In prossimità delle celebrazioni della data infausta la sinistra si riscopre repubblicana e qualcuno si pone il problema del fallimento delle istituzioni repubblicane.

NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.
giovedì 31 maggio 2018
mercoledì 30 maggio 2018
UMI: “La Repubblica italiana è decotta, subito la Costituente per il ritorno alla Monarchia Costituzionale”

Scrive Sacchi in un comunicato: “L’Unione Monarchica Italiana, nel prendere atto dello stato di “decozione” della Repubblica, ha il dovere di ricordare che per la soluzioni di grandi problemi, necessitano se non grandi uomini, almeno uomini grandi. Nel desolante panorama che le Istituzioni offrono in queste ore, l’Unione Monarchica Italiana ricorda a quanti hanno a cuore le sorti della Patria, che in Politica non conta il solo risultato numerico, ma il benessere dei cittadini. La Politica esige il rispetto della volontà popolare ed un arbitro, che in posizione terza ed imparziale controlli il rispetto delle regole del gioco”.
Quindi la soluzione: “L’Unione Monarchica Italiana, più antica e numerosa associazione di cittadini che pensano alla Monarchia Costituzionale e Parlamentare, come elemento preliminare al fine di curare le malattie costituzionali da cui l’Italia è affetta, invoca a gran voce una fase costituente che riformi la Cosa pubblica con nuove fondamenta condivise”.
Un Re si sarebbe comportato diversamente

Cosa sarebbe successo se invece del presidente Mattarella ci fosse stato il Re? Che è un po' come chiedersi cosa sarebbe successo se la nuova Italia del Dopoguerra non fosse nata repubblicana grazie a strane macchinazioni e probabili brogli, ma fosse rimasta monarchica. Intanto il Re non avrebbe vissuto nessun complesso di inferiorità nei confronti dell'Unione Europea, considerando che ben 7 Paesi dell'attuale Unione Europea – tra i più importanti – hanno un Monarca: Gran Bretagna, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Svezia, Spagna. E non se la passano così male.
[...]
martedì 29 maggio 2018
Era giusto nominare Savona
L’annosa questione dinastica, dalla quale ci siamo sempre
e pervicacemente chiamati fuori, ci impedisce talvolta di trattare come
vorremmo notizie riguardanti i Principi di Casa Savoia.
Facciamo rarissime eccezioni in occasioni del tutto
particolari.
Questa è una di quelle rarissime eccezioni per la grave
crisi delle istituzioni repubblicane di questi giorni e per la presa di posizione che è coerente con il pensiero dei monarchici .
"Outing" politico di Amedeo d'Aosta: era
giusto nominare Savona

Arezzo, 28 maggio 2018
- Ci fosse stato lui al Quirinale, come pure accadeva per i suoi antenati,
adesso Paolo Savona sarebbe ministro dell’economia e non saremmo di fronte a
una crisi che ricomincia punto e a capo. Sì, ha le idee chiare Amedeo d’Aosta
(anzi, «di Savoia», come dice lui) quando di domenica mattina alza il telefono
e chiama La Nazione, il quotidiano che il Duca ha sempre detto essere un punto
di riferimento per lui: «Dipendesse da me - spiega secco - io Savona lo
nominerei subito».
Ohibò, che anche un rampollo di
famiglia reale si sia convertito al populismo grillin-leghista? «Niente di più
sbagliato - replica lui - non ho votato né per la Lega né per i Cinque Stelle.
Ma mi pare giusto che adesso governino con gli uomini che si scelgono. Le elezioni
le hanno vinte loro, per me è un problema di democrazia».
Ma come la mettiamo con le
posizioni eterodosse di Savona che per Mattarella scatenerebbero una reazione
degli altri paesi della Ue? «Non c’entra. Chi vince decide gli uomini che
saranno al potere. Se no che si fanno a fare le elezioni?».
[...]
lunedì 28 maggio 2018
72 anni portati male
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1918 |
Un presidente
della repubblica, eletto da un parlamento precedente che non aveva tutte le
carte in regola per via di una sentenza della corte costituzionale che
dichiarava illegittima la legge elettorale che ne aveva determinato la
formazione, ha posto il suo veto sulla scelta di un ministro di una maggioranza
formatasi in parlamento (anche se non nelle urne) negando di fatto la possibilità ad un nuovo governo di nascere.
Nella storia della repubblica è la prima volta.
Nella storia della repubblica è la prima volta.
Non facciamo il
tifo per nessuno degli attori: non per la Lega, non per i grillini, non per il
successore degli abusivi del Quirinale.
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2018 |
Constatiamo che
la libera espressione del voto nell’Italia repubblicana, fondata sulla
resistenza, sul referendum truffaldino del ‘46 e sulla costituzione che ne
derivò, è stata ridotta a mera ratifica delle decisioni prese da persone che non
vengono elette, né in Italia né tanto meno in Europa. E che se la ratifica non
avviene l’arbitro, primo responsabile di questa situazione per aver firmato una
legge elettorale i cui effetti erano amplissimamente previsti, gioca contro.
Nel 1918 la Monarchia
seppe imporre il rispetto della Nazione Italiana al resto del mondo.
Nel 2018
assistiamo impotenti al suo collasso.
Sic transit gloria mundi!
sabato 26 maggio 2018
Io difendo la Monarchia cap IV - 5
Ecco un autore che ha perfettamente capito la situazione e che fìssa con
chiarezza il rapporto tra il fascismo vittorioso e la Monarchia (1). La
Monarchia presa di fronte direttamente dai partiti politici, disancorata dal
Parlamento, viene accantonata dal fascismo sostanzialmente repubblicano e da un
« duce » che non concepisce altro potere che la illimitata personale dittatura.
