NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

domenica 19 aprile 2020

Il libro azzurro sul referendum - XIX cap - 1


Dopo la partenza del Re
1) Ordinanza della Camera di Consiglio della Corte di Cassazione.
2) Il verbale 18 giugno 1946 della Corte di Cassazione.
3) La requisitoria del Procuratore Generale Massimo Pilotti.
4) S.E. il Presidente Pagano vota contro la deliberazione della Corte.
5) Ordine del giorno del 18 giugno.
6) Passaggio dei poteri.
7) Commento de «La Voce della Giustizia».
Ordinanza (Camera di Consiglio della Corte di Cassazione)
Ordinanza (Camera di Consiglio), 18 giugno 1946 - Pagano P. Presidente - Colagrosso estensore - Pilotti P. M. (concl. diff. «Presidente sezione monarchica di Linguaglossa ed altri ricorrenti »).
Elezioni - Referendum istituzionale - Computo della maggioranza - Re­clami - Competenza del Supremo Collegio (D.L. Lt. 23 aprile 1946 n. 219, art. 19).
Elezioni - Referendum istituzionale - Computo della maggioranza - Schede bianche e schede nulle (D.L. Lt. 16 rnarzo,1946, n. 98, art. 2).

La Suprema Corte, costituita a norma dell'art. 17 del decreto legislativo 23 aprile 1946, n. 219, è competente a conoscere sui reclami attinenti alla que­stione del modo di effettuare il computo della maggioranza degli elettori votanti nel referendum istituzionale.
Il termine «votanti» contempla non tutti coloro che abbiano esercitato il diritto di voto, deponendo materialmente una scheda, ma quelli soltanto che ab­biano compiuto una positiva manifestazione di volontà e che tale manifestazione abbiano esteriorizzata col rispetto delle rigorose garanzie di procedura che circondano la votazione, con esclusione quindi di coloro che abbiano deposto sche­da bianca o scheda nulla.
La Corte, ecc. — Considerato che i proposti reclami, col richiamare la giuridica portata dell'art. 2 del decreto legislativo luogotenenziale 16 marzo 1946, n. 98, là dove si parla della «maggioranza degli elettori votanti» vengono a sottoporre al giudizio di questa Corte suprema di Cassazione, la disamina e la risoluzione di due problemi fondamentali relativo l'uno alla competenza, relativo l'altro alla giuridica accezione della espressione «elettori votanti»
Quanto al primo obietto, devesi affermare la competenza di questa Corte, sia perché tale tema di discussione viene dedotto a traverso la proposizione di reclamo, la cui cognizione appartiene al potere decisorio, conferito dall'art. 19 del decreto legislativo luogotenenziale 23 aprile 1946, n. 219, sia perché tutto il meccanismo dell'art. 2 del citato decreto, avente come oggetto specifici) il re­golamento del regime provvisorio quanto al Capo dello Stato, nell'una e nell'altra ipotesi della instaurazione della monarchia o della repubblica, ha come suo presupposto essenziale l'avvenuto accertamento da parte della Corte di Cassa­zione, a traverso l'attività amministrativa e giurisdizionale, di cui agli art. 16 e 19 del decreto 23 aprile 1946, n. 219, della maggioranza circa la scelta popo­lare sulla forma istituzionale.
L'art. 2 postula, come sua esigenza imprescindibile, che Governo prima e Assemblea costituente poi conoscano i risultati del referendum istituzionale perchè soltanto con tali risultati, già accertati e proclamati, è possibile la disciplina di quella situazione provvisoria che forma il contenuto specifico della norma.
D'altra parte, se tutto il complesso procedimento tracciato dagli art. 17 e
e   19 del richiamato decreto n. 219, mira a conferire alla Corte di Cassazione un potere amministrativo e giurisdizionale, volto all'accertamento della volontà popolare circa la scelta della forma istituzionale, manca qualsiasi motivo logico
e   giuridico per sottrarre alla Corte di Cassazione la competenza a conoscere quel coefficiente, essenziale-per la proclamazione dei risultati del referendum, che è costituito precisamente dalla giuridica portata da attribuirsi alla espressione «maggioranza degli elettori votanti ».
Quanto al secondo obietto, si osserva che il termine « votanti a, nel suo si­gnificato tecnico-giuridico, contempla non tutti coloro che abbiano esercitato il diritto di voto, deponendo materialmente una scheda, ma quelli soltanto che abbiano compiuta una positiva manifestazione di volontà e che tale manife­stazione abbiano esteriorizzata col rispetto delle rigorose garanzie di proce­dura che circondano la votazione.
Il voto è un atto giuridico e perciò esso sta ad esprimere non solo una manifestazione di volontà, ma una manifestazione resa nei modi di legge.
