Da Los Caidos a Montmartre
di Aldo A. Mola
Oggi Franco, domani la Colonna Traiana
“Oggi in Spagna, domani in Italia” fu il motto
di Carlo Rosselli, che dalla guerra civile spagnola iniziata del luglio 1936
tornò in Francia, malato e profondamente deluso. Aveva capito che chiunque
avesse vinto, la Spagna non sarebbe divenuta democratica. Da una parte i
Quattro Generali e la “quinta colonna”, dall'altra i socialcomunisti
controllati dall'Urss tramite gli emissari della Terza Internazionale, come
Palmiro Togliatti (Ercoli) e Luigi Longo (Gallo). Chi non si allineò, come gli
anarchici, finì stritolato dai rossi più rossi. Molti spagnoli europeisti, come
Miguel de Unamuno, e i massoni furono accusati di complotto ai danni della
Spagna Eterna e vennero demonizzati da Francisco Franco, assurto a “caudillo”
nei “nazionali”. Finirono male, in una guerra che durò tre anni e vide
l'impiego di eserciti stranieri (i tedeschi di Hitler e il Corpo Truppe
Volontarie italiane agli ordini del generale Gambara da un canto, migliaia di
volontari nelle Brigate internazionali a sostegno della repubblica di Madrid
dall'altra). Liberaldemocratici e socialisti moderati furono emarginati, spesso
assassinati perché la guerra (in)civile esclude il dubbio e impone di
parteggiare, come poi accadde ovunque in Europa. Il grosso della popolazione,
che già se la passava male, precipitò nella fame. Dal luglio 1936 all'aprile
1939 la Spagna fu il laboratorio del successivo conflitto europeo. Prima che finisse Gran Bretagna, Francia e
Stati Uniti conclusero che, morti tragicamente Sanjurjo e il generale Emilio
Mola, ideatore della rivolta dei “nazionali” contro la repubblica in preda al
caos, l'alternativa a Franco sarebbe stata una Spagna sotto controllo di
Stalin, con tutte le conseguenze strategiche a livello planetario. Ne
riconobbero la vittoria molto prima che entrasse a Madrid. Randolfo Pacciardi,
repubblicano e due volte massone, comandante del reggimento “Garibaldi”,
antifranchista sino al midollo come Aldo Garosci, Franco Venturi e Francesco
Fausto Nitti (massone), intuite con chiarezza le prospettive andò negli USA,
per preparare la riscossa contro i totalitarismi veri: la Germania
nazionalsocialista di Hitler e l'Unione sovietica di Stalin, di lì a poco unite
nel patto di non aggressione e di spartizione dell'Europa orientale e baltica.
Giunto potere, Franco ebbe mano libera
nell'epurazione di comunisti e massoni (ma questi in gran parte sotto il
grembiulino avevano poco fraterni turgori partitici e ateistici).
Dall'“Occidente” fu considerato il male minore. Emarginata (come era accaduto a
liberaldemocratici e demosocialisti in Italia dopo il 1925), la “terza Spagna”,
cioè i cittadini che aspiravano alla quiete e al progresso civile ed economico,
fu costretta al silenzio. Sopravvisse anche perché Franco rifiutò di entrare in
guerra a fianco dell'Asse Roma-Berlino e aprì il territorio nazionale agli USA.
Nell'agosto 1943 per avviare i preliminari dell'armistizio tra Italia e
anglo-americani il generale Giuseppe Castellano non per caso passò
dall'ambasciata inglese a Madrid. Dal canto suo Pio XII (papa dal 1939 al 1958)
camminò nel solco di Pio XI che nell'enciclica Divini Redemptoris
del 19 marzo 1937 aveva esplicitamente condannato le folli violenze dei “rossi”
contro chiese, ecclesiastici e cattolici (arrivarono a disseppellire e
oltraggiare macabramente salme di suore). Insignito dell'Ordine del Cristo
dallo stesso Papa che, caso unico a metà Novecento, scomunicò il presidente
dell'Argentina Juan Perón, anno dopo anno Francisco Franco, Jefe del Estado,
guadagnò consensi, simpatie e sostegni. La “sua” Spagna entrò nelle Nazioni
Unite nella stessa infornata della “Repubblica italiana nata dalla resistenza”.
