NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

mercoledì 1 aprile 2020

I nove mesi del 1943 -1944


Il prezioso ricordo del Presidente Giglio


Gli articoli di questi giorni dove per la triste vicenda del “corona virus”, si parla di un evento al livello o come talvolta scritto, “E’ peggio di una guerra”, ha aperto il vaso di Pandora dei miei ricordi, dalla sera del 25 luglio del 1943 al successivo 4 giugno 1944. Credo che la mia iniziazione politica sia avvenuta quella sera alle 22.48, quando, ormai più che decenne, incaricato da mio padre di ascoltare il segnale dell’ultimo giornale radio e di avvertirlo, ascoltai la notizia delle dimissioni di Mussolini e della nomina, da parte del Re Vittorio Emanuele III, del Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio a capo del nuovo governo. Appena finita la trasmissione iniziarono gli squilli del telefono. La mia nonna materna, nonna Bianca, che abitava a via Modena 5, ci dava notizia della folla che usciva di casa con le bandiere tricolori “scudate”, dirigendosi verso il Quirinale gridando “Viva il Re” e poi dei carissimi amici di famiglia, i Porporati, abitanti a via Bruxelles 55, proprio di fronte all’ingresso della villa di Badoglio, che ci dicevano della gente che stava affluendo nella via e ci invitavano ad andare da loro. Ricordo la prima nostra risposta negativa perché stavamo apprestandoci ad andare a letto, ma di fronte alle loro insistenze ci rivestimmo ed uscimmo. Il percorso da via Mercalli dove abitavamo (ed abitiamo), a via Bruxelles fu fatto a passo svelto, perché incominciava a far freddo, essendo ormai mezzanotte e mentre camminavamo vedevamo persone alle finestre, sui balconi che vociavano, gridavano “Evviva” e molti buttavano dall’alto ( è testuale e quando lo scrissi anni or sono ci furono dei nostalgici ad offendersi), i distintivi del PNF ed i medaglioni dei Balilla, che cadendo sull’asfalto venivano calpestati spesso volontariamente. Arrivammo a via Bruxelles rigurgitante di persone, con interi nuclei familiari, che aspettavano il ritorno del Maresciallo non stancandosi di gridare “Viva Badoglio, viva il Re”, accalcandosi verso il cancello, per cui risuonò secca una voce “Carabinieri del Re, fate arretrare la folla”, mentre noi eravamo sul balcone con gli amici, dopo esserci abbracciati e baciati. Poi venne la voce veritiera che quella notte Badoglio non sarebbe rientrato per cui alle due passate cominciammo a defluire. Così poi mio Padre più tardi mi spiegò il significato degli avvenimenti, come poi la sera dell’8 settembre mi spiegò chiaramente il significato delle ultime parole del messaggio radio di Badoglio annunciante l’armistizio sul dover respingere attacchi provenienti da parti diverse, cioè i tedeschi. Questo che apparve così chiaro a mio padre, volontario di guerra dal 1917, prima che chiamassero la famosa “classe 1899”, la sua classe, poi sottotenentino d’artiglieria sul Monte Grappa ( Monte Grappa tu sei la mia patria, sei la stella che additi il cammino……), che poi ingegnere civile pur non avendo più rivestita l’uniforme, era rimasto nell’anima un soldato fedele al giuramento, non fu invece chiaro nella mente di tanti militari in servizio che non capirono cosa dovevano fare ! Iniziarono così, dopo la breve e significativa resistenza dei granatieri a Porta San Paolo, i famosi nove mesi della occupazione tedesca, ma nei giorni immediatamente successivi all’8 settembre, avvenne un fatto vicino alla nostra abitazione che ricordo e voglio raccontare. Il nostro appartamento ha un balcone che si affaccia sulla via Giovanni Antonelli, per cui, data anche la stagione vi stavo spesso a leggere o a giuocare, quando vidi salire da via Ponzi diversa gente con pacchi. Meravigliato chiamai mia madre (mio padre era nel suo ufficio, a via Mazzarino, al settore Beni Immobili della Banca d’Italia) che pregò il portiere di informarsi. Detto fatto il portiere disse che a via Manfredi era stato scoperto un magazzino di generi alimentari dell’esercito germanico ed apertolo gli abitanti della zona stavano svuotandolo, per cui mia madre, io ero al suo fianco, esclamò “ma questo è rubare”, al che un condomino il conte Agostino Sacconi, ingegnere ed Esente delle Guardie Nobili di Sua Santità, ( corpo militare vaticano poi sciolto), che tornava carico di roba, contravvenendo al galateo, disse “Signora, con quello che ci hanno fatto i tedeschi ( e non sapevamo quello che ci avrebbero fatto !), Lei si fa scrupolo di queste cose!”. Così anche mia nonna paterna, nonna Giulia, mandò a prendere qualcosa (era rimasto poco o niente e nessuno si era accorto perché il locale era buio che appesi al soffitto vi erano anche salumi) e la cameriera (colf) ritornò con delle boatte che contenevano pane di segale. Meglio di niente visto qual era il pane, poco, che si prendeva con la “tessera”, e che messo sul fuoco, invece di abbrustolirsi, bruciava come fosse fatto di segatura!

