L’evento suscitò interesse tale da meritare
una tavola di Achille Beltrame nella prima copertina a colori de «La
Domenica del Corriere», che, all’epoca, era il settimanale più popolare e
diffuso d’Italia.
Non era il punto di partenza del programma di
emancipazione della donna italiana; l’avvio era di molto precedente e risaliva
alle origini del nostro Risorgimento nazionale; e, sin dai primi passi, il
processo aveva ricercato il criterio della solidarietà tra le classi sociali
che del Risorgimento fu il principio informatore.

L’esperienza felice contratta a Burano
incoraggiò la nascita di iniziative analoghe e, nel volgere di pochissimi anni,
nelle zone più povere del Paese, che recava ancora i segni dell’arretramento
dovuto alla più che millenaria divisione ed alla dominazione straniera, sorsero
una sessantina di scuole che divennero fulcro di produzione, di crescita
sociale e di emancipazione della donna. A far comprendere l’importanza di quel
processo, è sufficiente riportare alcuni passi di una cronaca pubblicata su un
periodico del 1908: «Nell’Isola Maggiore nel Lago Trasimeno, 200
persone vivevano di fame e di miseria, in uno stato di primitività che
raccontavano come un gran fatto di essere andati a riva e di aver venduto un
cavallo! Gli uomini pescavano, ma le donne non facevano nulla perché l’isola è
così piccola che non c’è modo di lavorare nei campi o di far la pastorizia,
quando la marchesa Guglielmi introdusse nell’isoletta il lavoro ad uncinetto…
la marchesa fornisce la materia prima, i modelli e paga immediatamente
all’operaia il lavoro che essa le porta… e sono più di 80 le donne che ora
lavorano e dal loro lavoro il paese è stato completamente trasformato: case
riattate, un maestro chiamato a far scuola, in ogni casa un libretto della
Cassa di risparmio e, particolarità non trascurabile, i pescatori, quando non
vanno a pesca, compiono essi le faccende domestiche, perché le donne non si
insudicino le mani ed abbiano più tempo per dedicarsi a questo lavoro
miracolosamente redditivo».