I suoi rappresentanti, come il galiziano Manuel Fraga Iribarne, erano
apprezzati negli incontri internazionali per cultura, equilibrio e
lungimiranza. I tecnocrati dell'Opus Dei fecero il resto. Senza bisogno di
decreti dall'alto, la Spagna a diverse velocità (come era l'Italia degli Anni
Sessanta) divenne europea. Il massonofobo Franco finse di non sapere che nelle
basi statunitensi fiorivano le logge. In più, anche su consiglio di Umberto II,
restaurò la monarchia “a futura memoria” e avviò lentamente il passaggio verso
il futuro. All'interno parlava una lingua, verso l'estero un'altra. Non si fece
mai abbindolare, neppure dagli USA che gli chiesero di dar man forte nella
guerra del Vietnam.
Memoria e oblio
Franco, dunque, è quarant'anni di storia di un
Paese che ha cinque secoli unità. Con Filippo II e Filippo IV d'Asburgo e con
Filippo V e Alfonso XIII di Borbone è il capo di Stato spagnolo più durevole
dal Cinquecento a oggi. Al potere prima della seconda guerra mondiale morì
quasi vent'anni dopo il Patto di Roma che avviò il cammino verso l'Unione
Europea, ai cui margini la Spagna venne tenuta anche dopo la sua svolta
democratica, non per nobili principi ma nel timore della sua competizione
economica con i suoi soci fondatori, soprattutto nell'agricoltura (vino e
agrumi).
La transizione, guidata da Adolfo Suárez, al
quale rimane giustamente intitolato l'aeroporto di Madrid, avvenne in forma
pacifica perché Re Juan Carlos di Borbone era la garanzia della continuità
dello Stato unitario. I partiti, inclusi comunisti, socialisti e
catto-liberali, concordarono che il passato andava messo tra parentesi: “sunt
lacrimae rerum”. Le ferite c'erano, ma, insegna padre Giovanni Curci S.J.
nell'ampio e meditato saggio “Memoria e oblio. Un binomio indispensabile” (“La
Civiltà Cattolica”, 17 ottobre 2020 quaderno 4088), “dimenticare e ricordare
sono entrambi indispensabili per la conoscenza e anche per la salute mentale”.
Occorre liberarsi dalla “dittatura della memoria”. Rinfacciarsi il passato
avvelena il presente. La storia è zeppa di guerre vendicative, tanto
distruttive quanto inutili. Già tra Otto e Novecento irredentismi, separatismi
e particolarismi erano superati dalle internazionali (“unione di nazioni”, non
loro negazione: lo ripete papa Francesco in “Fratelli tutti”) e dalle
organizzazioni soprannazionali, come gli Stati Uniti d’Europa predicati sin
dall'inizio del secolo scorso.
Los Caidos: meditazione sulla Storia
Dagli Anni Sessanta, per chi la visitava, la
Spagna era il suo immenso patrimonio di “monumenti” romani, medievali, dell'età
moderna, nati dall'intreccio di civiltà. Lo stile mudéjar è Spirito Assoluto.
Il visitatore che trascorreva giorni a El Escorial si raccoglieva in
meditazione nel Valle de los Caídos non per omaggio alla salma di Francisco
Franco e di José María Primo de Rivera, fondatore della Falange, assassinato a
freddo dai “rossi”, ma per comprendere la complessità della storia della
Spagna, “una, grande, libre”. Anche se nient’affatto “praticante” trovava suggestiva
la croce di 150 metri sovrastante il mausoleo.
Al netto delle intenzioni di chi lo aveva
voluto e dei diversi animi di chi lo aveva edificato, esso non era un
incantesimo, ma un “sacrario”, luogo al di sopra e al di fuori dei “laici”,
sinonimo di profani ignari. È metastoria. Quell'incantesimo venne infranto nel
2007 dal presidente del Consiglio Zapatero, socialista, che volle la “legge
sulla memoria” quale condanna del “franchismo”, identificato con la guerra
civile e con la repressione degli anni immediatamente successivi, ma ormai
superata nel suo ultimo quarto di secolo. Da decenni la storiografia aveva
scavato ogni dettaglio del lungo calvario della Spagna nei quarant'anni dalla
“settimana tragica” e dalla fucilazione di Francisco Ferrer y Guardia al 1939.
Era una lotta fratricida che affondava radici nel 1808, il “dos de Mayo”
immortalato da Francisco Goya, nella guerriglia contro Giuseppe Bonaparte (“don
José Primero”) e gli afrancesados. Era terreno di studio, non motivo di
divisione tra gli spagnoli del Terzo Millennio.