Le schede bianche rappresentano forme di astensione dal voto (art. II de­creto 219); ed è manifesta la giuridica equivalenza tra l'inerzia di chi si astiene completamente dal presentarsi all'urna e la posizione di chi non esercita il suo diritto di voto, non manifestando volontà alcuna nella scheda presentata.
Non diverso è il caso delle schede nulle (art. 15 decreto 219) le quali rap­presentano un atto irrilevante, dato il principio quod nullum est, nullum producit efleetum.
In tutt'e due i casi non si è in presenza di quel soggetto (elettore) che l'art. 2 del decreto n. 98 esige per determinare la maggioranza efficace per la scelta della forma istituzionale; maggioranza che in tanto può dirsi raggiunta, in quanto l'elettore, col suo voto, abbia scelta, abbia eletta la forma istituzionale.
L'obiezione che, data l'obbligatorietà del voto e la totalitarietà della votazione, maggioranza degli elettori votanti debba intendersi come maggioranza degli elettori che hanno l'obbligo di votare, non ha giuridica rilevanza, sia perché l'art. 2 del decreto n. 98 ha una sua propria sfera di applicazione che è estranea al carattere obbligatorio del voto, sia perché l'art. 2 si riferisce espres­samente non agli elettori iscritti, ma soltanto a quelli che abbiano effettivamente votato.
Ma a prescindere da tali rilievi di ordine generale, si osserva che i decreti legislativi luogotenenziali n. 98 e 219 offrono argomenti specifici per ritenere che elettori votanti siano soltanto quelli che validamente espressero il loro voto.
Tali argomenti sono posti in rilievo dal fatto essenziale che i due decreti, per il collegamento che deriva dall'art. 8 di quello n. 98 e per il richiamo espli­cito che il decreto n. 219 fa dell'altro, costituiscono un unum corpus, agli effetti della determinazione dei risultati del referendum.
Ciò comporta che, per l'accertamento di tali risultati, debbasi far capo unicamente al decreto n. 219, che contiene le norme specifiche per calcolare la mag­gioranza degli elettori votanti, e che costituiscono la fonte esclusiva per tale computo.
La espressione «elettori votanti » usata dal decreto n. 98, ripete perciò la sua efficacia di contenuto dalle norme del decreto n. 19, avente la stessa forma giuridica dell'altro, e respinge, ogni elemento di chiarificazione che possa de­dursi da altre norme legislative emanate per altri effetti ed aventi una propria sfera di applicazione. Dato tale essenziale presupposto, la maggioranza degli elettori votanti non può essere che esclusivamente quella conclamata dagli art. II, 16 e 17 del decreto n. 219; i quali sanzionano che la proclamazione debba es­sere fatta sulla base dei voti validi e che la registrazione dei risultati del refe­rendum debba avvenire soltanto in rapporto a tali voti.
Il contenuto, perciò, del decreto n. 219, che costituisce lo statuto unico ed essenziale per l'accertamento dei risultati del referendum, respinge ogni com­puto delle schede bianche e di quelle nulle, che l'art. 15 del decreto n. 219 pre­vede e disciplina, nella unilateralità del trattamento giuridico al fine esclusivo dei criteri per la loro individuazione. Si osserva, infine, che la espressione «mag­gioranza degli elettori votanti» si riferisce alla maggioranza relativa e cioè alla prevalenza numerica dell'una e dell'altra volontà di scelta della forma istituzio­nale, mentre respinge ogni esigenza di maggioranza assoluta, od anche qualifi­cata, in rapporto al numero dei votanti.
A tale risultato si perviene, considerando, da una parte, che la legge non condiziona, né espressamente, né implicitamente, l'efficacia della deliberazione collegiale a tale esigenza: e considerando, dall'altra, che il referendum non verte su un'unica domanda, ma pone un'alternativa, la quale logicamente e giuridica­mente inerisce non ad una maggioranza assoluta o qualificata, ma ad una mag­gioranza di voti validamente espressi. Tale verità è confermata da tutto lo svi­luppo del procedimento tracciato dal decreto n. 219, il quale esclude la pos­sibilità di un risultato negativo per difetto di maggioranza assoluta ed esclude quindi un procedimento di rinnovazione del referendum, che è incompatibile con la struttura e il funzionamento di tutto il sistema di attività amministra­tiva e giurisdizionale della Corte di Cassazione e del regime provvisorio, siste­ma che è organicamente prestabilito per la scelta della forma istituzionale, alla quale venne chiamato il popolo italiano (art. I decreto n. 98).
Per questi motivi, rigetta, ecc.

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