Ad ottobre ricominciarono normalmente le lezioni ed io che studiavo al “ Massimo” (seconda Media), girando per i meandri dell’Istituto, oggi Museo, incontravo dei giovani con la tonaca, che cercavano di sfuggire, e che non avevo mai visto prima, e non capivo chi fossero, ebbi la risposta all’indomani della Liberazione quando gli stessi scomparvero. Erano giovani renitenti ai bandi di chiamata di Graziani che avevano trovato rifugio nell’Istituto (forse ex alunni o simili) per sfuggire alle conseguenze del loro rifiuto (non fecero per viltà il gran rifiuto). Trascorsero i mesi, l’inverno passò senza riscaldamento (allora era a carbone), la corrente elettrica mancava e le candele si esaurirono ben presto, ricorremmo all’acetilene ed al petrolio, anch’esso introvabile, di cui in casa avevamo vecchi lumi, fino ad allora considerati oggetti di antiquariato, e soprattutto scarseggiava il cibo, specie dopo l’infelice sbarco americano di Anzio ( i generali inetti o incompetenti esistono in tutti gli eserciti !). C’era il timore delle “retate” tedesche, specie per chi, come mio padre e mio nonno materno, nonno Spartaco, dovevano andare a lavorare attraversando tutta Roma per cui attendevamo con ansia il loro ritorno a casa ed ogni loro ritardo ci faceva venire i brividi ( i cellulari non esistevano !). Intanto ero diventato l’esperto della radio, una Phonola, per cui avevo individuato “Radio Bari” e potei ascoltare i messaggi del Re Vittorio Emanuele III, ed i notiziari, di cui uno specialmente “L’Italia combatte“, che dava notizia dell’attività del ricostituito Regio Esercito e dell’attività dei primi gruppi di “patrioti”, non partigiani, termine venuto ingiustamente dopo ed ormai purtroppo acquisito, che operavano nelle zone soggette al governo ed alla occupazione germanica! Ci vedevamo con alcuni amici che abitavano vicini, Arminio Conte, figlio di un Colonnello dei Bersaglieri, e Vanni Beltrami, orfano di un giovane brillante Generale della Regia Aeronautica, Aiutante di Campo del Sovrano, mancato anni prima in un incidente aereo, scambiandoci le visite e così potei assistere, da un terrazzo sulla Piazza Santiago del Cile, il tardo pomeriggio del 4 giugno, all’esodo abbastanza non ordinato di reparti tedeschi che abbandonavano Roma, dove, dalla parte opposta della città entravano le truppe americane! Ed allora, come il 25 luglio, il popolo romano si riversò plaudente per le strade e quando qualche giorno dopo ricomparvero i Reali Carabinieri, che avevano pagato nella Resistenza ed alle Fosse Ardeatine un pesante contributo di sangue, ed un reparto di bersaglieri che passando per via Venti Settembre (io c’ero), riprendevano il servizio al Quirinale, dove era arrivato il Principe Umberto, quale Luogotenente Generale del Re, gli applausi e i baci dalla folla furono superiori a quelli per i “liberatori” ! Et de hoc satis !

Domenico Giglio

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