NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 26 dicembre 2017

La polemica sul quotidiano Alto Adige

Il nostro Grazie! al Dottor Fiorentino che ha voluto condividere con noi i suoi scritti.
Di seguito troveremo la risposta di un emerito professore di storia dell'Università di Bologna, molto allineato, e la ulteriore risposta del Nostro Waldimaro Fiorentino.

In coda una piccola considerazione nostra.



Re incapace, non un padre della Patria

La Storia non si fa arzigogolando qua e là e selezionando argomenti fuori del contesto quelle sono cose che fanno gli avvocati quando devono salvare i loro clienti davanti ai tribunali. Sulle responsabilità di Vittorio Emanuele III non c’è storico serio che abbia
un giudizio come quello del signor Fiorentino, Vediamo qualche fatto. Il problema non è ovviamente l’accettazione dei governo Mussolini nel 1923, che
era un governo di coalizione, per quanto promosso con la famosa ‘'marcia su Roma" che non può essere considerata un mezzo costituzionale di legittima lotta politica. Qui già ci sarebbe il tema del rifiuto del re di filmare nell’ottobre 1922 lo stato d'assedio, cioè di consentire che operazioni eccezionali di ordine pubblico impedissero la manifestazione della violenza fascista. Non si dimentichi che il fascismo sostenne costantemente durante tutta il ventennio di essere andato al potere grazie al "plebiscito armato della nazione" : cosi definivano la loro “rivoluzione e il re si guardò bene dallo smentire questa interpretazione. Ma il vero problema non è l'accettazione del governo Mussolini del 1922 e neppure l'accettazione della legge Acerbo, ma invece il silenzio e l'accettazione del colpo di stato del gennaio 1925, dopo mesi di crisi a seguito del delitto Matteotti. In quei mesi non solo una quota della classe dirigente liberale si rivolse al re chiedendogli di destituire Mussolini, ma l'abbandono dei lavori parlamentari da parte di una quota cospicua di deputati (tra cui De Gasperi), nota come l’Aventino, segnalava l’intollerabilità della situazione.
Vittorio Emanuele non fece nulla, terrorizzato dall'idea di poter essere accusato di fare un colpo di stato. Ma gli uomini che si trovano in posizione di potere e responsabilità devono essere capaci di andare oltre il formalismo giuridico quando sono in gioco i destini della loro nazione ed egli ebbe la responsabilità di avere accettato l'Instaurazione di un regime (una dittatura) che violava lo Statuto, cioè la costituzione allora vigente. Durante tutta la durata del regime e il re accettò ogni genere di violazioni dello Statuto su cui pure aveva giurato: basterà ricordare l'accettazione della legge sul Gran Consiglio, quella sul "plebiscito elettorale del 1928, o la buffonata del Maresciallato d'Italia a Mussolini che lo portò a «dare al duce il comando delle operazioni militari (tutto documentato: l
'ho esaminato nel mio vecchio saggio "Demagogia e tirannide. Uno studio sulla forma partito del fascismo"; Il Mulino 1984).
Veniamo alla questione delle leggi razziali. Qui il fatto è gravissimo, perché colui che nella retorica monarchica doveva essere il "padre" di tutti gli italiani accettò stupidamente che una quota dei suoi "figli" venisse, privata del diritto di cittadinanza senza che in essi vi fosse alcuna colpa: notoriamente gli ebrei italiani parteciparono attivamente al Risorgimento, alla vita del "Regno e alle sue guerre nazionali, Anche in quel caso il comportamento di Vittorio Emanuele non ha giustificazioni. Il fatto poi che la persecuzione antiebraica sia stata in Italia "moderata" è una leggenda da sfidare. Certo, grazie a Dio, i governi fascisti non hanno creato campi di concentramento e di sterminio, ma questo non può far dimenticale che gli ebrei vennero cacciati dalle scuole, gli si impedì di possedere apparecchi radio, e li si sottopose a tante altre vessazioni odiose, Certo non mancarono nella nostra popolazione episodi di rifiuto più o meno silenzioso di questa stupidità razziale e durante la guerra, sia in zone occupate sia sotto l'occupazione" tedesca in Italia, ci furono vari casi di aiuto agli ebrei.
Ciò va ascritto però a merito dell’intelligenza degli italiani, non dell’azione del re, che non vi fu. E per correttezza va aggiunto che accanto agli ""italiani brava gente" ce ne furono anche non pochi che “brava gente" proprio non furono, perché l’antisemitismo in Italia è stato purtroppo più che presente. Infine va ricordata la colpa più grave di tutte: il comportamento del re fra il luglio e il settembre 1943.
Se vogliamo fare i giuristi, bisognerebbe sottolineare che l'arresto di Mussolini dopo la notte del 25 luglio 1943 fu un atto che non aveva fondamento legale: il voto contrario a Mussolini del Gran Consiglio non aveva fondamento perché quel potere non era contemplato nella sua legge istitutiva; l'arresto avvenne senza che ci fosse stata una autorità giudiziaria a prescriverlo e senza che all’arrestato fossero rese note le motivazioni che lo determinavano (e infatti fu fatto passare per una presa in consegna da parte dei carabinieri per proteggerlo). In quel caso il re non ebbe remore a fare un colpo di stato, o se si vuole d'autorità. Nel 1925 e dopo non aveva avuto il coraggio e allora lo fece solo perché il soffitto gli stava crollando in testa e si sentiva coperto dai gerarchi fascisti dissidenti. Quel che è peggio fu però la vergognosa fuga l’8 settembre quando Vittorio Emanuele pensò solo a salvare la sua persona (si disse che era terrorizzato dalla fine che i tedeschi avevano fatto fare al re del Belgio catturato) lasciando il paese in balia del nemico invasore e privo di qualsiasi istruzione su come comportarsi. Su questo c’è una marea di documentazione storica: si legga por tutti il bel volume di Elena Aga Rossi.
Certo il re non era isolato nel suo servilismo verso il fascismo vittorioso: buona parte della nazione vi andò dietro e gli entusiasmi anche di quasi tutte lo gerarchie ecclesiastiche sono più che documentati. Questo però non assolve né il re né i prelati che furono incapaci di capire quanto stava accadendo (come, ricordo, De Gasperi vide con amarezza nel suo quasi esilio vaticano).
In definitiva il giudizio storico su Vittorio Emanuele III è irreversibile: fu un re modesto in tempi normali, cioè fino alla crisi del primo dopoguerra; da allora in poi un sovrano incapace di essere all’altezza dei tempi. A riposare in pace ha diritto come ogni altro uomo. Ad essere monumentalizzato come un padre della patria non ne ha alcuno.
Paolo Pombeni
professore emerito di storia contemporanea all'università di Bologna