E come vedesi a nessun antifascista veniva, allora, in mente, amico o nemico
della dinastia sabauda, di imputare al Re lo stato di immaturità politica del
popolo italiano e di umiliante abbassamento e involuzione della sua classepolitica. Per molti anni, da ogni parte fu lodato il Sovrano per avere convogliato,
almeno formalmente, l'insurrezione nei binari della legalità, evitando
ulteriore spargimento di sangue dopo quattro anni di lotta civile.
Nel fascismo erano contenuti molti fermenti utili, molte energie che bene indirizzate, avrebbero potuto contribuire efficacemente al ritorno della normalità costituzionale.
Nel fascismo erano contenuti molti fermenti utili, molte energie che bene indirizzate, avrebbero potuto contribuire efficacemente al ritorno della normalità costituzionale.
Scrive, lo stesso Fisher dopo aver
elencato gli elementi sfavorevoli della dittatura: «Sin dal principio, si trovavano
umanisti italiani favorevoli ad un movimento il quale, malgrado la repressione,
portava nella vita politica dell’Italia un sentimento di grandezza che richiamava
l’epoca imperiale. L'ardente genio (!) e la divorante energia del duce si
comunicavano a tutte le parti del corpo politico. Una efficienza nuova fu
imposta ad ogni ramo dell’Amministrazione civile: i treni arrivavano in orario.
Le malversazioni dei funzionari furono severamente punite. Si intrapresero
grandi opere pubbliche. Si diede nuovo impulso all’esplorazione archeologica,
alla ricostruzione di Roma e alla bonifica delle regioni malariche del Mezzogiorno.
Gradatamente il fascismo, considerato dapprima come il violento sogno di un pazzo,
fu accolto con rispetto ed ammirazione. Non era soltanto una politica, ma un
credo: alla fede militante del comunismo internazionale opponeva
una fede non meno combattiva e implacabile, un fervido socialismo nazionale,
interpretato predicato ed imposto da un partito politico organizzato... Se
anche tutto ciò si otteneva a prezzo della libertà, gli italiani erano disposti
a pagarlo. Ancora una volta l’Italia aveva prodotto un uomo di grandezza
cesarea! (2).
Più esplicito è un altro scrittore
antifascista H. L. Matthews. A pag. 4 del suo recente libro: I frutti del fascismo
(Laterza, Bari) egli scrive che nei paesi democratici si udiva troppo spesso
dire che vi era bisogno, anche là, di un Mussolini. «Per guarire l’Europa dalla
crisi del dopoguerra, il fascismo - scrive Matthews - aveva preso la direzione
che il mondo voleva»... Mussolini ebbe l’abilità e la determinazione di
restaurare la pace sociale e di rimettere in moto la nazione, le due cose a cui
il popolo aspirava soprattutto». Nello stesso libro viene riportata la
prefazione dell’Editore Wilson a un pamphlet di sir Percival Phillips
corrispondente del Daily Mail di Londra. Il pamphlet, del 1922, si intitola: Il
dragone rosso e le camicie nere: come l’Italia trovò la sua anima. L’Editore
Wilson scriveva a prefazione del libro:
«I fascisti hanno acquistato una forza
immensa perché essi obbediscono a quella che è realmente una religione del
dovere e dell’amore. Lenin ha detto che fascismo e comunismo non possono
coesistere nel mondo:
l'uno deve uccidere l'altro e ha ragione. Il fascismo deve vincere perché è fondato sull'amore mentre il comunismo è fondato sull'odio e l'amore è più forte dell'odio come il bene è sempre, in ultima analisi, più forte del
male. Di fatto gli ideali del fascismo sono così alti e la sua disciplina così rigida che sarà difficile per semplici uomini mantenersi alla loro altezza una volta passata la fase culminante. Mussolini a dispetto delle centinaia (?!) di ferite ricevute nella guerra, si fece avanti come un nuovo David a sfidare il Golìa bolscevico». Il Fascismo appariva allora a sir Percival Phillips come «una guerra santa della libertà». Questo concetto della libertà torna frequente tra gli storici del movimento e sembra, per vari anni, un concetto ortodosso. «V'era nel primo programma del fascismo (si legge nella Enciclopedia Treccani: Storia del fascismo) un grande desiderio di libertà : libertà per i produttori dal peso dello stato paternalistico e intervenzionista, libertà delle masse operaie da ogni influsso deviatore dei partiti politici, libertà da ogni dittatura o tiara o scettro, sciabola o capitale, tessera di iscrizione o mito».
l'uno deve uccidere l'altro e ha ragione. Il fascismo deve vincere perché è fondato sull'amore mentre il comunismo è fondato sull'odio e l'amore è più forte dell'odio come il bene è sempre, in ultima analisi, più forte del
male. Di fatto gli ideali del fascismo sono così alti e la sua disciplina così rigida che sarà difficile per semplici uomini mantenersi alla loro altezza una volta passata la fase culminante. Mussolini a dispetto delle centinaia (?!) di ferite ricevute nella guerra, si fece avanti come un nuovo David a sfidare il Golìa bolscevico». Il Fascismo appariva allora a sir Percival Phillips come «una guerra santa della libertà». Questo concetto della libertà torna frequente tra gli storici del movimento e sembra, per vari anni, un concetto ortodosso. «V'era nel primo programma del fascismo (si legge nella Enciclopedia Treccani: Storia del fascismo) un grande desiderio di libertà : libertà per i produttori dal peso dello stato paternalistico e intervenzionista, libertà delle masse operaie da ogni influsso deviatore dei partiti politici, libertà da ogni dittatura o tiara o scettro, sciabola o capitale, tessera di iscrizione o mito».
