di Giovanni Semerano
articolo pubblicato su "Il Tempo" , 10 Maggio 1976
Giovanni Semerano è stato collaboratore del Ministro
della Real Casa Falcone Lucifero fin dai giorni del referendum istituzionale
del 1946 e, successivamente, per molti anni il suo Capo Ufficio Stampa.
Dirigente del FMG e poi dell'UMI, esponente del PNM e del PMP, Direttore
della rivista "Monarchia Nuova", Semerano venne eletto Segretario
Generale del'UMI al X Congresso, nel 1984, e lo rimase fino al 2004 quando fu
nominato Presidente Onorario.
Giornalista de "Il Tempo" durante le
direzioni di Angiolillo e di Letta, è autore di numerose pubblicazioni tra le
quali, insieme a Camillo Zuccoli, "Dalla parte del Re, la verità sul
referendum istituzionale" del 1996, e "Il Re che abbiamo nel
cuore" del 1998.
In occasione del 70mo del referendum che, con la
truffa romitiana, privò l'Italia del Re, Semerano pubblicherà i ricordi della
sua lunga collaborazione col Ministro Lucifero.
Il nove, Vittorio Emanuele III nella Villa Rosebery di Napoli, aveva abdicato in favore del Principe di Piemonte - Il giorno dopo, il nuovo Re e la Regina Maria Josè si mostrarono alla folla dal balcone del Quirinale.
Martin Moore sul Daily Telegraplh scriveva: l'abdicazione e l'avvento del
nuovo Re, con una Regina popolare e una famiglia di attraenti bambini, hanno
dato impulso all'entusiasmo monarchico. E' il dieci maggio 1946. Il giorno
prima Umberto di Savoia, Luogotenente del Regno, diventava Re d'Italia. Chi era
il nuovo Re? Rievochiamo l'immagine attraverso i giudizi e i documenti
dell'epoca.
L'Italia usciva sconfitta da una guerra e già i politici rivendicavano la
lotta al fascismo attraverso i giorni della Resistenza dimenticando il
contributo decisivo alla lotta democratica dato dalla Monarchia e dalle nuove
forze armate italiane che, dal Regno del Sud, combatterono a fianco degli
alleati contro fascisti e tedeschi.
Umberto di Savoia riuscì nell'intento di ottenere dai comandi
anglo-americani che le nostre truppe entrassero in azione. Egli visse quella
pagina di storia italiana continuamente tra i soldati la cui opera fu sempre
generosa, spesso feconda di risultati e il più delle volte rimasta oscura.
L'apporto dell'Esercito regolare alla liberazione fu sempre ostacolato non
soltanto dai partiti di sinistra ma anche dagli alleati che preferirono fare
concentrare l'attenzione della stampa e della propaganda sulle formazioni
partigiane che - dobbiamo ricordarlo - ebbero origine nei reparti militari
disciolti e furono largamente condotte da ufficiali monarchici del Regio Esercito.
Testimonianza dell'ostilità dei socialisti e delle sinistre è la lettera
aperta a Togliatti indirizzata dal Generale Messe nel corso di una polemica
provocata dal leader comunista.
“Basterà ricordare che il Primo Raggruppamento del Regio Esercito -
scriveva il Generale Messe - entrò in linea nel dicembre 1943, il Corpo
italiano di liberazione fu costituito nel marzo 1944 e i cinque Gruppi di
combattimento furono autorizzati nell'agosto successivo. Tutte tappe della
nostra cobelligeranza faticosamente raggiunte attraverso una assillante opera
di persuasione presso gli Alleati diffidenti e contrari, mentre io occupavo il
posto di Capo di Stato Maggiore Generale che tenni fine alla fine della guerra”.
“E lo tenni, si badi bene, alle dipendenze del Maresciallo Badoglio Capo
del Governo, fino alla liberazione di Roma, e alle dipendenze dell'Onorevole
Bonomi, dopo il giugno 1944, quando l'Onorevole Palmiro Togliatti era membro
eminente del Governo dei sei partiti”.
“In quell'epoca - prosegue il Generale Messe - l'azione iconoclasta contro
l'Esercito era al suo massimo sviluppo presso i partiti di sinistra e rendeva
estremamente difficile l'opera di ricostruzione, tanto che fui costretto a
richiamare l'attenzione del Governo”.