Egregio Direttore,
aggiungo qualche spunto, sul dibattito su Vittorio Emanuele III e il fascismo.
Aldo Rossini, deputato eletto nella circoscrizione di Novara e poi Senatore del Regno, ultimo sopravvissuto di quei giorni, in una rievocazione pubblicata sul settimanale romano «Tempo», fece balenare una versione di quanto accaduto in quelle ore febbrili; manifestò il dubbio che non fosse stato Facta a proporre lo «stato d’assedio» e Vittorio Emanuele III a rifiutare di firmarlo; afferma l’esatto contrario; che fu il Re a suggerire il provvedimento e Facta a sconsigliarlo vibratamente; e, a sostegno della sua affermazione, scrisse che di questo Mussolini gli sarebbe stato grato, inserendolo nella prima lista proposta al Sovrano per la nomina a Senatore del Regno. 
Del resto Carlo Sforza sostenne che non ci fu insistenza alla firma dello «stato d’assedio»; e Luigi Sturzo, in «L’Italia e l’ordine internazionale», affermò: «Non intendiamo dare la colpa solo a Vittorio Emanuele; né intendiamo attenuare quelle del Ministro Facta». Sforza ricorda poi che la proposta fu caldeggiata tanto blandamente da Facta, da far sorgere dubbi nel Sovrano, il quale convocò il Capo delle forze Armate Armando Diaz ed il Capo della Marina Thaon de Revel per chiedere espressamente cosa avrebbe fatto eventualmente l’esercito, qualora il Re avesse dato ordine di usare la forza; e la risposta che ebbe da Diaz fu: «Maestà, l’esercito è fedele alla Maestà Vostra, ma sarà meglio non mettere alla prova la sua fedeltà». 
La versione venne accreditata in una lettera a Mario Missiroli da George Sorel, il quale addusse a sostegno che il Re potesse contare sull’esercito, la defezione di diversi reparti militari inviati a reprimere l’impresa di Fiume e passati, invece, dalla parte di Gabriele D’Annunzio; in un’altra lettera, sostenne anche che: «Il fatto che la nave ‘Dante’ sia rimasta a Fiume, a dispetto degli ordini dell’ammiragliato, indica che il governo non può contare sulla Marina». Del resto, si sa che diversi ufficiali anche superiori, presero parte alla «marcia su Roma» e che il gen. Asclepio Gandolfo, comandante del XXVII Corpo d’Armata, «fu uno dei generali che prepararono e diressero la marcia su Roma e che già nel 1921 figurava come uno dei capi dello squadrismo fascista». Lo fa sapere Guido Dorso, citando Italo Balbo, in «Mussolini alla conquista del potere», Biblioteca moderna Mondadori, 1949.
A questo punto Vittorio Emanuele III avrebbe dovuto reprimere l’intero Paese – Parlamento, De Gasperi compreso, esercito, Chiesa, la stessa opinione pubblica – instaurando una dittatura Regia, in luogo di quella fascista?
Quelli dell’avvento del fascismo al potere, furono tempi difficili, in cui qualsiasi soluzione, comunque presa, sarebbe stata criticabile, salvo con il senno di poi.
Quanto alla deposizione di Mussolini, fu atto in linea con le norme dello Stato, la cui Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che a me non piaceva e non piace, ma scaturita dalla Legge del 15 luglio 1923, aveva votato quella legge.
Agli insulti che non sono argomentazioni, non replico.
Cordialmente 
Waldimaro Fiorentino


