NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

martedì 7 agosto 2018

Michels e il partito politico

di Domenico De Napoli

Il 3 agosto del 1997 Mimmo De Napoli ci lasciava. Come ogni anno - con il permesso dell’amico Luigi Marucci amministratore della pagina e che ringrazio per questa iniziativa - voglio ricordarlo insieme a tutti gli amici di Monarchia Oggi. Ho pensato di riproporre un interessante articolo comparso sul numero di marzo aprile de “l’Altra Italia” del 1992. In quell’anno la rivista - fortemente voluta da Mimmo - giungeva al quarto anno di vita ed era diventata bimestrale. Nasceva inoltre un Comitato di Orientamento Culturale del quale come si diceva nell’editoriale “non possiamo che essere orgogliosi”. In effetti ne facevano parte tutti docenti universitari che si ritrovavano nei nostri comuni ideali. L’Altra Italia era diventata, a mano a mano, un salotto dove dibattere temi nazionali e internazionali con rigore scientifico. Purtroppo la morte improvvisa di Mimmo ci ha privato, in un momento difficile per il mondo monarchico, di un amico che non aveva paura di proporre obiettivi difficili ma indispensabili per la difesa del nostro mondo. L’argomento dell’articolo che vi propongo è tuttora attuale. Personalmente l’ho trovato molto interessante. Colgo l’occasione per rivolgere un appello a tutti voi amici. Se avete qualche foto, qualche ricordo di Mimmo, qualche suo intervento in vari convegni di studio, pubblicateli. Potrebbero essere utili per qualche iniziativa a favore dell’ideale monarchico. Buona lettura. W il RE!
Antonio Ratti

Articolo riportato sul gruppo Facebook "Monarchia Oggi" che il nostro amico Antonio Ratti ha voluto condividere anche sul nostro blog. E lo ringraziamo.
A dimostrazione dell'impegno culturale di un giovane monarchico prematuramente  scomparso, e conferma  che non siamo i parenti  poveri  della  cultura .

L'attualità della problematica michelsiana è fuori discussione. Partendo dalla constatazione che la società moderna è una società di organizzazioni e che l'organizzazione comporta una struttura oligarchica, Michels studiò le organizzazioni politiche volontarie e in special modo i partiti.

Perché proprio i partiti? Perché questi erano diventati, ai primi del novecento , i protagonisti della vita politica e perché si reputavano i portatori della volontà popolare. Ma iniziamo esaminando un problema abbozzato dal Mosca, studiato dal Pareto ed ampiamente trattato dal Michels, cioè il problema della stabilità e della mobilità della classe politica.
Nel suo saggio II concetto di conservare in politica (1), Michels concludeva constatando "la esistenza di una profonda nota conservatrice nella storia del genere umano" dovuta alla "rapida trasformazione di idee rivoluzionarie in idee conservatrici, non appena abbiano loro sorriso il successo".



"Non vi sono teorie statali distruggitrici senz'altro, e la anarchia considerata sub specie aetemitatis non può essere che un tramite tra due periodi conservatori" (2). D'altronde il sistema conservatore (inteso sia in senso politico come mantenimento dello status quo, sia in senso filosofico come attaccamento alle tradizioni: monarchia, religione, patria ecc.) potrebbe auto perpetuarsi solo se la classe politica consente un certo processo di circolazione e di rinnovamento nel suo ambito. "Una conservazione stabile porta quindi automaticamente a fluttuazioni nella stratificazione sociale. Né una società, né una classe sociale, ancorché la più ricca e potente, possono conservarsi in virtù delle sole forze immanenti. Nella storia i cambiamenti sono inevitabili; resta solo a sapere se provengono dall'alto o dal basso, se operanti inavvertitamente o clamorosamente"(3).

