Ben pochi speravano che i
tedeschi si acconciassero - al nostro armistizio e filassero via per il nord
lasciandoci tranquilli nella recuperata pace. Ma in sostanza quando si giunse
al fatale otto settembre nulla o assai poco era stato predisposto dall'alto
comando per fronteggiare il nuovo nemico. La guerra non era stata mai ben
condotta perché non era sentita nel paese e non era sentita nell'esercito. Ma
dopo il 25 luglio si verificò nel meccanismo delle Forze Armate qualche cosa di
più di un arresto. Vi fu vera e propria frattura tra il passato e il presente.
Tutti avvertirono che si andava avanti per forza d'inerzia. Nella svagata e
convalescente atmosfera di quell'estate (tutti credevano di essere usciti da un
incubo e di procedere verso tempi migliori mentre in realtà tutti precipitavamo
verso un più profondo abisso) i soldati pensavano che la guerra era ormai
finita e che era giunto il momento della distensione dopo tanti anni di
esasperata tensione. Invece le prove più dure dovevano cominciare.
Cominciarono intanto gli
anglo-americani a inasprire la guerra. Dopo pochi giorni di attesa e di
riserbo, la voce di Londra cominciò a pronunciare aspri attacchi alla Monarchia
accusandola di continuare la politica di Mussolini. Sin dall’agosto (appena
due settimane dopo la caduta di Mussolini) nostri emissari entravano in
contatto con diplomatici e ufficiali alleati eppure ciò non bastava.
Forse per mascherare le
trattative, le polemiche radiofoniche anglo-americane divenivano più aspre. Si
è affermato che gli italiani della radio londinese o i vari Sprigge, esperti
di cose italiane, insinuassero dei dubbi sulla linea di condotta del nostro
Governo. Un giovane consultore della democrazia cristiana ha anche stampato
che da esponenti del partito d'azione si richiese il bombardamento delle città
per costringere il Governo a cedere e a seguire la volontà del paese. Verrà
tempo in cui tutto ciò sarà chiarito e se questo delitto contro la Patria è
stato compiuto esso non gioverà certo alla causa di quegli arrabbiati.
Per tutto il mese di agosto e
ancora nella prima settimana di settembre sulle nostre più illustri città si
abbatté la furia dei bombardamenti nemici. Napoli, Torino, Cagliari, Genova,
Roma, Viterbo, Grosseto, Benevento, Foggia, Taranto Terni, Bologna,
Civitavecchia, Bolzano, Rimini, Capua, Catanzaro, Frascati, Padova, Vicenza e
Milano: tutte le nostre città furono colpite con bombardamenti indiscriminati
che uccisero diecine di migliaia di italiani senza nessuna necessità bellica.
Erano, quei morti, dei cuori che speravano da alcune settimane che il loro
martirio stesse per finire e fervidamente credevano nelle promesse di radio
Londra pur mentre piovevano le bombe sterminatrici. La guerra ha visto molte
cose tristi e inutili, ma nessuna più triste e più inutile dei bombardamenti
delle città italiane nell'agosto del 1943. Il nostro Governo era più che
deliberato, ansioso di uscire dalla guerra.
Colpendo in quel modo le nostre
città e le nostre popolazioni gli anglo-americani non giovavano alla propria
azione, ma all'azione tedesca perché essi indebolivano quell'Italia che doveva
combattere contro i tedeschi e non contro di loro. L’Italia non aveva mai
subito tanto scempio nei secoli più oscuri e più dolorosi della sua storia.
Eppure nella sua quasi generalità la popolazione italiana conservò l'odio per i
tedeschi e la speranza e la fiducia negli anglo-americani. L'Italia aveva la
colpa di tenere addosso «un larvato Governo fascista» secondo la radio di
Londra che esaltava a metà d'agosto il buon lavoro compiuto due giorni innanzi
sul centro di Milano con 2000 tonnellate di bombe che avevano mandato in rovina
la Scala, Palazzo Marino e Palazzo Reale.
E nessuno rifletteva, né italiano,
né inglese che quel Governo era già spiato e guardato a vista da nugoli di spie
tedesche e le divisioni corazzate germaniche scendevano rapidamente dal
Brennero e tra poco, sorpresi e traditi in tutti gli angoli del territorio balcanico,
e di Francia e d'Italia, centinaia di migliaia di soldati italiani avrebbero"
preso la via dei campi di concentramento e di sterminio del Reich. Nessuno
prevedeva che di li a poco nella sola isola di Cefalonia novemila soldati
italiani sarebbero morti in 12 giorni di combattimento contro il tedesco,
senza ricevere dai dominatori dell'aria e del mare, né un aeroplano, né una
nave in loro soccorso. Ah, come doveva essere amara la prima lotta per la libertà.
