di Emilio del Bel Belluz
Il 6 aprile saranno sessant’anni dalla morte del grande giornalista italiano, Orio Vergani.
Il 6 aprile saranno sessant’anni dalla morte del grande giornalista italiano, Orio Vergani.
Non so quanti
lo ricorderanno, ma nel mio cuore c’è sempre stato posto per lui, perché mi ha
insegnato la tenacia che si deve usare nella vita per fare quello che amiamo.
Da anni leggo i suoi libri e tutto quello che
mi capita tra le mani che lo riguardi.
In questi giorni ho trovato un articolo pubblicato sul settimanale - Oggi
- degli anni cinquanta, di Luigi Cavicchioli, che narra alcuni episodi della
vita di Vergani, fino a dieci anni prima che ci lasciasse.
Mi piacerebbe
leggerlo a quei ragazzi che decidono di scegliere la strada per il loro futuro,
ma temono di non avere le capacità per portare a termine quel percorso.
Orio
Vergani rimase orfano e il prozio Vittorio Podrecca gli disse che si sarebbe occupato di lui.
Abitava a Chioggia, e il giovane dovette lasciare la mamma e la sorella a Roma
per raggiungerlo. Il prozio gli disse che da quel momento avrebbe provveduto alla
sua educazione e alla sua preparazione scolastica.
“Così Vergani trascorse, a Chioggia prima,
poi in Toscana, e infine a Colorno, la sua fanciullezza. Per rifarsi
dell’austerità e intransigenza pedagogica di quel suo magnifico maestro e
tutore, a tredici, quattordici anni, con la sua stessa avidità con la quale i
suoi coetanei leggevano Salgari, cominciò a leggere di nascosto dallo zio, le
notizie politiche, e l’andamento della borsa sulla Tribuna, le novelle
d’amore e di morte sul Secolo XX. Si
procurava i giornali rubandoli dai tavolini del caffè, o chiedendoli
sfacciatamente ai passanti. Mai e poi
mai lo zio gli avrebbe permesso di acquistare quei fogli pieni di
orribile prosa. A sedici anni Orio spedì un racconto, scritto su fogli di
quaderno, al direttore del Secolo XX.
Il racconto fu pubblicato, lodato,
compensato con sessanta lire, somma favolosa in quei tempi. Ciononostante
Podrecca si infuriò, o finse, ma in ogni caso fece scrivere al nipote e
discepolo, su un bel quaderno pulito, per ben duecento volte, la frase: “Io
sono un somaro; prima devo studiare i classici, poi potrò darmi arie da scrittore”. Lo zio gli aveva
imposto, inoltre, di rivolgersi a lui sempre in latino, e questa regola non
doveva mai essere derogata. Dopo aver imparato il latino, si sarebbe potuto
rivolgere a lui, in italiano. Questo metodo educativo, oggi, sarebbe
impensabile, ma anche le imposizioni più dure possono portare dei frutti.
Emilio del Bel Belluz |
Orio
Vergani, dopo questo episodio, fu mandato a Firenze a lavare i panni in
Arno. Leonardo Sciascia in un suo
scritto disse: “ Interpretare il nostro destino dovrebbe condurci alle soglie
della felicità. Ma forse vi sono due tipi di felicità: per i cuori comuni, e
per i grandi cuori. Qualcuno ha detto: “ La felicità è conoscere i propri
limiti e amarli “. La sua vita prese una svolta e si accorse subito che la sua
strada era quella dello scrittore, e aggiungo uno scrittore nato con la penna
in mano. Al posto del latte materno Vergani fu nutrito dall’inchiostro di una
stilografica che fu usata per farlo diventare un grande. La determinazione con
la quale Vergani affrontò, in seguito, il mondo del giornalismo è da far
conoscere. “ Ma il fascino che i giornali avevano sempre esercitato su di lui,
cominciò a diventare irresistibile. Poiché nessun direttore lo voleva assumere
come giornalista, un bel giorno Vergani vent’enne o poco più, avendo saputo che
L’ Idea Nazionale cercava un abile stenografo, si presentò e offrì la sua
opera, assicurando che, come stenografo non ce n’era uno migliore in tutta
Roma.
Gli credettero e lo assunsero. Viceversa non sapeva nemmeno di preciso
cosa fosse la stenografia. La prima sera, nella cabina di ricezione, si sentì
perduto. Dall’altra parte del filo telefonico un lontano corrispondente
dettava, a velocità pazzesca, una notizia su un fatto di sangue accaduto nella
sua città. Orio riuscì a prendere solo due o tre appunti miseri miseri, e alla
fine la situazione gli apparve disperata. Ma poi, con uno sforzo di volontà, si
riprese; grazie alla sua buona memoria riuscì a scrivere di sana pianta un
lunghissimo articolo sensazionale sulla traccia di ciò che il corrispondente
gli aveva detto, ma aggiungendo molto di suo. Quindi, con la morte nel cuore,
portò il pezzo al redattore capo, comunicandogli che era quanto aveva
telefonato il corrispondente, non una parola di più né una di meno.