- (1) Non così avviene in un libro pseudo scientifico del libero docente Ernesto Orrei, Presidente del Consiglio Provinciale di Roma nei primi anni del governo di Mussolini, passato all’opposizione clandestina e alle non serene meditazioni giuridiche.Il che del resto era naturalmente nel suo diritto, per i molti errori, sempre nuovi e sempre più gravi, del fascismo. Il professore Orrei ha anche il diritto di manifestare il suo duro giudizio su tutti gli atti compiuti dal fascismo da quando egli non ha più avuto responsabilità politiche, ma non può modificare, secondo il vento dell'ora, e cancellare i giudizi già espressi sugli avvenimenti dell’ottobre 1922. Si legga, ora, un suo sdegnoso commento ai fatti del 28 ottobre 1922, apparso nel libro: La Monarchia fascista, a pag. 19 : « Si è detto che il re si era poi messo contro la data assicurazione (di decretare lo stato d’assedio) rivolta a ristabilire verso tutti il rispetto dell’autorità delia legge dello Stato, rifiutandosi di firmare il decreto relativo allo stato d’assedio, sotto la diretta minaccia, da parte fascista, di sostituirlo nel regno con un principe della stessa dinastia nel ramo laterale. Cosi l’interesse del trono nell’ordine interno dinastico avrebbe prevalso sinistramente e tragicamente sull’interesse della nazione per gettare questa sotto la più funesta tirannia di parte ». Il repubblicano prof. Orrei ha un grave torto. Egli ha dimenticato di avere solennemente aderito, come Presidente del Consiglio Provinciale di Roma, ai casi del 1922 e alla funesta tirannia. A pag. 21 del suo candido libro egli stesso ricorda il suo discorso del 29 aprile 1923 per l’inaugurazione di una mostra dell’agricoltura dell’industria e dell’arte applicata alla presenza del sovrano e del « duce ». Noi abbiamo voluto leggere quel discorso. Esaltato dalla superba visione di una città romana, disegnata dall’architetto Brasini per la mostra, eccitato dalla presenza di re Vittorio e di Mussolini, il prof, Orrei così prorompeva: «L’arco che, nell’armonia delle sue linee architettoniche di pura arte romana, segna l’ingresso della mostra è stato consacrato, nella ispirazione dell’artista e per volontà del Comitato, alla Vittoria, significazione ideale, etc., etc. ». Come si vede cl sono tutti gli elementi della retorica fascista: Roma, l’arco, la vittoria. Ma andiamo avanti. Continuava l’oratore: « Il Governo pertanto, presieduto da un eminente italiano la cui altezza d’intelletto é passione nobilissima per mi degno avvenire della Patria, etc., etc. ».Ed Infine indirizzandosi al re: «Maestà! La cerimonia di oggi, alla presenza di vostra Maestà assurge al magistero di un rito della Nazione. Roma vi esalta nella sua fede italica che è la sua storia, Roma, la luce del mondo e la rocca di tutte le genti civili». Questo era l’apprezzamento del prof. Orrei sul casi dell’ottobre 1922, sei mesi dopo del loro verificarsi: egli allora giudicava il Re in modo del tutto diverso da come lo giudica oggi... perché le cose sono andate male.
- (2) H. A. L. Fisher: op. cit. vol. in, pag. 444.
venerdì 25 maggio 2018
Ma che bella la monarchia (degli altri)
Pubblicato da: Giuseppe Varlaro
A guardare il royal wedding
verrebbe voglia di fare i nostalgici, anche se l'ultima puntata dei reali
italici sulle frequenze della storia non è stata affatto felice
Non posso nascondere che il
matrimonio della Corona Britannica tra il principe Harry e Meghan mi abbia
emozionato non poco, sia per la cerimonia che per i ricordi della Monarchia e
di tutti i richiami alle tradizioni. A parer mio, anche questa forma di governo
può essere efficace. Il 2 giugno del 1946, come tutti o quasi gli Italiani
sanno, la Monarchia di fatto vinse le
elezioni ma, dati i numerosi brogli elettorali, la vittoria venne data alla
Repubblica. Non sono un nostalgico monarchico di Covelliana memoria ma, vedere
l'ottimo stato di salute della monarchia britannica in confronto della nostra
malandata Repubblica, umilia non poco il mio spirito patrio e spero anche il
vostro. Certo, la monarchia assoluta oggi non sarebbe neanche pensabile al
cospetto del cosiddetto spirito democratico. Ma chi ha detto che la democrazia
è l'unica forma di governo possibile al mondo? Riprova è che, nel mondo,
esistono tante altre forme di governo felici. La sensazione di solidità, di
presenza, di sorveglianza, soprattutto di continuità che la monarchia infonde
nei sudditi si può ben paragonare anche alla più evoluta delle democrazie come
quella americana. Solo in Europa abbiamo il Belgio, Gran Bretagna, Danimarca,
Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Andorre con monarchia parlamentare,
Liechtenstein, Svezia e Monaco monarchia costituzionale, Stato Vaticano
monarchia assoluta. Come si evince, solo in Europa ne esistono dodici come le
stelle che sono raffigurate nella bandiera europea. Certo, il lato
folkloristico e glamour delle teste coronate non può farci dimenticare
l'epilogo del Re d'Italia Vittorio Emanuele III° che terminò, miseramente, il
regno di casa Savoia dopo 85 anni. Ripeto non sono assolutamente un nostalgico
monarchico ma vedere oggi lo stato di salute della casa d'Inghilterra e
confrontandolo con la nostra Repubblica dilaniata negli anni dalle destre e
dalle sinistre, ora in mano ai grillini e leghisti cosiddetti Populisti, mi dà
da pensare... Stato fallito di fatto dal 2008, inserito in un Unione Europea
che è unita solo nella moneta ma in null'altro. Lasciatemi gridare: "Dio
salvi il Re e la Regina"!
giovedì 24 maggio 2018
RICORDARE LA CITTA’ DI FIUME
Conversazione sull'ultimo libro di Giovanni Stelli “Storia di Fiume” ed. Biblioteca dell’Immagine.
