NON VI E' DUBBIO CHE UNA NAZIONE PASSATA DA UN REGIME MONARCHICO AD UN REGIME REPUBBLICANO SIA UNA NAZIONE «DECLASSATA», E CIÒ NON PUÒ NON ESSERE AVVERTITO DA CHIUNQUE ABBIA UNA SENSIBILITÀ PER VALORI I QUALI, PER ESSERE SOTTILI E IMMATERIALI, NON PER QUESTO SONO MENO REALI.

venerdì 27 marzo 2020

Considerazioni dantesche


Aver deciso di dedicare annualmente una giornata, il 25 marzo, a ricordare il nostro sommo poeta Dante è una delle iniziative commemorative e celebrative, con cui concordiamo, non solo per il valore letterario, “mostrò ciò che potea la lingua nostra”, di tutta la sua opera poetica, ma anche per le considerazioni storiche sull’Italia, della cui unità politica e spirituale è stato senza dubbio il maggiore precursore, ma anche della sua vita tumultuosa. Queste giornate speriamo portino al rinnovato piacere della lettura dei suoi versi, a studi ed approfondimenti che facciano risaltare la bellezza dei suoi componimenti e l’attualità di tante intuizioni, ma faranno anche aprire o riaprire le polemiche particolarmente su alcuni punti della “Commedia”, a cui gli immediati posteri aggiunsero giustamente “Divina”, termine con il quale da secoli ed in tutto il mondo è conosciuta.
Cominciamo dalla sua posizione politica : la famiglia Alighieri era “guelfa”, per cui Foscolo chiamando Dante “ghibellin fuggiasco”, confonde la scelta “monarchica imperiale” di Dante, con la sua posizione fiorentina, che ne fece un guelfo “bianco”, contrapposto ai guelfi “neri” secondo una tendenza “scissionistica” di cui abbiamo tanti esempi attuali, che quindi ha origini ben antiche. Seconda considerazione l’uso politico della giustizia per eliminare un avversario. Infatti mentre era a Roma, per una ambasceria ufficiale del comune fiorentino presso Bonifacio VIII, Dante, non potendo tornare a Firenze viene processato in contumacia e condannato con sentenza del 27 gennaio 1302, ad un esilio biennale, con multa di 5000 fiorini piccoli e bando perpetuo da ogni ufficio pubblico, per “fama publica referente” di baratteria, estorsione ed altri delitti. Nel frattempo a Firenze i “civili” avversari guelfi corsero alla sua casa e fu rubata ogni cosa. 
Di questo processo è da notare un’altra caratteristica negativa,, che, purtroppo è stata ripresa anche ai nostri giorni, e cioè la “retroattività” delle leggi, in quanto come scrisse Leonardo Aretino in una “Vita Dantis poetae carissimi”, di poco posteriore a “Della vita, costumi e studi del carissimo poeta Dante”, del Boccaccio, “ fecero legge iniqua e perversa, la quale si guardava indietro, che il Podestà di Firenze, ( Cante de’ Gabrielli di Gubbio !) potesse e dovesse conoscere i falli commessi per l’addietro nell’ufficio del priorato ( Dante era stato Priore dal 15 giugno al 15 agosto 1300), contuttoché assoluzione fosse seguita. A questa “benevola “ sentenza ne seguì nel marzo, sempre contumace, quella di essere “arso vivo”, per non parlare poi delle colpe dei padri che si fanno ricadere sui figli, quando nel 1303 sempre il comune di Firenze stabilì l’esilio per i suoi figli al compimento del quattordicesimo anno ! 

