Ai primi del giugno 1918 la fosca ombra di
Caporetto pesava ancora, come un incubo minaccioso, sul cuore di tutti gl’italiani e, in particolare, sul
cuore dei soldati che, nelle trincee del «Fiume Sacro» e degli altipiani, attenti e
vigili, aspettavano l’urto di una imminente offensiva che il Servizio Informazioni del Comando Supremo faceva prevedere.
L’avvilente propaganda demagogica e
disfattista aveva definito «onta nazionale» il doloroso nostro ripiegamento al
Piave, come già 22 anni prima, sotto il Governo Crispi, avvenne in Africa Orientale, dopo la disfatta di Adua il 1° marzo 1896.
E’ d’altra parte notorio che in tutti gli
Eserciti del mondo episodi incresciosi del genere, anche su scala elevata, ne sono sempre avvenuti e non è qui il caso
di enumerare i fattori interni o esterni che li hanno causati: basta ricordare la
disastrosa ritirata di Napoleone della Beresina in Russia, col tramonto delle
sue fortune militari a Waterloo; la strepitosa ritirata delle truppe francesi
sulla Marna nella l guerra mondiale; l’improvviso tracollo della sua potenza
bellica di fronte alle forze germaniche nell’ultima guerra; ed anche, in questa, i numerosi ripiegamenti,
se pure di carattere strategico, ma egualmente disastrosi, che ha subito l’Esercito tedesco.
Le guerre si vincono o si perdono a
seconda le circostanze favorevoli o sfortunate che le hanno determinate, et
Deus avertat che se ne ripetano altre, nell’interesse della tanto auspicata
pace mondiale e di una conseguita fratellanza di rapporti o almeno di comprensione pacifica, fra tutte le Nazioni, tenendo ben
presente, però, che la difesa della Patria, contro eventuali movimenti, o
semplici tentativi, di sovversione dall’esterno o dall’interno, è sacra ed
inviolabile da parte delle nostre Forze Armate, ai sensi delle norme sancite dalla Costituzione.
Ma i soldati Italiani, indipendentemente
da guerre vinte o perdute, hanno sempre ed ovunque compiuto il loro dovere e si sono coperti di gloria, come avvenne nella leggendaria e gigantesca «Battaglia del Solstizio» sul Grappa,
sul Montello e sul Piave, fra il 15 ed il 24 giugno 1918, allorché uno squillo
patriottico sovrastò tutte le disoneste vociferazioni e tutte le ingenerose
polemiche; fu l’Ordine del Giorno del Re Soldato, Comandante Supremo rivolto alle Forze Armate ed alla Nazione. Esso cosi concludeva nel patriottico ed accorato
appello «Italiani, Cittadini e Soldati, siate un Esercito solo; ogni viltà è
tradimento, ogni «discordia è tradimento, ogni recriminazione è tradimento», mentre Vittorio Emanuele
Orlando, Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Parlamento, col famoso
discorso «Monte Grappa, tu sei la mia Patria», incitava anche Egli alla stretta
coesione fra popolo ed Esercito, per affrontare e superare la grave ora che
attraversava l’intera Nazione, in pericolo di essere maggiormente invasa!
E i due appelli, moniti appassionati e
severi per la salvezza della Patria, furono accolti in pieno dall’Esercito in armi e dal popolo con esso solidale e compatto.
Al di qua ed al di là della striscia
gialla del Piave, sul Grappa e sul Montello, dove il nemico tendeva baldanzosamente ad annientare le difese italiane, per dilagare nella pianura trevigiana e quella padana e per raggiungere, attraverso
le Alpi, le difese occidentali, le valorose truppe del nostro Esercito, coscienti
della forza che loro veniva incontro dalla Nazione, unite e tenaci nella volontà di resistere, erano decise a sostenere con fermezza il nuovo grande urto, nel
quale l’avversario gettava mezzi e forze preponderanti.
A 50 anni di distanza,
nello scorso giugno, il nostro ricordo ha rievocato le giornate rosse di sangue e di fuoco che fanti, alpini, bersaglieri, granatieri, artiglieri, cavalieri, carabinieri, genieri, autieri, marinai, portaferiti e
avieri (fra questi ultimi l’eroico Magg. Baracca che s’infranse e spirò sul Montello),
tutti umili artefici della Vittoria del Piave, illuminarono del loro martirio e della loro gloria. Laceri, stanchi, fangosi, ma animati da una fede incrollabile, i
soldati di ogni Forza Armata Italiana non vennero meno al loro sacro impegno, stroncando
la tracotanza austriaca, dopo otto giorni c notti di lotte accanite, obbligando
il nemico, che aveva riportato gravissime perdite, oltre 25 mila prigionieri, ad
una disordinata ritirata, che si tramutò in una vera fuga, verso le sue
posizioni di partenza, oltre il Piave. La sera del 23 giugno 1918, alle ore 19, il nostro Comando Supremo poté diramare
quel Comunicato che tanto commosse e fece fremere di legittimo orgoglio
gl’italiani, da un capo all’altro della Penisola: «dal Montello al mare, il
nemico, sconfitto ed incalzato dalle nostre valorose truppe, «ripassa in disordine
il Piave».