Umberto prese parte personalmente alle principali azioni belliche in cui
furono impegnate le nostre truppe. Nel dicembre 1943 era a Monte Lungo;
trascorse il Natale a San Vittore con le salmerie italiane che portavano viveri
sulle posizioni dell'Appennino; nell'Aprile 1944 era con gli artiglieri a Monte
Marrone.
Sul fronte di Cassino, alla vigilia di un attacco alle linee tedesche al
quale doveva partecipare una nostra unità poiché il Comando alleato cercava un
ufficiale italiano per compiere una ricognizione aerea nella zona che avrebbe
dovuto essere teatro di battaglia, si offrì di effettuarla egli stesso. A bordo
di un piccolo velivolo volò a bassissima quota fatto segno alla reazione
antiaerea, riportando cruciali notizie sull'ammassamento dei carri armati
tedeschi e sulle condizioni della viabilità.
In considerazione della parte avuta da Umberto nella Guerra di liberazione
il Comando della V Armata propose al Comando Generale di Caserta il
conferimento di un'alta decorazione al Principe di Piemonte. Il Governo De
Gasperi fece presente che la concessione di una decorazione al valore ad
Umberto poteva essere interpretata come un atto di simpatia politica degli
americani per la causa monarchica; e così non se ne fece niente.
Un ritratto del nuovo Re lo troviamo tra le impressioni ricevute, in
occasione di una intervista, dal giornalista americano Albert Matthews: “Umberto
pensa che il Re dovrebbe esercitare i suoi poteri in modo da garantire un
governo del popolo, espressione della volontà del popolo e che lavori per il
bene del popolo secondo la classica concezione di Lincoln”.
«Da quanto ho inteso parlando con lui - prosegue Matthews - Umberto ha come
meta una monarchia liberale democratica. Ha studiato seriamente i problemi
italiani. Non ha illusioni sul doloroso avvenire né sulle difficoltà che Casa
Savoia dovrà affrontare per mantenersi al di sopra delle onde, nei mesi
tempestosi».
«Senza dubbio si ha la chiara impressione di un uomo che ha un programma e
sa per cosa combatte. A mio giudizio - conclude Matthews - i repubblicani hanno
un avversano più forte di quel che immaginano».
La stampa inglese si espresse invece con giudizi negativi o severi. Il
Daily Telegraph scrisse: «Nulla, nella sua carriera, suggerisce che egli stia
per diventare un Sovrano migliore del Padre». Il Daily Mail: «E' stato
descritto come un uomo ambizioso ma di forte mente». Il Daily Herald: «Pieno di
tatto, modesto, imparziale, come Luogotenente si conciliò persino alcune
simpatie delle sinistre, ma dal momento dell'abdicazione egli è sulla linea del
fuoco e le sinistre lo attaccano con violenza».
Enzo Selvaggi da Radio Roma, l'11 maggio 1946, diceva che «il giovane Re
raccoglie in sé l'esperienza e il dolore di quest'ultimo tragico periodo della
nostra storia. Il dolore è una grande scuola. Per tutti».
Il 9 maggio 1946 Vittorio Emanuele III, dopo 46 anni di Regno, aveva steso
la rinuncia al trono. «Abdico alla Corona d'Italia In favore di mio figlio
Umberto di Savoia Principe di Piemonte. Vittorio Emanuele. Napoli 9 maggio 1946».
Nella Villa Rosebery ribattezzata Maria Pia, il notaio di
fiducia, Angrisani, raccolse l'atto più importante della sua vita. Il Re
scrisse di suo pugno la formula che era la stessa di quella adottata
nell'abdicazione di Carlo Alberto. Vittorio Emanuele IIl sbagliò la data che
poi corresse egli stesso segnando con un grosso nove.
Umberto era giunto a Napoli con l'aereo personale dell'ammiraglio Stone
essendo il suo in riparazione. E fu lo stesso Stone la prima persona che si
rivolse ad Umberto chiamandolo «Vostra Maestà» subito dopo l'atto di
abdicazione del padre.
Umberto Re d'Italia tornò a Roma la stessa sera del 9 maggio. Il 10 maggio
una grande manifestazione popolare salutò il nuovo Sovrano al balcone del
Palazzo del Quirinale.
Il Re e la Regina apparvero più volte al balcone sul quale era stata
distesa per la prima volta, in luogo del tradizionale tappeto rosso, una grande
Bandiera con le stemma sabaudo.
Iniziava così il primo giorno di Regno dell'ultimo Re di Casa Savoia.
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