Fausto Solaro del Borgo Febbraio 1983:
In
occasione di uno dei miei incontri con S.M. il Re Umberto II a Ginevra, nel
febbraio del 1982, il Re mi accennò al problema delle monete della collezione
donata da Suo Padre, il Re Vittorio Emanuele III, al Popolo Italiano (con
lettera al Presidente del Consiglio, On. Alcide De Gasperi, scritta a Napoli il
9 maggio 1946), rimaste in Suo possesso dopo la morte del Genitore. Si trattava
di due cassette contenenti i pezzi più preziosi, in quanto più antichi, che il vecchio Re, partendo per
l’esilio in Egitto, portò con se (rilasciandone regolare ricevuta alla
Presidenza del Consiglio) al fine di riordinarne la catalogazione. Queste
monete si trovavano ad Alessandria d’Egitto al momento della morte del Re
Vittorio Emanuele III, avvenuta il 28 dicembre 1947, quattro giorni prima della
entrata in vigore della nuova Costituzione che prevedeva l’avocazione dei beni
dell’ex Sovrano. Esse rappresentavano l’unico bene patrimoniale importante su
cui la Famiglia Reale ,
che rischiava di restare senza mezzi di sostentamento, potesse contare sicché
fu deciso di non procedere alla
restituzione.
Il
Re Umberto mi precisò che intendeva affidare a me l’incarico di concordare con
il Governo Italiano la restituzione delle due cassette conservate nel caveau
del Credit Suisse di Losanna, che
doveva essere effettuata in via riservata senza coinvolgere alcuno dei Suoi
Consiglieri e Familiari, tutti ancora contrari a restituire un bene di così
rilevante importanza patrimoniale al Paese che aveva espropriato l’intero
patrimonio del Sovrano.
All’inizio dell’estate 1982, in occasione della
mia visita a Cascais del 27 luglio, fu deciso che avrei avviato in autunno i
contatti con il Governo Italiano per individuare le procedure per la
restituzione. L’aggravamento della malattia del Re ai primi di agosto e il Suo
ricovero a Londra provocò, come tutti ricorderanno, un’ondata di simpatia per
il Malato in esilio, sicché da molte parti si invocava un provvedimento del
Parlamento che consentisse ad Umberto II di morire in Italia. In relazione a
ciò, con la signorilità, la sensibilità e la bontà che hanno sempre caratterizzato
le Sue azioni, il Re mi invitò ad astenermi dall’avanzare proposte di
restituzione delle monete, perché non
voleva che un tale Suo spontaneo gesto venisse interpretato come una forma di “do ut des”.
Nei mesi dell’autunno 1982 non parlammo
della questione nei nostri incontri alla clinica londinese, se non
saltuariamente, sempre sentendomi confermare la preoccupazione per una
possibile interpretazione che il gesto fosse legato all’ipotetico rientro in
Italia. Da parte mia continuavo a notare un peggioramento delle condizioni di
salute del Re con il rischio conseguente che, con la Sua scomparsa, le monete per le
quali non avevo disposizioni scritte non
venissero, dagli Eredi, più restituite all’Italia. Il 23 gennaio 1983, in occasione di una
delle mie visite alla London Clinic, presi
il coraggio a due mani e feci capire al Re che, date le circostanze ed i rischi
connessi ad ulteriori rinvii, occorreva procedere e quindi aprire il negoziato
con il Governo.
