NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 24 agosto 2018

Le colpe di uno Stato incapace di controllare

di Salvatore Sfrecola

La tragedia di Genova insegna che le responsabilità del concessionario non assolvono chi ha operato per far perdere efficienza e prestigio alla pubblica amministrazione: pesa anche la cattiva politica che non dà direttive e non sa scegliere i collaboratori

Ci  voleva la tragedia di Genova, ultima in ordine  di tempo tra i crolli di ponti e viadotti, le frane e le esondazioni che periodicamente costituiscono l’emergenza di questo Paese, che spende per tali eventi più, molto più di quanto avrebbe dovuto impegnare per la prevenzione ed i controlli, perché qualcuno si soffermi sulla realtà dell’amministrazione pubblica ormai  inadeguata, da rifondare . Non che manchino eccellenze e strutture adeguate in ogni settore, ma è evidente che l’Amministrazione nei suo complesso è molto lontana da quella che l’Italia aveva conosciuto in passato. Basta riandare un po’ alla storia per rilevare come siano venuti meno professionalità e presidi che un tempo erano il fiore all’occhiello dello Stato e degli enti, territoriali e istituzionali.
Per non sembrare un laudator temporis acti riprendo quanto ha scritto pochi giorni fa, il 18 agosto, su Facebook, il professor Guido Melis, noto storico delle istituzioni il quale ha ricordato che «c’era una volta il Genio civile. Dopo l’unità, nell’Ottocento, fece letteralmente l’Italia, costruendo strade, ponti, edifici pubblici. Li progettava, li realizzava, li manuteneva. Aveva il corpo di ingegneri civili più prestigioso d’Italia. Poi lo Stato si espanse.
Le opere si fecero più numerose e costose. Allora si fece ricorso alle imprese  private. Si stipularono contratti d’appalto. Il Genio civile, amministrazione dello Stato, adesso per lo più vigilava. Il verbo vigilare è un verbo ambìguo. Allora significava conoscere i progetti delle imprese, seguirne l’esecuzione, controllarne nel tempo la manutenzione. L’occhio dello Stato funzionava. Corpi scelti di ispettori, dotati di elevate capacità tecniche, vedevano e provvedevano. Era cosi con Giolitti e fu così col fascismo.Un ingegnere del Genio in provincia era un’autorità. E cosi il capo dell'ufficio tecnico erariale, l’intendente di finanza, il prefetto. Ogni autorità nel suo settore agiva con ampi poteri di vigilanza. Nel secondo dopoguerra questo sistema saltò».
La citazione è lunga ma essenziale e dice con l’autorevolezza del cattedratico cose che ho sempre detto e scritto io sulla base dell’esperienza maturata nella magistratura contabile, nel controllo e nella giurisdizione di responsabilità, un osservatorio prezioso delle amministrazioni statali, regionali e degli enti locali.
Aggiungo quanto ho appreso leggendo ed osservando nell’esercizio di collaborazioni con alcuni ministri, in specie  ai Lavori pubblici, ai Trasporti e alla Marina mercantile, funzioni oggi confluite in un unico ministero «delle infrastrutture», Ho trovato ovunque funzionari di elevata professionalità e di alto senso dello Stato ma anche molte scartine, persone incapaci di aggiornarsi, di studiare e di assumersi delle  responsabilità.
Nei primi anni Novanta, in chiusura di un convegno a Perugia, promosso dalla Regione dell'Umbria sul tema della gestione del patrimonio, l’allora ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, facendo riferimento ad un mio intervento sul tema della responsabilità dei pubblici funzionari per danno all’Erario, disse che molti suoi funzionari si sarebbero fatti tagliare le mani piuttosto che firmare e assumersi una responsabilità. Replicai che avevo visto sotto processo soltanto incapaci o disonesti. Ma quella del ministro era comunque un a parte della realtà, una convinzione ampiamente condivisa tra i burocrati, certamente tra i meno preparati.
L’altra parte va individuata nella cattiva politica, quella che non è capace di dare direttive alla struttura e di scegliere i collaboratori. La politica che ha riempito i ministeri di incaricati di funzioni dirigenziali provenienti dall’area politica del ministro, persone spesso senza arte né parte, arroganti quanto incapaci, soprattutto di dirigere e coordinare i propri collaboratori.
La norma dice di incarichi da conferire «a persone di particolare specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria , da pubblicazioni scientifiche e da concrete esperienze di lavoro maturate per almeno un quinquennio, anche presso amministrazioni statali, ivi comprese quelle che conferiscono gli incarichi...». Letta così sembra una cosa importante. Ma il linguaggio ampolloso nasconde una realtà diversa, quella che ha consentito di riempire gli uffici di affiliati ai partiti, tratti da centri studi e da sezioni dove sono parcheggiati i portaborse. E, ancor più grave è stato l’incarico di funzioni dirigenziali a dipendenti pubblici che non sono riusciti a vincere un concorso da dirigente.
Nel 2001 a Palazzo Chigi c'era Giuliano Amato ed alla Funzione pubblica Franco Bassanini che quell’incarico aveva ricoperto anche nel precedente governo di Massimo D’Alema. Naturalmente ne hanno approfittato tutti i governi, a cominciare da Silvio Berlusconi e Matteo Renzi.
In queste condizioni la pubblica amministrazione italiana ha perduto le capacità operative e progettuali e anche quelle di vigilanza e controllo  che sarebbe stato necessario potenziare progressivamente a mano a mano che si procedeva nelle privatizzazioni, perché il passaggio di  attività imprenditoriali a privati, come la gestione della rete autostradale, avrebbe dovuto essere accompagnata da uno sviluppo delle capacità di monitoraggio delle gestioni, sia dal punto di vista giuridico ed economico che da quello tecnico. È evidente che, perse le capacità tecniche che in passato avevano distinto il ministero dei Lavori pubblici, la cultura del vigilare si è sviluppata secondo modelli di verifica formale successiva, sulle carte anziché sul posto, sur place, come fa la Corte dei conti europea, attuando una sorta di controllo fideistico avente ad oggetto le attestazioni del concessionario. Insomma, facciamo a fidarci. 
Una annotazione finale. Perduta la cultura scientifica che aveva caratterizzato il vecchio Genio civile, anche gli ingegneri sono diventati dei burocrati dediti solamente al controllo delle carte, in una condizione, quindi, che non consente loro di interloquire da pari a pari con i concessionari i quali affidano le loro relazioni ad illustri cattedratici.
«Lei pensa che io potrei contestare quanto scrive il mio professore, quello che mi ha insegnato all’università?», mi sono sentito dire più volte ad ogni contestazione quando la vigilanza ed i controlli non apparivano sufficientemente approfonditi. Come a Genova, dove sarà presto chiaro che le evidenti responsabilità del concessionario non potranno assolvere lo Stato che, si scoprirà, avrebbe dovuto controllare e non accettare ciecamente le relazioni tecniche dell’appaltatore, anche quando sottoscritte dal maestro dell’ingegnere di turno.

Con un’amministrazione priva di corpi tecnici adeguati alle esigenze è facile per politici sensibili alle sirene dell’imprenditoria nazionale e locale aderire alle richieste dei concessionari desiderosi di avere mano libera nella prospettiva di maggiori guadagni. Di queste scelte si accusa oggi il governo Berlusconi. Siamo nel 2008, ma è anche vero che ripetutamente il senatore Lucio Malan, di Forza Italia, ha interrogato invano i ministri delle Infrastrutture responsabili della proroga delle concessioni, segnalando l’evidente contrasto di quelle decisioni con le regole europee della concorrenza.

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