Presso HOTEL CAVALIERI – Piazza Missori 1 – Milano
26 maggio 2018 - ore 11
Saluto del Presidente del Comitato ANVGD di Milano Matteo Gherghetta
Saluto del Presidente Associazione Fiumani Italiani nel Mondo-Libero Comune di Fiume in esilio - dr. Guido Brazzoduro
Intervengono: Marino Micich (Direttore Archivio-Museo storico di Fiume) e l’autore Giovanni Stelli (presidente della Società di Studi Fiumani)
mercoledì 23 maggio 2018
La politica del Re soldato. Vittorio Emanuele III e la Grande Guerra
Nella ricorrenza del
centenario della Grande Guerra, numerosi sono stati gli studi che hanno cercato
di analizzare e, soprattutto, di comprendere un fenomeno complesso come quello
della prima “apocalissi della modernità”. E, nonostante l’argomento sia stato
sempre al centro dell’attenzione degli storici, è indubbio che nuovi approcci
metodologici e nuove prospettive abbiano arricchito le interpretazioni del
conflitto e, soprattutto, abbiano dato dello stesso una visione più complessa e
articolata di quanto non fosse stato fatto in precedenza. In tal modo, si sono
affrontate le ricadute socio-economiche del conflitto, se ne sono
contestualizzate le implicazioni culturali, si è dato spazio alla dimensione
internazionale della guerra e ci si è soffermati anche sulla dimensione
extraeuropea di questo evento.
In questa variegata
produzione relativa al primo conflitto globale, si inserisce il libro di Andrea
Ungari: “La Guerra del Re. Monarchia, sistema politico e Forze armate nella
Grande guerra”, Luni Editrice, 2018. Un saggio importante che intende
analizzare un tema sommamente complesso: quello della funzione della monarchia
all’interno di questo evento. Tema squisitamente politico, che si ricollega a
un rinnovato interesse per il ruolo della Corona nell’Italia liberale,
iniziatosi con i volumi di Paolo Colombo e, successivamente, con gli interventi
di Fulvio Cammarano, di Gerardo Nicolosi e di Caterina Villa.
In questo libro, Ungari si
pone l’obiettivo di rispondere a due domande, parimenti rilevanti dal punto di
vista storiografico; il regime politico instaurato dallo Statuto Albertino nel
1848 divenne mai compiutamente una monarchia parlamentare o no? E, all’interno
di questo quadro, quale fu il reale peso e ruolo della Corona nell’Italia
liberale?
Per quanto riguarda la prima
domanda, dalle pagine del lavoro di Ungari emerge chiaramente come l’assetto
costituzionale dell’Italia liberale non fu mai pienamente parlamentare; questo
per i numerosi poteri che alla Monarchia erano riconosciuti dallo Statuto e,
soprattutto, perché i Sovrani sabaudi mai rinunciarono ad esercitare tali
poteri. In effetti, nel corso della lunga storia dell’Italia liberale si
assisté a una continua tensione tra mondo politico e corona alla ricerca di una
delimitazione delle reciproche sfere di influenza. Tale tensione era tipica
anche delle altre monarchie europee, ma la particolarità del caso italiano fu
dovuta al fatto che mentre all’estero ci si avviò progressivamente verso la
parametrizzazione del sistemo politico, in Italia la Dinastia mantenne intatti
tutte le sue prerogative fino all’ascesa del fascismo. Nel corso della Grande
guerra, poi, la dialettica tra governo e istituto monarchico assunse toni
paragonabili solo al periodo delle guerre risorgimentali e del decennio
post-unitario. In questo periodo, infatti, lo scontro vide da un lato
collocarsi i governi di guerra, e i ministri che li componevano, e, dall’altro,
il Comando supremo e la corona, che nel corso del conflitto, pur cercando di
rimanere neutrale e di mediare tra le parti in lotta, dimostrò a più riprese di
appoggiare il Generalissimo Cadorna.
Nelle valutazioni del Re vi era la
convinzione che prioritario fosse portare il paese alla vittoria e, dunque, che
il Comando supremo dovesse essere lasciato libero di operare, senza le
inframmettenze della politica e dei giochi parlamentari. Già da queste poche
battute appare chiaro come la risposta di Ungari al primo quesito si orienti
nella direzione di negare al sistema costituzionale italiano una dimensione
compiutamente parlamentare, in considerazione dell’evidente “mancata
riconsiderazione dei poteri statutari che erano concessi al sovrano”.
L’analisi del ruolo di
Vittorio Emanuele III nel periodo bellico consente, altresì, di rispondere
anche al secondo quesito. Scorrendo le pagine del volume, ricco di
documentazione archivistica originale, italiana e straniera, appare chiaro il
carattere di perno che la monarchia svolse dal 1915 al 1918. Il Re, infatti,
nel corso del conflitto non solo divenne il punto di mediazione del governo e,
dunque, della classe dirigente liberale nello scontro con il Comando supremo,
ma fu anche l’elemento al quale si affidarono gli Alleati per ottenere la
garanzia del mantenimento degli impegni siglati con il Patto di Londra. Non
minore fu il carattere simbolico che la dinastia assunse, grazie alla costante
presenza di Vittorio Emanuele nelle trincee del lungo fronte italiano. Il
Sovrano, come ricordò Joseph Rudyard Kipling nel suo reportage sulle vicende
belliche del fronte dolomitico (The War in the Mountains), condivise, in parte
naturalmente, con i suoi soldati i travagli del conflitto in prima persona,
contribuendo a edificare quel mito di “Re soldato” che ebbe larghissima
diffusione in Italia e fuori del nostro Paese.