L’amor di Patria e la grande delicatezza del Re Umberto
II si manifestarono ancora una volta quando volle suggerirmi di contattare, per
un consiglio sulla procedura da seguire, il Sen. Giovanni Spadolini,
all’epoca Ministro della Difesa del
Governo Fanfani, dicendomi “Ė il
presidente del partito repubblicano, ma sono certo che, da uomo di cultura,
metterà da parte in questa occasione le
sue idee politiche”. Mi diede anche la precisa disposizione che unica
condizione da porre era che nessuna notizia in merito alla riconsegna fosse
data prima della Sua morte. Tornato a
Roma, tramite un’amica che lo conosceva molto bene, chiesi un incontro con il Ministro della
Difesa. Il Sen. Spadolini, per incontrarmi, mi fece chiedere di che cosa
intendevo parlargli e, saputolo, mi fece dire che “non vedeva la ragione perché ci si rivolgesse a lui per una questione
che riguardava Casa Savoia”. Chiusa questa porta, non avendo rapporti con
il mondo politico, mi rivolsi all’amico Marcello Sacchetti che mi propose di
incontrare l’On. Nicola Signorello, Ministro del Turismo e Spettacolo. Eravamo
intanto arrivati al 18 febbraio e l’On. Signorello, che mi ricevette subito,
udito quello di cui si trattava mi disse che ne avrebbe parlato in via
confidenziale con il Presidente del Consiglio Sen. Fanfani che doveva
incontrare, di lì a poco, in Consiglio dei Ministri. Questo avveniva intorno
alle ore 16 del venerdì 18 febbraio.
Descrivo sinteticamente la cronologia
degli avvenimenti che portarono al rientro in Italia delle monete mancanti alla
collezione donata al Popolo Italiano dal
Re Vittorio Emanuele III.
Sabato
19 febbraio.
-
Ore
9,00: mi chiama al telefono il Professor Damiano Nocilla, Capo
dell’Ufficio Legislativo della Presidenza
del Consiglio dei Ministri, pregandomi di recarmi a Palazzo Chigi.
-
Ore
10,30: incontro il Prof. Nocilla, il quale mi comunica di aver
avuto incarico dal Presidente Fanfani di chiedermi chiarimenti su quanto a lui
comunicato, il pomeriggio precedente, dal Ministro Signorello. Dopo avermi
ascoltato mi chiese - essendo completamente all’oscuro su quanto concerneva la
donazione del Re Vittorio Emanuele III che risaliva al 1946 - qualche ora di
tempo per aggiornarsi sulla pratica.
-
Ore
15,00: seconda
convocazione a Palazzo Chigi da parte del Prof. Nocilla, il quale nel frattempo
aveva trovato gli incartamenti originali della donazione, compresa la ricevuta
con la quale il Re Vittorio Emanuele dichiarava di portare con se le due
cassette per l’aggiornamento della catalogazione, sicché potemmo finalmente affrontare nei dettagli
l’esame della procedura da seguire per la riconsegna. Durante il colloquio mi
chiese di allontanarsi per andare a riferire al Presidente Fanfani che,
indisposto, era a letto nell’ appartamento di Palazzo Chigi riservato al
Presidente del Consiglio.
-
dopo circa mezz’ora il Prof. Nocilla mi
informa che il Presidente Fanfani, pur febbricitante, era sceso nel suo studio e desiderava parlare
con me.
-
Ore
16:
il Presidente, che da anni era in rapporti molto amichevoli con mio Padre
Alfredo, mi accoglie nel suo ufficio con grande cordialità, esprimendo tutta la
sua ammirazione per il gesto che il Re morente intendeva fare nei confronti del
Popolo Italiano e, dopo essersi fatto esporre in dettaglio la situazione, con
la mia richiesta di riservatezza sul mantenimento della quale mi diede la sua
personale assicurazione, mi comunicò che intendeva assentarsi e mi pregava di
attendere il suo rientro.
-
Intorno alle
17 il Presidente Fanfani rientra a Palazzo Chigi e mi informa che il
Presidente della Repubblica Pertini, dal quale si era nel frattempo recato,
anche lui riconoscente per il gesto di Umberto II, aveva disposto che la riconsegna delle monete avvenisse nel più breve tempo
possibile, mettendo a mia disposizione l’aereo presidenziale per il loro
trasporto a Roma.
-
Da questo momento in poi, seduto davanti alla
sua scrivania, ho l’occasione di sperimentare l’efficienza dell’uomo Fanfani:
§ Siamo
ormai nel tardo pomeriggio, ed il Presidente del Consiglio chiama alla
Farnesina l’Ambasciatore Malfatti, Segretario Generale del Ministero Affari
Esteri, il quale arriva nel giro di un quarto d’ora.
