Bisogna ora affrontare la descrizione del
ventennio fascista. Ed è chiaro che questo non si possa e non si debba fare con
lo stile apologetico degli storiografi della lunga dittatura, ma neppure con il
rancore che non ragiona, con la totale negazione della realtà. Cerchiamo di
avvicinarci all'opinione media la quale, pur non partecipando direttamente alla
vita politica fu necessariamente interessata al regime: molte volte aderì ad
esso con fervore, molte altre volte se ne staccò con visibile fastidio e
disgusto. Trascuriamo tutta la vasta letteratura glorificatrice e seguiamo il
corso degli avvenimenti negli scritti degli antifascisti che non potendo
esprimere intero il loro animo, si limitarono come il Salvatorelli ad allineare
i fatti.
Subito dopo la marcia su Roma, Mussolini
diede al paese la illusione di un ritorno alla normalità costituzionale. Egli
costituì un Gabinetto di coalizione nel quale erano ministri nazionalisti,
liberali, popolari, radicali.
Con questo non si vuol dire che nel primo
Gabinetto Mussolini fosse possibile discutere i provvedimenti in esame allo
stesso modo che durante i precedenti governi. La personalità di Mussolini era
dominante, la pressione dell’opinione pubblica era assai forte, l’ansia del
nuovo, la volontà di ricostruire e di operare era molto diffusa l'agitazione
parlamentare assai ridotta. Il paese non aveva avuto un vero Governo negli
ultimi anni di vita parlamentare, ora aveva un Governo che nessuno poteva pensare,
almeno nell’anno dei pieni poteri, di rovesciare. L’attività legislativa del
fascismo parve dapprima contenuta nel solco costituzionale e da più parti, si
cominciò a negare che vi fosse mai stata una rivoluzione. Ricordiamo un
articolo di Maffeo Pantaleoni (1) sulla rivista Politica diretta da F. Coppola
e da A. Rocco.
«Ai fascisti - scriveva Pantaleoni nella
primavera del 1923 - piace talvolta di far credere che siavi stata una
rivoluzione fascista. Ma, più assai piace agli avversari del fascismo di far ciò
credere. Il termine "rivoluzione" è così ambiguo che facilmente viene
accolto, da ognuno, nel senso che più gli fa comodo. Storicamente la tesi è del
tutto insussistente... la Camera dei deputati non venne sciolta; la Camera e il
Senato, cioè il Parlamento italiano votarono i pieni poteri, limitati ad un anno
nel tempo ». Ricordava inoltre il Pantaleoni che «due Collari dell’Annunziata
facevano parte del Gabinetto; che mai consenso più generale di quello che accolse
il fascismo in Italia si ricorda; che in nessun luogo, una qualsiasi massa di
popolo erasi sollevata o aveva in qualche modo manifestato il proprio scontento
per le squadre fasciste plaudenti a Mussolini. Non vi fu un solo sciopero.
L'ordine giudiziario restò autonomo» (2).
Il Pantaleoni come ogni altro scrittore e
studioso l’esaminare il fenomeno fascista volgeva lo sguardo alla crisi
generale del parlamentarismo. Egli scriveva «come da noi ovunque altrove è
in crisi il parlamentarismo cioè, è degenerato come strumento di governo delle
società moderne, dacché il suffragio universale ha trasformato in demagoghi gli
uomini politici».
Era evidentemente il pensiero di un
conservatore o come oggi più propriamente si direbbe di un reazionario ma ecco, dopo ventidue anni, a ciclo
totalmente e disgraziatamente compiuto e in un momento in cui si tenta di dar
vita a un ordinamento democratico, un insigne docente di diritto nella
Università di Roma, A. C. Jemolo (3), riassumere le cause della crisi del
Parlamento italiano, dopo la guerra, nella scarsa educazione politica del
popolo italiano e nell'allargamento del suffragio. L’allargamento del suffragio
ha modificato la base della classe di Governo in Italia, ha portato alla
ribalta quelle masse eccitabili che raccolte in piazza agiscono in modo diverso
da una folla anglosassone, smarriscono il senso delle proporzioni, alterano le
più elementari regole della grammatica politica. Sorgono allora dei dirigenti e
dei capi che nessun paese guidato dalla ragione eleggerebbe per la guida
politica della nazione; l’istinto e l'irrazionale assumono un posto
preponderante in luogo della retta ragione e dell’illuminato giudizio. Ma chi oggi potrebbe discutere in
Italia di restringere il diritto al suffragio quando si delibera di concedere
il voto alle donne e mentre si porta in discussione di dare il voto ai diciottenni
dimenticando che il codice civile richiede i 21 anni per la maggior età e cioè
per dare facoltà di amministrare il proprio patrimonio?
Una lunga e dettagliata inchiesta sulla
situazione italiana in regime fascista veniva condotta per la Revue des deux
Mondes di M. Pernot. Le sue conclusioni, apparse tra il maggio e il giugno
1923, in lunghi saggi nella grande rivista francese, confortavano il comune
giudizio europeo sugli avvenimenti italiani, sulla reazione alla grave crisi di smarrimento e di depressione provocata dalle difficoltà del
dopoguerra e dalla minaccia del socialcomunismo.
Dopo questa ed altre citazioni non
esamineremo le centinaia di libri stranieri sul fascismo e sul corporativismo e
tutti gli sperticati elogi sul movimento e sul suo capo. Le linee generali
della storia europea tra le due guerre sono note e in essa il fascismo, sorto a
combattere la degenerazione del sistema parlamentare, ebbe il suo momento di favore nazionale e mondiale, fece scuola, si diffuse in molti paesi
e altrove fu portato ad esempio; trovò non solo da noi ma anche nella terra
classica del parlamento e del liberalismo fervidi fautori: poi venne declinando.