Quella del Michels è una sorta di conservatorismo dinamico, in cui la stabilità è consentita dal continuo processo di mobilità sociale. Le classi non sono rigide, né i loro appartenenti sono stabilmente legati ad esse,
anzi sono facilmente riscontrabili nella storia fenomeni di ascesa e di declino di classi sociali e di uomini. "Il processo di trasformazione delle classi non tollera leggi, non sottosta a norme psicologiche precisabili. Come l'operaio si imborghesisce? Come la borghesia si trasforma in aristocrazia? Come la nobiltà si modifica? Infinite cause contribuiscono a queste trasformazioni. Il sociologo non può che dimostrare l’esigenza di questo processo di composizione e decomposizione... Se una legge può trarsi, se una considerazione valida può aversi, piuttosto è necessario affermare che,  comunque, esiste un destino per tutte le classi: quelle povere ad essere comandate e quelle aristocratiche a comandare; le prime a soggiacere, comunque si illudano, e le seconde a tenere il timone sul mondo
sociale e politico’’(4). Ciò comporta che ogni società politica non può costruirsi senza definire una struttura gerarchica, e, d’altronde, una classe politica chiusa in sé non può detenere stabilmente il potere, ma deve essere in qualche modo permeabile alle nuove forze sociali che emergono.

La convinzione della mancanza di democraticità dei partiti politici e della impossibilità di instaurare, a livello statale, un'autentica democrazia, costituiscono il nucleo centrale della teoria michelsiana. "Il complesso di tendenze che impediscono una realizzazione della democrazia è difficile sceverare e catalogare in un’elencazione pedantesca. Ciò non di

meno noi riteniamo possibile compiere su basi induttive, un’analisi precisa, senza la minima pretesa di pervenire a risultati definitivi. Tali tendenze si rinvengono a) nell'essenza della natura umana; b) nella natura della lotta politica; c) nella naturadell'organizzazione. La democrazia porta all'oligarchia, diviene oligarchia. Assumendo questa tesi siamo ben lontani dal voler esprimere un giudizio di valore negativo nei confronti di qualsiasi partito al governo, o da voler avanzare una critica d’ordine morale"(5).

Secondo l'opinione comune l'avvento del sistema democratico è strettamente collegato con il raggiungimento di un certo stadio di civiltà.
Si osserva che nel tempo l’insieme dei diritti che inizialmente spettavano alla ristretta aliquota formante la classe dirigente, si è andato estendendo ad una massa sempre più vasta di uomini. Ma, osservava Michels, l'evoluzione della democrazia descri-ve una parabola discendente che è possibile misurare attraverso lo sviluppo dei suoi partiti politici. Col progredire delle organizzazioni viene a crearsi un apparato burocratico e gerarchico (che governa il partito) a cui si contrappone la massa degli iscritti "incompetente" e impossibilitata a partecipare a qualsiasi tipo di decisione.

“La legge sociologica fondamentale a cui i partiti politici vanno inesorabilmente soggetti, può, ridotta alla sua più breve esposizione, suonare all’incirca così: l’organizzazione è la madre del predominio degli eletti sugli elettori, dei mandatari sui mandanti’’(6). Una delle tendenze di fondo di qualsiasi partito in un regime democratico è quella di prospettare
la necessità di una maggiore partecipazione individuale alla vita politica attraverso una costante azione in funzione di controllo o d'intervento
diretto. Ma la burocratizzazione dei partiti ha reso poi praticamente impossibile l’attuazione di questo apostolato; sia per la obiettiva immaturità delle masse sia perché l’esigenza di organizzazione comporta la differenziazione di una casta di politici professionali.