L’articolo
fu pubblicato con molto rilievo e il giorno dopo fu spedita al corrispondente
una lettera di elogio per il suo magnifico, impressionante servizio. Per quasi
un mese lo stenografo Vergani, sfacchinando come un negro, scrisse lui tutti
gli articoli dei corrispondenti, dopo aver ascoltato con attenzione la
dettatura. Il direttore si meravigliava moltissimo, per quell'improvvisa
fioritura di bravissimi corrispondenti, là dove prima erano meno che mediocri e
pressoché analfabeti, ma continuava a spedire lettere di elogio e premi
straordinari.
Quando il trucco fu scoperto il direttore del giornale si
infuriò, fece chiamare Vergani, gli
diede un tremendo cicchetto, minacciò di cacciarlo, di denunciarlo per frode;
poi, appena si fu calmato, lo nominò redattore “. Da quel momento la vita dello
scrittore divenne una strada che lo portò in alto. Nei giornali in cui scrisse,
divenne subito famoso, ma non so se per quegli articoli che scriveva, avesse
avuto l’approvazione dello zio, quello stesso zio che voleva che scrivesse
sempre in latino.
Aveva una grande capacità nello scrivere e una straordinaria
memoria, si metteva al tavolo con una carta e una penna, e l’immancabile
sigaretta in bocca e vergava pagine e
pagine. La sorte lo aiutò, perché un suo articolo fu letto e apprezzato dalla
moglie di Ugo Oietti, allora direttore del – Corriere della sera - che propose
al marito l’assunzione di questo giornalista. Venne perciò assunto nel
prestigioso giornale.
Quando il direttore gli chiese quale vorrebbe fosse stato
il suo primo articolo, Vergani rispose che desiderava essere inviato ad
assistere il match per il titolo
mondiale tra il campione del mondo Primo Carnera e lo sfidante, il basco Paulino
Uzcudum. Nel match il grande Carnera vinse, alla fine, fece il saluto romano e
il fascismo lo incoronò ancora una volta come il più grande. Il duce visse una
della più belle giornate. Vergani al Corriere della Sera vi rimase molti anni,
scrivendo oltre cinquecento articoli all’anno.
Una penna, la sua, che scivolava
sulla ruvida carta senza mai fermarsi, riempiendo ogni riga con uno scrivere
forbito. Vergani pubblicò tanti libri e scrisse la storia dell’Italia
incontrando molti personaggi famosi. Quando si vuole conoscere un periodo
storico di un Paese, si dovrebbe leggere le migliaia di articoli scritti sui
giornali. Il giornalista che lo intervistò, Luigi
Cavicchioli scrisse che Vergani aveva coperto con i suoi articoli almeno 150
chilometri formati da 15 milioni di parole.
Al Corriere della Sera sapevano che
la sua prosa era immediata, e non si fermava davanti a nessuna difficoltà.
Venne messo a terra quando fu l’unico giornalista epurato dal Corriere della
Sera, alla fine del fascismo. Questo fu un grosso dispiacere che lo fece
soffrire molto. Il buon Dio volle che alla fine del 1946, grazie a Gaetano
Alfetra, venisse richiamato al Corriere della Sera, e vi rimanesse fino alla
morte. Morì giovane, con la penna in mano com’ era nato, e con il profumo della
carta e dell’inchiostro. I suoi libri, a mio modesto avviso, non sono diffusi
come meriterebbero.
Un Maestro con la lettera grande, un uomo d’ingegno. Se mi
chiedessero quale fosse il modo più vero per ricordarlo nel giorno del suo 60°
anniversario della morte, risponderei che ognuno potesse leggere qualche sua
pagina. Buzzati che lavorava con lui al
Corriere della Sera, scriveva: “ I Santi hanno ciascuno una casetta lungo la
riva con un balcone che guarda l’oceano, e quell’oceano è Dio. D’estate, quando
fa caldo, per refrigerio essi si tuffano nelle fresche acque e quelle acque
sono Dio”.
Di sicuro, a Orio Vergani,
il buon Dio gli avrà affidato il compito di continuare a scrivere quello che
succede sulla terra. In questo modo il buon Dio, sarà certo che nulla andrà
perduto. Una cosa è sicura, in quel cielo avrà trovato anche Primo Carnera, con
il quale discuterà di quell’incontro a Roma, dove l’Italia applaudì il campione
che rese il Paese ancora più forte.
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