Il 24 ottobre 2019, pochi giorni prima delle
elezioni del 10 novembre, il socialista Sánchez, alla guida di un governo di
minoranza, coronò la sua lunga battaglia ideologica e giuridica con la
estumulazione della salma di Franco dal Valle, inumata al Pardo. Fu una
avvilente sceneggiata presentata come soluzione di tutti i problemi di un Paese
per colpa sua in affanno economicamente e politicamente, con l'aggravante
dell'indipendentismo repubblicano della Catalogna e per la deflagrazione di
autonomismi antichi (dai Paesi Baschi alla Galizia) e di recente invenzione,
quale arma di ricatto verso il governo centrale.
Nell'intervista a un quotidiano italiano l'8
luglio 2020 Sánchez dichiarò di essere stato aiutato dal papa contro i benedettini
del Valle che lo avevano ostacolato “nella vicenda del corpo di Franco (sic)”.
Trascorsi alcuni giorni senza rettifica né dal giornale né da Madrid, la Santa
Sede precisò di non essersi mai pronunciata “sulla esumazione né sul luogo
della sepoltura” del Caudillo.
Chi pensava che la quaestio fosse finita
ha motivo di ricredersi. Carmen Calvo, trinariciuta vicepresidente del
Consiglio, e altri esponenti di primo piano del governo rossopaonazzo Sánchez-Iglesias
stanno gonfiando le vele della “Legge della memoria democratica”, solennemente
annunciata il 15 settembre 2020 ma passata sotto silenzio dai media
internazionali, corrivi a deplorare estremismi e bizzarrie di regimi vari, da
Ungheria e Polonia alla Russia di Putin, ecc. ecc. La legge non riapre la
guerra civile: la chiude demonizzando una volta per tutte Franco, il cosiddetto
franchismo (che fu un regime, non una ideologia) e la libertà di ricerca e di
parola orale e scritta. È liberticida. Essa prevede la ricerca sistematica di
fosse comuni della guerra civile, il repertorio di tutte le vittime della
violenza dei Quattro Generali, congrui risarcimenti (tutto giusto e perfetto),
ma anche la condanna della “apologia del franchismo”. Lì, come in ogni altro
Paese del mondo, sarà il magistrato a stabilire se una frase, un articolo, un
saggio lo siano o no. Che cosa fare, allora, della Legione Spagnola, che ad
Almeria ha celebrato da poco il suo primo secolo di storia e che ebbe parte non
secondaria nel 1936-1939 nella vittoria dei nazionali? Le verrà vietato di
cantare “El novio de la muerte”? Che cosa fare dell’intitolazione di Reggimenti
a Don Juan, a Alejandro Farnesio, al Gran Capitán e ad altri insigni
condottieri dell'impero di Carlo V e di Filippo II (1556-1598)?
Non bastasse, Carmen Calvo ha annunciato che
bisogna “resignificar” il Valle de los Caídos, da convertire in monumento
democratico gestito dal Patrimonio Nazionale anziché dalla Fondazione della
Santa Croce diretta dai benedettini, a sua detta destinata all'estinzione:
conclusione non scontata, perché essa
dipende dall'Abbazia benedettina francese di Solesmes. Non solo. Mentre
l'arcivescovo di Madrid Carlos Osoro ha auspicato che il Valle continui a
essere “luogo dove recuperare la
fraternità, la riconciliazione e la pace”, il presidente della conferenza
episcopale spagnola ha dichiarato che i cittadini sono preoccupati dalla
pandemia e di conservare il lavoro e che al Valle i benedettini “per quanto
possano aver sbagliato (nell'ostacolare invano l'estumulazione) sono per
pregare e fare del bene”. La questione, dunque, è complessa, poiché
manifestamente oggetto di manipolazione da parte del governo rosso-paonazzo e
dei suoi esponenti ultragiacobini, giunti ad affermare che la croce sovrastante
il mausoleo è “espressione del nazional-cattolicesimo”. E allora? Bisognerà
fare come al Cerro de los Ángeles, che il 28 luglio 1936 prima fu bersaglio di
fucilate e poi abbattuto con la dinamite?
E l'Europa sta a guardare silente?
La Memoria ha due volti: quella intima e quella
pubblica. Chi ne abusa utilizzando il Potere per la damnatio di alcuni e
l’esaltazione di altri viola quella intima e suscita fantasmi sopiti che
sarebbe meglio lasciare dormienti per evitare che balzino fuori come lo spirito
dalla lampada di Aladino.
