NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

lunedì 6 aprile 2020

A 60 anni dalla scomparsa di Orio Vergani


di Emilio del Bel Belluz

Il 6 aprile saranno sessant’anni dalla morte del grande giornalista italiano, Orio Vergani. 
Non so quanti lo ricorderanno, ma nel mio cuore c’è sempre stato posto per lui, perché mi ha insegnato la tenacia che si deve usare nella vita per fare quello che amiamo.  
Da anni leggo i suoi libri e tutto quello che mi capita tra le mani che lo riguardi.  In questi giorni ho trovato un articolo pubblicato sul settimanale - Oggi - degli anni cinquanta, di Luigi Cavicchioli, che narra alcuni episodi della vita di Vergani, fino a dieci anni prima che ci lasciasse. 
Mi piacerebbe leggerlo a quei ragazzi che decidono di scegliere la strada per il loro futuro, ma temono di non avere le capacità per portare a termine quel percorso. 
Orio Vergani rimase orfano e il prozio Vittorio Podrecca  gli disse che si sarebbe occupato di lui. Abitava a Chioggia, e il giovane dovette lasciare la mamma e la sorella a Roma per raggiungerlo. Il prozio gli disse che da quel momento avrebbe provveduto alla sua educazione e alla sua preparazione scolastica.  
“Così Vergani trascorse, a Chioggia prima, poi in Toscana, e infine a Colorno, la sua fanciullezza. Per rifarsi dell’austerità e intransigenza pedagogica di quel suo magnifico maestro e tutore, a tredici, quattordici anni, con la sua stessa avidità con la quale i suoi coetanei leggevano Salgari, cominciò a leggere di nascosto dallo zio, le notizie politiche, e l’andamento della borsa sulla Tribuna, le novelle d’amore  e di morte sul Secolo XX. Si procurava i giornali rubandoli dai tavolini del caffè, o chiedendoli sfacciatamente ai passanti. Mai e poi  mai lo zio gli avrebbe permesso di acquistare quei fogli pieni di orribile prosa. A sedici anni Orio spedì un racconto, scritto su fogli di quaderno, al direttore del Secolo XX. 
Il racconto fu pubblicato, lodato, compensato con sessanta lire, somma favolosa in quei tempi. Ciononostante Podrecca si infuriò, o finse, ma in ogni caso fece scrivere al nipote e discepolo, su un bel quaderno pulito, per ben duecento volte, la frase: “Io sono un somaro; prima devo studiare i classici, poi potrò darmi arie da scrittore”. Lo zio gli aveva imposto, inoltre, di rivolgersi a lui sempre in latino, e questa regola non doveva mai essere derogata. Dopo aver imparato il latino, si sarebbe potuto rivolgere a lui, in italiano. Questo metodo educativo, oggi, sarebbe impensabile, ma anche le imposizioni più dure possono portare dei frutti. 
Emilio del Bel Belluz
Orio Vergani, dopo questo episodio, fu mandato a Firenze a lavare i panni in Arno.  Leonardo Sciascia in un suo scritto disse: “ Interpretare il nostro destino dovrebbe condurci alle soglie della felicità. Ma forse vi sono due tipi di felicità: per i cuori comuni, e per i grandi cuori. Qualcuno ha detto: “ La felicità è conoscere i propri limiti e amarli “. La sua vita prese una svolta e si accorse subito che la sua strada era quella dello scrittore, e aggiungo uno scrittore nato con la penna in mano. Al posto del latte materno Vergani fu nutrito dall’inchiostro di una stilografica che fu usata per farlo diventare un grande. La determinazione con la quale Vergani affrontò, in seguito, il mondo del giornalismo è da far conoscere. “ Ma il fascino che i giornali avevano sempre esercitato su di lui, cominciò a diventare irresistibile. Poiché nessun direttore lo voleva assumere come giornalista, un bel giorno Vergani vent’enne o poco più, avendo saputo che L’ Idea Nazionale cercava un abile stenografo, si presentò e offrì la sua opera, assicurando che, come stenografo non ce n’era uno migliore in tutta Roma. 
Gli credettero e lo assunsero. Viceversa non sapeva nemmeno di preciso cosa fosse la stenografia. La prima sera, nella cabina di ricezione, si sentì perduto. Dall’altra parte del filo telefonico un lontano corrispondente dettava, a velocità pazzesca, una notizia su un fatto di sangue accaduto nella sua città. Orio riuscì a prendere solo due o tre appunti miseri miseri, e alla fine la situazione gli apparve disperata. Ma poi, con uno sforzo di volontà, si riprese; grazie alla sua buona memoria riuscì a scrivere di sana pianta un lunghissimo articolo sensazionale sulla traccia di ciò che il corrispondente gli aveva detto, ma aggiungendo molto di suo. Quindi, con la morte nel cuore, portò il pezzo al redattore capo, comunicandogli che era quanto aveva telefonato il corrispondente, non una parola di più né una di meno. 