E che dire della ulteriore sentenza del 6 novembre 1315 quando avendo Dante rifiutata l’umiliante proposta fiorentina di modifica della pena, viene confermata la pena di morte, estesa questa volta anche ai figliuoli rei di essere nati da un rivoltoso. Dal che si vede come la passione politica o meglio partitica, perché tali erano stati ghibellini, guelfi e poi palleschi e piagnoni, quando supera un certo livello e non è bloccata dalla libertà che lo stesso Dante, assegnando a Catone l’Uticense, pur suicida, la funzione di Giudice del Purgatorio, ebbe a definire “sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta (Purgatorio, canto primo, versi 71-72), stravolge ogni certezza del diritto ed il concetto stesso della giustizia. E questa anticristiana, e non solo antigiuridica, condanna di figli per colpe (ammesso che lo fossero !) dei padri non era, è triste dirlo, solo a Firenze, ma anche a Pisa il che consente a Dante la famosa invettiva per i figli del conte Ugolino della Gherardesca, ”Ahi Pisa…chè se il conte Ugolino aveva voce di aver tradito…non dovei tu i figliuoi porre a tal croce”( Inferno, canto trentesimo terzo, versi 79-87).

Ancora più triste della divisione delle popolazioni della città in partito è quella legata a persone o famiglie e la condanna di Dante è inesorabile e nella citazione di queste famiglie vediamo quei Montecchi e Cappelletti ( Capuleti ), che secoli dopo ispirarono la grande tragedia scespiriana, come pure è netta la condanna dei tiranni, di qualsiasi origine popolana o nobiliare, per cui l’appello dantesco è rivolto ad un potere superiore, al di sopra e al di fuori di queste divisioni, potere di cui all’epoca accusa la mancanza, e di cui ben tratteggia il suo carattere nei versi finali del canto sesto del Purgatorio, da leggere e meditare. E sempre netta è la sua posizione contraria al potere temporale dei Papi, risalente alla donazione originaria di Costantino, che all’epoca era ritenuta veritiera, mentre la sua falsità fu dimostrata secoli dopo, nel 1440, dall’umanista Lorenzo Valla ( 1405-1457 ), nella “ De falso credita et emanata Constantini donatione”. Di tutti questi mali risalenti alle tre belve incontrate all’inizio del cammino dantesco, e particolarmente alla lupa, la fine verrà con il “ Veltro, che la farà morir di doglia. Questi non ciberà terra né peltro,ma sapienza ed amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro “( Inferno, canto primo, versi 101-105).Questo è uno dei punti della “Divina Commedia” che più hanno dato motivo di diverse interpretazioni, da chi lo considerava una profezia od un auspicio o addirittura la figura di qualche contemporaneo e la vicenda si è trascinata fino al Risorgimento ed oltre, considerando Dante l’iniziatore di quella dietrologia che ci compiacciamo di vedere in tanti fatti ed eventi anche a noi più vicini. 
Credo che la lettura pacata di queste righe non abbia portato fin dall’inizio alla loro esatta interpretazione, che si celava nelle parole stesse del poema. Il veltro è qui un termine metaforico relativo ad un cane da inseguimento e da presa, che univa velocità e forza, adatto a combattere un altro animale, ma il fatto che non si ciberà di cose materiali, cioè non sarà avido di territori e di ricchezze, già di per sé esclude uomini d’arme per grandissimi che fossero, dovendo avere delle doti tutte spirituali ben difficili a trovarsi in condottieri. Forse potrebbero riferirsi ad un nuovo Salomone o Giustiniano, ma nemmeno loro sarebbero all’altezza. E poi il luogo di nascita, il feltro vorrebbe alludere al Montefeltro ? Le risposte negative ci sembrano ovvie. Eppure inserita tra feltro e feltro nasce qualcosa e chi conosce la fabbricazione della carta comprende l’importanza di questa pressatura. 
Allora il veltro è la “ Commedia” scritta appunto sulla carta ! Il grande poeta latino Orazio, che Dante incontra nel castello degli spiriti magni,nel Limbo, non aveva forse scritto che la sua poesia avrebbe sfidato il tempo, come poi effettivamente è stato, “exegi monumentum aere perennius” ed allora anche Dante è così superbo da ritenere la sua opera capace di tanto ? No, non è superbia, ma con serena coscienza, la convinzione di aver scritto qualcosa che supera i limiti dello spazio e del tempo, cioè: “il Poema Sacro al quale ha posto mano e cielo e terra.”(Paradiso, canto ventesimo quinto, versi 1-9 ).

Domenico Giglio

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