La legge della memoria democratica (5 titoli,
66 articoli) che Sánchez vuol far approvare entro la metà del 2021 mira a
abolire titoli nobiliari e decorazioni del passato regime; e passi. Ma ciò che
più allarma e che essa vuol irrompere nell'insegnamento tramite la “pulizia”
dei testi scolastici. In sintesi essa punta a commissariare ideologicamente i
cittadini: a imporre una storia a senso unico e a punire severamente chi
dissenta dalla Verità di Stato. Questo è lavaggio del cervello. È
totalitarismo. Democratico, come nella Germania e nell'Unione sovietica dei
tempi andati.
Montmartre e i fantasmi di due arcivescovi
ammazzati a Parigi
Appena a nordest della Spagna il 13 ottobre il
prefetto della regione dell'Ile-de-France e la ministra della Cultura francese
hanno annunciato l'intenzione di classificare come monumento storico la celebre
basilica parigina del Sacre-Coeur, “santuario della adorazione eucaristica e
della misericordia divina” secondo la Diocesi di Parigi. Come noto, dopo Nôtre-Dame
è la chiesa più visitata di Francia. Nell'opinione generale essa venne
edificata a Montmartre per ricordare gli ostaggi assassinati dai Comunardi nel
maggio 1871 e in riparazione dei peccati perpetrati dai francesi: quindi per
motivi spirituali più che politici.
In realtà i suoi ideatori, Hubert de Fleury e
Alexandre Legentil, si ispirarono al progetto avviato a Lione per la
costruzione di Nôtre-Dame de la Fourvière volta a espiare la sconfitta di Sedan
(1-2 settembre 1870) e la conquista dello Stato pontificio da parte del regno
d'Italia (20 settembre).
Solo in secondo tempo de Fleury aggiunse che la
collina di Montmartre era non solo il luogo del martirio di Saint-Denis ma
anche dei generali Clément-Thomas e Lecomte da parte dei comunardi.
La classificazione del Sacre-Coeur a monumento
nazionale è di primaria importanza per la sua tutela e del completamento della
sua cripta, mai ultimata. Alcuni però ci vedono una strizzatina d'occhio di
Macron ai cattolici mentre si avvicinano le elezioni presidenziali.
Sennonché siamo anche alla vigilia del 150°
della Commune (18 marzo-15 maggio 1871), primo governo “rivoluzionario” della
storia, che ha sempre diviso e divide la memoria dei francesi per le atrocità
compiute dai comunardi e per la feroce repressione di cui furono oggetto
(vinti, in gran parte fucilati e deportati in Nuova Caledonia dopo inenarrabili
sofferenze). A placare gli animi e a spegnere sul nascere una nuova disputa
basterà l'intitolazione di una stazione della Metropolitana alla Commune de Paris e l'omaggio pubblico a
Louise Michel, sua celebre eroina?
Se la “Rive gauche” ha in serbo molte frecce,
altri non ne mancano affatto. Senza essere o proclamarsi clericali, i cattolici
e anche i non credenti ma studiosi di storia e del tutto liberi pensatori sanno
che nella loro faretra l'altra “riva” ha il ricordo di due arcivescovi di
Parigi assassinati: il primo, Denis-Auguste Affre, il 27 giugno 1848;Geroges
Darboy, proprio per mano dei comunardi
il 24 maggio 1871.
Sono tutte vicende che è bene lasciare dove
stanno: nella coscienza di chi sa che la storia è anche costellata di errori e
di orrori, che devono essere studiati, contestualizzati e spiegati, ma non
giustificati. Essi insegnano, infatti, che anche oggi si può sbagliare:
anzitutto attizzando polemiche inattuali e inventando leggi sulla “memoria
democratica” (imposte da governi dalla flebile maggioranza), mentre ognuno ha
diritto di avere la propria.
Gli spagnoli hanno una lunga storia. Non
sentono il bisogno di farsela “regnisificar” da un governo qualunque, tanto
meno se di inetti, come l'attuale. Gli italiani ne vantano una ancora più
lunga; gli ispanici lo vedono a Tarragona, Segovia e altrove. Come loro, gli
italiani non hanno alcun bisogno di “leggi della memoria”. Sono liberi di
studiarsi e di valutarsi da sé.
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