Nella ricorrenza del
centenario della Grande Guerra, numerosi sono stati gli studi che hanno cercato
di analizzare e, soprattutto, di comprendere un fenomeno complesso come quello
della prima “apocalissi della modernità”. E, nonostante l’argomento sia stato
sempre al centro dell’attenzione degli storici, è indubbio che nuovi approcci
metodologici e nuove prospettive abbiano arricchito le interpretazioni del
conflitto e, soprattutto, abbiano dato dello stesso una visione più complessa e
articolata di quanto non fosse stato fatto in precedenza. In tal modo, si sono
affrontate le ricadute socio-economiche del conflitto, se ne sono
contestualizzate le implicazioni culturali, si è dato spazio alla dimensione
internazionale della guerra e ci si è soffermati anche sulla dimensione
extraeuropea di questo evento.
In questa variegata
produzione relativa al primo conflitto globale, si inserisce il libro di Andrea
Ungari: “La Guerra del Re. Monarchia, sistema politico e Forze armate nella
Grande guerra”, Luni Editrice, 2018. Un saggio importante che intende
analizzare un tema sommamente complesso: quello della funzione della monarchia
all’interno di questo evento. Tema squisitamente politico, che si ricollega a
un rinnovato interesse per il ruolo della Corona nell’Italia liberale,
iniziatosi con i volumi di Paolo Colombo e, successivamente, con gli interventi
di Fulvio Cammarano, di Gerardo Nicolosi e di Caterina Villa.
In questo libro, Ungari si
pone l’obiettivo di rispondere a due domande, parimenti rilevanti dal punto di
vista storiografico; il regime politico instaurato dallo Statuto Albertino nel
1848 divenne mai compiutamente una monarchia parlamentare o no? E, all’interno
di questo quadro, quale fu il reale peso e ruolo della Corona nell’Italia
liberale?
Per quanto riguarda la prima
domanda, dalle pagine del lavoro di Ungari emerge chiaramente come l’assetto
costituzionale dell’Italia liberale non fu mai pienamente parlamentare; questo
per i numerosi poteri che alla Monarchia erano riconosciuti dallo Statuto e,
soprattutto, perché i Sovrani sabaudi mai rinunciarono ad esercitare tali
poteri. In effetti, nel corso della lunga storia dell’Italia liberale si
assisté a una continua tensione tra mondo politico e corona alla ricerca di una
delimitazione delle reciproche sfere di influenza. Tale tensione era tipica
anche delle altre monarchie europee, ma la particolarità del caso italiano fu
dovuta al fatto che mentre all’estero ci si avviò progressivamente verso la
parametrizzazione del sistemo politico, in Italia la Dinastia mantenne intatti
tutte le sue prerogative fino all’ascesa del fascismo. Nel corso della Grande
guerra, poi, la dialettica tra governo e istituto monarchico assunse toni
paragonabili solo al periodo delle guerre risorgimentali e del decennio
post-unitario. In questo periodo, infatti, lo scontro vide da un lato
collocarsi i governi di guerra, e i ministri che li componevano, e, dall’altro,
il Comando supremo e la corona, che nel corso del conflitto, pur cercando di
rimanere neutrale e di mediare tra le parti in lotta, dimostrò a più riprese di
appoggiare il Generalissimo Cadorna.
Nelle valutazioni del Re vi era la
convinzione che prioritario fosse portare il paese alla vittoria e, dunque, che
il Comando supremo dovesse essere lasciato libero di operare, senza le
inframmettenze della politica e dei giochi parlamentari. Già da queste poche
battute appare chiaro come la risposta di Ungari al primo quesito si orienti
nella direzione di negare al sistema costituzionale italiano una dimensione
compiutamente parlamentare, in considerazione dell’evidente “mancata
riconsiderazione dei poteri statutari che erano concessi al sovrano”.
L’analisi del ruolo di
Vittorio Emanuele III nel periodo bellico consente, altresì, di rispondere
anche al secondo quesito. Scorrendo le pagine del volume, ricco di
documentazione archivistica originale, italiana e straniera, appare chiaro il
carattere di perno che la monarchia svolse dal 1915 al 1918. Il Re, infatti,
nel corso del conflitto non solo divenne il punto di mediazione del governo e,
dunque, della classe dirigente liberale nello scontro con il Comando supremo,
ma fu anche l’elemento al quale si affidarono gli Alleati per ottenere la
garanzia del mantenimento degli impegni siglati con il Patto di Londra. Non
minore fu il carattere simbolico che la dinastia assunse, grazie alla costante
presenza di Vittorio Emanuele nelle trincee del lungo fronte italiano. Il
Sovrano, come ricordò Joseph Rudyard Kipling nel suo reportage sulle vicende
belliche del fronte dolomitico (The War in the Mountains), condivise, in parte
naturalmente, con i suoi soldati i travagli del conflitto in prima persona,
contribuendo a edificare quel mito di “Re soldato” che ebbe larghissima
diffusione in Italia e fuori del nostro Paese.
In questa prospettiva,
Ungari si spinge ancora più in là, restituendoci un’immagine complessa del
sovrano e, per certi aspetti, assolutamente innovativa, ben lontana dalle
precedenti visioni stereotipate. Dalle pagine del suo libro si profila
l’immagine di un regnante che partecipò alla temperie culturale ed emotiva
della nostra classe dirigente (politica ma soprattutto intellettuale), la quale
si decise a favore dell’intervento sì per completare il Risorgimento nazionale
ma anche con l’obiettivo di realizzare un’Italia più grande, che potesse
giocare un ruolo politico sia nei Balcani, sia nel Mediterraneo.
Vittorio
Emanuele III emerge, dunque, come figura centrale del sistema politico, croce e
delizia del ceto politico che, se da un lato, proteggeva dagli attacchi delle
fazioni neutraliste, dall’altro, teneva sotto tutela, temendo la frammentazione
del sistema istituzionale che si era profilata dopo l’uscita di scena di
Giolitti e l’allargamento del suffragio.
Un buon libro, dunque,
quello di Ungari che ci porta per mano nei meccanismi concreti del sistema
politico liberale, gettando nuova luce sui rapporti che caratterizzarono le
élites politiche e il sovrano. In estrema sintesi, la sua analisi bene spiega
le aspirazioni di Vittorio Emanuele III, le sue contraddizioni e la sua
progressiva disaffezione per il mondo politico che proprio nel corso del grande
conflitto cominciò a emergere e che avrebbe avuto le sue fatali conseguenze
nell’infuocato primo dopoguerra fino alla tragica data del 28 ottobre 1922.
da www.corriere.it
Nessun commento:
Posta un commento