NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 24 dicembre 2017

RISTABILIAMO LA VERITÀ SUI SAVOIA

Lettera al quotidiano Alto Adige

di Waldimaro Fiorentino

Egregio direttore,
la recente traslazione delle Salme di Re Vittorio Emanuele III e della Regina Elena e l'ipotesi della successiva traslazione al Pantheon ha provocato una serie di proteste da parte dei rappresentanti degli ebrei italiani, i quali hanno rivolto al Re accuse di aver favorito l’ascesa di Mussolini al potere e di aver firmato le leggi razziali.
Desidero puntualizzare quanto segue.
Vittorio Emanuele III fece 25 tentativi di governo prima di assegnare l’incarico di formare il Governo a Benito Mussolini. Il Re, esperiti i diversi tentativi ed accertato
che Mussolini era
l’unico esponente politico nei confronti del quale non vi fossero preclusioni, chiamò quest'ultimo al Quirinale e gli chiese cosa volesse; e Mussolini gli rispose: «Vogliamo il Governo»; il Re, Sovrano Costituzionale, gli replicò: «Bene, formi un governo e si presenti davanti al Parlamento».
Mussolini, recatosi in Parlamento, non nascose il proprio disprezzo per la classe politica dell’epoca dicendo: «Dì quest'aula sorda e grigia, avrei potuto fare un bivacco per i miei manipoli».
I partiti, che si erano reciprocamente negati l'appoggio per la formazione di governi stabili, subirono senza batter ciglio l’affronto e furono in larghissima parte favorevoli nel sostenere il Governo al Capo del Fascismo, che aveva alla Camera soltanto 35 Deputati.
Il primo Governo Mussolini - un Governo che Malacoda definì «tranquillizzatore» - ottenne la fiducia con 306 voti a favore, 116 contrari e 7 astensioni. Tra i voti favorevoli ci furono quelli di Alcide De Gasperi, Ivanoe Bonomi, Vittorio Emanuele Orlando, Antonio Salandra.
Di quel Governo facevano parte, oltre a fascisti, liberali, popolari (ossia quelli che nel dopoguerra sarebbero divenuti i democristiani), demo sociali, nazionalisti oltre al generale Armando Diaz e all’ammiraglio Paolo Thaon de Revel. Sottosegretario all'industria era Giovanni Gronchi, che nel 1955, sarebbe divenuto presidente della repubblica italiana. Tutte persone che oggi danno la colpa a Vittorio Emanuele III di aver aperto la strada al Fascismo e che all’epoca si dimostrarono i migliori alleati di Mussolini. Lo stesso Parlamento il 25 novembre 1922 avrebbe votato a favore della concessione dei pieni poteri, per consentire al Governo Mussolini «di risolvere liberamente senza le difficoltà della procedura parlamentare, i più urgenti problemi della finanza e della pubblica amministrazione». Ma fatto più grave che consegnò completamente il Paese al fascismo fu la votazione del 15 luglio 1923, che approvò la riforma della Legge elettorale. Per quella Legge, su 535 seggi parlamentari, ben 355 - i 2/3 - sarebbero stati assegnati alla lista che avesse ottenuto la maggioranza, non assoluta, od anche di un solo voto,
purché raccogliesse almeno il 25 % dei voti. La Camera dei Deputati, nel quale i fascisti erano solo 33, approvò quella legge con 303 voti 140 contrari e 7 astenuti; tra i voti favorevoli vi furono anche quelli di De Gasperi e di Gronchi.
Anche il Senato approvò la riforma. Il Re costituzionale non poté altro che firmare. Del resto, la formula di una Monarchia costituzionale è «Il Re regna ma non governa».
Don Luigi Sturzo, nel suo libro «L'Italia e l’ordine internazionale», pubblicato nel 1944 per le edizioni Einaudi, ci fa sapere che «intervennero gli ex capi dei gabinetti liberali Giolitti Salandra e Orlando, che il Re chiamò a consiglio, ed opinarono essere inopportuno avventurarsi in un cambio che preludesse ad un governo dominato da socialisti e popolari».
Lo storico Secondo Malacoda sostenne, al proposito, «di fronte all’afferrmazione di una pretesa complicità tra la Monarchia dei Savoia e il fascismo, noi pensiamo che nulla sia stato asserito di più falso e di più storicamente infondato, e che nulla sia più contrario alla logica, intima delle cose. In verità la Monarchia non è stata complice
del fascismo più di quanto il depredato non sia complice del suo rapinatore».
La Camera dei deputati ed il Senato, a grandissima maggioranza, e la stessa opinione pubblica sostennero il fascismo. La stessa Chiesa, che con il fascismo aveva già avviato trattative per pervenire al Concordato,
impose a Don Luigi Sforzo, il più acceso avversario cattolico del regime, l’esilio, senza che Mussolini lo avesse richiesto.
Pio XI definì Mussolini l’uomo della provvidenza».