Iniziative di questo tipo vennero promosse in
tutte le regioni italiane; a stimolarle ovunque dame dell’aristocrazia, che,
all’epoca, si rendeva conto dell’importanza di farsi promotrice di solidarietà
sociale, come strumento di compattezza nazionale, a correzione di divisioni
storiche che avevano favorito l’altrui dominio in casa nostra. Si realizzava,
insomma, una sorta di recupero dello spirito e dell’ammonimento dell’«apologo
di Menenio Agrippa», attraverso il quale a scuola cercavano di spiegarci
che una società è forte solo quando ciascuna persona e ciascuna classe si rende
conto della funzione degli altri e sente il valore della complementarità.
Le attività produttive vennero canalizzate,
appunto, nella «Industrie femminili italiane», che realizzarono in
ogni regione italiana centri di raccolta dei prodotti e punti di vendita oltre
che in tutta Italia, anche A Bruxelles, Parigi, Londra, Liegi, New York ed in
diverse altre città estere. La «Industrie femminili italiane»,
concepita sin dal 1892, venne costituita il 22 maggio 1903, in forma di società
per azioni, con azioni da 100 lire ciascuna; e Vittorio Emanuele III e la
regina Elena sottoscrissero il massimo delle azioni
Non vennero avviate soltanto attività
produttive, ma anche scuole per stimolare un vero e proprio processo di
emancipazione.
Raccolgo frammenti di notizie da una serie di
cronache dell’epoca, nella fiducia che siano sufficienti a far comprendere le
proporzioni di quel movimento di grande valore morale, prima ancora che
economico.
«A Pischiello in Umbria, nella
scuola fondata dalla marchesa Ranieri di Sorbello, ogni donna guadagna dalle
200 alle 300 lire ogni anno (la retribuzione di 100 giornate di operaio); è una
ricchezza inimmaginabile per queste povere campagnuole che vivevano in un
paesino di montagna lontano cinque ore da un paese civile… Foppolo è un paese
di 2000 abitanti situato sopra una collina, distante quattro chilometri
dalla strada carrozzabile e non accessibile che a cavallo per una mulattiera
che attraversa campi e burroni… Nel 1903, la signora Emmellina De Renzis, creò
una piccola scuola per dare occupazione e guadagno alle ragazze del luogo e
trarle fuori da questo stato di ignavia e di incuria… ed ha potuto in breve
tempo conseguire risultati meravigliosi… specialità della scuola sono i ricami
in filo colorato su tela eseguiti in punto italiano antico, punto a croce,
riquadrato senza rovescio, punto corsivo, punto greco, riprodotti per la
maggior parte da antichi disegni italiani. Dapprincipio le ragazze erano sei,
adesso si avvicinano all’ottantina e han dovuto essere trasportate in una casa
all’uopo e la loro produzione è molto ricercata… Analoga è la storia della
scuola di Casamassella nelle Puglie, fondata dalla contessa Carolina Starace de
Viti de Marco…una scuola che non fa distinzione di classe né di provenienza e
che ha raggiunto rapidamente le 500 alunne, che guadagnano in media fino a lire
1,50 il giorno (quasi la paga di un operaio qualificato) ed eseguiscono
mirabili ricami in punto a reticello, punto in aria, punto avorio… Le donne di
Casalguidi si vantano di guadagnare come i muratori, che sono gli artieri
meglio pagati del paese…nella Valvogna perfino l’emigrazione è diminuita».
E gli esempi potrebbero proseguire a lungo;
la conclusione? «Sono già 56 le scuole delle Industrie femminili sparse
per tutta l’Italia e fiorentissime; il segreto del loro incremento sta nel
fatto che le dame che hanno preso questa iniziativa si sono preoccupate non
solo di mettere nelle mani di queste donne il lavoro, ma un lavoro tale che,
per la sua originalità artistica e praticità e bellezza, potesse, al di fuori
di ogni protezione e raccomandazione, avere un valore in sé ed essere una
risorsa durevole, e non accidentale e momentanea per la popolazione che l’aveva
adottata».
La «Industrie femminili italiane» non furono
che un tassello in un mosaico molto articolato nel processo di emancipazione
della donna italiana; crebbe anche l’impegno ad un ruolo adeguato della donna
nella cultura; crebbe il numero delle donne nella letteratura, nella musica,
nelle professioni intellettuali; per il momento, mi limito a rammentare l’«Esposizione
internazionale femminile di belle arti» organizzate a Torino nel 1913
dalla rivista «La donna», sotto l’alto patronato della regina Elena
e della principessa Laetizia di Savoia Napoleone.
Il momento conclusivo di quel processo che
ebbe il carattere della evoluzione virtuosa fu l’organizzazione a Roma
del «Congresso internazionale delle organizzazioni femminili», l’«Internationale
Council Woman» (I.C.W.); il congresso venne inaugurato il 16
maggio in Campidoglio, nella sala degli «Orazi e Curiazi», e durò
sette giorni; vi presero parte le rappresentanti delle organizzazioni femminili
di 24 Stati; tra le relatrici italiane, vi furono la contessa Camozzi, la
marchesa Lucifero, la contessa Spalletti Rasponi, la signora Dora Melegari;
tutte le congressiste vennero ricevute a «Villa Margherita», attuale sede
dell’Ambasciata Usa, dalla regina madre ed ebbero incoraggiamento da Vittorio
Emanuele III e dalla regina Elena.
Una cronaca dell’epoca, ci fa sapere
che «ognuna delle relazioni mise in rilievo una data lacuna, una data
inferiorità nelle condizioni attuali della donna; giacché nobile caratteristica
di questo convegno promosso dalle signore italiane fu di occuparsi della sorte
delle donne e del fanciullo nelle classi meno colte e meno protette… venne
trattato il tema della tutela delle donne emigranti… altri capisaldi del
Congresso furono il riconoscimento dell’importanza sociale del bambino, il
lavoro a domicilio, la lotta contro l’alcoolismo, il pauperismo, la morale
unica per i due sessi, l’igiene femminile, l’igiene delle abitazioni, il
miglioramento della razza umana. Un po’ di effervescenza produsse la contessa
di Robilant quando sostenne, appoggiando il suo dire sui risultati di una
minuziosa inchiesta, che il guadagno economico della donna che lavora in casa
sia spesso maggiore del guadagno-salario della donna che lavora fuori casa; e
la marchesa Lucifero presentò in seduta plenaria la proposta di introdurre una
leva femminile per i servizi d’assistenza sociale».

Nella fotografie, un gruppo di partecipanti
al primo Congresso femminile internazionale tenutosi a Roma; un francobollo
emesso per raccogliere finanziamenti per le industrie femminili: la sede della
«Industrie femminili italiane».
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