli
della Principessa Maria di Borbone-Parma ed io notai che essi tenevano
compuntamente in mano il libriccino della Messa. «Come sono bravi questi
piccoli», dissi dando loro un buffetto sulla guancia. E la Regina mi rispose: «Oh,
non sanno ancora leggere, ma io desidero che imparino sin d’ora a seguire la
Santa Messa col loro libriccino delle preghiere ». Per tutta la durata della
celebrazione la Regina restava inginocchiata ed una volta che alla Messa assistette
anche il Principe di Borbone, marito della principessa Maria, Io sentii rispondere
con voce ferma a tutte le domande che io ponevo, anche se non era lui che serviva.
Tenente Don Arcangelo Mosconi, da Fondi (Lt) |
Una terza Messa di fronte al Re e alla
Regina la celebrai sul «Duca degli Abruzzi», durante il viaggio verso
Alessandria d’Egitto. L’altare era stato eretto nella Santa Barbara, la zona
sacra della nave, dove si conserva la bandiera da combattimento. Era la domenica di Pentecoste.
II giorno dopo avremmo gettato le ancore nel porto egiziano. Anche quella volta la Regina rimase per tutto il tempo inginocchiata e ci fu un momento in cui direi proprio di averla sentita piangere sommessamente.
II giorno dopo avremmo gettato le ancore nel porto egiziano. Anche quella volta la Regina rimase per tutto il tempo inginocchiata e ci fu un momento in cui direi proprio di averla sentita piangere sommessamente.
II viaggio durò tre giorni, e durante quel
periodo il Re salì varie volte sulla coperta per intrattenersi con il
comandante o con gli ufficiali. Il primo giorno era rimasto a lungo à guardare
Napoli che spariva lentamente alla vista, poi si era anche soffermato ad
osservare la costa calabra che a poco a poco, sfilando davanti alla nave, si
allontanava sempre più da essa e aveva indicato vari punti di riferimento dando
prova di conoscere la sua Patria quasi palmo a palmo. Un giorno l’aveva poi
dedicato alla visita minuziosa della nave. Era salito e sceso dappertutto,
anche nella sala macchine, interessandosi del loro funzionamento e dimostrando
anche qui di conoscere tante cose, quasi quanto un marinaio.
La Regina, invece, restò sotto coperta.
Solo una volta, ricordo, la vidi seduta a poppa in uno spazio che era stato
liberato proprio per Lei, conversava con la contessa Jaccarino Rochefort. Mi
pare anche che lavorasse a maglia, per passare il tempo.
Il terzo giorno, quello dopo Pentecoste,
come ho già detto, Alessandria d’Egitto apparve all’orizzonte. Il Re guardò a
lungo quella bianca città che si avvicinava. Certo, pensando che lì, ora,
avrebbe trascorso il resto
della sua vita, riandò in quel momento ai luoghi che aveva più cari in Italia. Il porto era pavesato a festa, come se il Re fosse giunto per una visita ufficiale. Anche tutte le navi alla fonda alzavano il gran pavese e quando il «Duca degli Abruzzi» accostò spararono le salve di saluto.
della sua vita, riandò in quel momento ai luoghi che aveva più cari in Italia. Il porto era pavesato a festa, come se il Re fosse giunto per una visita ufficiale. Anche tutte le navi alla fonda alzavano il gran pavese e quando il «Duca degli Abruzzi» accostò spararono le salve di saluto.
Venne così il momento in cui il Re dovette
congedarsi dall’equipaggio, che era di nuovo tutto schierato sul ponte
irrigidito sull’attenti. Ancora una volta Egli passò quindi davanti ai marinai
e agli ufficiali, ma ora il suo passo era più lento. Come se avesse voluto
fissarsi bene negli occhi tutti quei volti italiani che vedeva per l'ultima
volta. Agli ufficiali strinse la mano in silenzio, credo che in quel momento
non avrebbe potuto articolar parola. Il suo volto era teso nello sforzo di
trattenere le lagrime. La Regina invece piangeva senza potersi frenare e con
lei piangeva la contessa Jaccarino che le stava sempre al fianco. E anche tanti
uomini dell’equipaggio, anche quelli che ne avevano ormai viste di tutti i
colori e si poteva pensare avessero il cuore indurito, avevano gli occhi
lucidi.
Prima di scendere dalla
scaletta il Re si volse verso la bandiera e rimase li, sull'attenti, per qualche
minuto a fissare quel tricolore che sventolava.
I Sovrani scendono dalla scaletta della R.N. "Duca degli Abruzzi" |
Poi scese nel motoscafo personale di Re
Faruk, con il quale il sovrano d'Egitto aveva mandato a prenderlo. Faruk in
persona lo aspettava sul molo per riceverlo non come un Re in esilio ma come un
amico che viene in visita.
Non rividi mai più le Loro Maestà. Feci
invece, sempre sul «Duca degli Abruzzi», ancora un viaggio, questa volta però
verso il Portogallo, in compagnia della Regina Maria Josè, dei suoi bimbi, del
Duca di Genova e del Duca di Ancona.
Partimmo dal molo San
Vincenzo di Napoli che era mattina presto. I bambini dormivano quasi ancora ed
erano portati in braccio dalle governanti. lo mi intrattenni poi spesso con
loro durante la traversata, facendoli divertire con innocenti giochi con le carte, ed essi stessi ne insegnarono altri
a me. Ricordo che Maria Gabriella era sempre la più triste. Non rideva se non
forzatamente, e un giorno che le chiesi il perché di quella sua mestizia mi rispose: «Non voglio andare via dalla mia Patria». La governante
mi disse anche che la piccola di notte non dormiva, tanto era assillata dal pensiero di doversi allontanare dalla sua
Italia.
Dissi anche una Messa
alla presenza della Regina Maria Josè e dei Duchi, e il Duca di Genova anzi mi
aiutò personalmente a preparare l’altare, dimostrando una perfetta conoscenza
del Rito. Quando gettammo l’ancora sul fiume Tago e venne anche qui il momento dell’addio la commozione
pervase di nuovo tutti, e l’ultimo ricordo che ho è quello delle piccole figlie
di Re Umberto che dal motoscafo si voltavano verso la nave sventolando i loro
fazzoletti in segno di saluto.
Cappellano Tenente don Arcangelo Mosconi
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