di Domenico Giglio
Alla vigilia della proclamazione
del Regno d’Italia, in tutti quelli che erano gli stati preunitari i servizi postali
avevano adottato per la corrispondenza l’affrancatura in partenza tramite i francobolli,
(sistema inventato in Gran Bretagna nel 1840), a partire nel 1850,per primo il Lombardo-Veneto,
seguito dal regno di Sardegna nel 1851 e poi dalla Toscana, Modena, Parma e Stato
Pontificio nel 1852 e per ultimi Napoli nel 1858 e la Sicilia nel 1859. I criteri
di affrancatura erano naturalmente diversi e così i valori nella diverse monete,
fiorini nella Lombardia, ducati nelle Due Sicilie, scudi nello Stato Pontificio,
lire nel Regno di Sardegna, Modena, Parma e Toscana, dove in questi ultimi tre stati,
più le Romagne, erano stati emessi, dopo la seconda guerra d’indipendenza del 1859,
dai governi provvisori costituitisi in attesa della unificazione, francobolli aventi
per soggetto lo scudo sabaudo per Modena e Toscana, e la scritta Stati Parmensi
e Romagne, che si aggiungevano a quelli già in corso. Nelle Province Napoletane,
dopo la caduta della dinastia borbonica, erano stati emessi francobolli con l’effige
di Vittorio Emanuele II,ma ancora con il valore in moneta locale,cioè tornesi e
grana,che erano la suddivisione dei ducati.
Di fronte a questa babele di
rettangolini postali anche qui lo Stato Unitario dovette intervenire fin dal 1860,prima
della proclazione del Regno,con due Decreti Luogotenenziali uno per tutte le province
del centro nord e l’altro per quelle meridionali in cui si impostava l’amministrazione
postale con le sue divisioni operative, ed infine con una Legge Quadro del 5
maggio 1862 n. 604,con il relativo Regolamento di Esecuzione, Direttore Generale
il conte Giovanni Barbavara, che già Cavour con la consueta lungimiranza aveva fin
dal 1859, aveva messo a capo dell’amministrazione postale piemontese. L’effetto
dell’unificazione si vide subito nell’aumento della corrispondenza,
testimoniato dalla vendita dei francobolli che passò da un dato stimato del 1861
di 22.233.500 pezzi, ai 33.437.516 del 1862 e 40.575.914 del 1863. Anche gli uffici
postali che nel marzo 1861 assommavano a 1632 dopo tre anni erano saliti 2220,
per arrivare nel 1871 a 2666,aumento avutosi particolarmente nel Mezzogiorno, a
dimostrazione dello sforzo economico compiuto per dotare di servizi,comprese strade
e ferrovie, il maggio numero di comuni. Per la posta la strada da compiere era particolarmente
lunga perché i comuni,dopo anche il ricongiungimento di Lazio e Veneto erano
oltre ottomila, per cui si ricorse alla figura del “Collettore Rurale”, con il quale
si poterono raggiungere altre 3867 località, e con la crescita costante degli uffici
si poteva, nel cinquantesimo del Regno dire che gli stessi erano 8422.
Con la posta via via aumentavano
anche i servizi telegrafici, i vaglia postali,che ad esempio nel Meridione, nel
giro di sei mesi del 1861, giugno-ottobre, passarono, come emissione, da 2217 a
16321, mentre Torino ne emetteva 43002! E sempre per il servizio vaglia ci si attiva
dal 1867 anche all’estero, grazie al servizio consolare, diffuso e abbastanza capillare,come
solo uno stato di medie dimensioni poteva sostenere, facilitando e garantendo le
rimesse degli emigrati. E ancora nel 1876 le Poste Italiane cominceranno ad operare
in ben 607 uffici postali, come Casse di Risparmio, per consentire anche ai ceti
più poveri ed agli abitanti delle aree più disagiate di iniziare una modesta azione
di risparmio “....sotto la guarentigia dello Stato …” ed infine dal 1 ottobre 1881
le poste si assumono il servizio dei pacchi postali, per non parlare di tutta una
serie di novità per facilitare la corrispondenza, dalle Cartoline Postali, a quelle
con “risposta pagata”, ai biglietti ed alle buste predisposte, anche di carattere
pubblicitario, senza dubbio per aumentare gli incassi,ma anche per valorizzare e
far conoscere i prodotti ed incrementare e diffondere il commercio.
Le Poste con tutti i servizi
svolti e con i francobolli specifici per i servizi stessi hanno costituito con le
Ferrovie e l’ente delle strade, i pilastri dell’edificio statale che ha resistito
a tutte le bufere, prima della attuale disgregazione.
Domenico Giglio
Nessun commento:
Posta un commento