Pubblicato
su Il Giornale d’Italia
Costituzione
Si sono
celebrati in questi giorni i 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione
italiana (primo gennaio 1948), nella quale dovrebbero riconoscersi tutti
gli italiani.
L’Assemblea
Costituente che la redasse venne eletta contestualmente al referendum
istituzionale del 2 giugno 1946, sui cui esiti aleggiano da tempi vari dubbi,
poiché parecchi sostengono che il risultato sia stato falsato a favore
dell’opzione repubblicana.
Solamente
in tempi recenti si è messo in risalto che a quell’importantissimo appuntamento
elettorale, che vedeva il ritorno degli italiani alle urne dopo i plebisciti
dell’epoca mussoliniana e gli orrori della Seconda guerra mondiale, fu impedito
di partecipare a decine di migliaia di nostri connazionali.
«Dei 573
seggi dell’Assemblea Costituente da assegnare – ha spiegato in più occasioni il
professor Davide Rossi dell’Università degli Studi di Trieste – e previsti dal
Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 74 del 10 marzo 1946, in realtà ne
furono attribuiti soltanto 556, mancando all’appello i 13 previsti per la
Circoscrizione XII (Trieste e Venezia Giulia – Zara), oltre ai 5 della
provincia di Bolzano. Con un ulteriore Decreto Luogotenenziale, di soli sei
giorni successivo, fu, per l’appunto, sostanzialmente ritenuto impossibile lo
svolgimento delle elezioni in quelle terre di confine, a causa della situazione
internazionale»
Il
momento fondativo dello Stato italiano uscito dalle macerie del conflitto si
svolse pertanto senza coinvolgere i cittadini residenti in terre che, fino alle
deliberazioni della Conferenza di Pace ancora in corso, risultavano formalmente
sotto la sovranità italiana, in virtù dei trattati di Saint-Germain-en-Laye (10
settembre 1919), Rapallo (12 novembre 1920) e Roma (27 gennaio 1924). In quelle
sedi il Regno d’Italia aveva ottenuto in maniera internazionalmente
riconosciuta gran parte delle terre che rivendicava dall’Austria-Ungheria,
definendo successivamente in maniera bilaterale con il neonato Regno dei Serbi,
Croati e Sloveni il confine sulle Alpi Giulie e in Dalmazia nonché la
spartizione dello Stato Libero di Fiume.
Il
Comitato di Liberazione Nazionale di Pola, che secondo la Linea Morgan del 9
giugno 1945 ricadeva nella Zona A sotto amministrazione militare
angloamericana, organizzò, tuttavia, il 2 giugno nella propria sede un seggio,
facendo quindi pervenire a Roma i risultati, che ovviamente nessuno tenne in
considerazione. Si trattò comunque di una manifestazione di italianità che
faceva seguito all’imponente fiaccolata notturna del 21 marzo, con cui si volle
manifestare la propria identità nazionale alla Commissione alleata che stava
rilevando la composizione etnica dell’Istria dopo che nel corso di quel
pomeriggio torpedoni di croati provenienti dall’entroterra avevano confuso le
acque e dato luogo a scontri e disordini.
Invano
giuliani, fiumani e dalmati avevano chiesto di indire in queste terre contese
un plebiscito attraverso cui esprimere la propria appartenenza statuale in base
al principio di autodeterminazione dei popoli che pur figurava nella Carta
atlantica. Alcide De Gasperi non portò avanti tale istanza poiché temeva di
dover fare altrettanto con riferimento alle sorti dell’Alto Adige: a Bolzano e
dintorni la consultazione si sarebbe svolta regolarmente ed in maniera
democratica, premiando sicuramente l’opzione austriaca. Al confine orientale,
invece, l’amministrazione militare jugoslava nella Zona B lasciava pochi dubbi
in merito alla repressione di qualsiasi forma di contrarietà rispetto
all’annessione alla Jugoslavia titoista, come già si era potuto riscontrare in
occasione delle elezioni amministrative istriane del 25 novembre 1945, durante
le quali anche il boicottaggio delle urne in segno di dissenso fu reso
impossibile poiché la gente veniva condotta a votare le liste compattamente
filojugoslave con l’uso della forza. D’altro canto l’Italia pagò a caro prezzo
la scelta maturata nel 1920 di non ratificare l’annessione delle nuove province
attraverso un plebisicito (come era sempre avvenuto in epoca risorgimentale),
poiché le autorità civili e militari temevano cospicui residui lealisti nei
confronti degli Asburgo da parte della popolazione giuliana.
Grazie
all’inserimento nel listone nazionale che eleggeva una quota di rappresentanti
in base ai resti provenienti dai vari collegi, poterono figurare tra i padri
costituenti almeno il fiumano Leo Valiani (Partito d’Azione) ed il triestino
Fausto Pecorari (Democrazia Cristiana).
A
parziale compensazione di questi torti, il presidente provvisorio
dell’Assemblea Costituente Vittorio Emanuele Orlando aprì i lavori ««nel
ricordo del dolore disperato di quest’ora, nella tragedia delle genti nostre di
Trieste, di Gorizia, di Pola, di Fiume, di Zara, di tutta la Venezia Giulia, le
quali però, se non hanno votato, sono tuttavia presenti, poiché nessuna forza
materiale e nessun mercimonio immorale potrà impedire che siano sempre presenti
dove è presente l’Italia».
Lorenzo
Salimbeni
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