II - Critica dei metodi di
indagine statistica.
III - Autocritica di un
elaborato critico.
IV - Rielaborazione dei dati.
V – Le cifre nascoste
VI. – Analisi e sintesi di una
ricostruzione.
I Premesse e considerazioni
generali
Nelle giornate precedenti il referendum istituzionale del 2 giugno 1946, mentre si sapeva che circa
750.000 elettori delle Provincie di Bolzano e della Venezia Giulia non
sarebbero stati chiamati alle urne, il Ministro dell'Interno lasciava, o faceva
circolare la voce, accreditata nei suoi discorsi dallo stesso Presidente del
Consiglio, che gli elettori chiamati il 2 giugno ad eleggere i Deputati alla
Costituente e a votare nel Referendum si sarebbero aggirati sulla cifra di
28.000.000.
A chiunque avesse qualche
consuetudine con le statistiche, specie demografiche e sociali, una «popolazione
elettorale» di 28 milioni non poteva non apparire notevolmente lontana dalla
realtà, sol che ponesse mente al fatto che la popolazione elettorale
corrisponde alla somma dei cittadini di ambo i sessi che hanno compiuto gli
anni 21, e sol che, ricordando che i cittadini «maggiorenni» costituiscono a un
dipresso il 60% della popolazione dello Stato, osservasse come quest'ultima
venisse a risultare vicina ai 46.710.000 - che sarebbero stati 48 milioni,
includendovi le provincie escluse dalle urne, - e assai lontana dalla cifra
reale di una popolazione che, sebbene aumenti ogni anno, aveva necessariamente
subito dalla guerra falcidie assai rilevanti durante il quinquennio 1941-1945.
Io ero fra coloro che non
potevano accettare ad occhi chiusi tali maggiorazioni di cifre, che non esitai
a definire pubblicamente «cervellotiche anche se l'aggettivo parve, e pare,
offensivo. Ed anche pensavo che, di solito, cioè da quando mondo è mondo, le
elezioni si preparano prima, anche manovrando, da chi può, le cifre; e che a
prepararle, di solito più di ogni altro, è il Ministro dell'interno.
Pensavo che, in funzione della
manovra preparatoria - nella quale si comprende «il far credere ai cittadini che la somma degli elettori sarà una
piuttosto che un'altra - due o tre milioni di cittadini in più avrebbero fatto
ottimo giuoco, consentendo una abbondante a riserva» di schede e di voti, da
gettare nella mischia, non a caso, in veste di elettori compiacenti e
disciplinati, tempestivamente istruiti e organizzati con metodo paziente e sapiente, inviati a votare una seconda e una
terza volta, posto che, per fare questo, il mezzo «legale» c'era.
Questo
pensavo, perché non credevo, e non ho mai creduto poi, alle possibilità di
giochetti con le «macchine calcolatrici» assai meno addomesticabili degli
uomini, e neppure alla facilità di «sostituzioni di schede», specie da
effettuarsi per cifre ingenti.
Ma
anche pensavo che il Ministro dell'Interno, fra le molte cose che normalmente
sa o deve sapere, ne sapeva due: l'una, che un Ministro dell'Interno, di
regola, non perde le elezioni - salvo che la regola può essere confermata da
eccezioni, e l'eccezione non è escluso si verifichi nel 1953 - e l'altra, che
gli uffici elettorali, nel 1945-1946, specie nelle grandi Città, erano in
disordine e quindi in condizioni da potervi preordinare qualsiasi «accorgimento».
Ma il Ministro dell'Interno sapeva, soprattutto, una terza cosa, e di importanza somma: e cioè che l'Istituto Centrale di Statistica non aveva né veste né mezzi per «rilevare» i dati elettorali alle fonti dirette, e quindi doveva accettare a priori per buoni i dati che gli avrebbe comunicati il Ministero dell'Interno, sui quali poi avrebbe potuto come gli piacesse sbizzarrirsi nelle più varie è complesse elaborazioni.