In questa prospettiva,
Ungari si spinge ancora più in là, restituendoci un’immagine complessa del
sovrano e, per certi aspetti, assolutamente innovativa, ben lontana dalle
precedenti visioni stereotipate. Dalle pagine del suo libro si profila
l’immagine di un regnante che partecipò alla temperie culturale ed emotiva
della nostra classe dirigente (politica ma soprattutto intellettuale), la quale
si decise a favore dell’intervento sì per completare il Risorgimento nazionale
ma anche con l’obiettivo di realizzare un’Italia più grande, che potesse
giocare un ruolo politico sia nei Balcani, sia nel Mediterraneo.
Vittorio
Emanuele III emerge, dunque, come figura centrale del sistema politico, croce e
delizia del ceto politico che, se da un lato, proteggeva dagli attacchi delle
fazioni neutraliste, dall’altro, teneva sotto tutela, temendo la frammentazione
del sistema istituzionale che si era profilata dopo l’uscita di scena di
Giolitti e l’allargamento del suffragio.
Un buon libro, dunque,
quello di Ungari che ci porta per mano nei meccanismi concreti del sistema
politico liberale, gettando nuova luce sui rapporti che caratterizzarono le
élites politiche e il sovrano. In estrema sintesi, la sua analisi bene spiega
le aspirazioni di Vittorio Emanuele III, le sue contraddizioni e la sua
progressiva disaffezione per il mondo politico che proprio nel corso del grande
conflitto cominciò a emergere e che avrebbe avuto le sue fatali conseguenze
nell’infuocato primo dopoguerra fino alla tragica data del 28 ottobre 1922.
da www.corriere.it
lunedì 21 maggio 2018
Stalin chiese a Pio XII l’ambasciata in Vaticano
I colloqui segreti tra Urss e Santa Sede
Josip Stalin, il
dittatore comunista che perseguitava i cristiani, Pio XII, il Papa
anticomunista. Nel febbraio 1952, in piena Guerra fredda, il leader sovietico
avrebbe tentato un riavvicinamento tra la Santa Sede e l’Unione Sovietica. Una trattativa
ufficiosa e ancora embrionale, che si sarebbe protratta fino all’inizio del marzo 1953, quando
il leader sovietico morì, con il conseguente naufragio del progetto.
Colloqui
informali avvenuti in gran segreto, nella residenza di Falcone Lucifero, ministro della Real Casa,
con l’interessamento del Re in
esilio Umberto II.
È quanto emerge da un verbale di 40 cartelle, fino ad oggi inedito, dove sono messi nero su
bianco i resoconti dei colloqui che attestano l’offerta di Stalin. Per l’Unione Sovietica i contatti erano
condotti dallo storico comunista Ambrogio Donini, studioso delle
religioni, ambasciatore italiano in Polonia nel 1947, senatore della Repubblica
eletto nelle liste del Pci dal 1953 al 1963. Per il Vaticano c’era il gesuita padre Giacomo Martegani, direttore
della Civiltà Cattolica, che incontrava Papa Pacelli due volte al
mese per ragioni d’ufficio.
[...]
Dal
verbale emerge che Umberto II era al corrente della trattativa. Informato di
tutto era anche l’arcivescovo di Genova l’arcivescovo
di Genova Giuseppe Siri, uno dei cardinali più vicini a Pio XII.
Carlo Alberto: Presentazione di due volumi nella mostra "Il Re nuovo"
Nell’ambito della mostra, Giovedì 24 maggio, alle ore 17,00 a
cura di Luca Leoncini, Direttore
delle Collezioni del Palazzo Reale e di Francesco
Perfetti, storico di chiara fama, verranno presentati i Volumi:
Il Re Nuovo,
Carlo Alberto ed il Palazzo Reale di Genova, Catalogo della Mostra
e
Niccolò Rodolico, Carlo
Alberto Nino Aragno Editore, 2018
Niccolò
Rodolico (1873 – 1969) è stato
un insigne storico, docente all’Università di Messina e poi a quella di
Firenze, Accademico dei Lincei. A lui è dedicato un Liceo in
Firenze.
Ha studiato in modo particolare
la vita e l'opera di Re Carlo Alberto.
Il Re Umberto II lo nominò per i suoi
meriti scientifici, membro della Consulta dei Senatori del Regno e gli attribuì
l'Ordine Civile di Savoia.
Il Palazzo Reale di Genova è
vicinissimo alla Stazione di Genova Principe.
domenica 20 maggio 2018
150° anniversario della costituzione del Reggimento Corazzieri
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Era il 7 febbraio 1868 quando, per ordine del Ministero della Guerra, vennero concentrati a Firenze 80 Carabinieri a cavallo destinati come scorta d’onore al corteo reale che doveva formarsi allorquando la Principessa Margherita di Savoia, andando in sposa al Principe Umberto, sarebbe entrata solennemente in città. I Carabinieri indossarono gli elmi e le corazze già impiegate alle nozze del Duca di Savoia. Questa volta, però, lo squadrone non venne subito disciolto ma destinato alla guardia dei reali appartamenti e scorta d’onore alla persona del Re. I singoli componenti dello speciale reparto dovevano possedere, oltre a peculiari doti fisiche di statura, particolare robustezza ed abilità nel montare a cavallo, distintissimi requisiti d’onore morale e disciplinare. Il Reparto assunse nel tempo varie denominazioni. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, all'esito del referendum istituzionale, Umberto II sciolse i Carabinieri Guardie del Re dal giuramento alla sua persona ma non da quello di fedeltà alla Patria. Deposta momentaneamente la tradizionale corazza e sotto il nome di Squadrone Carabinieri a cavallo, il Reparto proseguì nell'attività di guardia al capo provvisorio dello Stato. L’11 maggio 1948, in occasione dell’insediamento del Presidente Enaudi, venne deciso che i Carabinieri Guardie riassumessero la loro primitiva veste e denominazione. Nei decenni successivi vi furono ulteriori modifiche nell'articolazione e lo Squadrone diventò prima Gruppo Squadroni e poi Comando Carabinieri Guardie del Presidente della Repubblica. Nel 1990 assunse rango reggimentale con il nome di Reggimento Carabinieri Guardie della Repubblica ed il 24 dicembre 1992, con Decreto del Presidente della Repubblica, venne fissata l’attuale denominazione del Reparto in Reggimento Corazzieri.