Erano i giorni in cui Fiorello La Guardia sermoneggiava di repubblica e di
monarchia in Italia e invitava a cacciare il coltello nella pancia dei soldati
tedeschi.
Non neghiamo gli errori del Governo Badoglio tra il 25 luglio e l'8
settembre, ma bisogna riconoscere che da tutti, all'interno e all'esterno, gli
fu resa la vita amara. I tedeschi lo consideravano il Governo del tradimento e
preparavano il suo castigo; gli inglesi e gli americani un «larvato governo
fascista »; i partiti italiani un Governo debole e indeciso che non poteva condurre
la guerra, ma non poteva neppure fare la pace. Ma fare la pace o almeno
l'armistizio il Governo voleva con tutta la sua forza. E ad affrettare le sue
decisioni, ad accogliere le richieste nemiche che ripetevano sempre più rudemente
l'intimazione di Casablanca (resa senza condizioni) lo sollecitavano tutti i
partiti del Comitato di liberazione.
È stato spesso notato che i
Governi pagano i loro atti virtuosi a prezzo molto più caro dei loro misfatti.
Così il trattamento riguardoso usato a Mussolini (in Germania o in Russia si
sarebbero sbarazzati di lui in modo molto sbrigativo) costò al Governo e alla
Monarchia assai più di tutti gli errori veri o presunti.
Cominciò dunque Badoglio le
trattative, né facili, né rapide per l'armistizio e non vi fu nessuno che disapprovasse
il suo atto. Tutti anzi lo incoraggiavano ad affrettare. Ma questo non
dipendeva da lui. Perfino Mussolini nell'esilio di Ponza diceva ai carabinieri:
«occorre sganciarsi dai tedeschi al più presto possibile. Questa é la sola
salvezza d'Italia» (1). Una volta iniziate le trattative il Governo del Re non
era più padrone della scelta del tempo. Gli anglosassoni si riservavano di
annunciare l'armistizio alla data per essi più opportuna. L'armistizio fu
firmato il tre settembre in Sicilia. La data prescelta dal Comando alleato per
annunciarlo fu quella dell'otto settembre.
Tra l'otto e il dieci
settembre l'Italia poteva cacciare i tedeschi almeno fino alla linea gotica e
guadagnare sul campo, prontamente il suo brevetto di eroina della libertà, il
suo «biglietto di ritorno». Subì, invece, la più nera disfatta di tutta la
guerra e fu calpestata e spogliata per circa due anni dall'invasore tedesco.
Poiché questo è avvenuto, è
naturale che l'opinione pubblica cerchi un responsabile nel Governo in carica e
al disopra del Governo nello stesso capo dello Stato. Se questo fosse il
giudizio dell'uomo comune il quale vede la sua città e la sua casa invasa, il
suo campo distrutto, i suoi alberi tagliati, la stessa terra sua e dei suoi
avi combusta (quella terra che — scriveva Alvaro in quei giorni — porta il pane
e i frutti e l'olio e il vino, gli alimenti di questo popolo sobrio) se questo
è il giudizio dell'uomo comune si potrebbe anche accettare. La responsabilità è
come un fatum sospeso sul capo di chi sta più in alto di tutti e come tale ha
tutti i poteri, tutti i diritti ma anche tutti i doveri. Ma così non è. Il giudizio
negativo, amaro, gonfio d'ira e di rimprovero è di quella esigua minoranza che
professava da anni l'odio all'istituto monarchico: gli insulti alla dinastia
vengono da quei fuorusciti che già attesero dalla guerra etiopica
l'imbottigliamento delle navi italiane nel mar Rosso; migliaia di nostri
marinai in fondo al mare, l'isolamento e la sconfitta della Patria. Essi
vivevano all'estero alimentati dai fondi dell'antifascismo internazionale e
sognavano la rovina del paese. Appena cessata, con loro scorno quella folle
speranza, essi: si lanciarono nella guerra di Spagna per sfogare contro i loro
fratelli l'acre odio della guerra civile. Essi non erano per la Repubblica di
Mazzini, ma per la Repubblica rossa di Azaña.
PAOLO MONELLI : Roma 1943, pag.
229.
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