Poiché la «Statistica» è una «tecnica», soprattutto, che si vale dei mezzi offertile dalle «Scienze esatte», le elaborazioni statistiche sono «esatte», in principio, soltanto se in fondo siano esatte le premesse, cioè se siano esatti i «dati» che le vengono forniti: i dati forniti dal Ministero dell'Interno, in materia elettorale, sono presunti esatti «per decreto ministeriale».
Non ha
però pensato il Ministro dell'Interno, che se l'Istituto Centrale di Statistica
è costretto - fra un censimento e l'altro - a «calcolare» anno per anno il
movimento, cioè a dire le variazioni annuali, della popolazione, allorché si
compie un nuovo censimento si viene a fissare un «dato certo», che consente di
«rifare i calcoli» e di «rettificarli», procedendo, anche, a ritroso. Se a
questo avesse pensato, il Ministro dell'Interno - che per la sua professione
privata ha una «istituzionale» dimestichezza coi numeri - sarebbe andato più
cauto.
Comunque,
l'Istituto Centrale di Statistica doveva credere alla attendibilità dei 28
milioni di elettori inscritti; un confronto, se mai, o una conferma, l'avrebbe
avuta col numero - anche quello «autorevolmente» comunicatogli - dei «certificati
elettorali emessi», posto che le due cifre devono coincidere. L'incidenza di «errori
di emissione», per «omissioni» e per «duplicati» di certificati, che
praticamente tendono a compensarsi, è incidenza, in ogni caso - cioè, se le
cose siano fatte «onestamente» - irrilevante. Quindi, la coincidenza delle due
cifre avrebbe sancito il «presupposto della onestà»: e sul numero di
28.000.000, ogni indiscreta indagine sarebbe stata preclusa.
Poichè la « Statistica » è una «tecnica», soprattutto, che si vale dei
mezzi offertile dalle «Scienze esatte», le elaborazioni statistiche sono «
esatte», in principio, soltanto se in fondo siano esatte le premesse, cioè se
siano esatti i «dati» che le vengono forniti: i dati forniti dal Ministero
dell'Interno, in materia elettorale, sono presunti esatti «per decreto ministeriale».
Non ha però pensato il Ministro dell'Interno, che se l'Istituto Centrale
di Statistica è costretto — fra un censimento e l'altro - a «calcolare» anno
per anno il movimento, cioè a dire le variazioni annuali, della popolazione, allorché si compie un nuovo censimento si viene a fissare un «dato certo»,
che consente di «rifare i calcoli» e di «rettificarli», procedendo, anche,
a ritroso. Se a questo avesse pensato, il Ministro dell'Interno - che per la
sua professione privata ha una «istituzionale» dimestichezza coi
numeri -sarebbe andato più cauto.
Comunque, l'Istituto Centrale di Statistica doveva credere alla
attendibilità dei 28 milioni di elettori inscritti; un confronto, se mai,
o una conferma, l'avrebbe avuta col numero - anche quello « autorevolmente »
comunicatogli — dei « certificati elettorali emessi », posto che le due
cifre devono coincidere. L'incidenza di « errori di emissione », per «
omissioni » e per « duplicati » di certificati, che praticamente tendono a
compensarsi, è incidenza, in ogni caso — cioè, se le cose siano fatte «
onestamente » -irrilevante. Quindi, la coincidenza delle due cifre avrebbe
sancito il « presupposto della onestà»: e sul numero di 28.000.000, ogni
indiscreta indagine sarebbe stata preclusa.
Poiché io non avevo il dovere di credere, ed avevo anzi, come qualsiasi
cittadino, la «libertà di fare da me» gli stessi calcoli che l'Istituto
Centrale di Statistica era da 10 anni «costretto a fare» non disponendo di dati
certi di popolazione se non di quelli che risalivano al Censimento del 21
aprile 1946, mi proposi di fare io stesso quei calcoli, che poi riassunsi in un
modesto studio, intitolato «Rilievi statistici sul «referendum»
istituzionale del 2 giugno 1946».
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