La bellissima foto viene pubblicata grazie alla cortesia dell'Amministratore della pagina facebook Grigio Verde
Il libro azzurro sul referendum - XI cap - 5
Precisazioni sulle responsabilità:
Signor Presidente, il Consiglio dei Ministri ha questa sera approvato «a maggioranza » (con l’inserimento a verbale della formale protesta di uno dei ministri, uno schema il provvedimento che determina il funzionamento di un governo provvisorio repubblicano. Premessa di tale provvedimento è la proclamazione del risultato del referendum che dovrebbe essere fatta domani mattina dalla Cassazione, calcolando secondo l’arbitraria interpretazione della legge proposta dalla relazione del Governo la maggioranza in base ai voti validi e non agli elettori votanti. E’ mio dovere segnalarle, signor Presidente, le gravissime conseguenze di quanto stassera il suo governo ha deliberato. In sede giuridica appare manifesta la decisione di violare la legge sul referendum, preparata ed imposta dal suo stesso Governo. In sede politica la frettolosa costituzione del governo provvisorio repubblicano, generato nell’illegalità ed imposto con la forza delle armi equivale ad un colpo di stato che non può lasciare indifferenti gli undici milioni di monarchici che hanno partecipato alle votazioni,
confidando nella lealtà e nella legalità del governo, né quelle altre forze politiche, che verso di essi stanno convergendo. La situazione che si è già sviluppata nel mezzogiorno, contrariamente alla volontà dei dirigenti responsabili, è sufficientemente grave. E’ augurabile per la salvezza d’Italia che nuovi elementi non la rendano irrimediabile. Se sarà attuato quanto stasera il suo governo ha deciso, l’opera di pacificazione, alla quale per invito di Lei, signor Presidente, e conformemente al mio stesso desiderio, mi sono dedicato prima, durante e dopo le elezioni, sarebbe in ogni caso compromessa: niente e nessuno potrebbe evitare una dolorosa frattura dell’unita spirituale e forse della stessa unità politica della Nazione. In tali condizioni, signor Presidente, due provvedimenti a mio avviso si impongono per riportare ed assicurare la pace negli animi:
Signor Presidente, il Consiglio dei Ministri ha questa sera approvato «a maggioranza » (con l’inserimento a verbale della formale protesta di uno dei ministri, uno schema il provvedimento che determina il funzionamento di un governo provvisorio repubblicano. Premessa di tale provvedimento è la proclamazione del risultato del referendum che dovrebbe essere fatta domani mattina dalla Cassazione, calcolando secondo l’arbitraria interpretazione della legge proposta dalla relazione del Governo la maggioranza in base ai voti validi e non agli elettori votanti. E’ mio dovere segnalarle, signor Presidente, le gravissime conseguenze di quanto stassera il suo governo ha deliberato. In sede giuridica appare manifesta la decisione di violare la legge sul referendum, preparata ed imposta dal suo stesso Governo. In sede politica la frettolosa costituzione del governo provvisorio repubblicano, generato nell’illegalità ed imposto con la forza delle armi equivale ad un colpo di stato che non può lasciare indifferenti gli undici milioni di monarchici che hanno partecipato alle votazioni,
confidando nella lealtà e nella legalità del governo, né quelle altre forze politiche, che verso di essi stanno convergendo. La situazione che si è già sviluppata nel mezzogiorno, contrariamente alla volontà dei dirigenti responsabili, è sufficientemente grave. E’ augurabile per la salvezza d’Italia che nuovi elementi non la rendano irrimediabile. Se sarà attuato quanto stasera il suo governo ha deciso, l’opera di pacificazione, alla quale per invito di Lei, signor Presidente, e conformemente al mio stesso desiderio, mi sono dedicato prima, durante e dopo le elezioni, sarebbe in ogni caso compromessa: niente e nessuno potrebbe evitare una dolorosa frattura dell’unita spirituale e forse della stessa unità politica della Nazione. In tali condizioni, signor Presidente, due provvedimenti a mio avviso si impongono per riportare ed assicurare la pace negli animi:
1° -
Lasciare la Cassazione assolutamente libera, nella sostanza e nella forma, di
determinare l'uso del «referendum » secondo la legge.
2° -
Subordinare la formazione d’un eventuale governo provvisorio repubblicano ad un
impegno solennemente preso da tutti i partiti e garantito internazionalmente di
sottoporre ad un nuovo e regolare referendum il problema istituzionale.
Ho tentato
inutilmente questa sera, di conferire con lei, signor Presidente, per esporle
direttamente quanto forma oggetto di questa lettera, in relazione anche alle
responsabilità che per il Governo e per Lei ne derivano.
Ma
sopratutto intendevo, come intendo, fare appello alla Sua coscienza di
cristiano, d'italiano e di democratico, perché alla nostra Patria siano evitate
nuove iatture
8 giugno
1946.
ENZO
SELVAGGI
sabato 19 maggio 2018
Piccolo grande Re
Vittorio Emanuele III - Un'altra storia
La storia di Vittorio
Emanuele III è stata finalmente riscritta.