Ci permettiamo di aggiungere una postilla.
L'emerito fa, in una prima parte, questa affermazione:
"Ma gli uomini che si trovano in posizione di potere e responsabilità devono essere capaci di andare oltre il formalismo giuridico quando sono in gioco i destini della loro nazione ed egli ebbe la responsabilità di avere accettato l'instaurazione di un regime (una dittatura) che violava lo Statuto, cioè la costituzione allora vigente."

In una seconda parte sfodera il formalismo più totale con questa seconda affermazione:
Se vogliamo fare i giuristi, bisognerebbe sottolineare che l'arresto di Mussolini dopo la notte del 25 luglio 1943 fu un atto che non aveva fondamento legale: il voto contrario a Mussolini del Gran Consiglio non aveva fondamento perché quel potere non era contemplato nella sua legge istitutiva; l'arresto avvenne senza che ci fosse stata una autorità giudiziaria a prescriverlo e senza che all’arrestato fossero rese note le motivazioni che lo determinavano (e infatti fu fatto passare per una presa in consegna da parte dei carabinieri per proteggerlo). In quel caso il re non ebbe remore a fare un colpo di stato, o se si vuole d'autorità.

E' evidente che l'emerito trascura il consenso di cui godeva il fascismo nei due diversi periodi.  E che il formalismo e la mancanza dello stesso, sono, di volta in volta pretesti per dare addosso al Sovrano.
Solo marginalmente viene considerata la volontà popolare e quando fa comodo al discorso dell'emerito.

Altra affermazione degna di sottolineatura "Vittorio Emanuele non fece nulla, terrorizzato dall'idea di poter essere accusato di fare un colpo di stato."
Non magari perché il colpo di stato è l'estrema ratio di un Sovrano Costituzionale ma perché, secondo l'emerito, era terrorizzato, come anche:
"Vittorio Emanuele pensò solo a salvare la sua persona (si disse che era terrorizzato dalla fine che i tedeschi avevano fatto fare al re del Belgio catturato) lasciando il paese in balia del nemico invasore e privo di qualsiasi istruzione su come comportarsi"

A parte che gli ordini c'erano non dice, l'emerito, chi avrebbe dato ordini ai militari una volta che il Sovrano, unico organo legittimo di potere in un Paese senza Parlamento, fosse caduto nelle mani dei tedeschi (che il Re odiava da sempre). 
Il Sovrano che a Peschiera aveva difeso con le unghie e coi denti la linea del Piave dagli austro tedeschi, che aveva portato a termine l'Unità d'Italia, improvvisamente, in piena vecchiaia, per paura per se stesso (secondo l'emerito) sacrifica le figlie Mafalda e Maria, che cadono nelle mani dei tedeschi, più svariati altri componenti della Famiglia Reale.

Che cosa si evince dalle parole dell'emerito? Pregiudizio, luoghi comuni, ideologia e anche un tantinello di presunzione autoreferenziale come da ponderoso tomo….
 "l'ho esaminato nel mio vecchio saggio "Demagogia e tirannide. Uno studio sulla forma partito del fascismo"; Il Mulino 1984".

Chiacchiere da bar.
Lo Staff

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