§ Nel
frattempo concorda con il Prof. Nocilla le modalità legali per la consegna da
farsi, a Losanna, attraverso l’Ambasciatore d’Italia a Berna.
§ Chiede
che l’Ambasciatore a Berna, Rinieri Paulucci di Calboli Barone, venga convocato
a Roma e, a seguito dell’osservazione dell’Amb. Malfatti che si poteva
parlargli per telefono, saputo che io lo conoscevo bene, lo chiama direttamente
e, senza fornirgli spiegazioni, gli da disposizioni di recarsi a Losanna con il
suo Cancelliere il martedì successivo
per incontrarsi con me e fare quanto gli avrei indicato.
§ Concorda
con i presenti, per salvaguardare le disposizioni di massima segretezza
dell’intera operazione, fino alla morte di Umberto II, di rivolgersi ai
Carabinieri: il Presidente Fanfani chiama al telefono il Comandante Generale
dell’Arma e gli chiede di organizzare il deposito a Roma.
-
Intorno alle
19,30 mi congedo dal Presidente Fanfani assicurandogli che
avrei fatto il possibile per concludere l’operazione entro il martedì
successivo e ricordo bene che lo stesso, avendo appreso da me delle gravissime
condizioni in cui versava il Re Umberto, mi disse “Caro Solaro, faccia
in modo che il tutto avvenga prima della morte di Umberto II e si ricordi che,
se questo non dovesse avvenire, sarà solo colpa sua”.
-
Dopo aver definito meglio con il Prof. Nocilla
gli aspetti legali da osservare, e predisposta una bozza di verbale di
riconsegna, lascio Palazzo Chigi intorno alle 22. Viene deciso che, per
garantire la massima regolarità, non avendo io alcun mandato scritto del Re, la
parte formale sarebbe stata svolta da mio Padre nella sua qualità di Procuratore
Generale di Umberto II, ed anche perché, non volendo coinvolgere l’Amministratore
del Sovrano, era l’unico ad avere accesso al caveau del Credit Suisse
dove si trovavano le cassette.
Domenica
20 febbraio.
Il
Presidente Fanfani mi fa pervenire una lettera indirizzata a mio Padre, quale Procuratore
Generale del Re, confermando l’accettazione delle monete ed esprimendo la
riconoscenza del Governo e del Paese per il gesto del Sovrano morente.
Martedì 22.
Alle
nove mi incontro all’Hotel Palace di
Losanna con l’Ambasciatore d’Italia a Berna, Rinieri Paulucci de Calboli
Barone, che trovo abbastanza seccato per il modo in cui era stato trattato dal
Presidente del Consiglio e, senza mezzi termini, mi dichiara che mai durante la
sua carriera gli era stato chiesto di mettersi a disposizione di un “laico”,
portando con se il Cancelliere Capo dell’Ambasciata, il sigillo e la ceralacca.
Gli spiego tutto quanto era stato concordato a Roma ed i motivi, purtroppo
molto tristi, che avevano richiesto l’adozione di una procedura di particolare
urgenza con tempi brevissimi a disposizione.
Con
lui e con il Cancelliere mi reco al Credit
Suisse, dove incontriamo mio Padre e l’Avvocato dello Stato addetto alla
Presidenza del Consiglio, Raffaele Tamiozzo, accompagnato dal Colonnello dei
Carabinieri Giovanni Danese, arrivati da Roma con l’aereo presidenziale. La
consegna non richiede molto tempo in quanto io avevo preteso ed ottenuto a Roma
che le cassette venissero aperte solo
dopo la morte del Re, in mia presenza.