Il nazismo, che può porsi tra i suoi derivati, lo superò e scavalcò in
brutalità e violenza; con le teorie del razzismo e dello spazio vitale
(Lebensraum) appoggiate alla forza militare, lo eclissò e lo rese mancipio.
Fino al 1936 il fascismo primeggiò sul nazismo. Dopo la rioccupazione militare
della Renania (marzo 1936) e fino a Monaco i due movimenti parvero stare in equilibrio.
Ancora agli occhi di F. Poncet, uno dei migliori ambasciatori francesi,
Mussolini appariva in quell'occasione un maestro, Hitler un discepolo. Da
questa errata constatazione F. Poncet fu stimolato, nella speranza di poter
influire su Berlino da Roma, ad accettare la sua sfortunata missione nella
capitale italiana (4).
Dopo Monaco, invece, l’Italia e Mussolini
passavano in posizione del tutto subordinata di fronte a Hitler e alla
Germania. Con l'intervento italiano in guerra l’Italia divenne schiava dei
tedeschi ; essa fu a mano a mano irretita dagli uffici e dalle missioni di
Berlino e poi fu, con la scusa dei soccorsi di armati, militarmente occupata.
Qui è l’origine del dramma dell'otto settembre.
Mussolini aveva appreso che, dopo
l’occupazione di Vienna (marzo 1938) per effetto dell’Anschluss Hitler era
venuto a conoscenza di tutto il suo carteggio segreto con Dolfuss, Schuschnigg
e Starhenberg sulla questione austriaca. Quel carteggio (ricordarsi della
mobilitazione al Brennero del 1934) era intonato a sentimenti assai aspri e
violenti contro il nazismo e contro Hitler Dominato dalla paura rispetto al suo
complice tanto più potente, sicuro di essere processato come criminali; via da quella di continuare la guerra
ciecamente fidando nell’imprevisto di qualche terribile arma segreta. Si è poi
visto che questa speranza non era priva di fonda-
mento. Si sa che gli atti politici non hanno giustificazioni ma solo delle spiegazioni e quindi a nessuno verrà in mente di giustificare Mussolini il quale passerà alla storia con il marchio d’infamia di Lodovico il Moro. Il popolo sul quale egli aveva fatto leva per salire al potere lo ha già punito del suo infame tradimento contro la Patria.
mento. Si sa che gli atti politici non hanno giustificazioni ma solo delle spiegazioni e quindi a nessuno verrà in mente di giustificare Mussolini il quale passerà alla storia con il marchio d’infamia di Lodovico il Moro. Il popolo sul quale egli aveva fatto leva per salire al potere lo ha già punito del suo infame tradimento contro la Patria.
(1) Maffeo Pantaleoni : Finanza fascista. Rivista « Politica » (anno v, n.
44-45).
(2) Questo si scriveva un po’ da per tutto nell’anno 1923, sul fascismo, e
si chiamò normalizzazione. Assai più diffìcile sarebbe scrivere lo stesso
dell’attuale periodo. Siamo ora assai più vicini al commento di Taine sulla
presa della Bastiglia: «Non seulement
le pouvoir avait glissé des mains du roi. mais il
n’était point tombé dans celles de l’Assemblée; il était par terre aux mains du peuple lâché, de la foule violente et surexcitée, nés attroupements qui la ramasse come une arme abandonnée
ans la rue. En fait il n’y avait plus de gouvernement: l’édifice artiflcielle de la société humaine s’effondrait tout entier: on rentrait dans l’état de nature. Ce n’était pas une révolution, mais une dissolution ».
n’était point tombé dans celles de l’Assemblée; il était par terre aux mains du peuple lâché, de la foule violente et surexcitée, nés attroupements qui la ramasse come une arme abandonnée
ans la rue. En fait il n’y avait plus de gouvernement: l’édifice artiflcielle de la société humaine s’effondrait tout entier: on rentrait dans l’état de nature. Ce n’était pas une révolution, mais une dissolution ».
Ma non è necessario ricordare Taine. Con molta efficacia Nitti ha parlato al teatro San
Carlo, il 3 ottobre 1945, sul Governo del sei partiti e dei Comitati di
liberazione nazionale. A un dato punto
egli ha detto: «Il disarmo devo essere imposto senza indulgenza e senza
esitanze e gli alleati, prima di lasciare il nostro paese hanno moralmente e
politicamente il preciso dovere di compierlo.
« Ma non basta togliere le armi, bisogna disarmare gli spiriti. Vi sono
denominazioni di movimenti o di partiti che non si comprendono più come i
partigiani, che compirono opera utile, ma il cui compito è finito. In tutta
l’Italia settentrionale e in parte dell’Italia centrale, partiti i tedeschi e
finita la piccola repubblica di Mussolini, fu necessario trovare organismi provvisori
che sostituissero gli organi di un governo che non esisteva più. Cosi sorsero i
comitati di liberazione di vari partiti che poi divennero sei e che sono ora
alla base del governo. I comitati di liberazione han perduto e perdono ogni
giorno la loro ragione di essere. Ve ne sono che funzionano senza troppi inconvenienti
ma sono formo transitorie, destinate a scomparire con la causa che le ha
prodotte.
« Ho raccolto un materiale enorme sul loro funzionamento e sulle
conseguenze della loro attività, in rapporto all’ordine pubblico e alla vita
del paese o posso dare giudizio sicuro si tratta di quella elio chiamerò una
’'oclocrazia"! Se non sapete che cosa significa, cercatelo sul vocabolario
».
(3) Vedi una lettera di A. C. Jomolo sul
giornale L'Opinione del 27 febbraio 1945.
(4) Vedi un articolo di P. Poncet sul Conte
Ciano nella Giovane Italia (agosto 1945).
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