Questa
distinzione tra governo diretto del popolo e governo rappresentativo e in
sostanza tra democrazia diretta e democrazia indiretta o rappresentativa è
fondamentale. Si guardi per esempio alla, vita della nostra repubblica
esemplare, la più compiuta nella sua storia e nel suo fiorire, la più illustre
nelle sue lettere e nelle sue
arti: la repubblica di Firenze. La democratica di Firenze fu senza dubbio quella del Savonarola. Essa
costituiva il Consiglio Maggiore e gli dava facoltà di creare tutti i
principali magistrati, di approvare tutte le leggi; in altri termini lo faceva
sovrano dello Stato.
«Erano chiamati (1) a far parte del Consiglio
tutti quelli che avevano l'età di 29 anni ed avevano pagato le imposte; erano
cittadini beneficiati il che secondo una antica legge, voleva dire
quelli che fossero stati veduti o seduti in uno dei tre maggiori
uffici o che avessero avuto questo beneficio dal padre, dall'avo, dal bisavolo».
Siamo dunque ben lontani da una democrazia moderna. Su una popolazione totale
di circa go mila persone soltanto 3200 erano in possesso dei requisiti necessari
per entrare nel Consiglio. Ma erano già troppi per quel consesso: essi venivano
allora sterzati e cioè divisi in tre parti ognuna delle quali formava il
Consiglio per sei mesi. La democrazia del Savonarola, la più spinta di Firenze,
differiva quindi assai poco dalla oligarchia veneziana. Va da sé che Lucca era
governata da Firenze senza avere suoi rappresentanti nel Consiglio Maggiore.
Nota il Quinet nel suo libro sulle Rivoluzioni
d'Italia (2) che Firenze e Venezia riposavano entrambe sul terrorismo. A Firenze il sistema era intermittente e nei
periodi di umanità la repubblica moriva. A Venezia il sistema era costante e
così Venezia sopravvisse di tre secoli a Firenze. Instabili erano le posizioni
sociali ed economiche delle famiglie e anche degli ottimati. Costantemente con
le proscrizioni e le esecuzioni si mutavano e si rovesciavano le classi. La
nobiltà diventava borghesia e viceversa. Entrambe rientravano e si confondevano
nel popolo minuto per uscirne di nuovo con le nuove violenze. Con questo
fenomeno il Quinet spiega il cosmopolitismo così frequente nel genio italiano.
Egli scrive: «Dopo tante proscrizioni un gran numero di uomini erano senza
patria. Tutte le famiglie avevano patito l'esilio. Erano sradicate. Una, parte
dei loro membri non avevano più focolare; dopo la seconda generazione i figli
perdevano ogni sentimento di nazionalità. Banditi dai loro focolari essi si
facevano cittadini del genere umano» ... «Esuli o figli di esuli, gli
scrittori, i poeti, gli artisti non sono chiusi nei limiti di nessuna
nazionalità. Dante, Petrarca, Leonardo Aretino, Leonardo da Vinci,
Michelangiolo, Machiavelli, Cristoforo Colombo, cacciati o respinti dal loro
paese si fanno del mondo la loro patria». E concludeva il Quinet questo suo
capitolo sul tenore come fondamento delle repubbliche italiane, con un
avvertimento di grande attualità: « Una tale
esperienza, unita a tutte le altre mi autorizza a trarre da questo capitolo la
seguente conclusione: che in un'epoca corrotta ogni democrazia che nascerà
dopo una lunga abitudine di servitù e che si contenterà della pura gioia di
nascere senza prendere nessuna garanzia contro la furberia dei suoi nemici
diventerà per forza loro preda e scherno ».
Ma il nemico della democrazia parlamentare nell'età
contemporanea, con i partiti di massa non è il Principe costituzionale ma il capo-popolo,
il demagogo che secondo il temperamento e la
tradizione italiana dei Masaniello, dei Michele di Lando, dei Cola di Rienzo,
dei Mussolini mira a sostituire il Principe.
Assai impressionante infatti è il paragone
tra il regime mediceo e quello instaurato da Mussolini a Roma con le sue «prese
di contatto con il popolo», le adunate in piazza Venezia, le proclamazioni dal
balcone, i riti, le insegne, le legioni, il saluto al duce, e tutto l'armamentario
della dittatura. Sono due forme di falsa democrazia, singolarmente vicine.
Anche allora venivano conservati gli istituti tradizionali ma se ne falsava il
funzionamento con ignobili trucchi, finte elezioni e falsi sorteggi: in definitiva
il signore e i suoi clienti e parenti disponevano di tutto facendo ricorso alla
acclamazione della folla che si adunava in Piazza della Signoria al grido:
Palle! Palle! Questo singolare riavvicinamento non deve meravigliarci. Abbiamo
già visto come il fascismo avesse distrutto il Risorgimento e quella forma di
Governo parlamentare e di democrazia rappresentativa o indiretta che in Italia
era stata importata con Cavour dall'Inghilterra e successivamente dalla
Francia. Tolta via la vernice del Risorgimento era venuta in luce la vecchia
natura italiana prima dei governi stranieri dell'età moderna. Da sotto la coltre
dei secoli (ottocento, settecento e seicento) rispuntava fuori l'Italia del Machiavelli
e del Guicciardini, con i suoi venturieri, i suoi capitani e il suo popolo
pittoresco, acceso e mutevole, ma senza il fulgore inimitabile del
Rinascimento. D'Annunzio aveva annunziato il ritorno di quest'epoca con i suoi
romanzi e i suoi drammi appartenenti al ciclo del superuomo. È stato un breve e
fortunoso ciclo che ha avuto per protagonista il demagogo romagnolo e che si è
concluso nuovamente con le invasioni straniere, Prorompeva Machiavelli nella sua corrispondenza con il Vettori
tutta intonata ai piaceri volgari del tempo.
Però se alcuna volta io rido o canto
facciol perché non ho se non quest'una via da sfogare il mio
angoscioso pianto.
E anche con D'Annunzio la disfrenata
sensualità della vita e dell'arte dà luogo assai spesso a un disperato amore
della sua terra e a sentimenti di vera grandezza.
(1) Pasquale
Villari: Savonarola, vol. l, pag. 287-289. - Cecil Roth: L'ultima
repubblica fiorentina. Vallecehi, Editore, Firenze.
(2) Edgar Quinet : Le rivoluzioni d'Italia. Bari. Laterza,
pag. 154.
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