«Di qui non si passa », fu
il motto fatidico del nostro Esercito,
lanciato su tutto il fronde dall’invitto Duca
d’Aosta, Comandante della 3° Armata, e la «Leggenda» del Maestro-Poeta E. A.
Mario ci tramanda che «Il Piave comandò: ’’Indietro, va’ straniero!”»
Sì, perché nella stessa notte del 23
giugno Egli gettò giù mirabilmente le prime tre strofe di quella radiosa e storica Canzone, che doveva poi divenire
la «Leggenda del Piave» e, successivamente, «Inno della Vittoria e della Rinascita», le cui note ancora oggi fanno percorrere sulle membra un brivido sottile.
La folgorante vittoria, conseguente alla
cruenta battaglia del Solstizio, segnò una data di partenza al nostro Comando Supremo, per predisporre quella riscossa
di liberazione dallo straniero, guidando con ogni certezza le nostre truppe al
conseguimento della vittoria finale. « Ad essa dobbiamo tendere con tutte le «nostre forze e con tutto l'animo nostro; dobbiamo conseguirla per la memoria «dei fratelli Caduti e la liberazione dei fratelli oppressi, per la grandezza
d’Italia «e la vittoria della causa della civiltà, per la quale combattiamo a fianco
degli «Alleati»: così concludeva l’Ordine del Giorno del 26 Giugno 1918 del Comandante
Supremo dell’Esercito, fatto diramare a tutti i Comandi ed Enti dipendenti.
Le conseguenze della clamorosa sconfitta
austriaca furono gravissime per la situazione interna della Monarchia Absburgica e per la situazione anche degl’imperi
Centrali, sotto l’aspetto militare e politico. Ogni ulteriore illusione di
abbattere l’Esercito Italiano venne a cadere e l’ombra della nostra sconfitta a
Caporetto fu definitivamente cancellata.
* * *
Questa fase di depressione morale dell’avversario,
fu senz’altro sfruttata dal
Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale Armando Diaz, per maggiormente potenziare i mezzi bellici da assegnare alle dipendenti Armate, per dotarle di equipaggiamenti, indumenti e calzature «ad abundantiam» da distribuire alle truppe, per intensificare l’addestramento delle due ultime classi chiamate alle armi; per assistere moralmente e materialmente ufficiali, sottufficiali e militari di truppa, con criteri di più concreta larghezza, particolarmente colla concessione di licenze ordinarie a tutti ed a turno, per poter riabbracciare i propri congiunti, mentre il Comando Supremo si apprestava alla preparazione dei piani di una potente e decisiva offensiva, da sferrare, a momento opportuno, di concerto coi Comandi Alleati.
Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Generale Armando Diaz, per maggiormente potenziare i mezzi bellici da assegnare alle dipendenti Armate, per dotarle di equipaggiamenti, indumenti e calzature «ad abundantiam» da distribuire alle truppe, per intensificare l’addestramento delle due ultime classi chiamate alle armi; per assistere moralmente e materialmente ufficiali, sottufficiali e militari di truppa, con criteri di più concreta larghezza, particolarmente colla concessione di licenze ordinarie a tutti ed a turno, per poter riabbracciare i propri congiunti, mentre il Comando Supremo si apprestava alla preparazione dei piani di una potente e decisiva offensiva, da sferrare, a momento opportuno, di concerto coi Comandi Alleati.
E’ questo il periodo più fulgido del risorgimento
spirituale e morale dell’Esercito Italiano, che solidalmente sostenuto dal Governo
di Vittorio Emanuele Orlando e dal patriottismo nazionale, si accingerà, dopo
appena 4 mesi dalla folgorante vittoria del Piave, a quella ancora più fulgida,
ma conclusiva di Vittorio Veneto, che fu determinante non solo per l’Italia, ma particolarmente per gli Alleati, a seguito delle cessazioni di ostilità da parte della Germania e
dell’Austria, nonché dei successivi armistizi e trattati di pace, che furono potuti
anticipare e concludere, esclusivamente per il poderoso contributo di sangue e di Caduti,
prodigato dall’Italia alla causa comune, senza mai immaginare che nella
conferenza di Rapallo gli stessi Alleati di allora, respingessero le nostre giuste
rivendicazioni, con tanta passione, ma purtroppo invano, patrocinate dal Presidente Orlando!
In quei quattro mesi che precedettero
l’inizio della nostra ultima offensiva, il morale di tutte le truppe al fronte era elevatissimo, al pari di quello
delle retrovie; ad essi corrispondeva in pieno quello della Nazione, e quando
Esercito e Popolo sono compatti, non vi era da dubitare sull’esito felice della Vittoria
finale.
Il merito di questo successo va
esclusivamente ascritto al Generale Armando Diaz, che nella nuova
organizzazione dell’Esercito, dopo il ripiegamento al Piave, si preoccupò particolarmente dell’assistenza morale, di quella spirituale,
sanitaria e del vitto di tutte le truppe. Non vennero trascurati neanche i giuochi
sportivi, le proiezioni cinematografiche e le canzoni patriottiche. Onore e gloria
perenni al Generale Diaz, che poi esultanti, noi saluteremo Maresciallo d’Italia e
successivamente, Duca della Vittoria!
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