NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

sabato 23 dicembre 2017

Io difendo la Monarchia - II cap. II parte

In Inghilterra, al termine di questa seconda guerra mondiale, il popolo è stato subito convocato nei comizi elettorali. I laburisti hanno avuto la maggioranza e hanno preso il governo. Ebbene che cosa avviene con ciò?
Nessuno degli istituti fondamentali della vita inglese ha subito la minima offesa. Il primo pensiero della maggioranza come della minoranza è stato un indirizzo di omaggio al Sovrano. Anche i due deputati comunisti si sono associati all’omaggio.
Perchè questo non fu possibile nel 1918 e non è oggi pensabile in Italia? Perchè le masse italiane hanno una coscienza molto mutevole e come provvisoria dello Stato e perchè esse tendono a porre in discussione, ad ogni momento, le loro istituzioni. La difficoltà di costituire presso di noi un regime ordinato, serio e liberale risiede appunto in questo intervento tumultuoso e frequente della piazza nella vita dello Stato. Dove lo Stato si regge su di un instabile squilibrio, i suoi ordinamenti sono corrotti e le sue leggi sono variamente interpretate perché soggette a mutazioni continue secondo l’arbitrio dei forti. Il dramma dell’Italia, tra il 1918 e il 1922, fu appunto questo. La classe politica parlamentare del 1915 non seppe o non volle o non potè più valersi del potere per domare la minaccia dell’insurrezione. Il socialismo non ebbe l’ardimento di prendere il potere. Esso contribuì potentemente a indebolire uno Stato già scosso, ma non seppe assumere la responsabilità del Governo.
Per bocca di Treves l'Italia non doveva valersi della guerra vinta per fondare il suo divenire, ma tale guerra doveva espiare come se si fosse trattato di un crimine o di una disfatta.
La borghesia doveva espiare e il socialismo rimaneva soddisfatto a godersi il crollo della nazione che aveva osato trascurare i suoi consigli. Fu quindi facile a un uomo, sfruttare il sentimento patriottico della maggioranza e marciare alla conquista dello Stato con una fazione armata. Il fascismo non lottava a priori contro lo Stato liberale, ma si proponeva di sostituirsi ad esso quando la sua azione appariva troppo debole e incapace di fronteggiare la situazione. In tal modo esso contribuiva potentemente alla dissoluzione dello Stato, mentre diffondeva nei cittadini desiderosi di un ordine purchessia una grande fiducia nei suoi metodi di azione.
Insomma nella società italiana si veniva disciogliendo il vincolo giuridico per cui la nazione si era costituita in Stato unitario. La Monarchia rimaneva scoperta ed esposta alle offese delle fazioni. Avrebbe dovuto essere elevata e portata fuori di ogni polemica come unico pilone rimasto intatto dell'unità nazionale, ma il senso di irresponsabilita dei nuovi capi ed il loro spirito demagogico si accaniva contro tutti i poteri dello Stato. In uno Stato moderno la sovranità non proviene di fuori, ma di dentro: essa è il prodotto della volontà dei soggetti. La sovranità ha il suo presidio nel popolo stesso fn quanto ordinato a Stato. Ma il nostro popolo non ha questa coscienza. I lunghi secoli della sua servitù lo portano a concepire lo Stato come il nemico perenne ed esterno, come una forza estranea. Il popolo romano insultava l'imperatore nel circo ed oggi offende il Re con le scritte murali. Non sa che la sovranità è un idea la quale risiede solo nel popolo. Il potere sovrano è immaginato come esterno ed estraneo al popolo, cosi come era nel lungo periodo di soggezione ai sovrani stranieri e assoluti. I dirigenti dei partiti si guardano bene da insegnare ai loro tesserati questi dati elementari della vita politica in uno Stato moderno e per demagogia sollecitano i bassi istinti plebei e ne sfruttano l’ignoranza per salire nella stima della folla mostrando di difenderne gli interessi offesi. Nel loro fondo essi coltivano la speranza che vi siano sempre dei carabinieri a difendere il Quirinale. Essi infatti sanno bene che la rivoluzione, ove si dovesse compiere, troncherebbe i loro lieti festini sulle miserie della Nazione. Essi sanno che il giorno in cui la Monarchia dovesse cadere, cesserebbe la speculazione sulla Corte e sui circoli della reazione. Essi dovrebbero rispondere al popolo in prima persona senza potersi nascondere dietro le « forze oscure della reazione in agguato». Il popolo si accorgerebbe ben presto che la corruzione, la smania del piacere e dei facili e pronti guadagni, gli indebiti profitti e, insieme, tutto il guasto della nazione sono nella nuova classe di governo assai più che nella antica. Quella nuova classe di governo vuole arricchire rapidamente, vuole contrarre, con i matrimoni, relazioni permanenti e cospicue; e per giungere a tanto si comporta con avidità e spregiudicatezza.
Così fu di alcuni uomini della sinistra parlamentare, così è stato in ben più alta misura del fascismo, così è delIVsarchia. Le classi alte lasciano fare, e chiudono un occhio perchè sanno che gli avidi e i rapaci divenuti sazi non sono dei sanguinari. Solo gli asceti e i puri sono temibili e a volte terribili. La Monarchia non può entrare in questo basso giuoco. Nei venti anni della dilagante corruzione fascista nessuna scorrettezza, nessun arbitrio, nessuna indebita ingerenza, nessun dubbioso intervento può essere menomamente addebitato in modo diretto o indiretto, al Sovrano o ad uomini a lui vicini. La demagogia sfrenata che ha seguito la disfatta non ha potuto raccogliere nessuna voce, nessuna insinuazione, nessuna accusa.