Da ciò il Michels ne deduce l’esistenza di due leggi regolatrici dei rapporti tra gruppo dirigente e massa: a) la tendenza ideologica della democrazia verso il criticismo e il controllo; b) la controtendenza effettiva
della democrazia come creatrice di partiti sempre più complessi e sempre più differenziati; vale a dire sempre più basati sulla competenza di pochi. Ciò comporterebbe un rapporto inversamente proporzionale fra la tendenza all’organizzazione e la democraticità di un gruppo sociale. D’altra parte sembrerebbe inevitabile che un organismo ordinato ed efficiente si dia una struttura oligarchica. La conclusione, secondo Michels, non può che essere conseguente:"l’esistenza di capi è un fenomeno congenito a qualunque forma di vita sociale. Non incombe, quindi, alla scienza indagare se essa sia un male o un bene... Ha per, gran valore sia scientifico che pratico stabilire se ogni sistema di capi è incompatibile con i postulati della democrazia"(7).

Ma quali sono oggi i significati e i limiti del pensiero michelsiano? Giovanni Sartori,(8) uno dei maggiori studiosi contemporanei di scienza
politica, anzitutto riconosce l'interesse attuale dei problemi (l’organizzazione dei partiti politici, il rapporto classe dirigente massa ecc.) che indirizzarono la problematica dei Michels. Successivamente esamina alcune critiche alle diagnosi michelsiane. In primo luogo si parla di organizzazione e di oligarchia senza definire chiaramente il significato di questi due termini; è evidente che esistono molteplici tipi di organizzazioni diversamente strutturate, per le quali è generica l’equivoca formula di "sistema di capi".



In secondo luogo le osservazioni del Michels sul movimento socialista
in Germania e in Italia vengono generalizzate a tutti i partiti politici,
senza tenere conto che, nel particolare momento storico, il partito socialista non poteva costituire un campione rappresentativo. Infine è arbitrario partire dalla constatazione della antidemocraticità dei partiti e concludere che la democratica non democrazia. Secondo il Sartori alla prima obiezione si può replicare osservando che la legge di fondo di una qualsiasi organizzazione, cioè la sua tendenza oligarchica, non può essere smentita.

Alla seconda obiezione si può controbbattere constatando che i
moderni partiti di massa attraversano lo stesso stadio involutivo riscontrabile nella socialdemocrazia tedesca. Tuttavia, osserva il Sartori, facendo sua la terza obiezione: Michels cercava la democrazia dentro le organizzazioni. "Ma come trovarla? Organizzare è appunto articolare un vasto
organismo secondo strutture rigide eprecisi livelli gerarchici... il discorso si apre esattamente dove Michels lo chiude. Invece di guardare all'interno
di una organizzazione osserviamo i rapporti tra le singole organizzazioni
in concorrenza”.(9) La critica del Sartori nulla toglie, per, alla sostanza
della teoria michelsiana: in uno Stato moderno i partiti costituiscono la fucina della classe politica ed assurgono a centri di potere socio-economico, quindi evidente il rapporto di connessione tra la loro democraticità
e la democraticità dello Stato. Quanto poi al potere di controllo e di scelta tra le diverse oligarchie partitiche (circostanza che garantirebbe secondo il Sartori, l’effettiva sostanza della democrazia) possiamo osservare che
tale facoltà è più teorica che reale.



Essa presuppone la capacità e la possibilità di un’analisi selettiva da parte
di tutti gli uomini, ma non tiene evidentemente conto che l’uso ad esempio di strumenti di coercizione psicologica, quali i mezzi di comunicazione di massa, può rendere puramente ipotetica la "influenza della maggioranza".




(1) Cfr. Michels, Il concetto di conservare in politica, in “Studi sull'autorità e sulla democrazia”, Firenze 1933.

(2) R. Michels, op. cit., pag. 91.

(3) Ibidem   pag. 84.
(4) Curcio, L’opera politica di R. Michels, in "Studi in memoria di Roberto Michels", Annali della facoltà di giurisprudenza della R. Università degli Studi di Perugia, Padova 1938, pagg. 20-21.

(5) R. Michels, La sociologia del partito politico nella democrazia moderna, Torino 1917, pagg. 497-498.

(6) R. Michels, “La sociologia ....cit., pag. 450.

(7) Ibidem.

(8) Sartori, "Democrazia e definizione", Bologna 1969.

(9) Ibidem.


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