Questo libro, ora nella sua
seconda edizione ampliata ed aggiornata,
costituisce infatti la prima biografia realmente revisionista sul conto
del penultimo Re d’Italia. L’autore ha infatti inteso approfondire le ricerche
su Vittorio Emanuele III, ricercando quelle verità, finora sconosciute,
riguardo sia il personaggio storico, come anche relativamente all’uomo, nel
tentativo di volerlo inquadrare storicamente ed umanamente nella maniera più
serena e pertanto più obiettiva, scevra quindi da qualunque condizionamento
politico.
La pacata ricerca della verità, quindi, intesa
come logica esattezza delle cose, è stato il motore principale di tale ricerca,
ritenendo semplicemente corretto fornire finalmente una sorta di difesa, anche
se solo virtuale, che appunto a Vittorio Emanuele III, in quel “processo”
storico in cui, di fatto, non gli è mai stata davvero concessa e che lo vede
nella figura di “imputato” quasi unico, oramai da 70 anni, per tutti gli eventi
negativi derivanti dal fascismo e dalla seconda guerra mondiale.
Già il titolo di questo
libro lascia intendere che a Vittorio Emanuele III l’autore abbia saputo
riconoscere dei meriti, oltre che sottolinearne ovviamente anche gli errori,
sebbene umanamente comprensibili, proprio analizzandone il personaggio,
iniziando dal punto di vista umano, prima ancora che da quello del Sovrano.
Secondo tale orientamento, quindi, fatti noti come l’avvento del fascismo in
Italia, la pretesa “complicità” con lo stesso Mussolini, il 25 luglio, l’8
settembre, il Regno del Sud, l’abdicazione, l’esilio, ma anche i difficili anni
del primo novecento, il colonialismo, la prima guerra mondiale, il primo
dopoguerra, il biennio rosso, sono stati descritti ed analizzati secondo una
prospettiva diversa da quella massimamente diffusa, fornendo alla fine
un’immagine molto più obiettiva e pertanto quasi irriconoscibile di Vittorio
Emanuele III, il tutto al solo fine di rendere onore alle parole di Publio
Cornelio Tacito quando affermava che “La Storia non è partigiana. La Storia non
ha partito politico. La Storia è solo il tempo che viene narrato e descritto”.
Proprio il significato più
puro di questa affermazione è stato il vero filo conduttore di questo, come di
tutti gli altri lavori svolti finora dall'autore, nella sua veste di storico e
di biografo di Casa Savoia.
Questa frase di Publio
Cornelio Tacito, antica oramai di quasi 2000 anni, è stata quindi tenuta
presente in ogni passaggio della stesura di questo libro incentrato sulla
figura di Vittorio Emanuele III, cosa che finora pochissimi storici, ovvero
autori di libri o articoli scritti sul suo conto, hanno dimostrato di aver
saputo (o voluto) fare, preferendo, invece, spesso allinearsi ai dettami della
storia cosiddetta “ufficiale”.
Nelle pagine di questo
libro, l’autore ricorda spesso che Vittorio Emanuele III, durante il suo regno,
ha dovuto affrontare eventi a dir poco determinanti, se non proprio
assolutamente cruciali, per la vita e la storia d'Italia.
Vittorio Emanuele III, che
il "mestiere di Re" (come egli stesso usava indicare il suo
importante ruolo istituzionale) proprio
non avrebbe voluto farlo, si ritrovò invece a doverlo fare in un periodo
tremendo ed a dover prendere quindi decisioni, spesso da egli stesso non
condivise, ma comunque ritenute assolutamente necessarie per la vita e la
sopravvivenza dello stesso Paese.
Naturalmente, non appena
finita la seconda guerra mondiale, sappiamo tutti (e bene) che Vittorio
Emanuele III è stato fin da subito il bersaglio preferito e condiviso da più
parti (anche ideologicamente opposte) che hanno trovato comunque utile e
conveniente riversare su di lui colpe vere o presunte, ma ad ogni modo senza
mai dargli la giusta possibilità di replica.
È caratteristico di ogni
tirannia la negazione del diritto, a partire proprio dalla negazione del
diritto ad un giusto processo e pertanto a quello di una giusta difesa, da
qualunque tipo di accusa; questo, purtroppo, è ciò che invece è avvenuto sul
conto di Vittorio Emanuele III e che massimamente continua ad avvenire.
In questo libro Guglielmo
Bonanno di San Lorenzo ha cercato quindi di scremare qualunque forma di
condizionamento ideologico e/o politico e di adottare quindi la necessaria
serenità nel ripercorrere, una dopo l'altra, le maggiori accuse rivolte a
Vittorio Emanuele III nel corso di questi ultimi 70 anni circa, assumendone una
ideale ed ipotetica "difesa" in quel processo storico che dura dal
1946 e che ha visto quest’ultimo unicamente nella figura di accusato, senza
facoltà di replica.
Non è questo un compito
facile per un autore, anzi. Proprio perché esseri pensanti, tutti noi siamo
portati a modellare un fatto, un evento o un personaggio storico ai nostri
desideri o talvolta ai nostri auspici. Proprio per questo motivo ogni passaggio
di questo libro è stato oggetto di un’attenta valutazione, relativa proprio
alla maggiore esattezza storica possibile (in virtù della documentazione in
possesso) e della voluta moderazione, a partire dalla terminologia adottata,
proprio per non dare all’insieme l’immagine di un testo orientato, come quasi
sempre avviene invece quando si analizzano periodi storici o personaggi di una
certa particolarità o importanza.
Da questo libro, di Vittorio
Emanuele III ne emerge quindi la figura dell’uomo, prima ancora di quella del
Re, assolutamente diversa da quella a cui siamo stati "abituati" a
riferirci finora, tanto che a tratti appare quasi incredibile, quasi non si
stesse parlando di lui, visto quanto finora è stato detto e scritto sul conto.
