di
Emilio Del Bel Belluz
In questi giorni mi sono
tornate alla mente le tante immagini che ho visto alla televisione sul
centenario dalla fine della Grande Guerra.
Ormai manca poco all’anniversario e
ci saranno ancora migliaia di commenti, mostre in tutto il Paese e discorsi
ufficiali di uomini politici.
Penso al Presidente della Repubblica che
parteciperà a tante manifestazioni. Quello che mancherà in queste sfilate
commoventi sarà una bandiera, quella del 1918, il vessillo del Re Vittorio
Emanuele III, il Re soldato.
Quella bandiera che si vide garrire al vento nei
campi di battaglia, la stessa che aveva ricevuto il giuramento dei soldati
italiani, non è esposta, guai a ricordare che l’Italia di un tempo era quella
monarchica, guidata dal Re Vittorioso Vittorio Emanuele III.
Allora da
monarchico mi vengono in mente delle parole scritte da Macchiavelli: “E’
regola generale che gli storici dei popoli vincitori facciano cadere in
dimenticatoio la storia dei vinti, e non è infrequente il caso che essi mettano
i segni della loro vittoria anche sui monumenti e glorie precedenti. Così Paolo
Emilio vincitore di Pidna , impose la sua statua sulla grande stele di Delfi
che già reggeva la statua di Perseo”.
Questo accadrà anche il 4 novembre, quei
soldati che morirono per il Re saranno orfani della loro bandiera sabauda che
nel bene e nel male rappresentò l’ultimo atto della loro vita da eroi. Allo
stesso tempo, non mi stupisco nel vedere che, in tanti cimiteri italiani molte
lapidi di nostri eroi della Grande Guerra, sono nell’abbandono più totale.
Molti di questi nostri eroi, per ragioni di spazio, sono finiti negli ossari,
disperdendo il vero significato e la volontà che essi avevano espresso. Quando
muore un soldato per la patria andrebbe ricordato onorando la sua tomba, ma la
nostra società non ha tempo per queste cose.
Penso alla pagina di un giornale
che mi inviò il poeta e scrittore Ermanno Contelli di Pasiano di Pordenone che
diceva:“ L’altro giorno visitai il cimitero austriaco. Saranno più di duemila morti,
ognuno una croce e una targa nera, per lo più Ungheresi. All’ingresso sta una
tabella e su una pietra lessi a caratteri cubitali questa iscrizione: - "Italiani! Se colle vostre gloriose avanzate arrivate in queste vostre terre,
non profanatele con le armi e rispettate questo camposanto. Conservatelo,
poiché, dopo questo flagello, quando saremo ancora amici, conserveremo delle
lacrime negli occhi per bagnare le zolle che ricoprono i nostri congiunti“.
A
Rivarotta, in provincia di Pordenone, in un piccolo cimitero ci sono ancora
alcune tombe dei caduti austriaci, che dormono il sonno eterno. Un giorno vi
accompagnai lo scrittore di Vienna, Whalter Maria Newirth che aveva scritto
molti libri, tra cui uno dedicato a quei soldati, - Isonzo - Piave - Montello. Questo
scrittore aveva allora, nel 1996, cent’anni, si commosse davanti a queste tombe
e volle onorare anche le tombe di qualche caduto italiano, portandovi un fiore.
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