Terminata l’apposizione dei sigilli ai due contenitori e
la sottoscrizione del verbale da parte di mio Padre per la consegna,
dell’Ambasciatore d’Italia per il ritiro, e dei due funzionari presenti, le
cassette sono caricate sulla macchina dell’Ambasciata, vengono trasportate
all’aeroporto di Ginevra e imbarcate sul DC9 presidenziale. All’arrivo a
Ciampino le cassette vengono prese in consegna dal Colonnello Comandante della
Legione Carabinieri di Roma e portate nella Caserma del Reparto Operativo di
Via Garibaldi, dove concludono il loro periglioso peregrinare durato 37 anni da
Roma ad Alessandria d’Egitto, a Cascais, a Ginevra e, finalmente, di nuovo a Roma.
Il 25 febbraio, vedendo avvicinarsi la fine, i Figli
organizzarono il trasporto del Genitore
in Svizzera all’Hôpital Cantonal
di Ginevra, e il 13 marzo i medici
mi permisero di entrare nella Sua stanza per comunicargli l’avvenuta
riconsegna delle monete; ricordo le poche parole che riuscii ad udire “Grazie…
è la più bella notizia che potevi darmi”
che mi confermarono, ancora una volta, che gli unici pensieri di
quell’Uomo in fin di vita erano per il Suo Paese.
Il Re Umberto II muore a Ginevra il 18 marzo 1983. La Sua ultima parola percepita è
stata “Italia”.
Il 21 dello stesso mese il Governo Italiano emette un
comunicato ufficiale con il quale, dando notizia dell’avvenuta consegna delle due cassette di monete, ricorda la generosità
del gesto compiuto dal Re prima della Sua morte.
Il giorno 28 vengo convocato per l’apertura delle due
cassette, che avviene alla presenza del Colonnello Ivo Sassi, Comandante della
Legione Carabinieri di Roma, del Professor Damiano Nocilla, Capo dell’Ufficio
Legislativo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Dottoressa
Silvana Balbi de Caro, Direttrice del Museo Nazionale Romano, Museo delle
Terme, e di altri Funzionari del Ministero degli Esteri e dell’Avvocatura dello
Stato.
La storia non finisce ancora in quanto, una volta aperte
le due cassette dalla Direttrice del Museo, Dottoressa Balbi de Caro, comincia
l’esame delle monete seguendo il vecchio catalogo del Re Vittorio Emanuele III
(Corpus Nummorum Italicorum) e, dove
dovevano esservi delle monete d’oro, si trovavano solo delle bustine vuote.
Dopo circa mezz’ora in cui, proseguendo nella ricerca, si continuavano a
trovare bustine vuote, nell’imbarazzo generale, si decide di sospendere il
trasferimento delle cassette dalla Caserma dei Carabinieri al Museo delle
Terme, per riferire al Presidente del Consiglio. Io non potevo nemmeno
considerare l’ipotesi che il Re Umberto avesse trattenuto le monete d’oro senza
farmene cenno; comunque, dovevo arrendermi all’evidenza. Alcuni giorni dopo mi chiama personalmente al telefono il
Presidente Fanfani, che aveva saputo del mio dramma da Nocilla, e mi informa
che tutte le monete erano state trovate
in una parte della cassetta dove, evidentemente, il Re Vittorio Emanuele
le aveva raggruppate per la nuova
catalogazione.
Finalmente, con la sottoscrizione di un ultimo verbale e
con il trasferimento delle monete al Museo delle Terme, dove era conservato il
resto della collezione donata dal Re Vittorio Emanuele III, finisce il mio
coinvolgimento in una operazione fortemente voluta dal Re Umberto che mai aveva
pensato di appropriarsi di quanto donato da Suo Padre al popolo italiano.
Una decina di giorni dopo ricevetti una telefonata da
Palazzo Chigi: il Presidente del Consiglio Fanfani mi comunicava che, a seguito
di una valutazione del complesso dei beni da me riportati in Italia per conto
di un Signore a cui la
Repubblica aveva confiscato tutto il patrimonio, era stato
appurato che il loro valore superava i
venti miliardi di lire. Alla mia domanda se si conosceva il valore dell’intera
collezione, il Presidente Fanfani mi disse che lo stesso superava i cento
miliardi (anno 1983).
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