L’articolo fu pubblicato con molto rilievo e il giorno dopo fu spedita al corrispondente una lettera di elogio per il suo magnifico, impressionante servizio. Per quasi un mese lo stenografo Vergani, sfacchinando come un negro, scrisse lui tutti gli articoli dei corrispondenti, dopo aver ascoltato con attenzione la dettatura. Il direttore si meravigliava moltissimo, per quell'improvvisa fioritura di bravissimi corrispondenti, là dove prima erano meno che mediocri e pressoché analfabeti, ma continuava a spedire lettere di elogio e premi straordinari.
Quando il trucco fu scoperto il direttore del giornale si infuriò, fece chiamare Vergani,  gli diede un tremendo cicchetto, minacciò di cacciarlo, di denunciarlo per frode; poi, appena si fu calmato, lo nominò redattore “. Da quel momento la vita dello scrittore divenne una strada che lo portò in alto. Nei giornali in cui scrisse, divenne subito famoso, ma non so se per quegli articoli che scriveva, avesse avuto l’approvazione dello zio, quello stesso zio che voleva che scrivesse sempre in latino. 
Aveva una grande capacità nello scrivere e una straordinaria memoria, si metteva al tavolo con una carta e una penna, e l’immancabile sigaretta in bocca  e vergava pagine e pagine. La sorte lo aiutò, perché un suo articolo fu letto e apprezzato dalla moglie di Ugo Oietti, allora direttore del – Corriere della sera - che propose al marito l’assunzione di questo giornalista. Venne perciò assunto nel prestigioso giornale. 
Quando il direttore gli chiese quale vorrebbe fosse stato il suo primo articolo, Vergani rispose che desiderava essere inviato ad assistere   il match per il titolo mondiale tra il campione del mondo Primo Carnera e lo sfidante, il basco Paulino Uzcudum. Nel match il grande Carnera vinse, alla fine, fece il saluto romano e il fascismo lo incoronò ancora una volta come il più grande. Il duce visse una della più belle giornate. Vergani al Corriere della Sera vi rimase molti anni, scrivendo oltre cinquecento articoli all’anno. 
Una penna, la sua, che scivolava sulla ruvida carta senza mai fermarsi, riempiendo ogni riga con uno scrivere forbito. Vergani pubblicò tanti libri e scrisse la storia dell’Italia incontrando molti personaggi famosi. Quando si vuole conoscere un periodo storico di un Paese, si dovrebbe leggere le migliaia di articoli scritti sui giornali.  Il  giornalista che lo intervistò, Luigi Cavicchioli scrisse che Vergani aveva coperto con i suoi articoli almeno 150 chilometri formati da 15 milioni di parole. 
Al Corriere della Sera sapevano che la sua prosa era immediata, e non si fermava davanti a nessuna difficoltà. Venne messo a terra quando fu l’unico giornalista epurato dal Corriere della Sera, alla fine del fascismo. Questo fu un grosso dispiacere che lo fece soffrire molto. Il buon Dio volle che alla fine del 1946, grazie a Gaetano Alfetra, venisse richiamato al Corriere della Sera, e vi rimanesse fino alla morte. Morì giovane, con la penna in mano com’ era nato, e con il profumo della carta e dell’inchiostro. I suoi libri, a mio modesto avviso, non sono diffusi come meriterebbero. 
Un Maestro con la lettera grande, un uomo d’ingegno. Se mi chiedessero quale fosse il modo più vero per ricordarlo nel giorno del suo 60° anniversario della morte, risponderei che ognuno potesse leggere qualche sua pagina.  Buzzati che lavorava con lui al Corriere della Sera, scriveva: “ I Santi hanno ciascuno una casetta lungo la riva con un balcone che guarda l’oceano, e quell’oceano è Dio. D’estate, quando fa caldo, per refrigerio essi si tuffano nelle fresche acque e quelle acque sono Dio”.   
Di sicuro, a Orio Vergani, il buon Dio gli avrà affidato il compito di continuare a scrivere quello che succede sulla terra. In questo modo il buon Dio, sarà certo che nulla andrà perduto. Una cosa è sicura, in quel cielo avrà trovato anche Primo Carnera, con il quale discuterà di quell’incontro a Roma, dove l’Italia applaudì il campione che rese il Paese ancora più forte.

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