In estrema sintesi, in ogni
momento della stesura di questo libro, si è voluto sempre tenere presente i
concetti di esattezza storica, ritenuta a parere dell’autore, autentica conditio sine qua non, al fine di fare
finalmente chiarezza su alcuni dei passaggi più importanti della nostra storia.
Una chiarezza utile a tutti coloro che, senza odio e senza astio, hanno a cuore
soltanto la Storia, quella vera.
Di grande interesse storico
ed umano appare il nuovo capitolo inserito in questa edizione e relativo alle
tristemente famose "leggi razziali", oggetto di autentico tormento
interiore per il Re Vittorio Emanuele III che mai le volle e che, in ultimo, fu
costretto a ratificare, in virtù di quanto spiegato, peraltro in forma assai
precisa, dall'autore del libro.
Un volume, questo,
indispensabile per poter avere una visione più ampia e trasparente del Re che
regnò dal 1900 al 1946, nel periodo indubbiamente più difficile per il nostro
Paese.
Per informazioni o per
l'acquisto di questo volume, scrivere a libri@guglielmobonannodisanlorenzo.it
I nostri auguri agli sposi
...La Monarchia suscita legami affettivi, familiari, che rendono il senso dello stato più intimo, più facile a stabilirsi nelle coscienze.
Umberto
giovedì 17 maggio 2018
Enzo Tortora, a trent’anni dalla sua morte
Sono passati ormai trent’anni dalla
morte del grande scrittore e giornalista: Enzo Tortora.
Una persona buona che
il buon Dio aveva fatto nascere in questa difficile terra, per portare speranza.
Enzo era un uomo dal cuore nobile, uno di quelle persone che hanno lasciato una
scia da imitare con il nostro vissuto. Era seguito in televisione da milioni di
persone che attendevano la sera per dimenticare l’asprezza della vita.
Con il
suo programma Portobello, sapeva donare momenti di serenità. La sua vita di
uomo di spettacolo e di uomo sincero fu turbata dal suo arresto e da accuse
davvero terribili.
La notizia della sua vicenda giudiziaria riempì le pagine
dei giornali ed i notiziari della televisione. Non riuscirò mai a cancellare
dalla mia mente il volto disperato di Enzo con le manette ai polsi, e l’aria
incredula di chi ha appena appreso di essere entrato in un incubo.
Non credo vi
sia maggiore disperazione nel vedersi accusare di qualcosa di cui non si è
colpevoli. I suoi occhi avevano l’espressione di chi non riusciva a reagire per
il colpo subito.
Non potrò mai dimenticare la sua voce tremante legata alla
terribile malattia che l’ ha portato in Paradiso. Il buon Dio l’ ha voluto tra
i suoi angeli. Vorrei ricordare di lui, che era uno dei giornalisti tra i più
raffinati e che aveva scritto pagine memorabili di pugilato. Questi articoli li
ho trovati nelle raccolte del settimanale “ L’intrepido “.
Mai potrò scordare
il pezzo che scrisse sulla morte di Primo Carnera in quel lontano 1967, quando
era giunto a Sequals per sapere qualche notizia su Primo che stava male. “Caro
insostituibile Carnera. Ci ha insegnato tante cose. Che i valori veri, in
fondo, sono sempre gli stessi : una terra, una casa, dei figlioli. In quel suo
corpaccione enorme, alloggiava un angelo custode. Quando venne il suo momento,
e il curato di Sequals arrivò (Carnera era credente, e buon cattolico), Primo
disse: “Padre ho picchiato tanto, ma senza cattiveria ”. E’ vero. Picchiò come
si può arare, picchiò come si può coltivare la terra . Per averne frutti. Ora
non c’è più. Chissà che direbbe, di certa forza che oggi viene usata per altri
fini. Lui che quando sentiva dire l”Italia”, si commuoveva come un bimbo. La
amava tanto, da venirci a morire”.
Un caro ricordo di lui risale pochi mesi
prima del suo arresto, alla morte dell’ultimo Re d’Italia: Umberto II. Fu
inviato da una televisione privata a fare la cronaca del luttuoso evento. Le
parole di Tortora commuovono ancora adesso, basta ascoltarle con cuore. La sua
tristezza per la morte del Re era evidente, si vedeva che il suo cuore era
toccato da quella grande malinconia di vedere l’Italia assente a una cerimonia
per la morte di un Re, che aveva trascorso 37 anni in un esilio doloroso e
tremendo, esito di una crudele ingiustizia.
Sono passati trent’ anni dalla
morte di Enzo Tortora, il suo volto buono ha arricchito il paradiso, ma ha
impoverito la terra. Ci manchi tanto, Enzo.
martedì 15 maggio 2018
Monarchici a Musumeci e Miccichè: “Tenete in vita la volontà del Re”
Oggi ricorre il 72 anniversario della promulgazione dello Statuto della
Regione Siciliana.
Re Umberto II, comprendendo bene la specialità e le
specialità della Regione Siciliana volle, a seguito di un lavoro iniziato un
anno prima, dare alla nostra regione la sua Carta.

I monarchici siciliani affidano ai
presidenti di Giunta regionale e del Parlamento il compito di valorizzare ogni
articolo dello Statuto ammonendo che il rispetto della nostra Legge è la
miglior difesa del futuro delle prossime generazioni.
Buon lavoro dunque
all’On. Micciché e all’On. Musumeci a cui è affidata la missione più ardua:
tenere in vita la volontà del Re.
Michele Pivetti Gagliardi
Presidente Unione Monarchica Italiana per la Regione Siciliana
Fonte:
http://siciliainformazioni.com/redazione/819319/monarchici-a-musumeci-e-micciche-tenete-in-vita-la-volonta-del-re
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