L'unico ufficio, l'unica magistratura rimasta indenne,al disopra della triste bolgia della comizione e della violenza, è quella del Sovrano. Pure impotente a intervenire, perchè il Monarca non ha ufficio di governo, egli costituiva un testimone ed un freno. Ora si vuol togliere quel freno, si vuole abolire quella testimonianza perché i nuovi venuti sono piò voraci e più numerosi. E in più sono spinti dalla voce alacre della vendetta. Ma una nazione che per ogni generazione debba provvedere, con il suo lavoro e il suo sangue, ai nuovi appetiti e alla sistemazione di una intera classe politica è destinata alla disintegrazione e alla rovina.
L’atmosfera messianica da anno mille, non fu nel 1919 peculiare dell’Italia. Scrive un autore messo al bando dal fascismo, H. A. L. Fisher nella sua apprezzata Storia d Europa (vol. III, pag. 436): «Si riteneva ormai apertamente che i parlamenti avevano fatto fallimento, che la Civiltà democratica era superata e che il laissez faire doveva cedere il posto ad una economia regolata su tutta la linea. Nella stessa Inghilterra i lavoratori organizzati chiedevano una completa ricostruzione dell’impalcatura sociale (1919)»

Uno dei maggiori guai derivati dalla guerra fu la decadenza in gran parte dell’Europa della disciplina sociale. La fede nell'autorità era vacillante, spezzata la tradizione, ovunque i popoli sconfitti, allontanatisi dagli antichi ormeggi, attendevano di essere guidati sui mari inesplorati; dappertutto e specialmente in Russia dove il Governo era stato colto nel suo momento peggiore e più debole, il terreno rivoluzionario era ben preparato e dove più rapidamente e più violentemente che in ogni altra parte d’Europa erano sorti nel momento della crisi, un uomo, una dottrina, una fede. La dottrina derivata da Marx era la sostituzione, stimata conclusione inevitabile di un lungo processo storico, del comunismo, all’ordine costituito della società capitalista: negava la proprietà, la fede in Dio, la gerarchia sociale, la classe media e tutti gli ideali artistici morali e filosofici che l'avevano alimentata.

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