«Le nostre foibe si trovano nel mare Adriatico» così affermava lo
stilista Ottavio Missoni, illustre esule dalmata, facendo riferimento alla
pratica dei partigiani jugoslavi di Josip Broz “Tito” di trasportare i propri
prigionieri al largo per poi scaraventarli in mare ancora vivi con una pietra
legata al collo. Tuttavia una recente macabra scoperta sull’isola di Zuri ci
dimostra che anche in queste zone le cavità naturali furono utilizzate dalle
milizie comuniste come fossa comune ovvero come luogo in cui scaraventare i
“nemici del popolo”. Alle pendici della rocca che caratterizza tale località,
infatti, si trova una cavità naturale in fondo alla quale è stato rinvenuto uno
strato di 7-8 metri di ossa umane, secondo un sito croato specializzato nella
denuncia dei crimini del comunismo (www.komunistickizlocini.net).
In Croazia è indubbiamente in corso una rivisitazione
della storia nazionale in cui il periodo titoista viene esecrato e condannato,
ma si tratta soprattutto di iniziative provenienti da ambienti
ultranazionalisti che non hanno certamente interesse a raccontare ciò che la
comunità italiana autoctona subì da parte del dittatore jugoslavo ed intendono
invece celebrare la memoria dello Stato Indipendente Croato (1941-1945) dell’ultranazionalista
Ante Paveli, leader dei famigerati ustaša. Divulgando tale notizia, che andrà
comunque verificata con indagini più approfondite sul campo, la fonte sostiene
che tra i defunti vi siano non solo anticomunisti croati (con particolare
riferimento a militari che sarebbero stati eliminati dopo essersi arresi), ma
anche italiani provenienti dalla vicina Sebenico e addirittura da Trieste,
Fiume e dall’Istria.
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https://www.lavocedelpatriota.it/riemergono-dagli-abissi-della-storia-le-stragi-di-italiani-in-istria-e-dalmazia/
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