Il noto giornalista Vittorio Gorresio a pag.2 del  quotidiano «La Stampa», riferendosi a Flaminio Piccoli, scrisse «che in un discorso pronunciato A Bergamo il 2 novembre 1968» disse che la DC non è nata per investitura ecclesiastica, che anzi la Chiesa la abbandonò nel 1923-24 e don Sturzo fu costretto all’esilio, e De Gasperi ebbe gravi difficoltà nei suoi rapporti con il Vaticano».
Carlo Sforza, fortemente antifascista, del resto ammise: «Pochi uomini furono accompagnati più di Mussolini da voti di successo così numerosi, anche se soltanto rassegnati.
Dunque, a questo punto, cosa sarebbe cambiato se in Italia allora ci fosse stata una repubblica? Anzi; le cose sarebbero addirittura cambiate in peggio, perché essendo l'intero Parlamento fascista o prono dinanzi al fascismo, non ci sarebbe stato neppure l’effetto equilibratore della Corona a determinare elementi di riflessione e di moderazione.
Va ristabilita la verità anche sul tema delle leggi razziali.
Mino Menicelli il 17 febbraio 1968 sul quotidiano «Il Giorno» dell’ENI (quindi espressione del governo repubblicano) rammentò che Vittorio Emanuele III negò la firma ai decreti in questione; ed invano attese che uomini politici, intellettuali, esponenti della società civile insorgessero; si sa, invece, che diversi docenti furono ben lieti di subentrare nelle cattedre universitarie agli ebrei espulsi per effetto di quei decreti e che una decina soltanto furono i docenti non ebrei espulsi per non aver giurato al fascismo, Monicelli, in quello stesso articolo, riferisce il colloquio tra Vittorio Emanuele III e Mussolini il 28 novembre 1938; e lo riporta con queste esatte parole: « Colloquio Re - Mussolini. Per tre volte il sovrano riesce ed infilare nel colloquio la frase ‘provo una infinità pietà per gli ebrei. Il duce ingoia tre volte il rospo, digrignando la mascella quadrata».
E si sa che il Sovrano ottenne, con interventi personali, di attenuare la portata di quei decreti.
E c’è una testimonianza assolutamente non sospetta o confermare. Tra i quaderni del «Centro di documentazione ebraica contemporanea», in «Gli ebrei in Italia durante il fascismo» a cura dì Guido Valabrega nel marzo 1962, a pag, 20  del 2°
 volume, si legge testualmente: «Con tutto ciò, si deve obiettivamente riconoscere che sino all’8 settembre 1943 la persecuzione razziale fu contenuta in limiti moderati e dì portata soprattutto economica» e più avanti, «Dopo larmistizio dell’8 settembre 1943 comincia per gli ebrei italiani un tremendo periodo nuovo: l’Italia era ormai sotto il tallone tedesco e Mussolini voleva riabilitarsi agli occhi dell’alleato».
Ed esistono interi volumi di documentazione che dimostrano come il Regio Esercito, di educazione e di sentimenti monarchici, salvò un grande numero di ebrei, i quali, su ogni fronte, fuggivano delle zone occupate da nazisti, per riparare sotto la protezione dei nostri reparti, Per tutti, si legga quanto scritto su «Un debito di gratitudine. Storia dei rapporti tra l’Esercito italiano» di Menacliem Shelah, ebreo dalmata. Nella prefazione di Antonello Biagini prof. Ordinario di Storia dell'Europa orientale, parla dell’ «opera di solidarietà svolta dal personale diplomatico e dall'esercito italiano... legato tradizionalmente alla Casa Reale non a Mussolini», Lo jugoslavo ebreo Yosef Lapid, giornalista e docente , in Università USA, nel presentare il libro scrisse «Però gli italiani rifiutarono di contribuire al sistematico sterminio operato dalia macchina di morte nazista e non presero parte al genocidio. Ebrei di nazionalità italiana non furono deportati nei campi di sterminio (finché l’Italia non cadde, dopo l’8 settembre 1943,sotto il diretto dominio tedesco). Gli italiani presero sotto la loro protezione gli ebrei del Paesi conquistati nel Nord Africa, in Grecia, nella Francia Meridionale e in Jugoslavia». E Menachem Shelah riferisce di «una delle suppliche più commoventi scritta dai profughi di Sarajevo rifugiati a Montar, cioè,sotto il controllo italiano, “l’invio in un campo di concentramento croato significherebbe…una condanna a morte... una morte lenta, tra infiniti tormenti... una morte implorata per lunghi giorni e per lunghe notti insonni, come si implora da Dio la grazia di essere finalmente liberati da un martirio...».
È sufficiente per ristabilire la verità?
Waldimaro Fiorentino
giornalista, consigliere comunale a Bolzano

per 19 anni per il Partito Monarchico






2 commenti:

  1. Ecco,se in ogni città d'Italia avessimo un Uomo costruttivamente e validamente impegnato come il Dr. Fiorentino, l'efficacia ed il successo dell'insultante colpo di mano di Mattarella & co. non sarebbero stati così compiutamente riusciti, perfetti, definitivi.
    Un sentitissimo grazie al Dr. Waldimaro Fiorentino

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